Povertà di Gesù Cristo

La povertà di Gesù Cristo, come tutto ciò che riguarda la sua Persona, è un mistero di Dio. Si profana questo mistero sfruttandolo come tema di propaganda o di intenerimento, lo si volatizza pretendendo di conformarlo ai nostri calcoli umani. Si può soltanto mettersi di fronte al Signore e, nel modo più semplice, il più poveramente possibile, guardarlo e ascoltarlo, pregarlo di sapere intendere e comprendere.

Gesù nella povertà
Gesù nasce povero, vive povero, muore povero. In una povertà che non è teatrale, ma lo classifica fra coloro che nulla protegge e, vivendo alla mercé delle circostanze, si trovano da un giorno all' altro esposti al peggiore spogliamento. Un provvedimento amministrativo lo farà nascere fuori dalla casa della sua famiglia; la poca importanza dei suoi genitori chiuderà loro la porta di un albergo pieno di gente; e la sua culla è una mangiatoia, in una stalla. Tale è il segno al quale lo riconoscono quelli che, per i primi, lo scoprono; e sono, anch'essi, poveri: «Un nuovo nato avvolto in panni e coricato in una mangiatoia» (Luca 21,2). Per anni, a Nazareth, è un lavoratore come gli altri. Quando si farà conoscere fra gli uomini, vive, senza affettazione, come un povero; senza nulla di suo, né casa né beni, sussiste via via di elemosina e di lavoro; in parte, probabilmente, della pesca dei suoi discepoli, e in buona parte, in ogni modo, della generosità di qualche donna pia che lo segue. Conduce una esistenza dura, conosce la fame, la sete, la fatica, il rischio degli ospiti accoglienti, e delle porte che si richiudono,
Se egli non rifiuta nessuno e conta degli amici carissimi che vivono agiatamente, non è affascinato dalla ricchezza e dona la maggior parte del suo tempo e del suo interesse ai poveri, ai malati, ai piccoli.
Non vive nella zona privilegiata della umanità, quella in cui la posizione e i beni mettono al riparo dall'infelicità; ma giorno dopo giorno, ovunque vada, lo attende lo stesso spettacolo, lo assediano le stesse grida, la miseria dei miserabili, le piaghe e le infermità, tutti i decadimenti dell'umanità.
Dato che non fa mostra della sua povertà, Gesù non si compiace per la miseria. Proclama beati i poveri, gli afflitti, gli affamati, ma non può sopportare di vedere una madre piangere il suo bambino, e moltiplica i pani per impedire ad una folla di patire la fame. Non concede dunque valore in sé alla privazione ed allo spogliamento; non esalta il povero perché il povero non possiede nulla, ma perchè è capace di ricevere tutto. Lui stesso non si fa scrupoli di essere invitato e trattato con larghezza, ad abitare in case amiche, ed attorniarsi, lui e i suoi, di dedizioni attente. Muore senza lasciare nulla, ma è sepolto in una tomba sontuosa. La povertà non è per lui una regola da seguire alla lettera, un programma impossibile a modificarsi. E' ariosa ma è totale, poiché è il suo stesso essere.




Jacques Guillet
(dalla rivista "Christus" ott. 59)



in La Voce dei Poveri: La VdP maggio 1960, Maggio 1960

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