LA VOCE DEI POVERI: La VdP gennaio 1964

Il viaggio alla terra di Gesù

La misteriosa e terribile storia di questo lembo di terra. Il suo destino è quello di essere per sempre «terra promessa», sempre donata, eppure sempre promessa. Deve essere cercata, è terra verso la quale eternamente si cammina e dove si giunge sempre, ma in realtà non si arriva mai perchè non può essere posseduta. E' certamente l'angolo di terra che più somiglia al Cielo, per il quale tutto è fatto e dal quale tutto discende, perchè tutto vi debba essere orientato e in cammino senza stanchezze.
E' la terra che ha dato Speranza e Fede ad Abramo. E vi si incammina il popolo eletto. Vi si riversa a fiume di luce la Rivelazione di Dio, dentro una storia travagliata di miseria umana e di destino divino.
Nella pienezza dei tempi, Dio vi cerca una stalla dove nascere. E in quella terra vive come nascosto nel cuore del mondo. La cammina tutta, quella terra - e tante volte era stanco dal troppo camminare e dalla polvere e dalla fame e dalla sete - per arrivare ad un rialzo, subito fuori della Sua città, a farvi rizzare una Croce dove morire inchiodato. E nelle viscere di quella terra si fa chiudere tre giorni, per romperla subito, quella dura zolla e uscirne vivo (e tutta la terra fu aperta perchè in Lui restituisse tutti i suoi morti alla vita).
La percosse ancora, quella terra, la violenza dello Spirito Santo, come vento di tempesta, e la Parola di cui era stata colmata fu sparsa su tutta la terra: la Parola e la Grazia, la Fede e l'Amore.
Su quell'angolo si è riversato l'infinito mistero di Dio e di là si è irradiato nel mondo.
Dopo quasi duemila anni, siamo ritornati a quella terra promessa. I figli veri di quella terra sono tornati al luogo di origine, là dove sono nati e di dove sono partiti.
Perchè non vi siamo tornati quando siamo andati a conquistarla per farne una sacra colonia, anche se le armi erano dipinte di croci. E nemmeno vi siamo tornati quando vi siamo andati a occupare gli angoli più importanti con chiese e santuari, e non è stato un tornare alla nostra terra il camminare doloroso dei pellegrini antichi e delle devote e allegre comitive turistiche del nostro tempo.
La Chiesa è tornata alla sua terra d'origine soltanto in questi giorni. Sia pure in quadrigetto, con tutte le onoranze ufficiali, con tutte le prospettive, anche contingenti e umane, però il motivo di fondo è rimasto intatto, il mistero segreto è stato vissuto. Sotto gli occhi del mondo, la Chiesa è tornata a Betlem nella grotta della mangiatoia, nella povertà della casupola di Nazareth, nella terra riarsa dal sole e dalla tragedia umana della Giudea e della Galilea, ha rifatto la strada dolorosa che porta alla Croce del Calvario...
E' finalmente ritornata alle sue origini di povertà, di umiltà, di sacrificio, di Amore. A ciò che Dio ha scelto per sé, per essere fra gli uomini, Uomo come loro e loro Dio. A ciò che certamente ha scelto e vuole per la Sua Chiesa, continuazione vivente del Suo Mistero di Uomo-Dio dentro il vivere e la storia degli uomini.
In questo tempo in cui la Chiesa Universale compie la fatica di rinnovamento attraverso il Concilio, mossa dal bisogno profondo di essere tutto il Mistero di Cristo fra gli uomini, la Chiesa è finalmente ritornata alla sua terra per rivedere dove è nata, dove è cresciuta e vissuta fino al sacrificio supremo, per rivivere secondo come è nata, cresciuta, vissuta e poter continuare a morire come è morta per la salvezza del mondo ed essere testimonianza sicura di vita eterna.
Forse mai la Chiesa è stata raccolta nella Persona del Papa come nei due giorni del Suo viaggio in Terra Santa. Mai abbiamo sentito una gioia così profonda che la Chiesa Cattolica abbia un Uomo che misteriosamente quasi la contenga e la porti dentro il fragile e breve essere di una persona. Perchè in Lui, così, tutta la Chiesa è andata a Betlem, a Nazareth, sul Calvario, a ritrovare tutto il Suo Mistero del Suo essere fra gli uomini.
E in quei due giorni siamo stati veramente cristiani in tutta la misura di questa verità d'esistenza. E lo siamo stati in faccia al mondo, con la serietà consapevole di un modo di pensiero e d'esistenza unica ed esclusiva: «Noi vorremmo innanzi tutto presentarci, ancora una volta, a questo mondo in cui noi ci troviamo. Siamo i rappresentanti e promotori della Religione Cristiana. Abbiamo la certezza di promuovere una causa che viene da Dio; siamo i discepoli, gli apostoli, i missionari di Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, il Messia, il Cristo. Siamo i continuatori della sua missione, gli araldi del suo messaggio, i ministri della sua religione...».
E' il discorso di Betlem: il discorso della mangiatoia, con sulla paglia il Figlio di Dio, e il discorso del papa. Non vi può essere la minima discordanza o dissonanza. E' un unico grande discorso, messaggio immenso rivolto alla umanità di ogni tempo.
Ha commosso profondamente, fino alle lacrime, ascoltare ancora la voce degli Angeli, che a Betlem cantarono «pace in terra agli uomini di buona volontà», che diceva «...la missione del Cristianesimo è una missione di amicizia in mezzo all'umanità, una missione di comprensione,
d'incoraggiamento, di promozione, di elevazione, diciamo ancora di salvezza».
E il discorso delle Beatitudini che ha sconcertato le saggezze umane e sgomentato le prudenze degli uomini, è stato rinnovato in termini attuali, comprensibili nel nostro momento, ma è chiaramente e coraggiosamente quello stesso terribile discorso che segna le condizioni per una essenziale sincerità umana: «Non abbiamo altro interesse che quello di annunciare questa nostra Fede. Non chiediamo nulla, eccetto la libertà di professare e di offrire, a chi liberamente la accoglie, questa religione... Noi guardiamo al mondo con immensa simpatia. Se il mondo si sente estraneo al Cristianesimo, il Cristianesimo non si sente estraneo al mondo, qualunque sia l'aspetto ch'esso presenta e il contegno che esso gli ricambia».
Siamo tornati nella terra di Gesù, sulla Sua strada, alla Sua povertà, al Suo Mistero d'esistenza umana e a quello della Sua Morte. Abbiamo ripreso contatto materiale con la Sua storia, ci verrebbe da dire che abbiamo discoperto e ritrovato la Sua terra e Lo abbiamo incontrato all'angolo della casa, lungo la strada polverosa e assolata, sommerso dalla folla, offerto all'umanità intera.
Questo abbiamo visto e sentito con chiara visione di Fede. E nemmeno fotogramma televisivo abbiamo voluto vedere, per timore che l'immagine contingente, fatta di contorni umani e particolari, non avesse a diminuire o annebbiare la chiara percezione del fatto accolto totalmente, al di sopra del momento, per viverlo, con gelosa purezza, nella vicenda, misteriosa e storica, del farsi del Regno di Dio nel mondo.
La Chiesa (e noi con la Chiesa) è tornata nella terra di Gesù. Ma non tanto a ritrovare la Sua Parola mai smarrita, a riprendere contatto col Suo Mistero mai perduto, a ricolmarsi della Sua Redenzione sempre posseduta e donata.
E' ritornata nella terra di Gesù a riprendere la Sua povertà, il Suo nascondimento, il Suo lavoro, la solitudine delle Sue beatitudini. A ritrovare le scelte della Sua presenza fra gli uomini: l'Amore, il Dolore, la Croce. A rinnovare il coraggio di essere fra gli uomini tutto Gesù Cristo.
Che Dio voglia che due giorni possano essere sufficienti, dopo due millenni, a darci di essere autenticamente figli di quella terra promessa.


La Redazione

L'unico Signore Gesù

Il tempo ci porta avanti quasi inavvertitamente e accumula dietro le spalle spazi immensi percorsi. E ogni tanto è come arrivare in cima ad una montagna, viene da voltarsi indietro e si vede lungo la montagna lo snodarsi a serpe della strada che poi si allunga nella vallata, fino a perdersi nella nebbia di altre montagne lontane.
In quel momento «sentiamo» nell'anima la strada percorsa e le vallate e le catene di monti superate e le pianure sterminate, i paesi, le città gli amici incontrati, le persone conosciute, gli avvenimenti successi, le esperienze vissute, i sogni svaniti, gli ideali raggiunti...
E tutto è nell'anima. Ogni cosa si è conquistata un posto, si è collocata nell'insieme, come pietre in una muraglia. Vi è stata lotta e dura battaglia fra le cose, le persone, le esperienze, per conquistare un posto particolare di preminenza, di dominio, in noi. Perchè siamo come terra di nessuno, sempre contesa, perchè di qualcuno o di qualcosa deve necessariamente essere. E spesso (forse sempre) non siamo noi a decidere o a scegliere il vincitore.
Chi è che ha comprato il campo per prendersi il mio tesoro? Chi è che è riuscito a portarsi via la perla preziosa?
Vorrei che avesse comprato il campo, dove nascosto è il mio tesoro, chi ha, con gioia, potuto mettere insieme la somma necessaria vendendo ogni suo avere. Vorrei che fosse chi di tutte le sue perle preziose ha dovuto disfarsi, e lo ha fatto senza paure, per avere di che comprare la mia perla preziosa.
Perchè allora tutto sarebbe Amore, e quest'Amore non potrebbe non vincere in me e tutto occuparmi e, interamente avermi.
Allora, dopo la lunga avventura che ormai dura da molti anni, mi fermo un momento e mi volto a guardare indietro. Non è un esame di coscienza che ho voglia di fare. Mi sembra così miserabile e così avvilente guardare alla mia storia secondo una casistica formalizzata in quadratini neri o bianchi come una scacchiera. Non ho voglia di vestirmi di abiti già confezionati o di provare la mia anima su manichini già pronti. Non che non sia cosa buona un'ottima addizionatrice, con colonne spietate e perfette, del bene e del male, con le differenze finali a calcolo sicuro.
Ma in questo momento non mi interessa (anche per la segreta speranza che lassù non facciano i conti con la riprova del nove).
Ora ho voglia di guardare chi è il padrone della mia terra. Chi mi ha conquistato il cuore e affascinato l'anima. Chi è che domina con sicuro dominio nella mia vita.
Perchè qualcuno ha forzato la porta e è entrato di violenza. Si è fatto largo fra la folla sicuro di se. Sapeva di essere il più forte. E poi aveva in mano la somma necessaria, anzi ne aveva d'avanzo: può veramente pagare qualunque prezzo e senza rimpianti.
Non ha fatto, vincendo, la terra bruciata, e non ha annientato gli avversari: è venuto da vero Signore con un dominio che tutto sovrasta, perchè è capace di tutto raccogliere nel Suo unico valore.
Mi volto a guardare e lo vedo solo, unico Signore nella già lunga avventura della mia vita.
E so che a poco per volta il suo dominio è andato crescendo. La sua parola si è fatta più forte e più chiara. La sua presenza più allargata e distesa. Non vi è angolo dove Lui non sia, non vi è un momento che non gli appartenga.
Perchè tutto, fino alle cose più sciocche ed inutili, da Lui è determinato, risente di Lui e non può essere cercato e vissuto che in Lui. Diversamente, al di fuori di Lui, ogni cosa è come pane non lievitato, cibo senza sale, lampada senz'olio, amico senza Amore, sposo senza sposa...
Mi guardo intorno e dentro di me: cosa pensare senza che porti con sé il pensiero di Lui? Cosa posso vedere, che dietro non veda almeno la sua ombra o il profilo del suo volto o tutto nel raggio della sua luce?
Mi domando se ancora mi ha lasciato un po' di respiro, un po' di libertà... quella semplice e schietta, fatta di poter essere come tutti, di vita normale, di pensieri comuni, pensare a me, poter chiudere la porta e starmene in pace a sognare i sogni di tutti.
Ma mi sembra che se la sia presa tutta, la libertà, per darmi forse soltanto di essere liberamente suo, di appartenergli con un possesso fatto unicamente di Amore. Se l'è presa tutta per sostituirla con la sua libertà che è la libertà di Dio. La libertà di farsi mangiare come il pane e bere come il vino. Di essere il chicco di grano che muore sotto la zolla. Parola affidata allo Spirito che è come il vento, non sai da dove viene e non sai dove va. La libertà di non essere servito, ma di servire. Di amare fino all'impossibile. Di morire sulla Croce e dentro la storia degli uomini, per sperare la loro salvezza....
Allora capisco come non possa che essere l'unico Signore, dominio assoluto, incondizionato, esteso fino agli ultimi confini dell'esistere...
Mi volto indietro e sulla mia terra e su tutta la terra, vedo Lui soltanto. La mia storia è quella della sua conquista. Il tempo ha segnato soltanto le tappe dell'espandersi del suo dominio. Sento il passo del suo camminare dovunque, in tutti i sensi a prendere possesso, a tutto sottomettere al suo dominio, a tutto raccogliere, perchè ogni cosa abbia di Lui e sia come il Suo stesso Mistero, specialmente ogni persona, tutta la realtà umana, ogni valore...
Ne sono felice di questo assoluto dominio?
Ne sono pazzamente felice, nonostante il terribile viaggio lungo il deserto, verso la terra promessa che a volte sa troppo soltanto di sogno, e il rimpianto, (così umano, vero, Signore, anche se può dispiacerti) qualche volta, per debolezza di fame e violenza di desiderio di qualcosa d'immediato e concreto, nonostante lo sciocco rimpianto delle cipolle d'Egitto.
Ecco. Non so se voi avete capito. Ma, nel caso, non avrebbe molta importanza. Si tratta della mia storia guardata in un momento di sosta, voltandomi indietro, arrivato su un crinale di montagna, seguendo la strada che mi vuole portare lontano.
Però è malto importante che anche ciascuno di voi sappia guardare indietro, lungo la strada percorsa, per indovinare chi è che la sta tracciando, passo dopo passo, o almeno fermarsi a guardare chi è il padrone del campo, se vi è un Signore con dominio assoluto.
E' molto bello che questo Signore con dominio assoluto sia il dolce Signore Gesù.



don Sirio

Preghiera per i giorni in cui non si vorrebbe fare

il proprio dovere

Signore, uscendo dalla stazione, tra la folla, ho desiderato di fuggire.
Fuggire gli uomini e fuggire te. E' la stessa cosa, del resto. Ma perchè mi hai chiamato a saperne di più, a un grado di perfezione maggiore degli altri?
Sarei stato molto più felice, se avessi avuto la sorte di tutti! Ci fu un tempo in cui non la sapevo così lunga, in cui non portavo tanto peso.
Avrei potuto essere così tranquillo. Perchè è stato necessario che andassi a cercare così lontano?
Talvolta mi domando se non ho forse voluto fare troppo bene... Sempre progredire, sempre avanzare, sempre tendere a questa perfezione intravista quando non sapevo ancora tutto ciò che essa avrebbe implicato. Che avvenire, mio Dio!
Signore, vedevo la folla che usciva dalla stazione. Un momento ho desiderato di perdermi.
Ma che significa perdersi? Diventare quel brav'uomo che esce dal suo ufficio, quel padre di famiglia grande e grosso cui tu certamente non hai chiesto quanto hai chiesto a me.
La perfezione, il dovere...
Signore, fa forse parte della perfezione questo desiderio di fuggirla, di andarsene senza rumore in un luogo tranquillo, senza posta, senza miserie, senza esempi da dare, senza preghiere, senza...
Sì, forse. Una sera lontana, anche tu, Signore, hai detto: «Padre mio, se è possibile, passi lungi da me questo calice!».
Oh! è certo, ciò che ti attendeva era più duro, infinitamente più duro. Non pretendo certo di paragonarmi a te. Ma, nonostante ciò, Signore, mi rassicura il fatto che tu pure l'abbia chiesto, prima di dire: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu».



Lucien Jeaphagnon
(dal volume « Nostre Preghiere », Ed. La Locusta, L. 500).


Amore di Dio

Non mi muove, mio Dio, ad amarti
il cielo che mi hai promesso,
ne mi muove l'inferno così temuto
fino a rinunciare per questo ad offenderti.
Tu mi muovi, mio Dio; mi muove il vederti
inchiodato su quella croce e schernito;
mi muove il vedere il tuo corpo tanto ferito;
mi muovono le angosce della tua morte.
Mi muove, infine, il tuo amore, così tanto,
che anche se non vi fosse cielo, io ti amerei,
e anche se non vi fosse inferno, ti temerei.
Non devi darmi nulla perchè ti ami,
che, se ciò che spero non sperassi,
così come ti amo, ti amerei.


Anonimo spagnolo

"Beati i poveri..."

Insieme a Gesù, siamo poveri di beni materiali...
Abbiamo come lui questa povertà che consiste nel vivere come i poveri, nel non avere in quanto ad alloggio, cibo, vestiti, beni materiali d'ogni genere insomma, nient'altro che il necessario, al pari dei poveri.
Abbiamo non già una povertà di convenzione, ma la povertà dei poveri.
La povertà che, nella vita nascosta, vive non di doni, ne dì elemosine né di rendite, ma del solo lavoro manuale, lavoro umile, basso, vile, il lavoro dei poveri, secondo l'esempio di Gesù.
La povertà che nella vita da operai del Vangelo, in cui tutto il tempo è consacrato al ministero delle anime eccetto quello che vien dato alla preghiera, vive di elemosina, ma non accetta altro che il necessario per vivere da povero, per vivere tanto poveramente quanto un operaio, un artigiano, che si mantiene col lavoro delle proprie mani...
Siamo poveri nello spirito, vuoti d'ogni amore, d'ogni desiderio, d'ogni attaccamento per ciò che non è Dio, radicalmente vuoti di tutto ciò che non è lui... non amando nulla di ciò che non è lui...
Vuoti di noi stessi e degli altri, senza ricercare né il nostro bene né quello di nessuna creatura in vista dì noi o di esse, ma ricercando unicamente la gloria di Dio e ricercandola in vista di lui solo.


P. Charles de Fouchauld


Il discorso di Nazareth

A Nazareth il nostro primo pensiero sarà rivolto a Maria Santissima. Non partiremo senza raccogliere rapidamente alcuni frammenti della lezione di Nazareth. Lezione di silenzio: ritorni in noi assordati da tanti rumori, da tanti strepiti, dalle voci della nostra chiassosa e ipersensibilizzata vita moderna. Lezione di lavoro: oh Nazareth, oh casa del "figlio del fabbro", quale la sua comunione d'amore, quale la sua semplice ed austera bellezza, quale il suo carattere sacro e inviolabile. Lezione di lavoro: oh Nazareth, oh casa del «figlio del fabbro», come vorremmo qui comprendere e qui celebrare la legge severa e redentrice della fatica umana. Qui ricomporre la coscienza della dignità del lavoro. Qui salutare tutti i lavoratori del mondo e loro additare il grande Collega, il fratello divino, il profeta di ogni loro giustizia, Cristo Signore.

Paolo VI

La vera amicizia

Secondo il Vangelo esiste un legame tra la povertà e l'amore. Amare è dare, dare qualcosa e dare se stessi. Ora, perchè ci sia la possibilità di dare qualche cosa, bisogna esserne liberi, esserne distaccati: non si dà una cosa a cui si tiene. E' così che al primo grado di povertà che consiste nello staccarsi dai beni terreni e dalle ricchezze, corrisponde il primo grado dell'amore, il più umile, quello dell'elemosina: si dà del denaro. Il secondo grado di povertà è una povertà interiore e ci porta ad un grado più alto di amore: si darà la propria vita, il proprio tempo, la propria salute, e ci si dedicherà fino sull'esaurimento, alla malattia e forse alla morte. Questa purissima forma di carità è capita e vissuta da molti: essa ha mandato tanti missionari per il mondo, ha dato origine a tanta abnegazione in coloro che curano i malati o che insegnano. Ma non ci sarà ancora un altro grado di amore? Il nostro amore non deve essere umile, rispettoso degli uomini? Forse abbiamo dato il nostro tempo e la nostra vita, ma senza pensare abbastanza a dare noi stessi in una vera ed umile amicizia. Scopo della carità non è unicamente di dare delle cose o anche di darsi in tutto ciò che vi è - diremmo di fisico - nella nostra vita; non è forse anche dare se stesso nell'amicizia? E non si dica che l'amicizia esiste per il fatto che ci sono dati dei beni, e forse tutto ciò che si aveva: ci vuole un'altra specie di dono.
L'amore di amicizia fa tacere ogni facile critica, dà un pregiudizio di simpatia, evita soprattutto l'ironia sulle questioni razza. Non siamo stati noi pure spesso vittime, inconsciamente, di un pregiudizio di razza o di classe? Mi pare che ci sia talvolta una reale illusione che snatura lo sguardo che portiamo sugli uomini e ci impedisce di vedere le esigenze della vera carità.
Perchè è quasi impossibile stabilire dei legami di vera amicizia tra un datore di lavoro ed i suoi operai? Questo non è un problema immaginario. Non vi sono forse dei datori di lavoro cattolici e generosi che pure non hanno capito e che non riuscirebbero mai a mettersi al posto dei loro operai? Essi giudicano con bontà, certamente, ma con condiscendenza; hanno talvolta un senso elevato dei loro doveri sociali, ma nel senso in cui loro li capiscono, e sono pronti a fare tutto il possibile, ma senza un sufficiente rispetto né una reale stima della personalità dell'operaio. Non ci arrivano.
Si hanno allora delle mancanze gravi contro la carità e anche contro la giustizia, e vi sono atteggiamenti che scoraggiano. Mettetevi al posto di un povero che è colmato di doni, ma che sente in colui che glieli dà la coscienza della propria superiorità: non pensate che in questo povero ci sarà una ferita, forse inconscia, ma che niente guarisce? E il datore di lavoro o il coloniale che hanno costruito dei dispensari o avranno messo dei capitali in una «maternità» per curare i bimbi dei propri operai, si stupiranno di raccogliere solo amarezze e persino talvolta dell'odio, perchè essi hanno umiliato senza rendersene conto. Allora si accusa il povero di essere orgoglioso o il colonizzato di essere un rivoltoso. Ma, prima, non dovremmo noi interrogarci? Abbiamo noi il diritto di giudicarci superiori? Perché è proprio su questo punto che si pone il problema: superiori per che cosa? per la cultura, per la razza, per la ricchezza, per il Cristianesimo? Ed il possesso di un bene deve portare ad una mancanza di rispetto o al disprezzo? E' fino a questo punto che il cristiano deve essere «povero». Che abbiamo fatto noi per poterci considerare proprietari di questi beni?


R. Voillaume

Motivi di gioia

Stanno avvenendo cose simpatiche, ogni tanto, e le affermiamo a volo, in questi duri tempi di contrasto fra il vecchio e il nuovo, fra conservatorismi accaniti e innovazioni coraggiose, con gioia profonda.
Ci permettiamo notarle, queste novità, e non solo perchè sono sogni avverati e speranza di liberazioni - e quindi di sistemazioni meravigliose per i tempi che verranno - ma anche e specialmente perchè, pur apparendo come cose di poca importanza, sono indicazione ed espressione di una mutazione, almeno in qualcosa già avvenuta o in via di attuazione e di compimento.
Il pellegrinaggio in Terra Santa di Paolo VI mi ha riempito il cuore di gioia. Ma non proprio perchè il Papa si è messo a fare il pellegrino dando grande lezione di umiltà, di spirito di penitenza, di devozione, di Fede. Ciò che è semplice dovere di ogni cristiano rimane semplice dovere anche per il Papa e non è il caso di far grosse meraviglie che in fondo vorrebbero soltanto dire, a ben pensarci, che quei semplici doveri i Papi non erano soliti adempierli. E quindi gran cosa è risultato il pellegrinaggio di Paolo VI, in se stesso d'accordo, ma anche il fatto che da quando Pietro aveva lasciato le reti sulla riva del lago Tiberiade, non vi era più tornato a rivederlo, con i suoi successori, quell'azzurro d'acque miracolose, dov'era diventato pescatore di uomini, e pastore delle pecore e degli agnelli.
Però alcune cose di quel viaggio mi hanno particolarmente rallegrato il cuore.
Lasciamo andare il quadrigetto, i reattori, le personalità, le solennità, i discorsi ecc. Si sa che gli uomini hanno bisogno di complicare le cose, perchè è soltanto così che credono di renderle più importanti.
Però la guardia nobile è rimasta a lucidarsi gli stivali in Vaticano e così la guardia svizzera e quella palatina sono rimaste in caserma.
E questa truppa d'onore (perchè null'altro significa) è una gioia quanto meno la vediamo intorno al Papa, che ci sembra sempre meno «pezzo da museo»...
E' stata una gran gioia vedere il Papa "difeso" dalla Legione Araba con quei curiosi copricapi da beduini cammellieri.
Il Sommo Pontefice, il Vicario di Cristo, il Capo della Chiesa Cattolica, «affidato» a soldati mussulmani.
E è stata una cosa meravigliosa che non siano riusciti a contenere la folla alla Porta di Damasco e il Papa è stato travolto dalla moltitudine. Una fiumana di umanità che lo trascinava lungo la via dolorosa verso il Calvario. Ho visto una fotografia in cui il Papa è una minuscola testa con lo zucchetto bianco in un mare di teste multicolori.
Ecco: ho pensato che la Sedia gestatoria non poteva attendere ancora molto ad essere riposta nel solito museo di antiche cose. E ne sono stato felice di quel povero Papa così in balia dell'umanità...
E poi dalla Giordania in Israele, affidato alla protezione ebraica, tagliando ogni difficoltà, quasi scavalcando trincee, meraviglioso portatore di pace, e non a parole, ma vivente messaggio di carne e sangue a nome di Gesù Cristo.
L'abbraccio fra il Papa e il patriarca Atenagora. E si sono abbracciati i frati francescani e i monaci greci. Roba da matti, da gioia infinita. Perchè pesava sull'anima cattolica quella pagina del Vangelo che parla di un'offerta da lasciar lì sull'altare per andare in cerca del fratello che sai che ha qualcosa contro di te...
Erano secoli che si sapeva, ma non si riusciva a farne di nulla: ora Paolo VI ha lasciato lì Roma, e è andato a cercare il fratello.
Come si fa a non essere esultanti di gioia? Ci si sente più cristiani, ora, più secondo il Suo Cuore che è soltanto infinito Amore.
Quando ho letto il discorso di Betlem, ho pianto di gioia. Di gioia profonda e dolcissima per essere cristiano, perchè quelle parole sono la mia verità, l'ideale della mia vita, il mio destino... e sono la Verità più meravigliosa, il programma d'esistenza più perfetto, la missione più sublime.
Dio nato fra gli uomini, nel loro tempo e nella loro storia, è questo Cristianesimo offerto all'umanità nella pura libertà dell'Amore e nel Suo Mistero di salvezza.
Ho molto da imparare dall'esempio di Paolo VI e dalle sue parole durante il suo viaggio in Terra Santa.
E anche questa è una gran gioia. Non era capitata gran che fino a questi nostri tempi, a parte Papa Giovanni e la sua meravigliosa, invidiabile morte.


un prete

La poesia dei giorni

8 dicembre - Stasera abbiamo acceso il primo fuoco nel caminetto e le finestre sono piene di stelle; davanti va la Stella Polare e si porta dietro il Grande e il Piccolo Carro, intorno le altre costellazioni come schegge di diamanti. Cominciano le notti di Natale per poi sempre colme di un fascino che l'età non cancella. Notti profonde coi cieli puliti, quei misteriosi cieli in cui ha sede il Padre, da cui è disceso il Figlio per poi ascendervi di nuovo. Meravigliose notti lunghe e silenziose che dovrebbero passare così come stasera vicino al fuoco ed essere il fuoco solo a parlare schioccando lentamente tra lo splendore dei ceppi accesi.
11 dicembre - Stasera per tutto il tempo che ho recitato il Rosario, una piccola stella lucentissima è stata appoggiata sul tetto della casa, io la vedevo palpitare dalla finestra della mia camera.
Se posso finire così le mie giornate con un Rosario detto sotto le stelle, gli avvenimenti hanno un loro significato e il giorno si chiude in pace.
19 dicembre - Lungo il nostro viaggio per il Cadore siamo passati per Longarone. Davanti a quelle impressionanti e tragiche rovine sarebbe quasi un delitto passare con gli sci sul tetto della macchina se non si è molto sofferenti. Solo la comunità del dolore mi ha salvato in quel momento. Allora si sente quanto il patire sia un valore misteriosamente positivo secondo la Croce di Cristo.
22 dicembre - Ho finito la traduzione di «Notre Dame» di Péguy, mi resterà dentro la forza della sua poesia con quei crescendi che incalzano sempre più potenti fino all'estremo che diventa un mistico arrivo di là dalle cose e quasi dalla vita. Così egli è anche vissuto fino all'ultima sua notte al fronte; la ha trascorsa raccogliendo fiori per una immagine della Vergine.
24 dicembre - Attendo il Natale all'ombra delle parole di Don Mazzolari: «Durante l'anno è facile che l'uomo non ce la faccia, ma viene il Natale a rispondere ad ogni attesa. L'uomo si difende dal Cristo, ma a Natale cadono tutte le resistenze e partendo da Betlemme l'esperienza che viene fatta è un dono».
Natale 1963 - E' caduta la neve sulla valle, la prima bella nevicata che ha investito i tetti, gli alberi, i prati e chiuso le montagne nella sua spessa coltre. La poesia del Natale viene a fiotti su dai rami ricurvi dal peso, su dai boschi imponenti nel candore. Natale oh Natale colmo sempre di dolce speranza e di bontà!
26 dicembre - Giorni questi di montagna che hanno infranto il normale cristallo della realtà frantumandone la compattezza in un caleidoscopio lucente di sentimenti e avvenimenti nuovi. Sentimenti abituali che si sfaccettano nella purezza della loro essenza. Sono questi i giorni in cui sondiamo la vita nelle sue infinite possibilità.
Così è stato l'affetto dei miei bambini, la letterina di Natale, la cena al lume di candela, il correre sugli sci, la Messa di sera e la mia straordinaria Comunione nella notte.
27 dicembre - Ho dipinto molto in questi due giorni, essendo infortunata ad un piede per una brutta caduta nella neve.
Non penso a fare dell'arte quando dipingo, sono piuttosto come un ladro che voglia in fretta accaparrarsi un bottino da portar via per sempre. Questo bottino per me è la bellezza.
28 dicembre - Ieri sera di ritorno dal nostro viaggio in Cadore abbiamo ritrovato la nostra casa calda e linda, mio marito ha interpretato la commozione di tutti dicendo: «Vale la pena di partire per provare la gioia di tornare»...
29 dicembre - Ho trovato un monte di posta, tutta ugualmente cara, ma c'è stato un biglietto che ho accolto come ragione del mio vivere e del mio soffrire. Mio marito ha commentato con me: «Capita di rado di mettere gli occhi su parole simili. Ricordando la morte del mio babbo esso dice: «Non deve essere un triste Natale: da quando Iddio è nato sulla terra, la morte è stata distrutta. Congratuliamoci con chi è arrivato a casa e camminiamo» nella luce della speranza. Ci teniamo per mano e siamo tutti insieme: non siamo noi che andiamo staccati; è Lui che è venuto e noi siamo pesci nell'acqua.
Capod'anno '64 - «Su e giù, avanti e indietro, sempre nel giro: questo è il motto insensato dell'universo» scriveva Marco Aurelio e non sapeva che la storia era diventata freccia diritta, luminosa freccia nella quale si assumono tutti gli avvenimenti tristi o lieti, freccia che porta all'infinito e non ci lascia creature chiuse nel cieco giro degli anni, ma «un sempre per l'eternità. Così ha parlato Don Divo Barsotti alla Messa degli Artisti detta in memoria di mio padre.
A questa freccia mi allineo con tutti i miei mali e tutti i miei beni verso non un anno solo, ma verso l'eternità. Con l'aiuto di Dio.


Grazia Maggi

Una lettera dalla clausura

Don Sirio,
..rieccomi! ..Come va la vita?... Ho ricevuto il suo giornale dì ottobre e la ringrazio. Mi è piaciuto, molto, tutto ed in particolare quel suo pezzo sulla "stagione dei frutti"..
Sa che ho ripensato molto spesso a quell'unica «certezza» di cui abbiamo parlato?
Anche questa volta... ha ragione lei!... Il sapere che «Dio è buono» deve bastarci, è vero. Ed è questo che risolve tutto e fino in fondo.
Ora: eccomi qua! Si, è vero: è la stessa, identica cosa che se fossi a ** o anche (...come insinua lei...) in... Brasile. Ma intanto: sono... qua, ed è qua che devo vivere il mio «oggi» in piena apertura al Suo amore (ed insieme), al mondo intero. Dopo tutto, non dovrebbe essere... impossibile. Si tratta, ancora una volta, di accettare continuamente la Sua ingerenza nella nostra povera vita e di credere, credere e poi ancora.. credere. Non è così?
Ed è ancora giusto che sia duro, perchè si sia partecipi della fatica di ogni uomo che cerca Dio senza saperlo ed anche senza volerlo. Allora per noi, amare significa semplicemente lasciare a Dio la possibilità di fare di noi tutto ciò che vuole, e questo su un piano estremamente concreto e senza importanza. Dalla "vita comune" alle galline livornesi da allevare (...è una delle mie nuove occupazioni...), dalle piccole complicazioni di ogni giorno, ai disagi continui del freddo e della povertà, tutto diventa suscettibile di infinite possibilità di accoglienza e di offerta. Mi sembra un vero dono di luce quando tutto comincia ad orientarsi verso una unificazione sempre più essenziale ed ogni cosa, perdendo le apparenze accessorie e marginali, si rivela nel suo carattere più vero ed eterno: possibilità di amare. Allora si scopre che non esiste proprio niente di poco piacevole e neanche di indifferente. Forse è l'unica via per entrare, in qualche modo, nel piano dell'Amore di Dio che Mistero è, e Mistero rimane.
Se poi capita di pensare di aver perduto la... testa!... Beh... è del tutto normale, o, comunque ne vale la pena...
Questo, di **, è un vecchio monastero santificato da generazioni di monache, e si direbbe che i muri stessi ne parlano... Un edificio molto decadente, mancanza quasi assoluta, di... "comforts moderni", clima più freddo del nostro, una vasta clausura di boschi incolti (e..meravigliosi!), un ambiente naturale di solitudine e silenzio ideali. Questo è il panorama.. esteriore. Interiormente: una grande distensione e fiducia, condita da uno spogliamento progressivo.. nella pace. Vivo: questo è tutto. Il «come» mi interessa sempre meno, e la gratitudine sembra divenire uno degli elementi dominanti del mio vivere.
Si abbia tantissimi auguri, in Lui


Suor ***

citazioni

In ogni granello di sabbia c'è un dirupamento di montagna.
Le foglie secche... Volano o cadono? O forse in ogni volo la terra resta in attesa, e in ogni caduta c'è un tremore di ala?
Dissi ai sassi: "So che voi siete le stelle che cadono... ". Subito i sassi si incendiarono, e per quell'istante brillarono - poterono brillare - come le stelle.
Dulce Maria Loynaz


UNA LETTERA SULLE CARCERI DI FRANCO
Il liberale "Guardian" ha pubblicato con rilievo la copia di una delle lettere inviate al ministro spagnolo (Iribarne, ministro dell'informazione e del turismo) da numerosi intellettuali e detenuti politici per denunciare casi di torture inflitte nelle carceri di Burgos, di Madrid e di Bilbao. La copia della lettera - dice il giornale - è stata fatta uscire di nascosto dalla prigione di Burgos e inviata a Londra.
Il detenuto Meliton Morena Alcoroche, che ha subìto torture nel "carcere modello" di Madrid, è stato ricoverato in un manicomio criminale. Pazzo pure, sempre a Madrid, è divenuto Enrique Lerma Monroy, il quale "a causa delle continue torture" ha tentato di togliersi la vita, "tagliandosi le vene dei polsi con le lenti degli occhiali".
Potrebbe bastare; ma la lettera aggiunge che anche l'esistenza dei detenuti politici è un inferno. Basti dire che per essersi rifiutati di ascoltare la messa, un gruppo di detenuti a Burgos è stato condannato a un mese e mezzo di cella d'isolamento e a un anno supplementare di pena.

SALAZAR PRENDE DI MIRA GLI INTELLETTUALI
E' stata, oggi 7 dicembre, la volta di due intellettuali di Oporto: Manuel de Oliveira, uno dei più noti produttori cinematografici del Portogallo, e dell'avvocato Mario Cal Brandao. Oliveira, che è cattolico, aveva recentemente prodotto un film intitolato «L'arrivo della primavera», dedicato alla passione di Cristo e girato con attori non professionisti. I due arrestati sono stati trasportati al quartier generale della polizia. Non si sa quali accuse precise siano state loro mosse.


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