LA VOCE DEI POVERI: La VdP maggio 1964

Cristianesimo ed esistenza

Bisogna combattere la buona battaglia del bene, della Verità, dell'Amore. La buona battaglia del Regno di Dio nel mondo.
Il Cristianesimo non è beata sistemazione nel compiacimento di una coscienza tranquilla perchè retta, irreprensibile, inappuntabile. Diventerebbe quasi una separazione fra buoni e cattivi. I buoni chiusi nella loro bontà, i cattivi abbandonati alla loro perdizione. Mentre invece il Cristianesimo è mescolarsi, essere dentro, è incarnazione. E' donarsi e raccogliere in sé, mettersi insieme, diventare tutt'uno. Perchè è da questa unità ottenuta nell'Amore che nasce la speranza della salvezza del mondo intero.
Il Cristianesimo dell'opera buona per acquistare dei meriti, delle tre Ave Maria per l'indulgenza di trecento giorni, dell'offerta di una candela su quei trabiccoli di cui hanno riempito le chiese, per ottenere una grazia, questo Cristianesimo utilitaristico, di sistemazione religiosa, di servizio di Dio e dei Santi ai nostri personali interessi, questo Cristianesimo - amministrazione degli affari dell'anima nostra e spesso anche, se non altro come pretesa, del nostro corpo - questo Cristianesimo (se così possiamo chiamare questa religiosità o sentimentalismo religioso) dev'essere necessariamente superato perchè ormai ha fatto, come modo di soluzione del problema religioso, il suo tempo.
Sta venendo sempre più il tempo in cui il Cristianesimo non può che essere uno scomodarci sempre più preoccupante, un fastidioso impegolarci in serie responsabilità, un essere spinti sempre più dentro la realtà storica, attuale, della vita vissuta, un comprometterci scopertamente anche a scapito di gravi interessi personali.
Ciò che il tempo ha maturato in ordine ai cristiani è una spietata richiesta di sincerità.
Non si può più, ai nostri tempi, vivere il Cristianesimo facendone un problema di vita privata. E' sempre meno una religione «rituale», di pratiche e di osservanze, fine a se stesse: anche la liturgia stessa esige ormai un compromettersi per la richiesta di una partecipazione attiva e quindi per la necessità di sapere partecipare e poi di partecipare attivamente e concretamente, a viso scoperto, prendendo con serietà e responsabilità di testimonianza e di valore soprannaturale, il proprio posto nella comunità che celebra la liturgia.
E' assurdo «ascoltare» la Messa: non si ascolta la Messa, si celebra tutti insieme. Quando il sacerdote dà la Comunione, dice «Corpus Christi» e prima di riceverla il fedele deve dire «Amen»: deve fare cioè un atto di Fede con quella parola che dice un consenso totale, incondizionato, una certezza assoluta che quella piccola Ostia è veramente il Corpo di Cristo.
Bisogna uscire dai propri limiti, dai nascondimenti più o meno sistemati per una vita comoda e tranquilla e scendere in campo aperto e prendere ciascuno il proprio posto di testimonianza.
E la testimonianza vuol dire impegno cristiano fatto di vita, di modo d'esistenza. Bisogna che sia il Cristianesimo a determinare la nostra vita.
Vi sono delle scelte precise che si impongono sempre più e sono come prendere una strada piuttosto che un'altra. Il compromesso, l'adattarsi, il contentarsi diventano sempre più rinnegamento della Verità cristiana per un rifugiarsi nel chiuso di se stessi, nella miseria delle proprie comodità, nell'avarizia di Amore del proprio cuore.
La luce, dice Gesù, va accesa e posta sul candeliere perchè faccia luce a tutti quelli di casa e la città che è Regno di Dio non può essere edificata sulla montagna. Perchè sempre più diventa immenso dovere dire nella luce ciò che ci è stato detto nelle tenebre e gridare sui tetti ciò che ci è stato sussurrato nell'orecchio.
In questo nostro mondo - e è cosa meravigliosa - non si vive più così come capita, ma al fondo di ogni modo di vita, vi è una concezione, un pensiero, una mentalità chiaramente maturata e acquisita e alla quale si obbedisce, secondo la quale viene scelto il modo pratico di esistenza. E' a ragion veduta che si vive in un modo o in un altro. E questo su un piano individuale e collettivo.
E' di qui la gravità della situazione d'esistenza umana del nostro tempo: le scelte pratiche sono conseguenze di scelte di pensiero. Sono i problemi di come si vede la vita, di cosa si pensa dell'uomo, del significato della storia, del valore delle azioni, del che cosa vale nella vita, ecc., sono questi i problemi che agitano la vita del nostro tempo, perchè questi non sono più problemi da teologi o filosofi o moralisti, ma sono i problemi di tutti, assolutamente di tutti. E come questi problemi sono risolti su un piano teorico, di pensiero, è facile vederlo nella pratica di comportamento: perchè ai nostri tempi è molto vero che si vive in pratica come si pensa.
Offrire il modo di pensare del Cristianesimo ormai non serve più se non si offre, in perfetta corrispondenza, un modo di vita. La dottrina è molto: ma la cattedra di dove si insegna è la vita pratica. I pulpiti sono le strade, le piazze. Perchè il Vangelo, diceva P. De Foucauld, bisogna gridarlo con la vita.
Non basta più dire: Signore, Signore! Bisogna fare la Volontà di Dio. Si fa presto a gridare: pace, pace. E' venuto il tempo in cui bisogna pagarla la pace con l'essere uomini di pace, a costo di tutto. Carità, carità... ma bisogna levarsi il pane di bocca e dividerlo con chi non ne ha o ne ha poco e lottare concretamente pagando di persona, per la giustizia nel mondo e per l'uguaglianza di tutti i gli uomini. Cristianesimo, Cristianesimo... ma deve succedere allora che Dio è veramente tutto e che Lui va avanti a tutto e che gli uomini sono realmente nostri fratelli, specialmente i poveri, gli oppressi. Ma sul serio e allora la smettiamo con i nostri privilegi e ci mettiamo a servire gli altri senza nulla pretendere, la finiamo con l'infinità dei nostri problemi personali, con i nostri sottili e raffinati egoismi e ci mettiamo seriamente a servire il Regno di Dio nel mondo.
Perchè l'annuncio del Vangelo agli uomini è fatto della parola, d'accordo, ma si tratta della «Parola» secondo il Mistero Cristiano. E' «la Parola che si è fatta carne e che è venuta ad abitare fra gli uomini». Perchè altrimenti è parola, fiato di voce, sia pure segno sensibile di Verità, ma non proprio «Spirito e Vita», come le parole di Gesù.
Il mondo attende dalla Chiesa che le parole che dice con instancabile fedeltà e generosità e che insegnano, secondo Gesù Cristo, la Verità intorno a Dio, all'uomo, alla umanità, alla storia, all'universo, al tempo e all'eternità ecc. siano vissute con un modo di vita, con una scelta inconfondibile (come è inconfondibile quella Verità) d'esistenza. Perchè esiste una Dottrina meravigliosa, ma non esiste un'esistenza altrettanto meravigliosa.
A meno che non si debba concludere, che un'esistenza corrispondente alla Dottrina sia impossibile. (In questi nostri tempi non crediamo che il fatto che vi sono stati dei santi, o che vi possono essere anche attualmente, abbia grande valore apologetico: sempre più il problema viene posto su un piano d'esistenza umana, cioè come realtà sociale, umanità che risolve tutto il problema della vita, come modo d'esistenza, secondo il Cristianesimo).
Se nella nostra vita normale lasciassimo cadere ciò che sta guidandoci nella ricerca dei valori che ci interessano e nei nostri rapporti con il mondo e l'umanità (quella con la quale stiamo vivendo e quella nella quale stiamo vivendo) ci accorgeremmo quanto poco Dio conti e quanto in minima parte sia il Cristianesimo a guidarci.
L'egoismo, gli interessi, la famiglia, la sicurezza, la sistemazione, la paura, la salute, i rapporti sociali, la posizione, i privilegi, l'istintività, la diffidenza, la difesa di noi stessi, il grado sociale, gli istinti, le mentalità borghesi, l'educazione avuta, il giudizio degli altri, l'opinione pubblica, il buon nome, il complesso dei nostri diritti, le nostre pretese, l'averne voglia o no, la cattiva digestione, una persona noiosa, le zanzare... dopo viene Dio, a debita distanza, e Gesù Cristo, a determinarci nel nostro modo pratico di vita, come motivo ed elemento di costruzione della nostra esistenza.
Dio ci aiuti in questo piccolo esame dell'importanza di Dio e di Gesù Cristo nella nostra vita perchè anche per noi dovrebbero essere vere le parole di S. Paolo: il mio vivere è Gesù Cristo.


La Redazione

Visioni religiose

Prego gli amici che ricevono anche il mio periodico di problemi operai, di perdonarmi se trovano qui sotto un articolo pubblicato anche su «Il nostro lavoro». Mi sono permesso questa ripetizione perchè mi è sembrato che l'esperienza raccontata con questo articolo potesse essere di qualche utilità anche agli amici de «La voce dei poveri» nella ricerca d'impegno cristiano, in questi nostri tempi così esigenti di vita vissuta.
Penso che ciò che più possiamo fare fra noi è offrirci scambievolmente la nostra fatica di ricerca di sincerità cristiana, su quella linea nella quale la Volontà di Dio ci ha posto e secondo quella misura di risposta che i Doni che Lui ci ha dato segnano per ciascuno di noi.
La dolce Bontà di Dio ci aiuti.
d.S.

Una mattinata di sole primaverile. A Viareggio mattinate come queste allagano di luce in darsena il bosco di alberi e reti delle barche, a specchio sul cristallo lucente dell'acqua.
Il gridìo allegro delle sirene qui è il canto degli uccelli al mattino. E riempie di festa mattutina questo inondare di luce violenta. Al momento giusto, timidamente, anch'io suono la mia piccola campana sul tetto della mia chiesetta: è quasi nascosta dai pini e è di tra il loro verde, come se saltasse di sui rami neri, che sbucano fuori i rintocchi a distendersi nel bosco degli alberi delle barche, assiepate tutt'intorno, quasi accovacciate sull'acqua, a dormire ancora, nonostante lo splendore del sole.
E' l'ora della Messa. E' l'ora del lavoro. E mi accompagna all'altare l'orchestrale di una musica vera. E' fatta di lavoro, di fatica, di speranza.
Riconosco ormai i diversi rumori. A volte sono come una fuga classica. I primi colpi di mazza. Ve ne rispondono altri più lontani, colmati di echi profondi. Il martellare secco dei calafati. Le lamiere battute a suono metallico. Si accende qualche motore di peschereccio. E fanno coro, spesso, quelli dei grossi motoscafi in prova, E poi si alzano le voci delle seghe a nastro che cantano l'ultima pena del legno. E a un certo punto irrompe violento l'inno trionfale dei martelli pneumatici che ogni altro rumore raccoglie ed unisce in un a solo potente.
Io celebro la mia Messa, quasi solo nella mia chiesetta, piena soltanto di ombra raccolta per la porta socchiusa.
Ho soltanto a rispondermi il gridare dei portuali là fuori, il confuso urlio dei pescatori, qua di fianco, oltre la lama d'acqua dell'ingresso alla Darsena, che fanno il mercato del pesce azzurro arrivato allora allora dalla notte fresca del mare.
E mi rispondono gli operai nelle officine e nei cantieri e negli stabilimenti di cui mi arriva il fragore della loro fatica, o il suono della loro sirena e di cui so la dura storia di ogni giorno, legati a catena all'attrezzo di lavoro.
La mia chiesetta allora è come se fosse senza mura. E' vasta come la Darsena. Come tutta la zona di lavoro nella quale sto vivendo. E' aperta a tutto il mondo perchè è perfino senza confini e anche senza orizzonti. I
La mia Chiesa è tutta la terra. E vi è un altare. E sopra vi si compie il sacrificio di Gesù, Dio fatto Uomo. E' per l'umanità intera. Io, povero uomo, sono questa umanità: li porto tutti con me gli uomini. Sono qui con me, quelli che sono là fuori, più lontano, agli estremi confini del mondo. Siamo una cosa sola ormai: su questo blocco di pietra è l'umanità intera e il suo Dio.
Io sono qui per dire «sì, a Dio» a nome di tutti. Lo faccio ogni mattina e dal più profondo della ragione del mio esistere. Dopo, tutto il resto, ogni cosa, fino al vivere o al morire, è secondo questa logica. E non può che essere così.
Sono uscito alle 10. A poco a poco, tutt'intorno ogni rumore di lavoro è cominciato a tacere e gli operai li vedevo passare in fretta per la strada.
Sciopero generale. Comizio in piazza grande. E' per protestare per la serrata di un Cantiere. E' una debolezza che si unisce per essere una forza. E' l'individuo che cerca fiducia nel numero. E' la speranza di far valere la sicurezza del proprio diritto. Sono fratelli che lasciano il loro lavoro per stringersi intorno ai fratelli che sono rimasti privati ingiustamente del loro lavoro.
Ora la mia chiesetta è in piazza grande, veramente senza muri, sotto la volta del cielo azzurro, con la gran lampada accesa del sole. I fedeli di questa mia chiesa sono tanti stamani, centinaia e centinaia. Sono i fedeli della sofferenza, della fatica, della povertà, dell'oppressione, dello sfruttamento. Sono i fedeli di un Cristianesimo di cui parla così chiaramente il Vangelo. Sono i fedeli della «Chiesa dei poveri» di cui ha parlato Giovanni XXIII e il Concilio Ecumenico.
Sento che è un'unica Chiesa la mia chiesetta e questa chiesa dei poveri, senza muri, a cielo aperto, colmata di fedeli al lavoro per il pane quotidiano e un po' di dignità umana. Mi ci trovo bene mescolato fra questa folla di uomini, che ha tutta l'aria di essere gregge di pecore senza pastore, come diceva Gesù, una moltitudine sulla quale non può non essere la dolce bontà della Sua Misericordia, come su quella folla che lo aveva seguito in cerca di Parole vere e rimasta senza pane, nel deserto.
Non sono io, là al centro, come nella mia chiesetta, a raccogliere la sofferenza di questa gente, a rispondere a questa sofferenza con parole di fiducia e speranza. Ma non importa. Penso e credo che il posto del sacerdote è, sì, all'altare e sul pulpito, ma è forse ancora di più mescolato fra la gente, a raccogliere tutto il problema di ciascuno e di tutti per essere portato a Dio.
Se io non prendo nelle mie mani il pane e il vino e non lo offro e non lo consacro, non diventa il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, a salvezza del mondo.
Sono qui a raccogliere nelle mie mani (nel mio sacerdozio) questo problema di sofferenza umana, questa realtà di esistenza fatta di uomini schiacciati dall'ingiustizia, questa solidarietà saldata da una coscienza di nullità individuale, nella ricerca di valori fondamentali, nell'affermazione di diritti inalienabili... questo problema fatto di uomini vivi, di fratelli di Gesù Cristo, di Figli di Dio....
E' una Messa senza candele, senza paramenti sacri e non suona il campanello nei momenti importanti. E' una Messa invisibile sotto le apparenze più sconcertanti e sgomentanti.
Ma è così anche nella Messa che ho celebrato nella mia chiesetta stamani. Fu così - ma infinitamente di più - anche sul Calvario.
Sento su questa piazza colmata di sofferenza umana spaventosamente bisognosa di redenzione, la presenza invisibile, ma reale e concreta, del Sacrificio di Cristo.
E io ne sono il sacerdote.
Mi dispiace dal più profondo dell'anima di essere l'unico prete qui. Perchè sarebbe stato meraviglioso essere in tanti sacerdoti per una concelebrazione stupenda o come quando il Vescovo fa la Messa pontificale nelle grandi solennità liturgiche.
Non sono io a parlare a questa folla come la domenica al Vangelo, ma non importa nemmeno questo. Io credo che ogni uomo, se lo vuole, può dire meravigliose verità, Stamani poi parlano in diversi, ma la lingua è una sola stamani, e quindi anche il cuore è uno solo. Vi è unità di motivi perchè è unica la sofferenza: è bellissimo vedere questa massa d'uomini che non fa differenze nell'applaudire, portano sul volto indurito dal lavoro i segni di un solo pensiero e di un unico sentimento.
Ora, in questo momento, li vedo e li sento tutti fratelli: dunque non può mancare il fratello maggiore, Gesù Cristo, e non può mancare la dolce presenza del Padre di tutti, Dio.
D'accordo: può essere questo un sogno di visione religiosa a tutti i costi,
Ma chi deve e può vedere il Cristianesimo dovunque e la ricerca umana di Dio e Dio presente fra gli uomini, se non il sacerdote?
E se non vedessi Mistero religioso dovunque e se non servissi questo Mistero con il mio sacerdozio, che cosa ci starei a fare, come prete, al mondo?
Poi la lunga processione di centinaia e centinaia di uomini per le vie della città. Un momento del lungo e faticoso camminare dell'umanità a mendicare un po' di pace, un'ombra di giustizia, briciole di Amore.
Un giorno in questa umanità in cammino faticoso e penante, è venuto Dio e si è messo a camminare anche Lui portando la Sua Croce, cioè la Croce di tutti: è per essere forza, per sostenere la fatica, è perchè gli uomini non si sentano soli, è perchè il camminare non smarrisca la strada.
Mi sono trovato quasi in testa alla lunga processione e camminavo portando, insieme a tutti, la croce di quella umiliazione, di quella povertà umana, ma anche la croce dell'unica speranza per il destino umano sulla terra e per il Cielo.
Che non vi fossero immagini religiose e crocifissi di legno e lanternoni pittoreschi e stendardi variopinti e canti e inni e recitar di preghiere, non credo che abbia grande importanza. Vi era la realtà di un'umanità bisognosa di Dio, amata da Gesù Cristo, quella per cui è, in modo particolare, la Chiesa.
Peccato che i sacerdoti non vengano a queste processioni, ma preferiscano andare alle altre, quelle in cui, molte volte vi è tutto, meno che questa realtà di esistenza umana oppressa e schiacciata da tutta una sopraffazione che ha infinito bisogno di liberazione e di redenzione. Penso che sono queste le processioni dove si cammina la terribile strada della vita e dove Dio è venuto a camminare, mescolato con noi, perchè sa bene che da soli, nemmeno un passo saremmo capaci di fare.
don Sirio


Chi è per le armi atomiche, è per la fame. Chi non combatte per il disarmo universale, è per la fame. Chi accetta la legge del libero mercato, quasi che la concorrenza sia in grado di rimediare da se ai propri mali, è per la fame. Chi persegue la politica nazionale del benessere, soltanto del benessere, è per la fame. Chi non soccorre il moto politico del terzo mondo, è per la fame. Chi fa della cultura un privilegio sociale più che un servizio, è per la fame.
Ernesto Balducci


Poesia giovanile

ANGOSCIA
Dentro di me rugge il mare.


VOCI
Gorgoglìo di gora
Fruscio di fronde
suoni sono d'infinita
ombra.


LA FINE
Sulla terra
è un'orma
fresca: la sabbia fine
dal vento mossa
la riempie.
Più nulla resta.


LA SPERANZA
Al di là della fumosa
nebbia, delle foglie vive
del silenzio dell'anima
Dio tu sei. Il nostro
dialogo è muto, privo
d'ogni certezza, ma
noi non possiamo
negarti: aprici la porta.


Ornella Tomei

(citazione)

I principi morali sono senza dubbio gli stessi che nei tempi antichi. Ciò che cambia, come ci ha insegnato ultimamente la Pacem in terris, è il loro contenuto storico. Si pensi al comandamento: "Non rubare". Esso è, se veduto nella sua formale universalità, immutabile. Ma, se lo guardiamo nel suo preciso contenuto storico, se cioè esaminiamo i modi con cui si può storicamente rubare e con cui si può storicamente determinare ciò che è mio e ciò che è degli altri, allora quel comandamento è mutato! I beni di cui io oggi uso, dal tabacco all'automobile, dalla cioccolata alla camicia di nylon arrivano a me dopo un lungo cammino. Se ricostruisco il cammino, mi accorgo che gli uomini da cui sono venute le materie prime dei beni di cui si rallegra la mia vita quotidiana, sono ancora uomini affamati, a cui manca il tabacco, l'automobile, la cioccolata e la camicia. Il mio ragionamento sembra di uomo semplice che non capisce quale sia il meccanismo produttivo e la connessa legge di mercato. Può anche darsi che non capisca. Ma il mio obbligo di capire le leggi della produzione e dell'economia è molto inferiore a quello che hanno i responsabili della produzione e dell'economia: voglio dire l'obbligo di rispettare fino in fondo i valori morali, primo fra tutto l'uomo, la dignità dell'uomo. Tre quarti dell'umanità, anzi, come oggi ho avuto modo di accertare, due terzi, vivono in condizioni di denutrizione. Su tre uomini due hanno fame. Il peggio è che il benessere di uno è tenuto su dalla fame degli altri due. Il che è insopportabile. Non tocca al mio sdegno morale adattarsi alle leggi dell'economia, tocca alle leggi dell'economia adattarsi al mio sdegno morale! E tocca al mio sdegno morale non appagarsi di periodiche declamazioni.

Ernesto Balducci

Lettere fra amici

Carissimo don Sirio,
come lettere di un fratello maggiore arrivano tutti i mesi i due giornali: e tutte le volte è un desiderio di rispondere, di scrivere, non fosse altro che per dire che sì, che ci credo anch'io a quello che leggo, che bisogna andare avanti. Ma non le ho più scritto perchè mi accorgo che in questo modo volevo sempre parlare di me, parlare troppo, rubare il tempo per darle notizie di poca importanza, e invece non bisogna farlo, bisogna lavorare e stare zitti, sicuri che si è insieme vivendo insieme nel lavoro. Ciò le scrivo perchè ho letto sulla Voce dei poveri, in un lungo articolo di fondo, una frase del Vangelo che sto imparando ad amare molto in questo periodo; è quella che ci insegna come tutti i capelli del nostro capo siano contati dal Signore, proprio da Lui, che ha tanto da fare, che deve amare la Filosofia, l'Arte di questo mondo {e forse di altri), che deve dare la Grazia, ecc. Ebbene, Lui conta anche ì nostri capelli. E' meraviglioso ed è pieno di amore che sia così da parte Sua: ci aiuta a rifarci quel cuore così felice e fiducioso da bambini che Lui ci chiede con tanta insistenza, lo, come tutti noi, che lavoriamo insieme dentro al mondo e alle cose, con tutto l'amore e il dolore, la felicità, la rabbia e lo scoraggiamento di cui siamo capaci, sono molto riconoscente a Gesù di aver detto quelle parole..., come tutte le altre, del resto, che ha detto per renderci poveri e umili, bambini, davanti a Lui.
Non c'è nulla di più del nostro lavoro umano, in mezzo agli uomini e alle cose, che ci possa dare una esperienza così violenta di dolore e nello stesso tempo, per contropartita, un'esperienza così immediata della povertà che il Signore continua a volere per noi, per il nostro bene. Dalle Sue parole si capisce anche che deve avere amato molto le cose della terra e noi tutti: è una cosa bellissima che sia così perchè non possiamo più arrabbiarci con nessuno, non possiamo più "scandalizzarci" di niente, non possiamo più dire parole amare o sfiduciate o accusatrici.
Mi sembra una lettera un po' inutile questa che le ho scritto, non so bene se sono riuscita a dirle quello, che volevo: ma non ha molta importanza, volevo solo ricordarmi al suo affetto e alla sua preghiera che, per conto mio, cercherò di ricambiare ogni giorno.
Spero di poterla vedere al mio matrimonio, e le scriverò per la data precisa: per ora io e.... ci stiamo preparando a vivere insieme ed è un momento difficile. Difficile ma pieno di gioia: il matrimonio è in qualche modo come l'unione a tutte le cose, a tutti gli uomini, al lavoro che si fa sulla terra ogni giorno, si è in due a leggere il Vangelo e a volerlo vivere, e ci si accorge che non si è più in due ma in tantissimi, e che non ci si salva in Dio l'uno senza l'altro.
La saluto con affetto.
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Abbi un solo desiderio: essere completamente senza incertezze, colui che Dio desidera che tu sia.... e sarai perfetto.
Quoist


La poesia dei giorni

13 aprile - lo e mio marito ci siamo trovati i primi capelli bianchi con indicibile commozione perchè essi sono il segno di una vita piena vissuta insieme, abbiamo cominciato quando ci ripetevamo in continuazione che eravamo troppo giovani e ora siamo «maturi» con casa nostra e nostri bambini...
14 Aprile - Stella d'aprile
Stella d'aprile
che nell'angolo
della finestra irrompi,
quando viene la sera
in te s'innova
la certezza chiara
delle mie certezze
Quale luce d'amore
t'accendi
stella d'aprile.
1ó aprile - Suono
Suono delle mie campane
che scendi saltellando sugli ulivi
ad ogni ora dei giorno e della sera
Tu segni le pause
del mio vivere intriso di dolore
Ma io alla tua voce
mi abbandono
e non dispero.
17 aprile - La visita di un amico. Succedono nell'anima movimenti nuovi per cui meglio si capisce questo enigma che è la vita. Ora mi sento inserita nei circuito giusto e buona sento la mia giornata.
19 aprile - Domenica è il giorno del Signore e la radice «domus» da a questo giorno il valore di giorno della casa. Cosi l'ho trascorsa oggi veramente una Domenica, ho assistito alla Messa e incontrato il cuore di Dio nella Comunione. Ho dipinto, ho trascorso tutto il giorno con mio marito. Sono venticinque anni da che ci siamo conosciuti e ancora è un dono lo stare insieme, una festa dell'anima. Stasera siamo andati a passeggiare nella campagna sotto la nostra casa, i fiori del campo sfoggiavano la loro veste più bella di quella di Salomone, il suono delle campane scendeva lungo la valle; tutto era fresco, buono, turgido. In camera ho detto il mio rosario mentre la radio trasmetteva musica dolcissima, allora la Ave Maria si dilatava ad abbracciare la mia vita, quella della mia famiglia, degli amici, del mondo intero: "Ti saluto, o Maria piena di grazia (così da riempire tutti i nostri vuoti) il Signore è con Te (Perchè Tu possa nella tua pienezza accoglierci e consolarci) Tu sei benedetta tra tutte le donne (in tutto il mondo dove si ama, si soffre, si lavora) benedetto il frutto del tuo ventre Gesù (che ha elevato la nostra debolezza e sofferenza quali segni di pace tra il cielo e la terra). Santa Maria, madre di Dio (Tu che sei così vicina al Suo cuore) prega per noi peccatori (deboli, infelici, dispersi) adesso (mentre su tutta la terra c'è chi muore, chi nasce, chi soffre e chi dispera) e nell'ora della nostra morte (quando dovremo cambiar vita e portare al Signore l'abito bianco dell'invitato a nozze). Così sia".
22 aprile - Ieri sera il mio piccolino, vedendomi ritirata a dire il Rosario, ha voluto recitarlo con me. E' stato un gran sacrificio lo star fermo e attento nella preghiera, ma ha fatto tutto per amore della mamma, per starle vicino e fare tutto quello che fa la mamma partecipando con tutto il suo cuore.
22 aprile - Il tempo è variabilissimo cosicché da un istante all'altro ci troviamo inondati dal sole o investiti dalla pioggia, le mie colline trepidano e anche i miei bambini sono in festa. Mario rientra in casa, la sera ansante e sporco da gettare nella vasca da bagno, ma è così felice di cose scoperte e di giochi che inonda di gioia anche il mio cuore.
24 aprile - Comunione
Quando mi comunico con Te
ho celeste il passo
su una terra d'eterne primavere
E tra gli uomini vado
trasparente di luce
col cuore
ancora orante.
24 aprile - Nel pomeriggio di oggi, accostandomi a una finestra ho visto un uccello dalle penne di raso posarsi sull'ulivo immediatamente sottostante e si dondolava felice sui rami leggeri. Ho visto uccelli in gabbia, uccelli dei documentari dal cinema, ma non avevo mai visto con i miei occhi una scena così deliziosa all'aria libera, sotto libero cielo.
Poi la giornata è finita in un furioso temporale: quando la pioggia flagella i vetri e pare il vento trascini la casa nella burrasca, sento una gioia indicibile. Penso sia un ancestrale ricordo del sangue di quello che fu nell'Arca sbattuta dalle acque e portante dentro tutta la vita del mondo.
28 aprile - Sono sempre stata contraria alla volontà dei miei bambini di avere un cane. Pensavo che solo quando sparirà la fame dal mondo allora potremo, per il piacere di averle, tenere le bestie. Il mio Mario ha invece telefonato ai nostri vicini di casa chiedendo ed ottenendo un cucciolo di razza rara e purissima. Questa bestiolina, ora che la ho in casa mi incanta, vedo in lui l'orma del Creatore e il mio cuore si apre all'amore dell'Onnipotente.
2 maggio - Continuo la mia traduzione di Green. E' una cosa meravigliosa. Per darne un'idea trascrivo l'ultimo brano tradotto: 18 giugno - Nient'altro che il rumore del vento tra gli alberi e il cinguettio degli uccelli sotto un cielo grigio che preannuncia il temporale. Ecco ciò che mi è dato oggi, nel giugno 1955, a Parigi. Ogni giorno è un dono di Dio. Non è un momento nel susseguirsi di momenti, perchè si può morire nel sonno, come Hawthorne, è un presente rinnovellato con amore, ogni mattino che si deve accogliere con un grande e bel segno di croce molto solenne, se questa parola ha un senso, ne ha uno per me: bisognerebbe che il modo di accettare queste parole facesse vedere fino a che punto è, non abituale e banale, ma eccezionale, e c'è ancora il fatto che noi esistiamo mentre si avrebbe potuto non esistere mai, ma Dio lo ha voluto, bisogna saper renderne grazie».


Grazia Maggi

Non siamo noi tre, ma siamo voi, siamo tutti

Pubblichiamo molto volentieri, togliendolo da un bollettino ciclostilato «Informazioni d'Agape» - organo dell'attività della Comunità Evangelica Valdese di Proli (Torino) - questa lettera bellissima che tre ragazze hanno scritto da Pachino, un paese estremamente povero della Sicilia, per raccontare la loro vita fatta di Fede e di Amore, in un dono totale di se stesse nella umiltà e semplicità più generosa.
Da queste nostre pagine e più ancora dal nostro cuore, giunga a queste tre nostre sorelle tutto il nostro affetto e la più profonda simpatia, la nostra unione nella preghiera e la partecipazione fraterna alla loro giornata fatta di tanta fatica, eppure di tanto Amore.

Il nostro lavoro è talmente «normale» che tutte le volte che ci accingiamo a darvi nostre notizie ci chiediamo se può interessarvi, o meno, la nostra vita «normale», la nostra vita di maestre o la nostra vita di Gruppo che cerca, in tutti i momenti della sua giornata, anche nelle cose minime di fare la volontà del Signore.
Spesso ci scrivete di parlarvi di noi, o andando in giro a fare visite o durante una discussione fortuita dal giornalaio con una collega appena conosciuta, ci viene chiesto «perchè siamo a Pachino». «Chi ve lo fa fare a stare in un posto come questo, con una specializzazione in lingue, ridursi a fare la maestra d'Asilo. Come si può, quando i giovani del posto appena ottenuta una laurea, un diploma o una specializzazione evadono, dirigendosi verso il Nord, dove si ha la possibilità di impiegarsi e di non sottostare a noiose trafile burocratiche o servili inchini al parroco del paese per ottenere un impiego».
Cerchiamo allora di spiegare il motivo della nostra presenza a Pachino. E' difficile dire, in due parole, il perchè della nostra presenza. Spesso ci accorgiamo, parlando con questi estranei, o anche con i giovani della Chiesa, che la risposta che diamo è una chiarificazione a una domanda che noi stesse ci siamo rivolta e che ci rivolgiamo ripetutamente. Soprattutto nei momenti di stanchezza o di incomprensione, nei cosiddetti «momenti neri», o quando torniamo dall'aver visitato le famiglie dei nostri bambini.
Capita che siamo colpite dallo sconforto qualche volta. La nostra presenza qui vuole testimoniare il nostro amore per il prossimo, vuole essere un segno, chiaro, della presenza dell'Evangelo in questa città e vuole essere soprattutto un motivo di lode al Signore che ci ama. Lo ripetiamo tutti i giorni durante i nostri culti, durante i nostri momenti di adorazione e di lode, oppure durante i momenti di intercessione in cui, in modo pieno e concreto, ci uniamo alla miseria della gente che ci circonda, ci uniamo alla loro fame, alla loro disperazione, alla loro rassegnazione impossibile, certe volte, per chiedere a Dio che sia presente fra questa gente che Egli ci ha dato per amarla.
Noi siamo solo tre ragazze semplici, senza alcuna preparazione specifica, senza alcuna presunzione proselitistica. Vorremmo che tutti Voi ci vedeste come tali. Ma siamo anche un segno della presenza della Chiesa che ci ha mandato, anche se non abbiamo avuto investiture speciali, imposizioni di mani, ecc. Noi sappiamo che alcuni di voi intercedono per noi. Abbiamo saputo che ciò viene fatto da alcuni gruppi di giovani, i quali oltre alla loro preghiera uniscono un aiuto materiale che ci permette di vivere a Pachino non pesando sulla Cassa dell'Asilo. E questo è per noi motivo di profonda allegrezza. Sostegno fraterno, spirituale e morale. Noi sappiamo così di non essere sole. E anche il nostro lavoro trova nel vostro aiuto una chiarificazione.
Noi qui, anche se per la gente del posto possiamo passare per strane, non siamo noi tre, ma siamo Voi, siamo tutti. E allora tutte le volte che torniamo da una visita terribilmente tormentate da quel poco che abbiamo dato o meno, sappiamo che proprio qui sta la nostra funzione, nello ascoltare i dolori altrui, nel donare tutto quello che abbiamo, tutto quello che abbiamo materialmente e spiritualmente; nel sentirci a volte «svuotate» perchè abbiamo dato tutto quello che possediamo, ma nel sapere che Voi «Chiesa» siete con noi nella manifestazione concreta e tangibile dell'amore del prossimo. Per ricaricarci ci capita di sospendere allora le nostre attività per soffermarci intorno a qualche passo dell'Evangelo, cercando di sentire il messaggio che esso può darci. Questi momenti, forse rari, sono preziosi per noi. Salta sempre fuori tutta la nostra incapacità di fronte alla maestà di Dio. Ma ultimamente meditando sulle Beatitudini o sulla Libertà del Cristiano di Lutero (letture che spesso facciamo procurandoci materiale qua e là, per dare una risposta a qualche nostra considerazione o problema che sorge parlando con gli altri) ci accorgiamo anche quanto possa essere positivo il nostro lavoro se fatto con semplicità, con gioia e soprattutto con amore, umile e silenzioso, come dice l'Evangelo.
Qualcuno ci diceva che il nostro lavoro è soltanto una goccia che si perde nel mare della miseria che dilaga. Sappiamo che molti penseranno che noi pecchiamo di presunzione. A volte, dopo una settimana di fatiche, quando siamo stanche, pensiamo anche noi a quello che è il nostro lavoro qui, al perchè siamo venute a finire qui. E la risposta è proprio lì, chiara, davanti a noi, semplice. Ci rendiamo conto che la nostra vita ha un significato e uno scopo, perchè nella nostra pochezza e consapevoli delle nostre incapacità, a noi, per prime, questo lavoro è fonte di benedizione. Anche se poco ci accorgiamo che è bello dare tutto quello che possediamo, anche se qualche volta ci accorgiamo che dare significa soltanto ascoltare le pene di una mamma ammalata, guardare la sofferenza di un bimbo denutrito, restare impotenti a volte di fronte alla sofferenza acuta di una madre che sta toccando tutto il fondo dell'amarezza perchè il marito l'ha tradita e le ha lasciato per eredità una terribile malattia e tre bambini da allevare.
Dare spesso per noi tre significa soltanto piangere per le miserie altrui, assistere a tutta la disperazione della gente che abbiamo intorno, partecipare al dolore acuto di queste persone e ricordarci di loro nella preghiera. E' ben poco. Ma forse è tanto quando ci accorgiamo che parecchi adesso vengono a cercarci e non soltanto per una scatola di latte o un pacco di vestiario, ma semplicemente per essere ascoltati. Il sorriso poi dei nostri tanti bambini ci ripaga della amarezza che spesso ci rimane dopo questi incontri. E speriamo che per loro il domani sia migliore sopratutto se riusciamo a dar loro una infanzia felice, vissuta in un ambiente sereno dove c'è, oltre al piatto di minestra, anche una carezza e un sorriso dati con tutto il nostro cuore.


L. B.

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