LA VOCE DEI POVERI: La VdP novembre 1964

Spirito di rinnovamento

Nonostante tutte le apparenze, anche quelle che sembrano tanto favorevoli e positive, attraversiamo sicuramente un periodo di profonda crisi religiosa.
Non è il caso e non è nostro compito, oltre che essere completamente al di là di una nostra competenza, l'indagare e l'approfondire le cause della crisi religiosa che sta attraversando questo nostro tempo. Vi sono gli studiosi di questo problema, le constatazioni pastorali che ognuno, se apre appena gli occhi, può fare con grande abbondanza, vi è anche lo stesso Concilio Ecumenico a compiere questa dolorosa fatica di scoprire e mettere a nudo, con una certa chiarezza spregiudicata, la pesante situazione religiosa del tempo in cui stiamo vivendo.
Quello che potremmo dire noi, povera voce di povera gente, non potrebbe essere qualcosa di più e di meglio, anche se forse, potrebbe essere voce particolarmente addolorata, gemito d'angosciosa trepidazione perchè il marinaio inchiodato sul basamento del motore a seguirne i palpiti possenti, avverte e trema per lo scricchiolio di cui si lamenta la nave, assai più di chi sta sul ponte di comando.
Ma non è che vogliamo lamentarci di qualcosa o anche semplicemente lamentarci per sfogare un innato pessimismo che vede tutto con scontentezza e sfiducia. E' sofferenza vera, è angoscia profonda perchè si ha l'impressione che un tempo di Grazia stia passando senza giusta, storica fruttificazione, perchè nel nostro tempo sembra che stia sempre più aggravandosi una responsabilità non coraggiosamente accolta e allora non si può non temere non tanto per noi e per questa generazione, ma per chi verrà, per le generazioni future condannate dalla nostra incorrispondenza a portare pesi che le schiacceranno, conseguenze che le soffocheranno.
E' problema di coscienza cristiana, individuale e collettiva, del tempo di una vita e di tutta un'epoca storica, misurare la responsabilità delle proprie corrispondenze al Dono di Dio, non tanto per quello che ne può venire a noi stessi, quanto in prospettiva futura, in ordine a tutto quello che ne verrà per gli altri che verranno dopo di noi.
Nella storia della Chiesa o, per meglio dire, nella storia dell'impegno degli uomini per il farsi nel mondo del regno di Dio, ciò che fa particolare impressione è spesso questa mancanza di prospettive future, di un lavorare nel presente rivolti all'avvenire, un cercare che venga, che si compia sempre più il Regno di Dio realizzandone sempre meglio le premesse, creandone più che sia possibile le condizioni.
Se ci chiudiamo nel nostro tempo, nel nostro momento storico, come nella problematica religiosa nostra personale, praticamente ci mettiamo fuori dalla misteriosa concatenazione dello svolgimento incessante e del continuo attuarsi del Regno di Dio.
Succederà che priviamo il crescere storico del Regno di Dio del contributo necessario della nostra età, di questo nostro tempo. Ci saremo aggiustati nella nostra pace interessata, saremo riusciti a difenderci dai pericoli che ci sovrastano, avremo arginato e momentaneamente impedito il travolgerci della fiumana, ma intanto non sono maturate posizioni nuove, non sono state stabilite basi più sicure, la verità non è cresciuta, la giustizia non è aumentata, l'Amore non ha comandato di più, il Regno di Dio, per quanto è dipeso da noi, non è andato più avanti.
Non abbiamo fatto nemmeno le rotture necessarie, non abbiamo voluto rischiare imprudenze, siamo rimasti sul «chi va là», a cercare di tamponare le falle, di rimediare ogni cosa con un paziente e sciocco rattoppamento, dimenticandoci che questo tentare di aggiustare tutto rattoppando sdruciture e strappi di otri vecchi e di mantelli logorati, non è il giusto metodo cristiano insegnato e vissuto da Gesù.
C'è una violenza e una logica di rinnovamento incessante, una necessità di fare ad ogni istante «nuove tutte le cose», bisogna «rinnovare continuamente la faccia della terra» per testimonianza dello Spirito Creatore di Dio che diciamo di avere dentro di noi, per fedeltà di corrispondenza alla potenza di Redenzione, cioè alla forza di salvezza fermentata in noi dalla dolce e prepotente energia del lievito che Gesù Cristo ha deposto in ciascuno di noi e nell'umanità intera e nella sua storia.
Ci sgomenta quando la Chiesa viene accusata di conservatorismo. Quando ci avvediamo che si ha paura perfino di spengere una candela per amore delle usanze. Quando non si vede un po' di coraggio per tentare «un aggiornamento». Quando si va a leggere il Codice di Diritto Canonico prima di rischiare qualcosa e non se ne fa di nulla se non si hanno le spalle bene appoggiate alla legge e il sedere ben sistemato sulla comoda poltrona delle consuetudine centenarie. Quando per stroncare e schiacciare timidi tentativi di nuove cose, nuove idee, nuovi modi di rapporti ecc. (e certe ricerche di un po' più di aderenza al Vangelo, chissà perchè son sempre considerate novità) basta bollare gl'interessati e t loro timidi tentativi di «innovatori» perchè tutto diventi imprudenza, quindi rischio, quindi roba da inquieti, da gente pericolosa da mettere saggiamente e «prudentemente» a riposo.
E' vero che c'è il Concilio a cercare questo rinnovamento: ma è spaventosamente faciloneria imperdonabile stare ad aspettare le novità sotto forma di leggi, di costituzioni, di formule studiate e elaborate sia pure sotto le auree volte dell'aula conciliare. Come se dalla legge potesse nascere lo Spirito e l'Amore e la Salvezza.
Vi è un'anima cristiana, uno Spirito di Dio, un esser nuovi sempre ogni mattina della freschezza della Creazione e della giovinezza della Redenzione che non sappiamo bene da che parte ci potrà venire e in quali maniere. Sta il fatto però, che il mondo dal Cristianesimo, dalla Chiesa e da ciascuno di noi aspetta questa novità, cioè questo Vangelo. E pensiamo che ne abbia tutto il diritto.


La Redazione

La terra promessa

L'angolo di terra dove Dio ha vissuto tutto il suo contatto personale, diretto, immediato con la Sua Creazione, con tutta l'esistenza umana secondo tutta la storia della Rivelazione, non può non essere sentito come un corpo amato nel cui amplesso è stato deposto tutto l'Amore, dove tutto l'abbandono di Amore è stato consumato con misure infinite fino a fecondare il nascere e il crescere di tutta la misteriosa e meravigliosa vita di Dio sulla terra. E' come un'anima pura e verginale che ha capito e accolto, colmata di stupore incantato, tutto quello che le è stato rivelato e comunicato e donato e che ora possiede, come una luce velata ma stupendamente accesa, come un tesoro nascosto sotto zolle e pietre del campo ma in attesa di chi sappia scoprirlo e portarselo via.
E' la terra dove si è nati chissà quando, forse migliaia d'anni fa, forse fin dal momento in cui Dio l'ha guardata con predilezione e tenerezza d'Amore quando l'ha scelta come lo sposo la sua casa nuziale, dove vivere e consumare tutte le sue effusioni di Amore.
E lì abbiamo abitato da sempre fino al punto che quella è veramente la nostra terra: in ogni altra terra siamo degli estranei perchè la nostra storia vera, quella di fondo, quella dei nostri essenziali destini si è svolta in quell'angolo sacro. E ne sono colmate le vallate, coperte le montagne, è tutta distesa sul filo azzurro, appena increspato, del lago e scivola silenziosa e calma con l'acqua verde del fiume. Sembra che palpiti ai limiti luminosi dell'orizzonte e è tutta nell'aria tersa piena di sole, nelle nottate trepidanti di stelle, chiare e vivissime, come immensamente felici.
E poi è una storia così strana che sembra la propria personale. Mi sono ritrovato dovunque. Come se qui o là avessi già abitato. Perchè tutto ciò che vedevo, non so perchè niente era nuovo ma suscitava soltanto ricordi. Era un rivivere continuo, dolce e sereno. Tant'è vero che non vi sono state assolutamente novità perchè tutta era già nell'anima da secoli, da millenni.
Ho perduto la considerazione di me, come essere particolare, determinato nel brevissimo giro della mia individualità e del mio momento di tempo e mi sono sentito dentro una realtà d'esistenza dove la concretezza è tutto l'esistere umano e il tempo sono millenni e millenni. E' bellissimo questo perdersi dentro tutto un immenso mistero d'esistenza, questo acquistare una coscienza così aperta e vasta, questo sentire di far parte di tutta una realtà di vite allargata e impegnata in un formidabile e terribile rapporto fatto di umanità e di Dio.
Non è perdersi nel vago o nel vuoto sentimentalismo d'una spersonalizzazione universalistica a tutto danno d'una coscienza e della serietà d'un impegno individuale, pratico e concreto. Si tratta invece d'uscire dai propri limiti ed egoismi d'una valutazione di se stessi individualistica con il pericolo d'importanze (sempre assurde cristianamente parlando) locali e del tempo in cui stiamo vivendo. Si tratta di sapere concatenare il proprio esistere all'esistenza, di sapere inquadrare il proprio essere nell'insieme, d'essere capaci della continuità e della perenne presenza di un Mistero, che Dio ha voluto che fosse consegnato all'umanità e a ciascuno con riversibilità vicendevoli fino a ottenere che una vita sia tutta la vita e tutto il mistero dell'esistenza sia in ogni corpo e in ogni anima. Se io dicessi che tutto l'oceano sta qui nel cavo della mia mano e che la mia mano è una sponda che contiene tutto l'oceano posso essere giudicato pazzo, ma io so di non essere pazzo se dico che nella mia anima (anche nel mio corpo a ben pensarci) vi è tutto il mistero dell'umanità e di Dio e dell'universo fino al punto che la mia anima (e il mio corpo) è tutt'uno con questo mistero dell'umanità e di Dio e dell'universo. Ne è la normale, naturale contenenza.
Nella creazione dell'uomo, Dio gli ha affidato questo dovere e questo potere di contenenza e di appartenenza alla realtà universale della creazione e qui sta in modo particolare la sua «somiglianza con Lui» fino ad esserne l'immagine vivente.
E' in questo mistero di rapporti universali, di finalità e d'impegni universali che trova la sua logica umana e divina, la storia del popolo eletto.
E questo sogno meraviglioso di Dio si è compiuto, fino ad essere carne e sangue, vivente storia d'uomo, concreta realtà d'esistenza dentro tutta la esistenza, in Gesù Cristo, il Figlio dell'uomo e di Dio.
Questo miracolo di verità esistenziale, di autentica realtà fatta storia vissuta e da viversi che riguarda il destino essenziale di ogni uomo, è stato compiuto su un angolo della terra che non per nulla si chiama Terra Santa. Ma a me piace tantissimo chiamarla ancora Terra promessa. Porta con se, è nascosta fra le sue pietre bruciate di sole e sotto le sue zolle aspre e dure, una promessa d'incontro con Dio e con tutto il mistero umano.
In quella terra Dio abita ancora, è segnata dalla Sua presenza, è colmata del Suo Mistero. E' piena di Lui fino al punto che è abitata soltanto da Lui. E non distraggono da Lui le cose e gli uomini, arabi o ebrei che siano e i loro penosi problemi. La sua presenza qui è diretta e immediata: non sono le montagne o le pianure, le distese aride del deserto e le nottate di stelle che fanno pensare a Lui richiamandone l'impressione di maestà, di grandezza, di onnipotenza, come succede agli occhi e alle anime aperte in ogni altro angolo della terra. Qui è Lui, la storia del Suo abitare qui, della Sua maestà, della Sua grandezza ed onnipotenza, è la Sua Gloria che rende immense le montagne e più ancora sterminato il deserto e infinito il cielo azzurro o stellato. Non si contempla Dio cercandolo, con gli occhi aperti alla visione, in una terra sia pure bellissima, ma si contempla immediatamente questa terra per un sentirvi dentro, diffusa tutta l'infinita e personale presenza di Dio. Basta guardare all'intorno e Dio è là, visibile, allo scoperto, perchè Dio qui non è invisibile e non è facile tenere presente che è purissimo Spirito, pur avvertendo con estrema chiarezza il Suo essere infinito, la Sua immensità sconfinata, la Sua dolcissima eternità. Il cuore avverte una presenza che non si vede eppure è lì, accanto: viene da voltarsi a guardare tanto «si sa» che Lui è lì. La strana impressione dello stormire degli alberi a qualche folata di vento improvvisa, alle ombre di nuvole sulle vallate colmate di sole, ai rumori lontani nel silenzio totale della notte... ma tutto è perchè si sa benissimo che stiamo abitando dove Lui abita da sempre, siamo nella Sua terra, viviamo nella Sua casa. E respirare l'aria è respirare il Suo infinito, dormire è riposare sul Suo letto e sembra quasi sul Suo seno, perchè qui tutto gli appartiene, siamo nel Suo campo a mangiare e a bere, a distenderci all'ombra, a camminare sulle Sue strade, a guardare le Sue stelle.
Mi sono abbandonato a cuore aperto, con l'anima resa chiara, limpida dalla luce della Fede, ad un cercare di capire questa scelta di Dio di questo pezzo di terra, come un innamorato dove costruirsi la casa. Ho cercato d'accettare che qui Dio ha realizzato e vissuto tutto il Suo Mistero d'Amore per tutta la terra e per tutta l'umanità. E qui ho cercato di adorare la realtà concreta, storica della Sua presenza nel mondo, dei Suoi rapporti con gli uomini.
E non ho avuto gelosia per questa terra anche se invece ho provato un'invidia dolcissima per essere così posseduta da Dio, così terra Sua, così obbediente e dolcemente sottomessa a tutta la violenza del Suo Amore, alla libertà della Sua onnipotenza, alla pesantezza tremenda del Suo infinito. È una terra serenamente paziente dove è stato possibile tutto fino all'impossibile. E' una terra sopraffatta e vinta e arresa al totale dominio di Dio. Chi vi ha abitato lungo i millenni si sente bene che non ha accettato che Dio possedesse questa terra e fosse Lui ad abitarla, unico e sovrano, ma la terra sì, le pietre e le zolle sì che l'hanno voluto e le montagne e le valli e il lago e il fiume e l'erba e le stelle... si sono lasciate colmare di Lui, ne portano il segno, la pace e la gloria e il mistero infinito.
Per questa profondità di rapporti fra questa terra e Dio, qui la contemplazione è semplice e facile. Immediata e dolcissima. Offre, come a cuore aperto, il suo segreto questa terra e la rivelazione che ne viene prende tutto il pensiero, il cuore, l'anima e occupa tutto come una chiarezza di luce che tutto illumina con sereno e calmo splendore.
Rimango a guardare ma non vedo perchè vedo soltanto l'invisibile e lo sento più chiaro ed evidente e scoperto del visibile. Sono seduto sopra una pietra ma sono disteso e allargato e diffuso in tutta la vallata.
Il cuore si gonfia in un palpito immenso e l'anima si perde nell'infinito.
Ecco, qui è l'infinito che tutto sopraffa e vince. L'infinito fatto di Dio. Lui soltanto. L'Assoluto. L'Unico. Tutto.
Vorrei tanto essere questa terra. Questa terra promessa a Dio e agli uomini per il loro incontro d'Amore e la sua fedele pazienza nel lasciarsi abitare vorrei che fosse il mio Amore per Lui e per loro.


don Sirio

Preghiera d'autunno

Signore ho visto poco quest'anno la dolcezza dell'autunno coprire di pace la terra. Ho visto appena gli alberi ingiallire e impoverirsi di foglie quando il vento e la pioggia li hanno sconvolti senza riguardo. Ma non ho visto i prati e i poggi bagnati di verde, tappezzati dalle foglie cadute, rosse come di rame bruciato. Ho guardato soltanto il cielo, i pochi sprazzi d'azzurro e le nuvole dense e pesanti di giorni lunghi, fatti soltanto di pioggia.
Mi è bastato però perchè mi sentissi fratello di quest'autunno così malinconico per me. Ma non mi ha dato tristezza e tanto meno sgomento: gli ho allargato il cuore, gli ho consegnato l'anima mia.
Signore, vorrei tanto essere come un albero buono e paziente che si lascia ingiallire le foglie e poi se le lascia strappare e portar via dal vento che passa. Non vorrei pensare che mi viene rubato qualcosa, che è ingiusto il vento che mi spoglia e spietata la pioggia che mi bagna.
Signore, non vorrei aver paura di rimanermene solo, nello solitudine fredda dell'inverno, senza nemmeno il dolce e sommesso stormir delle foglie, senza che neppure un uccello venga a passar la notte fra i miei rami stecchiti. Non vorrei ma quest'autunno mi ha reso troppo come albero secco, quasi come albero morto.
Signore ho tutto l'autunno del mondo nell'anima. E' proprio stagione di pianto questa come è tempo di pioggia. E' un chiudersi di ogni ideale come il chiudersi dell'azzurro del cielo sotto lo spesso velo di nuvole. E' il cadere ingiallito e stanco e morto di tanta speranza come il cadere delle foglie abbandonate dal ramo. Soltanto le radici sono rimaste abbarbicate e a loro soltanto è affidata e abbandonata la mia povera speranza di vita.
Signore, l'autunno però è tanta pace. Serena e dolcissima pace anche se intrisa, bagnata di pioggia come di lacrime. E' solitudine riposante nonostante il vento. E' soave calore di dentro anche se fuori è gelido inverno. Sembra stanchezza ma è attesa invece. Pare che regni la morte ma è vita che cova.
Signore, è bellissimo l'autunno: penso che di tutto spoglia, di tutto libera perchè Tu sia molto di più. Il mio albero senza foglie, nudo e solo ha più bisogno di Te e somiglia molto di più alla Tua Croce.
Vi è tanto di più del Tuo Mistero nell'anima mia. E ora, è chiaro, devo e posso vivere soltanto di Te. Il sole è pallido e stanco, le nuvole sono troppo grigie e pesanti, il vento è diaccio e spietato, la solitudine è vasta come deserto, la tristezza profonda come il cuore della notte, le foglie stanno marcendo nell'erba fradicia, gli uccelli sono tutti volati via... eppure il mio autunno è bellissimo perchè è tutto colmato di Te.


X X X

Testamento

Non voglio che tu sia lo zimbello del mondo.
Ti lascio il sole che lasciò mio padre a me.
Le stelle brilleranno uguali,
e uguali t'indurranno le notti a dolce sonno,
il mare t'empirà di sogni.
Ti lascio il mio sorriso amareggiato;
fanne scialo, ma non tradirmi.
Il mondo è povero, oggi.
Se tanto insanguinato questo mondo ed è rimasto povero.
Diventa ricco tu guadagnando l'amore del mondo.
Ti lascio la mia lotta incompiuta
e l'arma con la canna arroventata.
Non l'appendere al muro. Il mondo ne ha bisogno.
Ti lascio il mio cordoglio.
Tanta pena vinta nelle battaglie del mio tempo.
E ricorda. Quest'ordine ti lascio. Ricordare vuol dire non morire.
Non dire mai che sono stato indegno,
che disperazione m'ha portato avanti e son rimasto indietro, al di qua della trincea.
Ho gridato, gridato mille e mille volte no,
ma soffiava un gran vento, e pioggia, e grandine: hanno sepolto la mia voce.
Ti lascio la mia storia vergata con la mano d'una qualche speranza. A te finirla.
Ti lascio i simulacri degli eroi con le mani mozzate,
ragazzi che non fecero a tempo ad assumere austera forma d'uomo,
madri vestite a bruno, fanciulle violentate.
Ti lascio la memoria di Belsen e di Auschwitz.
Fa presto a farti grande.
Nutri bene il tuo gracile cuore con la carne della pace del mondo, ragazzo, ragazzo.
Impara che milioni di fratelli innocenti svanirono d'un tratto
nelle nevi gelate in una tomba comune e spregiata.
Si chiamano nemici: già! i nemici dell'odio.
Ti lascio l'indirizzo della tomba perchè tu vada a leggere l'epigrafe.
Ti lascio accampamenti d'una città con tanti prigionieri:
dicono sempre si, ma dentro loro mugghia l'imprigionato no dell'uomo libero.
Anch'io sono di quelli che dicono, di fuori,
il sì della necessità, ma nutro, dentro, il no.
Così è stato il mio tempo.
Gira l'occhio dolce al nostro crepuscolo amaro.
Il pane è fatto pietra, l'acqua fango, la verità un uccello che non canta.
E' questo che ti lascio.
Io conquistai il coraggio d'esser fiero. Sforzati di vivere.
Salta il fosso da solo e fatti libero.
Attendo nuove.
E' questo che ti lascio





Kriton Athanasulis

La Chiesa dei poveri

Quando uscì dal Concilio questa parola «la Chiesa dei poveri», anche se il per lì lasciò un pò perplessi e poco fiduciosi, riuscì a fare un certo effetto e accese non poche speranze.
Voleva dire molte cose, ma certamente era coraggiosa constatazione che la Chiesa non era dei poveri, che non era povera, che non era amata dai poveri. Bisognava quindi ritornare all'apprezzamento della povertà secondo il Vangelo, era necessario che la Chiesa fosse povera, era semplice dovere ritrovare la simpatia della povera gente e solidarizzare col povero popolo fino ad esserne l'anima, la speranza, la forza, la salvezza.
Non fu però possibile non avvertire il terribile pericolo che una affermazione, che una dichiarazione così formidabile che rovesciava impostazioni di mentalità e di costume ormai secolari e quindi incredibilmente inveterate e incallite, non rischiasse di rimanere sentimentalismo, sogno impossibile, se non proprio frase letteraria e accademica d'effetto.
Gli «slogan» saranno una gran cosa psicologicamente e potranno avere effetti sorprendenti dentro la povera mutabilità dell'impressionabilità umana, ma non pensiamo che servano e nemmeno che siano producenti in bene, per ottenere convinzioni cristiane e modi di vita secondo il Vangelo.
Tant'è vero che il discorso sulla Chiesa dei poveri fino a questo momento è rimasto parola pronunciata in situazioni di particolare fervore, uno slancio fatto a gran cuore ma ricaduto poi e riassorbito dalla piatta spietatezza della praticità prudente e della convenienza immediata.
Con questo non vogliamo assolutamente dire che il problema «Chiesa dei poveri» sia accantonato o possa esserlo, in modo o in un altro. Anche quelli - quanti saranno? - che lo vorrebbero problema non troppo acceso se non altro perchè lo giudicano un discorso rischioso, un ideale impossibile, una raffinatezza da sognatori e forse, chissà, una istintività demagogica, un riverbero di comunismo in sagrestia, una malattia dei nostri tempi ecc. non potranno spengere nella Chiesa e nella cristianità quest'angoscia del problema della povertà: il Vangelo è troppo esigenza di verità e di sincerità e la povera gente ha troppo il diritto di avere «incarnato» nella propria povertà d'esistenza umana Gesù Cristo, perchè Lui è nato nella sua stalla, ha vissuto del lavoro delle sue braccia e è morto sulla sua Croce. E la Chiesa non può non essere Lui "incarnato" nella povertà della povera gente. Gesù è dei poveri, la Chiesa deve essere dei poveri.
Quindi il discorso della Chiesa dei poveri non potrà essere accantonato, nonostante tutto. L'importante però è alimentarlo e cercare di mantenerlo su un piano di ricerca e d'impegno di autentico problema di povertà cristiana.
L'adempimento però di questo essenziale dovere della Chiesa di essere Chiesa dei poveri può correre un gravissimo rischio, quello cioè di cercare e di realizzare forme di partecipazione alla povertà della povera gente a tipo paternalistico. E anche, osiamo dire (pur essendo il discorso molto pericoloso perchè si può essere terribilmente male intesi) sul piano di una carità che è ancora troppo aristocratica perchè scende troppo dall'alto in basso. Raccogliere molto, avere molto, dare molto, aiutare molto, sì, è sicuramente carità cristiana ma non è povertà.
La Chiesa (la presenza di Gesù nel tempo e su tutta la terra e nel cuore di ogni uomo e dell'umanità tutta insieme) se moltiplicasse opere di carità, di assistenza, di beneficenza e sollevasse malattie e fame e miserie di ogni specie (lo ha fatto in modo meraviglioso nella storia della sofferenza umana e in misure incredibili) non sarebbe la Chiesa dei poveri, se fra lei e i poveri rimanesse a separazione un suo essere ricca (o anche, semplicemente, il suo apparire ricca per tutto quello che di ricchezza sa, cominciando dal dare l'impressione di essere d'accordo con chi la ricchezza detiene e ammassa e se ne fa strumento di potenza e di grandezza).
Chi è ricco può fare carità di aiuti, di conforti, di sollievo ai poveri e è certamente buona, ottima cosa, è persona caritatevole, non è però un povero, non è fra i poveri, non è dei poveri: dona ai poveri qualcosa di quello che possiede, non dona se stesso.
E dare qualcosa (anche se moltissimo) è carità. E' soltanto dare tutto che diventa povertà perchè dopo non si ha più niente e si è poveri come i poveri e a loro si appartiene perchè si è uno di loro.
Dio facendosi Uomo ha scelto non la via della carità (opera buona, generosità di offerte, aiuti, sollievi ecc. ricchezza offerta, donata a chi non ha nulla e ha bisogno di tutto) nei suoi rapporti con l'esistenza umana, ma la povertà e ne ha fatto il Suo modo di partecipazione alla vita umana.
E' chiaro che il discorso è molto duro, ma fu già molto duro quando Gesù lo fece al giovane ricco chiedendogli di diventare povero e quindi di seguirlo.
Il problema Chiesa dei poveri è molto complesso, sicuramente molto difficile (è per la Fede che abbiamo in Gesù, nella Sua parola e nel Suo esempio e nella Chiesa come continuatrice di tutto il Suo Mistero o, meglio ancora, presenza di tutto il Suo Mistero in ogni tempo e luogo, che non lo giudichiamo impossibile o assurdo): fa quindi gran gioia il sentirne parlare in Concilio e non ci fa preoccupazione se il discorso si è un pò attenuato e annebbiato e nemmeno ci sorprende se può rischiare di prendere avvii ideali o pratici non molto convincenti o non molto rispondenti, come a noi sembra, alle attese e ai diritti della povera gente.
Ci sia consentito però su questo foglio che vuole essere in qualche modo, voce dei poveri, di trattarne: con umiltà e semplicità anche se con molta schiettezza. Non facciamo trattati di teologia o cose del genere. Raccontiamo soltanto dei sogni raccolti in un ora di preghiera o nel cuore della povera gente, compreso il nostro che disgraziatamente non sa riuscire a essere povero anche se lo vorrebbe cosi tanto.


d. S.

La fame nel mondo

Ecco il problema della fame nel mondo, "il problema dei problemi", quello dalla cui soluzione dipende l'avvenire dell'uomo e soprattutto la pace fra gli uomini.
Che cosa abbiamo fatto, che cosa stiamo facendo noi cristiani per togliere le cause profonde della fame e della miseria? Molti dei malanni di cui soffre l'umanità sono stati causati proprio dai nostri antenati cristiani. Senza voler essere demagogici e, più ancora, masochisti, dobbiamo confessare che il nostro passato di colonizzatori, di schiavisti, di sfruttatori, di razzisti, il nostro passato di attaccabrighe, pronti a sfoderare la spada od a lasciar la parola ai cannoni, ebbene questo nostro passato non è certo invidiabile. Eppure è grazie ad esso che noi oggi siamo quel che siamo, cioè popoli ricchi e ben pasciuti in un'umanità di poveri e di affamati.


Mons. L.G. Ligutti

Il movimento "Mani tese"

Chiedersi il perchè del Movimento «MANI TESE» è la stessa cosa che chiedersi il perchè voi vi siete interessati del problema della fame nel mondo.
«MANI TESE» non è un'associazione ma un movimento. Ed un movimento si mette in moto da solo, non ha bisogno di fondatori, di tessere, di statuti. Nasce da una esigenza sentita da tutti, da una coscienza popolare, da una necessità urgente. Per appartenervi non sono necessarie iscrizioni, basta interessarsi e far qualcosa per il problema. Appartiene al movimento chi finanzia una scuola od un cantiere nei paesi della fame e chi, non potendo far altro, prega il Buon Dio che su questa terra vi sia più giustizia e meno sofferenza.
Così è nato il movimento «MANI TESE» da cento iniziative sbocciate qua e là, da una presa di coscienza sempre più diffusa e responsabile dei doveri di ciascun uomo verso i suoi simili, da mille richieste pervenute a tutti quegli organismi ed istituti che già da molto tempo si interessano del così detto Terzo Mondo.
La Segreteria «MANI TESE» vuol solamente rispondere a questo movimento, render possibili e coordinare queste iniziative, fare da trait-d'union tra coloro che vogliono fare qualcosa e coloro che hanno bisogno di qualcosa.
Non è il caso di ripetere qui quanto sia urgente, immenso e tragico questo problema della fame o meglio del sottosviluppo, poiché la fame non è altro che l'aspetto più appariscente e la conseguenza più dolorosa di tutto uno squilibrio economico-sociale esistente tra i diversi popoli della terra.
Ce lo siamo sentiti dire anche alla vigilia dello scorso Natale da Papa Paolo VI: «Il primo dei bisogni dell'umanità è la fame». Ma già più volte Giovanni XXIII vi aveva insistito nelle sue encicliche e nei suoi discorsi: «Tutti noi siamo in solido responsabili delle popolazioni sottoalimentate. Si deve sperare che per l'avvenire i paesi ricchi raddoppieranno gli sforzi per aiutare coloro che s'incamminano sulla via del progresso».
Sinceramente nessuno può disinteressarsene, è un problema che ci riguarda tutti: dal punto di vista morale non possiamo ignorarlo, da quello politico non possiamo evitarlo, da quello economico i nostri stessi interessi ci impongono di trovargli una soluzione.
I governi e le potenze se ne stanno preoccupando, gli economisti ne hanno indicate le dimensioni e le soluzioni, tutti gli uomini di buona volontà si sono sentiti impegnati a risolverlo.
Già è stato fatto molto, specialmente all'estero e da nazioni più ricche della nostra. In Germania Occidentale, una magnifica organizzazione, la MISEREOR, sostenuta dal Governo e da tutto l'episcopato cattolico, ha distribuito in cinque anni 34 miliardi di lire. In Francia, i Vescovi hanno istituito un Comité Catholique Contre la Faim che ha i suoi incaricati in tutte le diocesi ed in tutte le associazioni, che promuove una giornata nazionale contro la fame, e che finanzia molte microrealizzazioni nei paesi africani.
Il Comitato «MANI TESE» si è costituito allo scopo di mettersi al servizio di tutti coloro che vogliono rispondere agli appelli dei Papi e della F.A.O., per condurre con metodo e continuità la campagna contro la fame e la miseria nel mondo e così dare una testimonianza di carità ai paesi in via di sviluppo, evitando però ogni paternalismo.
A questo scopo si propone di:
- sensibilizzare l'opinione pubblica al problema della miseria e delle necessità altrui con pubblicazioni varie, sussidi, conferenze, documentari, mostre ed altre iniziative;
- ricevere le richieste provenienti da persone di qualsiasi paese, da missionari di qualsiasi istituto, non tenendo conto né della nazionalità, ne della religione, ne dell'opinione filosofica, ma unicamente della reale e documentata necessità;
- far conoscere queste richieste e raccogliere fondi per corrispondervi.
Questo è il nostro programma. Questo foglietto servirà a tenere uniti tutti coloro che vogliono aderire al movimento.
Siamo fiduciosi che voi, che già avete dimostrato la vostra sensibilità al problema, assumerete la vostra parte di responsabilità. Non dimentichiamo però che la nobiltà dell'agire dipende dal fine per cui agiamo. Ci si può interessare al problema per interesse, per paura del peggio o per semplice umanitarismo. Ma se il nostro fine è trascendente, il valore della nostra azione sarà ugualmente trascendente.

(da «Mani tese» - ottobre 1964
Redazione: Via Mosè Bianchi, 94 Milano).


Il povero popolo

Sono stanco di tutto quel gridare per le strade discorsi a nastro magnetico urlati negli altoparlanti come se fossimo dei sordi.
Mi fa terribile pena questo tentare di strapparsi gli uni con gli altri questo povero popolo. E con discorsi vuoti, accendendo entusiasmi sciocchi, a forza di retoriche inutili. Me lo trattano questo povero popolo come un branco di pecore che vanno dove la voce più grossa le spinge, come canne al vento che dalla parte dove soffia più forte si piegano. Lo so che il popolo è fatto così. E' povera gente per la quale le impressioni sono ragioni infallibili, ma vederle suscitare con trucchi e manovre, mantenerle con illusioni disoneste e sfruttarle con astuzia e furbizia, sgomenta e schiaccia di pena.
Le elezioni non sono cosa seria, così come si stanno svolgendo, per questa mancanza di rispetto verso la povera gente, per lo strano ma impressionante sfruttamento dei poveri per la troppa sfacciata furbizia di pochi che coprono d'ideali stupendi la loro ambizione personale e i loro interessi privati.
Povero popolo, a cui tutti promettono mari e monti per comprarne i consensi, ma che nessuno ama sul serio.
Il popolo è il grande tradito di sempre, l'eterno sfruttato, l'oppresso senza speranze. E' forse nel suo destino servire sempre alle ambizioni, agli interessi di pochi.
Ogni movimento parte con ideali per il bene del popolo, ma poi tutto rimane mangiato dall'ingordigia di pochi. Perfino le rivoluzioni che pur sono nate dal popolo e fatte dal popolo perdono presto le loro rivendicazioni popolari e il popolo rimane massa anonima, senza volto e senza diritti.
Mi fa tanta pena questo povero popolo perchè è ingenuo come un bambino, credulone come una donnetta, buono a nulla anche quando vorrebbe fare paura. E se ne approfittano tutti. Lo rivoltano di qua e di là. Lo mettono in piedi o seduto. Gli concedono la libertà e nel frattempo non lo considerano niente. Gli dicono di cercare il suo benessere e intanto gli fanno soffrire la fame. Lo esaltano dicendogli che lui è il padrone e intanto lo schiacciano senza pietà sotto i piedi. Dicono che il popolo sia perfino la sorgente dell'autorità ma intanto deve sempre obbedire. Gli chiedono i suoi rappresentanti ma poi questi rappresentano tutto meno che il popolo. La democrazia sembra una dittatura e la dittatura dicono che sia democrazia. Ma sia in un caso come in altro la gran massa del popolo non ha alcuna importanza.
Povero popolo a cui tutti la danno ad intendere. E' una palla che tutti si rimbalzano gli uni con gli altri. E' la grossa, turgida mammella da cui tutti mungono il latte. E' il campo dove si va a mietere ciò che non è stato seminato e tanto meno sudato.
E il povero popolo lo sa, è una storia vecchia quanto il mondo e tutti la conoscono e tutti detestano di essere popolo eppure questo povero popolo si ammassa ad ascoltare, si entusiasma ai discorsi, beve gli ideali, si sazia di speranze. E' come una donna innamorata il povero popolo che non si arrende, né si stanca nonostante i tradimenti, le percosse e gli abbandoni.
Dio deve avere tanta pietà del povero popolo, di questa massa immensa di popolo che Lui vede molto bene che è gregge senza pastore. Ha voluto anche Lui avere un popolo tutto per Se e lo ha infinitamente amato e prediletto nonostante l'enorme fatica d'Amore e la incredibile fedeltà di predilezione, che Gli è costata quel «popolo di dura cervice». Lo ha amato il Suo popolo con infinita tenerezza, con le attenzioni più care e le espressioni più dolci.
E poi ha amato il popolo fino a farsi anche Lui povero popolo. Sono per il povero popolo le Sue parole più belle, le difese più accese, gli impegni più formidabili, la Sua buona novella.
Questo povero popolo che Gli risponde a folle immense, a trionfi osannanti. Che Gli risponde chiedendone la morte, lasciandosi sviare fino alla pazzia.
Questo povero popolo. E' difficile amarlo sul serio perchè sembra che preferisca essere ingannato piuttosto che amato. A fargli del bene sembra che si riceva soltanto del male. E spesso ripaga con la dimenticanza e ingratitudine le premure più attente.
Eppure va amato. E non soltanto con l'Amore che vuol fare del bene a tutti i costi e secondo i propri programmi e in certi modi stabiliti dai nostri criteri. Va amato con lo Amore che sa dare tutto senza nulla pretendere. Con l'Amore che sa aspettare con la pazienza che mai si stanca.
Bisogna ascoltarne la voce del povero popolo che spesso è realmente voce di Dio, con serena umiltà e a cuore aperto.
E viverne tutto il destino non dalla posizione di comando e di guida, ma scendendovi dentro fino ad essere come tutti povero popolo.
Che di quest'Amore cristiano più di ogni altra cosa ha bisogno e diritto il povero popolo.



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La poesia dei giorni

3 Settembre -
Ho ripreso la traduzione di Green, egli ha tante domande da porsi, quasi ogni giorno: io non chiedo e non dubito e non temo mai. Dio è un braciere d'amore in cui tutto brucerà della nostra miseria, impotenza, povertà e aridità.
4 Settembre -
O Mario
piccolino del mio cuore
io sono bella
anzi bellissima
agli occhi tuoi
intrisi nell'azzurro
7 Settembre -
Fine di una buona giornata. Ho avuto tanta sofferenza fisica da sentirmi riscattata dinanzi a Dio di tutte le mie miserie e in comunione con tutti i sofferenti del mondo.
Sono stata sola e in silenzio (i bambini erano dalla nonna) ho ascoltato musica e tradotto Green. Egli dice una cosa bellissima, che la musica ci porta ad un colloquio diretto con Dio perchè non c'è il diaframma della parola. Così ho ascoltato e pregato abbandonandomi all'onda sonora per parlare con Lui ed amarlo. Il silenzio e la solitudine mi hanno ritemprato e tenuto tutto il giorno in una splendida luce spirituale.
9 Settembre -
Ho detto il mio rosario. Oggi sono i misteri dolorosi. Questo problema del dolore è un mistero immenso. Sappiamo che Dio è perfetta bontà, non può compiacersi al nostro dolore. E di dolore non solo è intrisa l'umanità, ma Dio stesso ha patito e ha comandato ad ognuno di prendere la sua croce se vuole seguirlo. Io mi abbandono a tutto questo, ma il mistero è fitto fitto.
10 Settembre -
Il volto di Dio! Credo che Lo vedranno nell'altra vita solo coloro che lo hanno cercato e trovato in questa. E' una questione di conoscenza il Paradiso e l'Inferno. Stasera in giardino ho alzato gli occhi su un grande e rigoglioso ulivo, la sua sommità era ancora illuminata dal sole, in quell'attimo così all'improvviso ho visto il Volto di Lui dove era splendore di foglie e di cielo.
11 Settembre -
Forte dei Marmi. Ancora il mare. Abbiamo un gentilissimo invito e mi sono trovata qui quasi per miracolo in questa vastità immensa d'aria e d'acqua. Ho goduto con tutto il cuore lo splendore del sole, del cielo sereno e di questa bella estate che non vuole finire.
12 Settembre -
Stasera siamo stati a Pietrasanta, una cosa veramente deliziosa. Si entra dalla porta antica e si vedono le mura giro giro che cingono il paese. E' sabato, nella piazza e per le vie l'animazione da «sabato del villaggio». Una meraviglia: il duomo romanico fatto di blocchi di marmo bianco con uno splendido rosone, peccato che l'interno risenta il cattivo gusto dei posteri, ma intatto troneggia il pulpito inalterabile.
13 Settembre -
Ho ascoltato la Messa in una cattedrale d'alberi, lecci, olmi e pini. La preghiera così all'aperto si dilatava nel creato, questo creato che porta virginale l'orma del creatore.
Al mare ho conosciuto e subito fatto amicizia con una Signora che mi diceva cose splendide. E' stata una consolazione per me che ancora non mi sono abituata a vivere quaggiù senza mio padre. Abbiamo ricordato un brano di Sant'Agostino: «I morti non sono degli assenti, ma degli invisibili. Essi ci guardano con gli occhi pieni di luce nei nostri pieni di lacrime».
14 Settembre -
Fende il cielo la vela
e la prora taglia il mare,
il mare dal sole inargentato
Io penso a un altro viaggio
che alle sponde mi approdi
dove attende l'Amore
Stasera siamo stati in un negozio d'antiquariato sulla via Aurelia perso nella campagna. Entrando il tempo investe con odore di polvere e sotto tutta quella polvere gli splendori sbiaditi dei secoli. Il passato è interessante quanto può esserlo il presente o il futuro per l'eredità che ci corre nelle vene. Io ne sento l'attualità in modo vivissimo.

16 Settembre -
L'anima adagiata
sui pendii verdi
dei colli
sognava l'ultimo sole
e le grandi nuvole
in viaggio
17 Settembre -
Una suonata di Brahams mi ha precipitato giù nella valle colma di ulivi dove essi aprono i loro tronchi a reggere come mani i gioielli delle foglie, poi mi ha innalzato nel cielo limpidissimo in tenui nubi di rosa. Ho cercato di pregare seguendo quello che scrive Green sulla musica che è preghiera, la più bella preghiera.
Del resto tutta la nostra giornata dovrebbe essere preghiera, la mente non dovrebbe mai distrarsi da una continua offerta. Ma è una cosa difficile a cui però si deve arrivare.
19 Settembre -
Oggi ho tanto sofferto di mal di testa e sono stata molto a letto, in quelle ore ho cercato di contemplare Dio e di stare dinnanzi a Lui, di cercare il Suo Volto. Ma mi sentivo tanto dispersa. A un tratto mi sono ricordata che in cielo Cristo porta il nostro corpo allora mi sono tutta stretta al suo Cuore. Ho capito tutta la devozione al Sacro Cuore promossa da Santa Margherita. Cuore contro cuore era una cosa possibile e infinitamente felice.
21 Settembre -
Stamattina c'è stata una burrasca violenta ed improvvisa durata pochi minuti, ma è stata sufficiente a pulire il cielo, le montagne e le colline tanto che stasera abbiamo avuto un tramonto splendido, tutto d'oro, che ha felicemente sorpreso me e la mamma. E' un dono avere simili spettacoli da casa propria, dalle proprie finestre.
26 Settembre -
Ho avuto da una carissima amica un regalo delizioso: un antico lume a petrolio. Lo abbiamo acceso la sera e abbiamo ascoltato musica al suo chiarore, anche il mio bambino più piccolo era incantato.
27 Settembre -
PASSEGGIATA NEL CAMPO
Danzano gli ulivi
sulla terra arata
con movenze gentili
i rami azzurri
Corrono tra le carreggiate
fiumi di fiori.
E noi vi cerchiamo pace
alla nostra pena
29 Settembre -
Scrive Rousseaux: «Dio mi ha posto nella disperazione come in una costellazione di vicoli ciechi la cui raggiera fa centro in me. E tutti gli uomini sono come me».
30 Settembre -
Nonostante che i vicoli siano ciechi io ho fiducia di trovarne uno aperto.
Ore 21:
Timide stelle di settembre
vedo l'Orsa trepidante
scendere sui colli
dalle luci ferme
in questa mia notte di preghiera
1 Ottobre -
Ho pensato oggi alla grandezza dell'intelligenza umana. Infilando nel muro due stecchini di metallo io ascolto una musica composta tre secoli fa, è il miracolo del grammofono. Siamo tanto propensi ad avvilirci della nostra impotenza, ma dobbiamo riconoscere anche la nostra grandezza a gloria di Dio (non certo nostra)!
6 Ottobre -
Oggi sono stata a Padova da carissimi amici, la giornata era molto bella, piena di sole
Il Po sognava lento
le sue sponde
mentre nei canali
precipitavano gli alberi
le foglie ancor dense
della scorsa estate.
Gli archi ondulavano le strade
e ricamavano la trina
di palazzi e chiese.
Si affacciavano ai balconi
di ferro antico
i ricordi della fanciullezza.
Veneto amico!
14 Ottobre -
Stamattina abbiamo portato tutte le nostre pene ad un sacerdote, amico da vent'anni. Egli ci ha detto cose bellissime sull'Incarnazione. Gesù quando ci ha chiesto di lasciare tutto il resto e portare solo la croce, voleva che la croce si incarnasse in noi, che noi la abbracciassimo con tutto il cuore come misterioso strumento di salvezza e non starvi attaccati con l'intenzione di liberarcene il prima possibile, ma portarla dentro come vita della nostra vita.
16 Ottobre -
Oggi mi è arrivato un libro «Lettere della Speranza» di Don Mazzolari, mi è bastato quel titolo per darmi luce. La speranza è la più soave delle virtù!
17 Ottobre -
Siamo andati a vedere il film di Pasolini «Vangelo secondo San Matteo», non lo ho visto tutto perchè mi sono sentita male, ma il giudizio è negativo. Si vede che Pasolini è un artista, ma si vede anche gli manca la fede. Il Cristo era senza le virtù cristiane della pace, della mansuetudine, della misericordia, Egli passa come un ribelle in una terra sconvolta dal vento ed è pronto a scagliarsi contro i sacerdoti del tempio, contro gli ipocriti, i venditori di colombe, c'è un solo mirabile sorriso, quando guarda i bambini. Un regista cristiano avrebbe messo su quel volto tanti mirabili sorrisi e più dolcezza.
18 Ottobre -
Musica e preghiera. L'anima muove sulle note mirabili danze come il re David dietro l'Arca Santa.
20 Ottobre -
Sono tornata dal mio confessore di vent'anni fa e come allora mi diede il dono della fede, stasera ha restituito la pace al mio animo sconvolto. Anche se non avesse fatto altro che salvare me è degno per questo di entrare nel Regno.
22 Ottobre -
Notti di luna. I colli risplendono come rivestiti da una tunica d'opale iridescente, trepidano i lumi accesi nelle finestre delle ville. Notti di luna che hanno incantato Saffo, hanno fatto sognare il Leopardi e hanno fatto esclamare al Foscolo: «Te beata.... per le felici aure pregne di vita.... lieta per l'aer tuo veste la luna di luce limpidissima i tuoi colli».


Grazia Maggi

L'amoroso incontro con l'umanità

Accanto a me vivono forse qualche decina di persone; sono uomini come me, della mia stessa natura, carne e spirito come me, immagini di Dio come me superiori alle cose, liberi di amare. Ma più lontano ce ne sono delle migliaia dei milioni, delle centinaia di milioni, tutti uomini, tutti creati ad immagine di Dio.
La carità li unisce tutti nel mio amore. Il Signore l'ha detto: li devo amare «come me stesso». Questo «come me stesso », in un certo senso, è terribile, perchè il Signore non ha fatto eccezioni. Non si tratta solamente dei miei parenti o dei miei amici, di quelli della mia razza e dalla mia civiltà, di quelli che beneficiano della cultura e dei conforta, ma di tutti: dell'Indiano dell'Asia e di quello delle Ande, dei Neri d'Africa e dei loro fratelli d'America, dei Gialli e dei Bruni dell'Estremo Oriente. Di tutti, del senzatetto, dell'ubriacone, del capitalista, del comunista; di Kennedy, di Kruscev, di Mao-Tse'-Tung, di Nasser; del paracadutista e del fellagha.
Se amo Dio, amo tutte queste persone e le amo tutte nella carità, perchè sono in Dio ovvero perchè siano in Lui.
Il mio incontro con ogni uomo lo devo circondare sempre di tenerezza. Prima di vedere in lui, il corrotto, il decaduto, l'avversario, devo vedere l'uomo, un'armonia di lutti i valori naturali, una potenza indefinita di amare, una capacità potenziale di impossessarsi di Dio.
Senza dubbio l'amo per Dio, ma amo il prossimo anche per se stesso, per tutto ciò che di Dio è in lui. Nel mio slancio verso Dio, io lo incontro in Dio che pure l'ama.
Devo dunque tenere tutti nel mio cuore, tutti coloro che sono miei fratelli nell'umanità; li devo amare con intensa tenerezza e volere loro il bene che voglio a me stesso. Io li amo, e tuttavia sento che resto al di qua del comandamento: «come le stesso».
Sebbene esteso quanto l'umanità, il mio amore non è ancora abbastanza intenso.

(Dal volumetto « Dimensioni della Carità » di L. J. Lebret - Ed. Herder - L. 900).


DON SIRIO CHIEDE SCUSA AGLI AMICI SUOI E DE «LA VOCE DEI POVERI» PER AVER LASCIATO PASSARE I MESI DI SETTEMBRE E OTTOBRE SENZA L'INVIO DEL PERIODICO. TUTTO E' DIPESO DAL VIAGGIO FATTO IN TERRA SANTA NEL SETTEMBRE E DA ALCUNE COMPLICAZIONI TROVATE AL RITORNO CHE HANNO PROVOCATO UN CERTO DISORIENTAMENTO.
PER RIMEDIARE AL DOVERE NON ADEMPIUTO IL PERIODICO PER ALCUNI NUMERI USCIRÀ' A OTTO PAGINE.
LOGICAMENTE DON SIRIO SI SCUSA ANCHE CON IL CONSIGLIO PARTICOLARE DELLA S. VINCENZO CHE CON TANTA COMPRENSIONE E BONTÀ CONTINUA A PROVVEDERE ALL'AMMINISTRAZIONE DEL PERIODICO.


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