Capita eccezionalmente - e meglio sarebbe che non capitasse mai quando è causata da sofferenza - qualche situazione particolare in cui sia necessario saltare quel tragico muro che separa gli uomini fra loro, i poveri dai ricchi, gli operai dai padroni, gli oppressi dagli sfruttatori, ecc., e avere la gioia di sentirsi liberamente fra i poveri come a casa propria, serenamente in un mondo d'ingiustizia, partecipandolo con puro e limpido Amore.
Però il gesto, sia pure senza l'ombra d'eroismo e nemmeno dell'eccezionale, il gesto di Amore fraterno e di solidarietà e di partecipazione, non ha molta importanza, a meno che non sia richiesto e non diventi quindi una semplice e schietta ubbidienza ad una esigenza di Amore, ad una situazione che ha diritto all'Amore anche se questo dovesse non soltanto scavalcare un muro, ma passare anche attraverso il fuoco. Allora si ubbidisce al richiamo con docilità e serenità e quello che occorre: non si deve nemmeno stare a pensare e fare calcoli e nemmeno riflettervi molto su, Gesù direbbe che non dobbiamo nemmeno voltarci indietro, quando si è messo mano all'aratro. L'Amore vero respira aria buona, si nutre di pane, di grano e si disseta d'acqua di sorgente. E' immediato e aperto e si offre e si dona senza ritorni e senza pentimenti. Non chiede null'altro che Verità e Sincerità. E dopo non tira i conti per conoscere i risultati, perché non cerca guadagni di nessun genere. Sale faticosamente sul pendio della montagna, arriva sulla cima, appena una occhiata alla vastità di lassù e poi scende senza rimpianti.
Ma il gesto rimane sempre un momento, un'azione, un'attività: è sempre una contingenza. E non risolve nulla normalmente. Non possiamo contare sulla sua momentanea importanza, né affidarci al suo transitorio valore.
Anzi, non avrebbe senso e significato se non fosse l'espressione esterna d'una realtà di partecipazione permanente, continua, definitiva. Non avrebbe valore se non fosse mezzo di comunicazione di un tesoro prezioso, di una autentica ricchezza di Amore, ferma e stabile e sicura nel nostro cuore.
Il mondo - e quello operaio in modo particolarissimo - non ci chiede dei gesti di solidarietà, anche se lo possono favorevolmente impressionare, non gli bastano più azioni buone, attività assistenziali, opere di beneficenza... cioè questo abbassare un ponte levatoio, uscire fuori, compiere la buona azione e poi tornare indietro, rialzare il ponte e di nuovo noi di qua e gli altri di là dalla muraglia e dal fossato.
Ho saltato il muro due volte, disgraziatamente, una per andare di là, «fra loro», e una per tornare di qua, a casa mia. E il muro è rimasto lì. Ancora strana, spietata divisione.
E tante volte ho fatto così, forse sempre. E ne ho spaventosa tristezza e angoscia e vergogna. Non sono capace di restare, di fermarmi per sempre. Di prendervi dimora.
Sinceramente l'ho sempre desiderato e sognato e posso anche avere tentato, ma poi spesso sono ritornato a casa, fra la gente sicura, sistemata, credente e praticante, a lasciarmi difendere dalle leggi, a lasciarmi viziare dai privilegi, a salvaguardare la mia dignità e la mia pace.
Allora ho avuto vergogna anche a fare gesti di generosità, azioni di carità, imprese di beneficenza e lavoro di assistenza.
E non ho fatto più nulla, né mi sento disposto a fare qualcosa del genere.
Forse è male pensare così e fare così. Ma dipende da convinzioni che ormai sono mentalità. A un certo punto si sente il bisogno non di dare qualcosa, ma di dare tutto. E si ha paura che a dare qualcosa si addolcisca, fino a sparire in una quiete di coscienza, il bisogno assoluto e struggente di dare tutto: cioè di dare se stessi.
Non so se in questo problema è possibile l'equilibrio. Penso di no e per esperienza pratica e concreta. Il mondo cristiano è pieno di sufficienza e saturato di quietismo perché si fanno molte cose buone sì da dare la pace di coscienza che si faccia abbastanza.
Ma il muro di posizioni di privilegio, di situazioni favorevoli, di ripiegamenti su noi stessi, di egoismi sacri e ormai consacrati, di abitazioni sicure, di cittadinanze onorevoli, di difese a costo di tutto, di abbarbicamenti rabbiosi e tenaci al pezzo della nostra terra ecc., questo muro della «proprietà privata» non lo vogliamo valicare senza speranza di ritorni per abitare definitivamente come a casa propria, serenamente e liberamente, cioè con Amore, ossia con cuore aperto, per sempre, fra gli altri, e specialmente fra i poveri, gli oppressi, gli sfruttati, i sofferenti, i ribelli, gli ingrati, i cattivi: abitare dentro la perdizione per salvezza, abitanti di una terra deserta, dove nascono e prosperano solo triboli e spine, per gettarvi buon grano a piene mani, nonostante l'angoscia di non poter avere speranze di mietitura. Dio, al quale noi cristiani crediamo, ha fatto questo e lo fa continuamente. Lui è venuto ad abitare fra noi (Giov. 1, 14) ed è rimasto, nonostante che abbiano tentato di liberarsene mettendolo in Croce; e rimane fra noi ogni giorno (Matt. 28, 20), ostinatamente, nonostante l'indifferenza di cui lo copriamo per non accorgerci di Lui come se nemmeno esistesse.
Lui solo ha scavalcato sul serio il muro ed è rimasto al di là, non tentando più di tornarsene indietro.
E non esistono separazioni per Lui e nemmeno distanze e lontananze: è comunione intera e totale la Sua presenza. E' partecipazione perfetta. E' incarnazione incessante.
Ho tanta paura di tradire questa Sincerità essenziale dell'Amore cristiano. E di contentarmi di opere pie, di buone azioni e di gesti di carità. Sarebbe come dare briciole a chi muore di fame e gocce a chi non gli basta nemmeno un fiume per estinguere la sua sete.
Non riusciremo, d'accordo, «a dare a mangiare la nostra carne e a bere il nostro sangue» (Giov. 6, 53...), ma almeno dobbiamo sapere che l'Amore vero è su questa linea e ha questa misura.
don Sirio
in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1961, Settembre 1961
Luigi Sonnenfeld
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