LA VOCE DEI POVERI: La VdP marzo 1964

Pasqua di Resurrezione

La Resurrezione di Gesù è il motivo più profondo e la causa più potente di gioia per l'umanità. Questo Mistero di gloria, di trionfo, di vittoria, entra nel mistero pesante e soffocante dell'esistenza e vi espande, con forza violenta, la sua potenza di vita.
Apre la tomba di questa terra, rovescia la pietra della schiavitù alla morte, scioglie i legami di un destino di tragedia, vince il buio di una notte fonda perchè l'alba è venuta del giorno senza tramonto, la libertà è stata ottenuta fino alla liberazione dalla morte e dalla prigione del sepolcro si libera la vita eterna.
Perchè crediamo che Gesù Cristo è Dio fatto Uomo, vero Dio e vero Uomo e crediamo quindi alla Sua totale partecipazione alla nostra esistenza umana fino a prendersi nella Sua Persona divina tutto il nostro destino terreno ed eterno, per questo Mistero d'Incarnazione, crediamo che la Sua Resurrezione è la nostra resurrezione, la Sua gloria la nostra, la Sua vittoria sulla morte la nostra personale vittoria.
E' meraviglioso sentirci racchiusi, come portati dentro il Suo Mistero personale, fatti una sola cosa con Lui.
Siamo nati con Lui, cresciuti nel Suo crescere d'esistenza umana, nascosti nella Sua adorazione e nella Sua appassionata ricerca della Gloria di Dio. Abbiamo pregato con Lui. E la Sua parola è stata per noi. Il Suo Vangelo vuole essere la nostra vita. E la Sua passione è stata la nostra passione, la Sua Croce la nostra Croce. Siamo morti con Lui e con Lui siamo scesi nel sepolcro.
Tutto questo Mistero di partecipazione intima e totale, fin quasi ad una misteriosa identità, si attua, perchè si conclude, con la nostra Resurrezione nella Sua Resurrezione.
Non ha importanza se il nostro corpo muore ogni giorno che passa e si avvia ad un disfarsi terribile fino a perdersi nella polvere della terra e nel durare dell'esistere materiale, non ha importanza perchè Cristo è risorto e la Sua Resurrezione comunica al nostro morire la sicurezza della vita. La Sua Resurrezione è già dentro il nostro corpo condannato alla morte, portiamo in noi la gloria del Suo trionfo, la certezza della Sua vita, perchè la Resurrezione del Suo corpo dalla morte è resurrezione del corpo umano da tutta la morte. Niente in Lui è stato unicamente per Se (il Suo Amore è veramente perfetto e infinito), ma tutto è stato per noi. Ha compiuto in Sé stesso tutto

il Mistero del Pensiero e della Volontà di Dio nei confronti dell'esistere umano. E' adorabile in Gesù lo scoprire la nostra storia: è soltanto nel Suo Mistero che è possibile conoscere la nostra Verità.
L'esultanza di Pasqua è per la Sua Resurrezione e per la nostra Resurrezione. E' la nostra gioia, di Lui e di noi, perchè il male che ha disordinato resistenza fino alla morte, è stato vinto. E Dio è tornato a essere il Dio dei vivi e non dei morti, come Dio, infinito e perfettissimo Essere, è necessario che sia, perchè la Sua gloria sta tutta nel Suo essere ciò che Dio dev'essere. E in Gesù risorto, tutto (fino all'universo intero) testimonia che Dio è Dio e che ha fatto bene tutte le cose.
La storia continua, certo, perchè continua la vita di Gesù Cristo sulla terra, nella dolorosa e faticosa storia dell'umanità (non esiste il mondo perchè viva ancora la vita di Lui sulla terra nella storia dell'umanità?). L'esistere umano svolge l'esistenza di Lui. Per questo la povertà, la solitudine, il deserto, le parole, la civiltà, la ricerca di Dio, l'affannoso bisogno di Amore, la tragedia del dolore e l'avviarsi continuo, incessante, terribile verso la morte... è la strada battuta da Lui e è quella battuta da ciascun essere umano e da tutta l'umanità. Noi crediamo che in fondo a questa strada vi è la Resurrezione. Perchè ciò che è successo a Lui, il primogenito, deve succedere a noi, all'umanità intera, perchè la Sua storia è la nostra come la nostra è la Sua; perchè Lui, Gesù, è il Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo, è il vero Dio e il vero Uomo.
Così è la nostra Fede cristiana: e qui riposa la gioia della nostra Speranza.
Forse l'aprirsi del cuore alla gioia della Pasqua misura la chiarezza e la forza della Fede che abbiamo. Se immensa è la gioia perchè Lui è risorto vuol dire che immensa è la nostra Fede. E la nostra Speranza è veramente tutta in Lui, se la Sua Resurrezione ci comunica libertà da ogni aggrapparci alla terra e risolvere in serena fiducia ogni paura, compresa la paura della morte.
E la Sua Resurrezione è già sicuramente in noi se ci dona e ottiene nell'anima nostra la voglia infinita, per struggente Amore, che sia dissolto il nostro corpo, per essere con Lui, Gesù Cristo, nostro dolce Signore.


La Redazione

La Grande Croce

Sempre più mi si sta scoprendo e entra nell'anima come l'acqua di un fiume, che ha straripato, irrompe attraverso le finestre dentro una casa, l'enormità del problema di incarnare il Cristianesimo dentro questo mondo, nell'esistenza della umanità.
Quando poi misuro - ed è ad ogni momento perchè questa esperienza è inevitabile, non ci se ne può nemmeno distrarre - la sproporzione che passa fra i Misteri che si devono incontrare e saldarsi insieme fino a formare un'unica esistenza; il Cristianesimo, cioè, e l'umanità e me che a questa incarnazione sono stato eletto e destinato, fino ad essere l'unica ragione della mia vita, allora prende uno sgomento indicibile, quasi un senso di terrore.
E' il problema del trovarsi davanti alla montagna, guardarla nella sua mole maestosa e solenne, per essere lì a ordinarle di muoversi e di gettarsi in mare. Roba da matti. E ho capito cosa vuol dire «quel granello di Fede», di cui Gesù parla.
Non ho quella briciola di Fede perchè la montagna mi fa terrore nella sua mostruosa immensità. E provo, fino alla vergogna, il senso di ridicolo a continuare a sognare di poterla smuovere e farla camminare fino a gettarsi in mare e inabissarvisi.
Mi sento solo, spaventosamente inerme, con povere mani vuote: perchè ho lasciato cadere ogni affidamento perfino alla speranza di cose terrene. Ho perduto ogni fiducia, a poco a poco, durante il cammino, perchè ogni cosa si è andata svalutando. Anche gli amici sono rimasti indietro, forse perchè sempre più capivano che era impresa da pazzi e della pazzia tutti hanno paura. E si cammina insieme fino a che la strada è sicura, larga, ben tracciata e corre per paesi e città abitate, dove ci si può sempre fermare e costruirvi un'esistenza normale. E chi si ferma qui e chi si sistema là. E a volte ci si lascia senza neppure salutarci perchè chi si sente arrivato non riesce nemmeno più ad immaginare che la strada continua e qualcuno può darsi che debba e voglia seguirla.
Così a poco a poco la solitudine cresce e cresce l'impressione dell'impossibile, la paura del vuoto e dell'inutile, fino alla sensazione, anche fisica, dell'assurdo.
Si è soli, allora, anche perchè abbandonati perfino dal coraggio, rimasti senza ideale, senz'ombra di sicurezza di dentro, spogliati di tutto, colmati soltanto di stanchezza e di infinito desolato sgomento.
L'unica forza è il voler durare, a costo di tutto, nella pazzia, e questa è la pazzia più grande alla quale ci si possa abbandonare, perchè è consapevole e voluta e quindi responsabile, anche se non più scelta in modo attuale, ma perdurante da una chiara scelta iniziale.
Non vedo allora perchè non si debbano stendere le braccia e allungare le gambe per ricevere, nelle mani aperte e nei piedi distesi, i chiodi che inchiodano sulla croce perchè da tempo la stavamo portando sulle spalle.
Cos'era quel peso da piegar la spalla e troncare la schiena?
Cos'era quel camminare appesantito e barcollante e quella stanchezza indicibile sul cuore come se fosse caricato del peso del mondo?
E quel sentirci condannati all'impossibile, schiacciati e vinti, fra gente tranquilla e contenta, cos'era?
Cos'era quella sofferenza che a volte soffoca, sofferenza nemmeno da poterla raccontare, lacrime che dovevano essere nascoste, senza diritto di essere viste e asciugate da qualcuno, perchè sofferenza assurda, senza quella logica umana, naturale che ha ogni altra sofferenza che affligge il corpo e l'anima umana?
Da tanto tempo (forse da quando abbiamo scelto Dio come unico motivo d'esistenza o meglio ancora è da quando Dio ha scelto noi e quindi da sempre) stiamo portando questa croce e la portiamo avanti unicamente fino al posto giusto per esservi inchiodati sopra, fino al luogo adatto (chissà dove sarà questa zolla di terra) dove poter essere piantata e morirvi sopra fra la terra e il cielo.
E' il Mistero della grande, unica Croce. La Croce del Mistero cristiano. La Croce di Gesù e la nostra. Non sono diverse, non possono essere diverse. Il nostro destino è stato segnato dal Suo. Non dobbiamo nemmeno lamentarci e tanto meno sorprenderci. Cosa credevamo che fosse il Cristianesimo? Cosa siamo andati a cercare se non Gesù Cristo?
La grande croce aspetta le tue mani e i tuoi piedi, vuole tutto il tuo corpo e fin l'anima tua.
I chiodi che inchiodano le tue mani e i tuoi piedi, e quindi tutto il tuo essere umano, sono le tue sofferenze, i tuoi dolori del corpo e dello spirito, i tuoi problemi e le tue angosce, come il sangue che cola è il sangue delle tue vene e le lacrime quelle dei tuoi occhi, ma la croce è la grande Croce del Mistero cristiano, è la Croce unica, quella di Lui, quell'unica grande croce posta fra tutto il Cielo e tutta la terra.
Se fosse la tua croce sarebbe più facile accettare di portarla e di esservi inchiodato: chi è senza la sua croce nel mondo? Chi è che può sempre evitarla respingendola lontano da sé?
La croce che aspetta il cristiano è la Croce di Lui, Gesù. E' quella che porta su di sé la salvezza del mondo.
Bisogna accettare questa Croce nella nostra vita fino a essere l'unica nostra Croce. Perché per noi non può esistere altro problema che quello cristiano. Altra ricerca che quella cristiana. Altra speranza o motivo di forza e di coraggio e di gioia che il Mistero Cristiano. Così la nostra vera croce è quella del Mistero cristiano nel mondo, del farsi del Regno di Dio, della Gloria di Dio, della salvezza dell'umanità.
Perchè niente vi può essere di mio e di personale, che riguardi me e basta, e nemmeno vi può essere la mia croce, la croce per motivi miei personali, per sofferenza o travaglio mio.
La croce del cristiano è la grande Croce di Cristo. Vi è una sola ed unica Croce, veramente unica speranza. A quella Croce bisogna lasciarsi inchiodare da Dio e dagli uomini.
Mi ci trovo sempre più davanti a questa Croce e ne sento il legno duro e aspro. Non è la mia croce, quella costruita dalla mia volontà d'esistenza, dalla normalità di un vivere umano naturale, dalla pietra che cade, dall'acqua che bagna, dal fuoco che brucia...
E' la Croce costruita dalla volontà di Dio per me, per questa mia storia strana e assurda di cristiano e di prete. E' la Croce che mi hanno gettato addosso gli uomini con i loro problemi, con le loro disperate ricerche., con le loro urgenze di Verità d'Amore, di salvezza, con il terribile mistero della storia dell'umanità.
E' la Croce messa insieme (una trave inchiodata sull'altra) dei rapporti fra Dio e gli uomini. Fra Dio e te. Fra Dio e l'umanità intera. Rapporti di appartenenza assoluta, di richiamo essenziale, di bisogni infiniti. E di impossibilità terribili.
Questa Croce, da Gesù portata e sulla quale Lui è morto inchiodato come ad un destino spietato, mi è stata gettata sulle spalle e ora sempre più ad ogni giorno che passa, aspetta le mie mani e i miei piedi per esservi inchiodati dai chiodi della mia vicenda personale, dei miei dolori, delle mie malattie, delle mie incapacità, delle mie miserie e dei miei peccati e poi della mia Fede e del mio Amore, di Dio in me sempre più, fino ad essere Lui solo, tutto...
Ho terrore di questa Croce che mi spaventa: morirvi sopra non può che essere agonia e morte inimmaginabile.
Eppure è soltanto su quella Croce che tutto potrà arrivare a compimento per me.

Perchè è soltanto per il Mistero di quella grande Croce che io posso cercare e sperare di ottenere che il Regno di Dio si compia nell'anima tua, che il Suo Amore entri in te e ti possieda, che la Sua verità si faccia in te e sia te in chiarità perfetta. E come in te così nel mondo intero, nella umanità tutta, dato che ormai ho accettato che una zolla di terra sia tutta la terra.
Sto già morendo da un pezzo su quella grande, unica Croce, eppure ne porto nella carne e nell'anima, ancora, qualche volta, la ribellione e quasi la nausea e più ancora la stanchezza e lo sgomento e un'impressione di desolante stoltezza...
Ma non ha importanza. E' normale che il peso di Dio mi sopraffaccia e che il peso dell'umanità mi schiacci. Continuerò ad offrirmi con semplicità e serenità alle smisurate braccia della grande Croce, aperte fino ai confini del mondo. La grande Croce rizzata sulla terra dalla Gloria di Dio e dalla salvezza dell'umanità e sulla quale ha agonizzato ed è morto Gesù e sulla quale deve agonizzare e morire chi è stato segnato dallo stesso destino.


don Sirio

La preghiera del Papa sul Calvario

Fratelli e Figli! Adesso si risveglino le nostre menti, si rischiarino le nostre coscienze, e sotto lo sguardo illuminante di Cristo si tendano le forze dei nostri spiriti.
Adesso si riassumano in sincero dolore tutti i nostri peccati, si riassumano quelli dei nostri padri, quelli della storia che fu, si riassumano quelli del tempo nostro, quelli del mondo in cui viviamo.
E affinché questo nostro dolore non sia né vile, né temerario, ma umile, affinché non sia disperato, ma fiducioso, affinché non sia placato, ma orante, si confonda con quello di Gesù Cristo nostro Signore, fino alla morte paziente e fino alla croce obbediente, e mentre di Lui rievochiamo la pia memoria imploriamo la salvatrice misericordia.
Dove Tu, o Signore Gesù,
l'innocente, sei stato accusato,
il giusto, sei stato giudicato,
il santo, sei stato condannato,
Tu, Figlio dell'uomo, sei stato tormentato crocifisso e ucciso,
Tu, Figlio di Dio, sei stato bestemmiato, deriso, negato,
Tu, il Re, sei stato innalzato in Croce,
Tu, la Vita, hai subito la morte
E tu morto, sei risorto alla vita.
Noi Ti ricordiamo, o Signore Gesù;
Noi Ti adoriamo, o Signore Gesù;
Noi Ti invochiamo, o Signore Gesù.
Ora pensiamo.
Qui, o Signore Gesù,
la Tua Passione fu oblazione (Is. 53,7) prevista, accettata, voluta; fu sacrificio, Tu Vittima, Tu Sacerdote,
Qui la Tua morte fu l'espressione, fu la misura del peccato umano;
Fu l'olocausto del sommo eroismo,
fu il prezzo alla giustizia divina,
fu la prova del supremo amore,
Qui avvenne il duello della vita e della morte
qui la vittoria di Te, o Cristo, per noi morto e per noi risorto.
Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale abbi pietà di noi!
Ecco, o Signore Gesù,
noi siamo venuti come ritornano i rei al luogo ed al corpo del loro delitto;

noi siamo venuti come chi Ti ha seguito, ma Ti ha anche tradito, fedeli infedeli tante volte siamo stati;
noi siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto fra i nostri peccati e la Tua Passione: opera nostra, opera Tua;
Noi siamo venuti per batterci il petto, per domandarTli perdono, per invocare la Tua misericordia;
noi siamo venuti perchè sappiamo che Tu ci puoi, che tu ci vuoi perdonare.
Perchè Tu hai espiato per noi, Tu sei la nostra redenzione. Tu sei la nostra speranza.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, perdona a noi, o Signore;
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, ascolta la nostra voce, o Signore;
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo abbi pietà di noi, o Signore.
Signore Gesù, nostro Redentore,
ravviva in noi il desiderio e la fiducia del Tuo perdono, conferma il proposito della nostra conversione e della nostra fedeltà, dà a noi la certezza ed anche la dolcezza della Tua misericordia.
Signore Gesù, nostro Redentore e Maestro,
dà a noi la forza di perdonare agli altri, affinché davvero anche noi siamo perdonati da Te.
Signore Gesù, nostro Redentore e Pastore
infondi in noi la capacità di amare, come Tu vuoi che, sul Tuo esempio e con la Tua grazia, noi amiamo Te e quanti in Te ci sono fratelli.
Signore Gesù, nostro Redentore e nostra Pace,
che ci hai comunicato il Tuo supremo desiderio: «che tutti siano uno», esaudiscilo
fatto nostro e diventato, qui, nostra preghiera: «che tutti siano uno».
Signore Gesù, nostro Redentore e nostra Pace.


Paolo VI

Il Treno

Passa il treno su limpide rotaie
fragoroso volere che dilegua
nel vortice, nel rombo che lo segue.
Passa così entro noi, distante langue
il desiderio, la forza che fece
popolato di rombo il nostro sangue.
Così ogni amore in noi che ci trascina
oltre di noi... Che mai più resta? Estremo
desiderio di Dio, estremo amore...
Siamo ora qui, protesi, con le dita
intrecciate alle ferree barriere,
sapendo solo che è di là che passa
che è là che brilla la rotaia infinita.


Luigi Fallacara

La Poesia dei giorni

11 febbraio - Con insistenza le campane, scendendo giù dagli uliveti, ci ricordano le Quarantore. Gesù è esposto sull'altare e noi dobbiamo andare ad adorarLo; sento viva in questi giorni la beatitudine per coloro che non vedono e credono. Ho anche pensato che l'esistenza umana sia un periodo splendido nella vita di Dio perchè c'è chi Lo ama, Lo segue, Gli obbedisce senza vedere. Sento come una vampata nella vita di Dio, una vampata folgorante. E mi pare che il nostro amore povero o ricco che sia muoverà moltissimo la misericordia di Dio e tutti saremo accolti. E anche questa misericordia che «ha sì gran braccia» è una splendida attività d'amore, un momento di grande dolcezza nell'eternità dei secoli.
12 febbraio - Ho potuto andare in chiesa solo molto tardi e ho chiesto a Dio che mi desse un segno d'amore. Sono entrata al momento in cui le funzioni erano tutte finite, anche la benedizione eucaristica, la gente usciva e restava vuota la chiesa, la nostra bella chiesa cinquecentesca tutta illuminata. Stavo per uscire anch'io molto rattristata quando il Parroco è andato all'altare a dare la Comunione a due persone, ho fatto in tempo ad inginocchiarmi anch'io e ricevere il Signore. Così avevo avuto il segno e straordinario perchè niente vi è di più perfetto e di più vicino a Dio della Comunione. Mi sono trattenuta in chiesa a leggere il mio Uffizio e i Salmi antichi mi hanno inebriata di gioia.
15 febbraio - Giornata febbrile per organizzare e sistemare la mia mostra di pittura. Ho trovato veri amici che mi hanno aiutata in modo meraviglioso, quasi incredibile. Ho potuto vedere la mostra di P. Tito a Prato, sono uscita sconvolta dalla drammaticità delle tele col Cristo
cadavere, ripetuto in modo quasi ossessivo.
Quando passo giornate così intense l'unica medicina è la musica. I suoni mettono in ordine sensazioni, sentimenti, emozioni, tutto si allinea nell'anima in dolce organicità.
16 febbraio - Debbo riportare un caro episodio dal quale traspare cosa rappresenti la madre per suo figlio. Noi siamo per loro una cosa meravigliosa, un amore che li completa. Io ho una sorella molto più giovane di me poco più che ventenne, ed è molto carina, l'altra sera è venuta in casa mia appena uscita dal parrucchiere ed era particolarmente bella, il mio bambino le ha detto: «Stasera sei bella come la mamma!».
18 febbraio - Nelle prime ore del pomeriggio il cielo si è aperto e abbiamo rivisto l'azzurro dopo tanti giorni di pioggia e grigiore, alla radio suonavano variazioni di Paganini tratte da Paisiello, al suono vibrante del violino quell'azzurro mi è entrato nel cuore e si è fatto parte viva di me stessa.
1 marzo - Stasera c'è l'Orsa Maggiore distesa sui colli lucenti nella notte, con lei si stende la gioia del mio cuore in questi giorni così buoni. Il Signore è stato il liberatore dai cattivi spiriti come nel Vangelo di oggi.
2 marzo - E' un periodo di Quaresima questo che ricorda i giorni che Gesù trascorse nel deserto. Comunque penso che sarà stato un periodo splendido nella vita del Cristo il ritirarsi ed adorare il Padre e lo vivo con la gioia della vicinanza di Dio anche se quando vengono le tentazioni io non ottengo la splendida vittoria del Cristo.
5 marzo - Domenica siamo stati nel campo e trepide abbiamo trovato le prime margheritine che aprivano gli occhi in attesa della primavera. Il mio bambino ed il cane correvano felici dell'aria e dell'essere liberi nell'aperta campagna.
6 marzo - Non riesco a togliere al mio bambino l'abitudine di venire a dormire con me, allora ho limitato la cosa ai soli giorni in cui prende dieci a scuola, da allora torna raggiante con un bel dieci tutti i giorni.


Grazia Maggi

Tempo di Benedizione

Stasera sono stato a portare la benedizione pasquale alle famiglie dei contadini della mia parrocchia di montagna. Sono le famiglie più lontane dalla chiesa parrocchiale, sparse fra i boschi di castagni e di querci. E sono anche le famiglie più povere di questa comunità cristiana, fatta per la maggior parte di boscaioli, contadini e manovali. I contadini sono rimasti in pochi: i campi strappati al bosco rendono poco, metà raccolto se lo prendeva il padrone, ed allora hanno preferito cercare lavoro verso la città.
Lungo il sentiero tutto coperto di neve bianca e leggera, in mezzo al grande silenzio del bosco, mi sono arrampicato fino ad una casetta dove vive un uomo solo. I suoi sono andati via qualche mese fa; ma lui è voluto restare lassù, in mezzo ai suoi boschi, in quella casetta costruita con le sue mani, a finire i suoi giorni nella terra che la sua famiglia ha abitato quasi da 600 anni, Gaspero, è l'ultimo: dopo di lui, quella casetta e quei pochi campi in cui con tenace pazienza ha piantato le viti, seminato il grano e il foraggio, resteranno nella più completa solitudine.
Sono arrivato alla casetta di Gaspero tutto sudato e stanco: avevo camminato più di mezz'ora nella neve, ancora intatta, alta quasi 30 cm. Lui mi è venuto incontro sulla porta di casa: era meravigliato e stupito che io mi fossi spinto fin lassù su tutta quella neve «Ormai - mi ha detto - credevo proprio che quest'anno sarei rimasto senza benedizione». Ma Gaspero la benedizione ce l'ha già da molto tempo; quella che Dio riserva ai suoi poveri. Perchè Gaspero è un povero, uno di quei poveri a cui il Vangelo assicura il dono della Beatitudine.
Questo l'ho capito, mentre seduto al fuoco, ascoltavo il racconto della sua vita dura e tessuta di tanta sofferenza. Ha combattuto nella prima guerra mondiale; e poi è tornato ai suoi campi ed è sempre vissuto in questa povertà essenziale, la povertà dell'uomo che si guadagna giorno per giorno il suo pane, con la propria fatica ed il proprio sudore. In gioventù è stato un uomo violento: ma ora, dopo tanta sofferenza e tanto lavoro, è nella pace dei poveri. E nonostante sia lassù, in mezzo ai castagni e alle querci, Gaspero ha il cuore allargato sul mondo e l'anima aperta alla sofferenza, all'ingiustizia, alla pena degli uomini. Mi diceva che bisognerebbe che i poveri fossero amati e rispettati di più. «Perchè sono loro che danno da mangiare a tutti, anche ai ricchi e ai signori. E anche il Papa, che sta a Roma, e che non si sa quanti soldi abbia, anche lui lo campano i poveri».
Diceva queste cose con dolcezza, senza violenza né odio; sentivo solo la tristezza, nella sua voce, per questa situazione così tanto penosa, per questa poca considerazione, rispetto, amore che hanno i poveri. «E poi - diceva ancora Gaspero - l'unica cosa che conta è la fratellanza. Che importa se uno è ebreo, negro, russo o americano: siamo tutti fratelli; nelle vene ci scorre lo stesso sangue». Forse Gaspero non sa che siamo fratelli soprattutto perchè da quando l'Amore di Dio si è incarnato in Gesù, ogni uomo è qualcosa di Lui, e porta dentro di sé il Mistero stesso di Dio. Ma che importa? La Verità non è fatta di parole, e il Regno di Dio non appartiene a chi dice «Signore, Signore», ma a chi vive seconda la Volontà del Padre che è nei cieli.

Ed è stata gioia grande e profondamente dolce trovare lassù nella piccola casetta sul monte, quest'uomo che vive come un eremita, col cuore così aperto alle Verità fondamentali dell'esistenza umana.
Accanto a lui, vicino al camino acceso, bevendo insieme il buon vino delle sue viti, mi sono sentito felice. Sentivo che la prima Beatitudine, quella che assicura ai poveri il Regno dei cieli, era vera. Gaspero la porta dentro, in fondo all'anima, forse senza saperlo.
E mentre scendevo verso la valle, nella neve che rispecchia il suo chiarore nel crepuscolo della sera, ho ringraziato con tutto il cuore Dio, per la benedizione di cui mi aveva colmato l'anima. La benedizione dolce e profonda del suo Amore di Povero, che i poveri di questo mondo seminano ogni giorno lungo le strade della terra.


don Beppe

Risposta alla lettera di Novembre di don ***

Io non sono un Sacerdote e certamente non posso vedere le cose da quel punto di vista, però cerco, con tutte le mie forze, di vederle da un punto di vista cristiano e questo, credo, sia il modo esatto, indipendentemente dallo essere Sacerdote o no. Non riesco proprio a capire in che senso quel Sacerdote che si firma * * *, intenda dire che «non tutti debbono dare tutto». Non mi sembra, per la povera conoscenza che ne ho io, che nel Vangelo Cristo dica questo. Cristo non ha mai fatto distinzione tra Apostoli e fedeli, la santità può essere degli uni come degli altri, se ha fatto una distinzione è tra chi lo vuole seguire e chi non vuole.
«Vai vendi quello che hai e seguimi». Vuol dire vendere quello che si ha. Chi ha dieci venderà dieci, chi venti venti, proprio come la parabola dei talenti, chi più ha ricevuto più deve dare. E allora mi sembra che quel tutto si debba intendere nel dare tutto ciò che può nella propria condizione, come trappista, come certosino; come nunzio apostolico, come semplice sacerdote.
Non si tratta di drammatizzare le cose, si tratta di vivere seriamente il Cristianesimo che ci impone di non dimenticarci di nulla e di nessuno, avendo la stessa comprensione e lo stesso amore per chi sta in alto e per chi sta molto in basso. Si pretende, con non so quale diritto, che gli altri capiscano la spogliazione spirituale, ma Cristo che conosceva gli uomini più di ogni altro, ha iniziato dalla spogliazione materiale. Non si può pretendere che gli uomini semplici facciano elecubrazioni complicate per arrivare a capire che c'è una povertà a volte più vera di quella materiale (del resto, per chi la vive veramente è abbastanza lampante, ma si accompagna senz'altro a quella materiale: es. Papa Giovanni XXIII).
Evidentemente il Cristianesimo deve essere impegnato, lo sento così seriamente, ogni mattina durante la S. Messa, al momento dell'offertorio: «Accetta questo pane» «Accetta questo vino». E poi: «Questo è il mio Corpo; questo il mio Sangue». E il Sacerdote in quel momento è Cristo e Cristo ha dato «tutto».
Non so come si possa fare distinzione tra vocazioni particolari o no, se c'è una vocazione è quella cristiana che ci impegna, ciascuno nella propria condizione, a dare tutto ciò che si ha e tutto quello che si è.
E' logico che poi la vocazione si diversifichi in una gamma di vocazioni particolari che permettono la realizzazione della intera vita del Cristo.
Ognuno è un mattone della immensa costruzione che si sta realizzando nei secoli e serve per il suo compito specifico, ma quel compito lo deve assolvere. Non si può parlare di cristianesimo tragico quando si sente il problema, si vorrebbe farlo sentire così intensamente anche agli altri come noi lo sentiamo, dell'impegno tremendo che è essere cristiani; Cristo non ne ha mai parlato leggermente. Ecco perchè quando il Sacerdote offre per me sull'altare è come se fossi io stessa ad offrire il mio corpo ed il mio sangue, perchè Cristo è ognuno di noi e ognuno di noi è in Cristo, perchè Egli è l'intera umanità, affinché il suo Sacrificio, la Messa iniziata sul Calvario continui e si realizzi nel tempo e nell'umanità. Non è Cristianesimo tragico sentire vivamente il dolore dell'umanità e capire che noi dobbiamo esserci in mezzo, perchè se la sofferenza è il vero volto del Cristo, dal momento che continua la sua opera di redenzione, non abbiamo altro mezzo, per avvicinarci a Lui, che avvicinarci alla vera sofferenza facendola nostra, compartecipandola con vero amore.
Le vocazioni particolari si armonizzano in questa più grande vocazione, che è quella cristiana, che esige tutto, vuole tutto, senza esclusioni di sorta, senza tentativi di scappatoie che possono trovare giustificazioni così umane e razionali da consentire una tranquilla quiescenza dello spirito.


Una laica

Lettere fra amici

Carissimo don Sirio,
eccomi di nuovo a.... fra le persone care, nei luoghi abituali, col lavoro solito e sempre nuovo.
Avei voluto venirla a trovare a Viareggio; ma anche se i chilometri erano pochi, più dure e insormontabile ostacolo fu la burocrazia militare. Ad ogni modo, anche per la sua bontà nell'inviarmi le sue cose, son riuscito a seguirla un po'.
Credo proprio, don Sirio, che il Signore stia condividendo l'opera che lei svolge; nella condizione operaia è dentro nella maniera oggi possibile, nella maniera in cui oggi le si chiede, perchè - come tutti noi del resto - siamo inseriti in una Chiesa che sta compiendo solo ora dei passi di vero rinnovamento e che, per molte cose, non è quindi matura. E' triste e doloroso, ma la nostra generosità, se è davvero tale, lo deve essere sia nel voler dare, che nel saper accettare.
C'è un pericolo, di cui forse già parlammo a voce: che a furia di scrivere si finisce per abbandonarsi alle parole e per staccarsi man mano dalla realtà. Ma, vedendo i primi due numeri del giornale, mi sembra che ciò sia ancora tanto lontano. Ci son su delle voci vere, delle testimonianze concrete. E il suo compito qui appare sempre più quello di non solo offrire loro possibilità di sfogo, ma di guidare quelle persone, di mostrare loro il fondamento divino di ogni fatica. Perchè la Chiesa è per natura la Chiesa dei poveri, degli umili, degli afflitti. Cristo è venuto proprio per salvare quel Adamo che «con fatica trarrà ogni giorno nutrimento dalla terra» e quell'Eva che «con dolore partorirà i suoi figli»; è alle loro «tribolazioni e spine», che è venuto a portar sollievo.
Ma non voglio tirarla molto per le lunghe. Allegato a questa mia troverà un assegno; è un contributo di .... - la ragazza cui voglio bene da qualche tempo - e mio: è frutto del «nostro lavoro». Se per il suo giornale potrà avere una qualche utilità pratica, per noi riveste un certo significato: è uno dei primi atti che facciamo concretamente insieme, maturati in una comune esperienza. Siamo ai primi passi, stiamo cercando: tanto è faticoso, tanto è bello. Convinti soprattutto che sia stato il Signore a chiamarci l'una all'altro, vogliamo che la nostra unione sia fondata proprio nella Sua Luce. Ma parlarne, adesso, si correrebbe il rischio di rifugiarsi nei desideri e nei programmi: meglio attendere un po' la realtà dei fatti e le nostre prove concrete.
Ora, don Sirio, la lascio. Spero che, con l'avvento della buona stagione, capiti la possibilità di venire in quel di Versilia!
Un carissimo ricordo.


***

menù del sito


Home | Chi siamo |

ARCHIVIO

Don Sirio Politi

Don Beppe Socci

Contatto

Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455

Link consigliati | Ricerca globale |

INFO: Luigi Sonnenfeld - tel. 0584-46455 -