Uno dei nostri peccati contro la carità, contro l'Amore del prossimo, al quale riflettiamo spaventosamente poco, è quello di non sapere e spesso di non volere accogliere gli altri in noi. Abbiamo paura di aprire il borsellino per cercarvi, con tanta meticolosa attenzione, gli spiccioli per il mendicante; proviamo uno smarrimento angoscioso a metter mano al portafoglio e tirarne fuori un sospiroso foglio da mille per la famiglia povera senza mangiare; e non parliamo del timor panico che ci prenderebbe se ci venisse il sospetto che ci sia richiesto di aprire il libretto degli assegni: roba da matti.
Ma tutta questa «tentazione» all'apertura del nostro egoismo fatto di quattrini è nulla in confronto del sacro terrore e quindi dell'immediata chiusura a doppia mandata dietro il portone ferrato, quando ci si chiede di aprire il cuore.
A dare qualcosa del nostro - sia pure a prezzo di tanta fatica - ci possiamo arrivare; ma dare qualcosa di noi, cioè un boccone di cuore, una fetta di anima, una goccia di partecipazione, un ritaglio di tempo, un posto nella nostra esistenza... è quasi un assurdo.
Eppure non vi è Amore se non vi è accoglienza: questo metterci a disposizione, questo «capire» fatto di concessione di spazio agli altri in noi, nel vivo di noi stessi, là dove sta la capacità di soffrire e di godere, di piangere e di ridere in modo da ottenere quella «comunione» d'esistenza, di valori e di destini alla quale l'Amore deve giungere, altrimenti ogni atto di carità e di Amore è soltanto mettere il foraggio nella greppia o la brodaglia nel truogolo: e solo questo - anche se è duro il riconoscerlo - è spesso il nostro Amor del prossimo.
Il famoso dovere di metterci nei panni degli altri, è un terribile discorso cristiano. Perché è vero che Dio ha preso i nostri stracci, ha condiviso la nostra esistenza, ha raccolto in Sé tutto il nostro orrore, caricandosi perfino della nostra maledizione, perché il Suo Amore è Amore vero. Adorabile Amore di apertura infinita per una accoglienza universale senza limite e misura.
Ma quest'Amore, pur nella Sua violenza divina, non ha ancora sfondato le nostre resistenze fatte d'ostinate e cocciute chiusure. Non può nulla sulla nostra paura. Non riesce a vincere questo istintivo terrore. E perdiamo la Grazia e la gioia e la gloria dell'Amore vero pagato con moneta preziosa fatta di carne e d'anima e di vita, di tempo e di eternità.
E' vero, certo, che consegnarci all'Amore è perderci o almeno perdere qualcosa di noi. E' anche vero che aprire il cuore vuol dire fare entrare liberamente tutto e tutti e ci occupano posto (e meno male che ne rimane meno per noi e per chi c'interessa), ci rubano del tempo (e ne avremo meno da sciupare) e ci daranno fastidio (e ci impediranno di vivere in una pace viziata e inutile) e ci lasceranno polvere e sporco e cattivo odore di sudore (e sarà una grazia non poterci giudicare più gente «virtuosa » e per bene) e se cominciamo poi non ci potremo difendere più e non si sa dove si andrà a finire (e sarebbe bellissimo essere costretti a «perderci» per Amore...). Non è difficile: basterebbe lasciare dilagare in noi la fiumana di Amore che Dio riversa nell'umanità attraverso il Mistero di Gesù Cristo e lasciarci sommergere e qualche volta lasciarci addirittura affogare.
Portati via dalla Sua violenza d'Amore, impareremmo ad aprire il cuore e l'anima e Lui ci donerebbe una «capacità» illimitata fino ad una possibilità di dare posto a tutto e a tutti in noi. Usciremmo dal chiuso del nostro particolare, dalla cella della nostra prigione, dal buio del nostro egoismo e impareremmo a conoscere la preziosità delle lacrime di chi piange, il valore della disperazione senza conforto, il senso di una solitudine inabitabile il significato di una malattia che demolisce, il perché di un mistero spaventoso che tutto avvolge e travolge e saremmo presenti, cioè vivi, in questa vita umana per comunione fatta di Amore nell'offerta, senza stanchezza e senza limiti, di Fiducia e di Speranza.
Diversamente l'egoismo ci chiude già nella tomba e siamo dei morti sepolti nelle nostre case, ville, palazzi, paesi e città, sì che spesso tutto sembra un enorme cimitero.
La Redenzione
in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1961, Settembre 1961
Luigi Sonnenfeld
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