Gesù il povero (continuazione)

Gesù è povero interiormente; non è uno di quei poveri, come succede sovente, che sappia approfittare dei beni terreni facendo finta di disprezzarli. Sa, invece, accoglierli e stimarli con il loro valore, ma senza la minima paura di perderli, senza mai preoccuparsi di tenerseli e metterli da parte. E' totalmente povero, e non soltanto staccato dai beni materiali, ma altrettanto libero, altrettanto nudo, davanti a tutti gli appoggi sui quali gli uomini riposano la propria esistenza. Nulla gli appartiene, né i suoi amici, né il suo avvenire, né i suoi progetti, né il suo pensiero, né l'opera sua.
Il suo parlare è eloquente: una delle sue espressioni preferite è quella che dice ciò che non fa, ciò che non è: «Non posso far nulla da me stesso» (Gv. 5,30), «Non cerco la mia volontà» (Gv. 5,30); «Non cerco la mia gloria» (Gv. 8,50), «La mia dottrina non è mia» (Gv. 7,16), «Non sono di questo mondo» (Gv. 8,23); «Non ho parlato da me stesso» (Gv. 12,49); i suoi discepoli non è lui ad agganciarli, ma il Padre che glieli dona (Gv. 6,37,44; 10.29; 17,6). Questa privazione da parte sua non è incertezza, paura di impegnarsi o di agire. Nessuno, invece, ha come lui coscienza di essere in pienezza e in modo unico ciò che egli è: «Io sono il Messia, io che ti parlo» (Gv. 4,26); «Io sono il pane di vita» (Gv 6,48,50); «Io sono la luce del mondo» (Gv. 8,5); «Io sono la porta delle pecore» (Gv. 10.7); «Io sono il buon pastore» (Gv, 10,11); «Io sono la resurrezione» (Gv. 11,25); «Io sono il maestro e il Signore» (Gv, 13,13); «Io sono il cammino, la verità e la vita » (Gv. 14,6); «Io sono la vera vite» (Gv. 15.1); e, del tutto semplicemente; «Io sono» (Gv. 8,58). Nessuna contraddizione, nessuna distanza fra queste due reazioni; altrettanto è sicuro di sé e di ciò che fa, e altrettanto prova che la sua sicurezza gli viene da un altro, da colui che non cessa di ascoltare e di guardare: il Padre suo.
Una parola riassume il fondo del suo essere; il segreto che rivela ai suoi, è via via «Io sono» e «Non faccio nulla da me stesso» (Gv. 8,28) formula che siamo tentati di capire come un paradosso: essere, pensiamo noi, è affermarsi indipendente, non aver bisogno di nessuno e possedere tutto ciò di cui si ha bisogno. Gesù, lui, è e dichiara come Dio solo è capace di essere e di dichiararsi, senza inizio e senza declino, senza il rischio dei casi o dei decadimenti. Ma tutto ciò che ha e tutto ciò che è, gli è dato dal Padre, e non cessa di riceverlo. Figlio uguale al Padre, ricco di tutta la ricchezza di Dio, nulla gli è proprio di tutta questa ricchezza, è infinitamente ricco perchè riceve eternamente la pienezza di Dio. Ecco perchè, essendo di condizione divina, invece di tenere per sé gelosamente il grado che lo eguagliava a Dio, ha annientato se stesso, prendendo la condizione di schiavo (Paolo, ai Filippesi 2,6s.). Non per capriccio di ricco sazio, stanco dei propri tesori, ma movimento spontaneo del Figlio colmato che viene a compartecipare cogli uomini la gioia figliale di non possedere nulla e di ricevere ogni cosa. Ma chi dunque, fra gli uomini, é capace di ricevere tutto, se non il povero? Gesù, per vivere come Figlio la nostra condizione, la vive nella povertà suprema.




Jacques Guillet
(dalla rivista «Christus» ott. 59)



in La Voce dei Poveri: La VdP luglio 1960, Luglio 1960

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