LA VOCE DEI POVERI: La VdP dicembre 1963

Un Vescovo del Concilio

Un vescovo l'altra sera parlava a un gruppetto di giovani. Un Vescovo dall'aspetto molto dimesso, quasi trascurato. L'unico segno visibile della sua dignità era un grosso anello di metallo bianco con una pietra rettangolare viola: anelli del genere li ho visti soltanto portare da qualche operaio o contadino. Parlava con una certa difficoltà la nostra lingua e ogni tanto si faceva aiutare dall'uditorio, molto impegnato a suggerire le parole adatte. Una immensa diocesi la sua, grande come tutto il Belgio e appena una trentina di sacerdoti. Eppure era sereno, quasi ottimista, anche se, evidentemente, questo ottimismo voleva dire e era soltanto una Fede immensa e un Amore senza limiti.
Gli traspariva la ricerca appassionata del Regno di Dio nel mondo e l'impegno totale di servire alla Gloria di Dio e al Mistero della salvezza di tutti gli uomini.
E quindi, allora, il desiderio struggente di rendere la Chiesa pronta e aperta a tutta la sua missione di presenza viva ed efficace del Mistero di Gesù Cristo dentro l'umanità specialmente del nostro tempo. Ne risultava, coraggiosa e scoperta, una visione di tutta la realtà umana nella difficoltà dei suoi rapporti con Dio, una oggettiva constatazione della disunione del mondo cristiano e del bisogno, così tanto sentito e scoperto di obbedienza al precetto del Signore di essere, fra fratelli, una cosa sola: e le possibilità, le complicazioni storiche, geografiche, i punti positivi raggiunti e le difficoltà, in questo momento, apparentemente insormontabili...
D'altra parte questo Vescovo dalla croce pettorale fatta col legno di un albero che un tempo copriva di foreste la sua terra e dall'anello pastorale come quello di un contadino, parlava con tanta schietta semplicità e onesta immediatezza, delle tremende responsabilità che pesano sulla Chiesa di Dio del nostro tempo.
Il Concilio, diceva, è una immensa fatica per una ricerca veramente appassionata, che la Chiesa fa per rinnovarsi e, per quanto l'assoluta e perfetta fedeltà alla Verità, di cui essa è custode e maestra infallibile, le consente, di adeguarsi al momento storico in cui vive l'umanità del nostro tempo in modo da essere, come misteriosamente, ma concretamente cioè storicamente deve essere, presenza continua del Mistero d'Incarnazione del Figlio di Dio fra gli uomini, Gesù Cristo.
Perchè tutto questo Mistero possa essere vivo nel mondo ciò che il Concilio sta facendo (e è ciò che del Concilio più appare e viene seguito) non può essere determinante e tanto meno decisivo anche se, ovviamente, ha una immensa importanza. Perchè non saranno le nuove leggi, le innovazione, le riforme strutturali e disciplinari a rendere più accettata la Chiesa nel mondo né più efficace la sua opera di evangelizzazione.
Nemmeno possono bastare i grandi esempi che il Concilio sta offrendo per significare lo Spirito nuovo, più aperto e sensibile, pronto e coraggioso, che deve animare tutta la Chiesa e tutta la Cristianità in modo da essere sempre più vivente testimonianza di un dovere di Verità e d'Amore a misura universale.
Ciò che occorre in modo assolutamente condizionante è che il Concilio arrivi dentro la Cristianità, è necessario che sia accolto dai cattolici, non tanto con ossequiente ma distaccato rispetto e nemmeno come una nuova sistemazione di consuetudini, usanze e anche tradizioni d'importanza sempre molto marginale e insignificante, alla quale si cercherà, per quanto è possibile, col tempo di adattarci.
Il Concilio, diceva il Vescovo con una sorta di angoscia e profonda preoccupazione, ha bisogno assoluto per raggiungere i suoi scopi e realizzare i suoi motivi, ha bisogno di ottenere una vera e propria conversione del popolo cristiano cioè di tutta la Chiesa, una trasformazione di vita e d'esistenza.
E' difficile dire e spiegare in cosa deve consistere questa conversione, ma è certo che ognuno di noi, diceva il Vescovo - e gli si poteva misurare nell'anima l'intensità e la forza della sua convinzione - è necessario che sia diverso da quello che è stato fin qui, perchè la Chiesa possa apparire nuova, perchè i cristiani possano riuscire a far accettare la loro Fede e ottenere Amore alla Chiesa viva «dentro» l'esistenza umana, realmente incarnata fra gli uomini a compiere il suo Mistero di salvezza.
Arrivato a questo punto, per chiarire l'importanza della necessità di essere «nuovi» per essere secondo le nuove esigenze che la storia ha stabilito nell'esistenza umana nei confronti della Chiesa e, in genere, di tutto il problema religioso, il Vescovo si è messo, a mo' d'esempio, a fare un racconto e usava molta mimica efficacissima e una descrizione molto spiritosa e fantasiosa, ricchissima di immagini molto significative.
Immaginiamo, raccontava il Vescovo, che una famiglia, chiamiamola così Gentilini, marito, moglie e figli, riceva in eredità un castello, uno di quegli antichi splendidi castelli medioevali, perfettamente conservato.
La famiglia Gentilini va a vedere il castello per prenderne possesso è quindi abitarvi. E il Vescovo descrive la scena rendendola molto viva. Il ponte levatoio. Muraglie di fortezza. Finestrucole inferriate. Strade d'acciottolato per cavalli. Porte segrete. Cunicoli bui... E niente luce, niente bagni, niente televisione, niente radio ecc. E neanche l'ombra di mentalità moderna. Passati i primi momenti di stupore e sorpresa la famiglia Gentilini si mette al lavoro e risistema il vecchio castello in modo da renderlo abitabile e confortevole.
Ma ultimati i lavori si presenta un altro grosso problema.
Se i Gentilini sono una famiglia poco simpatica, con il padre ubriacone, la madre irritabile e suscettibile che scatta ad ogni momento da sembrare un basilisco, i figli sciocchi, pigri, inebetiti ecc.. non possono avere molti amici che vadano ad abitare nel castello rimodernato. Gli inviti cadranno nel vuoto e nessuno vorrà avere rapporti con la famiglia Gentilini. Il castello è bello, ma I suoi abitanti sono assurdi, impossibili, scostanti...
Il racconto è troppo scoperto perchè ci sia bisogno di fare le giuste applicazioni: sono chiarissime. E il Vescovo conclude dicendo che la Chiesa sta facendo un lavoro immenso per ammodernare le sue istituzioni, rendere viva la sua pastorale, accogliente e soddisfacente ai bisogni del nostro tempo la sua struttura. Ma in modo particolare sono gli abitanti del castello che devono operare una profonda conversione. Devono rendersi testimonianza viva, intelligente, serena, aperta, autentica, di una Verità che rivelata da Dio e incarnata da Lui nel mondo, pur rimanendo interamente se stessa, può e deve incarnarsi in ogni tempo, in modo da non essere soltanto un ricordo di altri tempi, una cultura passata, un pezzo da museo, da conservarsi gelosamente come un glorioso patrimonio indice di grandezze e glorie tramontate. Bisogna che la Chiesa ritrovi la sua forza di presenza, il suo Mistero di vita vissuta dentro l'umanità intera e in ogni tempo. Perchè il Suo Mistero è essenzialmente Mistero d'Incarnazione per poter essere Mistero di Redenzione nel mondo.
Ogni cristiano porta in sé questa tremenda responsabilità di rendere vivente nel suo tempo la Chiesa e il Concilio vuole essere invito solenne e appassionato e nel frattempo aiuto concreto e generoso, per l'assolvimento di questa responsabilità.
Naturalmente il parlare del Vescovo è stato molto più vivo e colorito di questo povero articolo. Ci siamo permessi però di riferirne le idee più importanti: oltre a tutto hanno anche la preziosità di una sincerità sofferta e pagata, pensiamo, molto duramente, dal momento che non finiva di ringraziare perchè una famiglia che nemmeno lo conosceva gli ha dato un letto per quella notte. E al mattino quando l'abbiamo accompagnato alla stazione, voleva portare da sé, a tutti i costi, un grosso sacco a tracolla dove aveva le sue cose personali e una pesante valigia piena di libri e fogli e fotografie da distribuire in qualche seminario nella speranza di una vocazione che andasse a fare qualche prete in più di trenta che sono nella sua diocesi. Una diocesi grande come il Belgio e parrocchie con villaggi lontani anche 150 kilometri: povero Vescovo dalla croce pettorale fatta con un pezzo di legno di un albero che cresce nella sua terra.


La Redazione

Natale mistero d'amore

A volte si ha bisogno di cercare e di trovare particolari chiarezze perchè ciò che crediamo attraverso la Fede intorno ai Misteri di Dio scenda a illuminare tutta questa nostra realtà terrena, umana, temporale, spandendovi dentro quella luce che la Fede ha fatto splendere nelle cose di Dio, in modo che «tutto» sia illuminato dalla stessa luce, perchè tutto sia nella stessa luce.
Per il cristiano non vi sono due pesi e due misure e non vi possono essere due o più. metodi per stabilire conoscenza e esperienza della realtà. Non vi possono essere due o più sistemi di esistenza. La Fede e l'Amore per la potenza della Redenzione operata da Gesù e realizzata in noi dallo Spirito Santo, ha capacità sufficiente, se noi consentiamo, che «tutto» sia ricondotto all'unità, a quella misteriosa unificazione in cui è la Gloria di Dio, perchè così è il Suo Essere divino.
Allora è possibile trovare Dio in ogni realtà o meglio è possibile - e è cosa meravigliosa e adorabile - che ogni realtà porti Dio con sé a comunicarLo, a donarLo.
Basta stabilire le condizioni essenziali, logicamente necessarie, e tutto «porta» Dio, come la materia di ogni Sacramento la Grazia, come la parola il pensiero, come ogni segno la parola...
Ho pensato in questi giorni che la condizione essenziale perchè ogni realtà, ogni fatto, una persona, una ricerca, la preghiera, l'amicizia, un gesto, una parola ecc. possa avere Dio con sé fino a portarLo e comunicarLo, bisogna che sia Amore.
Tutto ciò che è Amore porta Dio, ha Dio in sé, comunica Dio. E' di Lui misterioso Sacramento.
E ha Dio nella misura in cui è Amore. Limpido, sereno, trasparente Amore.
Logicamente dove Dio è, lì vi è l'Amore. Perchè Amore è l'Essere Divino.
E ogni Amore vero - evidentemente non si parla che di questo - è semplice espansione di quella infinita sorgente, come un raggio di luce è espansione di una sorgente di luce.
Tutto questo Mistero mi viene da pensare che sarebbe facile a capirsi e sembrerebbe anche facile a realizzarsi, se tutto fosse e avvenisse nelle realtà spirituali o soprannaturali.
Ma tutto, almeno apparentemente, si complica quando questo Mistero di Amore contenente il Mistero di Dio, deve compiersi nella realtà materiale, qual'è il mondo, nella realtà materiale-spirituale quale l'uomo, i suoi rapporti, la sua esistenza così complessa e complicata, la sua storia così sconcertante e disordinata.
Noi uomini siamo una realtà di contrasto, di opposti. E è difficile - sembrerebbe anzi impossibile - stabilire un ordine di valori quieto e sicuro. A volte è quasi assurdo dire cos'è che in noi comanda e determina: se la carne o lo spirito, se il cuore o l'anima, se l'istinto o Dio. E spesso tutto è confusione tale da poter scambiare con facilità una cosa per l'altra.
E allora potrà essere in noi l'Amore vero, quello secondo la natura di Dio e che porta Dio in sé fino a comunicarLo?
E quando in noi è chiara e sicura questa condizione essenziale di Amore?
Mi pare quest'anno di pensare al Natale, al Mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio fra gli uomini, come a un atto di fiducia infinita nella possibilità che la carne e l'anima umana possa essere Amore. Perchè Dio ha preso dal Seno verginale di Maria carne e sangue di uomo perché questa Natura umana sia Amore, cioè Dio fra gli uomini.
In Lui l'Amore si è fatto carne e è venuto ad abitare fra noi. Dopo di Lui e in grazia e forza di Lui (e è meravigliosa e gliene sono infinitamente riconoscente di questa Redenzione) «ogni uomo che viene a questo mondo è illuminato da questa luce vera» (Gv. 1,9) fino al punto che può essere luce come un raggio di luce.
E in questa luce tutto può essere illuminato a giorno in uno splendido sole di Verità.
Non per nulla il Suo comandamento sarà quello dell'Amore senza limiti e difficoltà, senza ritegni e saggezze. Amore a comandamento assoluto, all'apparenza perfino irrazionale e assurdo. Perchè l'Amore non può comandare che Amore e non conosce altra legge che l'Amore.
Il Cristianesimo è fatto di questo ottimismo e fondamentalmente è una visione universale di bontà. E' un infinito atto di fiducia che gli uomini sono chiamati a compiere, a seguito della Fede in Gesù Cristo, in tutta la realtà dell'esistenza. Fino al punto che anche ciò che è male può diventare bene, ciò che è cattivo può trasformarsi in bontà, ciò che è perdizione in salvezza.
Veramente l'Incarnazione del Figlio di Dio vuol dire l'entrare nel mondo di tutta l'onnipotenza dell'Amore di Dio. E Gesù nella sua vita storica (e è cominciata a Natale e continua anche oggi e fino alla fine del mondo) è una realtà dell'universo e dell'umanità unita alla Persona del Figlio di Dio, perchè «qualcosa» di questo mondo e di questa vita sia contenente di tutto l'infinito Amore che è Dio e lo porti fra gli uomini fino ad abitare fra loro.
Il Mistero dell'Incarnazione è veramente il secondo e mi sembra più vero inizio della storia del mondo. Veramente «nuovi cieli e nuova terra» con Lui sono nati. E tutta la realtà è diversa perchè può essere Amore. E può avere Dio con sé. Può portarLo. Può comunicarLo e donarLo. Allora è realtà vera, completa. Non è illusione o apparenza. Non promette sapendo poi di non poter dare. Non tradisce.
Io posso fidarmi di te e tu puoi fidarti di me. Perchè Amore vero posso essere io per te e tu per me. E quest'Amore «porta» Dio in noi, perchè ogni volta è dono scambievole di Lui. Passa fra noi Dio attraverso la gioia e la dolcezza dell'Amore. E siccome non vi è ombra di egoismo per quella Verità di Amore, Dio attraverso noi allarga il Suo espandersi fino a essere comunicato a ogni realtà e a tutta l'esistenza. Sono tanto felice che sia il Cristianesimo a rapportarmi a questo mondo, a scavarmi nel cuore una immensa fiducia nelle cose e negli uomini e una essenziale speranza. Sono felice che l'Amore a Gesù Cristo mi abbia scoperto e aperto all'Amore. So di dovergli tanta, infinita gratitudine, perchè l'Amore per Lui mi ha dato libertà e Verità d'Amore fino a misure diversamente impossibili.
E' molto importante che Dio sia nato fra gli uomini. E' molto importante che Gesù ci sia. Il mondo è diverso con Lui. Tu non saresti ciò che perchè c'è Lui sei per me. Così l'umanità intera. E questo tremendo Mistero della vita.
Perchè ora credo che tutto può essere Amore e che l'Amore è perchè l'Amore porta Dio.


don Sirio

A Gesù Bambino

Tu sei Dio. Immenso. Infinito. Onnipotente. Eterno... e sei riuscito a farti Bambino. Piccoletto bambino, fragile, nudo, quasi niente..
Come hai fatto? Noi vorremmo tanto saperlo! Perchè, poi, Bambino sempre sei rimasto. La tua vita è stata la vita di un bambino cresciuto, ma nonostante le cose di tremenda importanza che hai fatto, sei rimasto bambino tant'è vero che gli uomini (e sono così tanti) non riescono a prenderti troppo sul serio.
E le tue parole non sono state un parlare da bambino? Hai detto cose sublimi, ma sembrano racconti di un mondo di sogno e sono ideali di una terra che può essere abitata soltanto da bambini.
E quando Ti vedo sulla croce, nudo inchiodato lassù, non riesco a vederti diverso dal Bambino sulla paglia dentro le quattro tavole della mangiatoia.
Come hai fato, Signore Dio Gesù, a farti Bambino? Perchè più onnipotenza ti è occorsa che a creare l'universo e certamente tanto più Amore Ti è stato richiesto. Forse sono cose allora che Tu soltanto puoi fare? Per noi sembra proprio impossibile essere bambini, nonostante che Tu ce l'abbia comandato, perchè ancora ci sembra soltanto un assurdo.
Perchè gli anni che abbiamo (chissà perchè, dato che abbiamo l'eternità davanti) ci rendono adulti. E il crescere dell'esperienza ci rende saggi e giudiziosi cioè furbi e diffidenti. E questo mondo nel quale si vive è troppo complicato e noi lo subiamo...
Come hai fatto, Tu che sei l'infinito Dio, a essere un Bambino?
Ecco: forse è perchè hai obbedito soltanto all'Amore. E poi hai respinto le mezze misure. E quindi hai voluto essere veramente Te stesso anche quando ti sei fatto Uomo.
E' chiaro: allora non potevi che essere sempre un Bambino fra gli uomini.
E' vero: noi non siamo bambini perchè spesso nemmeno siamo uomini ma soltanto fantocci vestiti di falso e d'orgoglio.
O Bambino Gesù, da solo con chi giochi a fare il tuo Regno? Dacci essere bambini insieme a Te, Bambino Dio, perchè insieme ad altri Bambini è più bello anche per Te giocare al Regno dei Cieli.


* * *

Riflessioni sull'amore umano

Nella spiritualità coniugale, bisogna tener conto dei due atteggiamenti psicologici diversi: è giusto cercare una preghiera comune, una spiritualità comunitaria, ma non bisogna perdere di vista che Dio attende dai due una diversa risposta; come pure è diversa l'espiazione che impone loro, dopo il peccato (Gen. 3, 16-19) e in Gesù - il Redentore - vedremo illuminarsi nel suo aspetto positivo (capitolo della Samaritana per esempio).
Non può anche l'uomo amare Dio di un amore folle? Certo, ed è una perfezione; ma generalmente la legge di struttura del matrimonio cristiano è questa. E non si tratta di una differenza quantitativa, quanto di una elezione che risponde alla struttura vocazionale dei due. E' facile notare per esempio che, nel caso di una donna che abbia raggiunto l'amore folle per Dio, può diffonderlo nel marito e nei figli attraverso l'amore di amicizia; più difficilmente avviene l'inverso. Ho sottomano esempi assai istruttivi: un marito non riesce ad accendere di amor di Dio la moglie normalmente. Quando il marito ha verso Dio l'amore che spetterebbe a lei, la donna si sente defraudata. Sente che non ha niente di proprio da dare, che le è stata tolta la sua missione specifica nella casa. Mette in comune di malavoglia gli atti di pietà col marito, con l'intuizione che lui non ha veramente bisogno di lei. Mentre di solito il marito, la cui vocazione è il «lavoro della terra», il «sottometterla» e «possederla», vuol trovare nell'amore coniugale un amore sintetico: Dio e la donna, o Dio attraverso la donna. Dante ama Dio di un amore reale, serio, fortemente e virilmente logico, ma il suo è un amore di amicizia: gli serve fino al purgatorio, alla liberazione della colpa. Per il paradiso, per l'amore assoluto di contemplazione, di distacco totale, gli è necessaria Beatrice; lei è tutta rivolta a Dio e rifrange in amore di tenerezza di compassione, di amicizia efficace «sull'amante sacro», l'amore folle di cui si nutre in Dio.
La complementarietà delle due creature sul piano fisico e psicologico, ha una radice ancor più profonda nella sfera spiritualità, dove si impone ancora di più la delicatezza e il rispetto e la rinuncia. L'amore di Maria e di Giuseppe ci viene rappresentato in questa atmosfera di rispetto di Giuseppe per Maria che stava in un dialogo specialissimo con Dio. Il rispetto non toglie nulla alla tenerezza profonda che lega i due coniugi, al contrario le dà una dimensione singolare. Nell'incontro di due persone che hanno capito che l'amore è una burla o una tragedia se non c'è Dio, è bene ci sia uno sforzo di ricerca dell'unità sul piano spirituale; ma lo sforzo deve essere sfumato di riserbo, di rinunzia, di silenzio e di rispetto profondo per il disegno che Dio ha su ciascuno dei due. L'ispirazione di questo rispetto può essere data solamente dall'amore di dilezione, che non è geloso, ma si compiace che l'altro abbia la sua parte che Dio lo conduca per mano a entrare perfettamente nel suo Ordine dove si sentirà compiuto e necessario. In un desiderio di uguaglianza assoluta può nascondersi l'insidia della concupiscenza che vuole tutto il frutto e solo per sé; e il pericolo della concupiscenza è che distrugga un frutto d'amore che il Signore, attraverso lunghe e difficili stagioni, porta alla maturazione.

Arturo Paoli
(da "Testimonianze" rivista mensile fiorentina di spiritualità)



Mi aggrappo alle vesti di Dio

Dio siede su un trono di tenebra
dentro il mio cuore.
So che Egli solo, e nessun altro, è Dio.
E siede ai suoi piedi accanto a lui,
una fanciulla nel buio.
La mia gioia conosce il suo sguardo,
e il mio dolore è tentato
A indugiar nel pensiero
ch'Egli da me distolga il Suo volto.
Dio indossa le vesti della sua immensa pietà.
Non di velluto o di seta,
non morbide al tatto.
Ma di stoffa robusta
a cui una mano frenetica possa aggrapparsi.
Ed io la tengo stretta fra le dita
della mia volontà.
Questo è il mio grido di fede, la confessione profonda
Della mia polvere innanzi al Signore
L'altra dichiarazione della speranza che ho in Lui.
Non occorre che io vada lontano
Sui monti d'eloquenza, nell'entroterra di musica
Perché un grido si levi
nell'assoluto silenzio dell'anima.
Questa è la mia potente preghiera
nel bene e nel male:
- Qui nella notte, mi aggrappo alle vesti di Dio. -

Jessica Powers



La poesia dei giorni

15 novembre - Sento la Croce come un filtro immenso contro cui battono tutte le acque del mondo, da quel dolore l'acqua ne esce limpidissima, degna dello sguardo del Padre. Ho battuto anch'io la mia pena e tutte le mie scorie contro quel filtro gigante e so che Dio mi guarda con gioia.
17 novembre - Abbiamo preso l'abitudine della nostra passeggiata domenicale sulle colline. Questo paesaggio toscano così vicino alla pittura grottesca, l'essere insieme per un'ora di serenità, mi dilatano l'anima all'infinito.
22 novembre - Sono salita sul tetto e ho scoperto quanto è dolce il tetto della propria casa con la patina verde sulle tegole e il grande comignolo nero. Il tetto protegge i nostri giorni, li tiene racchiusi come un tesoro in uno scrigno e intanto le piogge, il sole, le nebbie lasciano la loro impronta sulle tegole e il fumo delle nostre giornate calde tinge il comignolo di nero.
23 novembre - E' stato ucciso Kennedy; di fronte a questa esplosione di odio "lo so bene che è difficile credere in Dio - più assurdo accettare che vi sia una logica nel mondo" così ho letto ne "La voce dei poveri" e vi si conclude: "Credo che forse è perché ci sia concesso di acquistare il diritto alla infinita, dolce, paterna, anche se tanto misteriosa pietà di Dio". Io non credo che Dio ci abbia creati perché noi siamo l'oggetto della sua pietà, credo, forse con orgoglio, che noi compiamo un atto stupendo d'amore credendo in Dio anche se avvengono in ogni momento cose di cui non vediamo, non sappiamo trovare motivi che le spieghino. Quando noi amiamo Dio ugualmente, più andando a sbattere contro un "Mistero troppo più grande di noi" facciamo una cosa splendida e Dio per questo ha creato il mondo, perché arda un braciere di quest'amore.
1 dicembre - Guardo il mese passato, è stato una faticosa ripresa a vivere dopo che con il mio babbo ero morta, ogni giorno piano piano ho ripreso le abitudini e i doveri lasciati, ora sono quasi serena, è questa la poderosa forza della vita e dell'amore.



Grazia Maggi

Chiarezza di principi

Che confusione non cessa di regnare intorno all'insegnamento dei Papi nelle Encicliche! Come se si potesse farne materia di un programma propriamente politico! Non so se certi preti sono coscienti dell'errore che non cessano di conservare nella mentalità dei cristiani.
Ogni partito cristiano deve certo ispirarsi nella politica ai principi insegnati solennemente dalla Chiesa. Ma quanto al miglior modo di realizzarli in concreto, qui sta lo scopo della politica, e vi possono essere molti modi di restare fedeli ai principi della Chiesa in materia sociale. L'insegnamento della Chiesa non può costituire in se stesso un programma politico: qui è l'errore. Questo insegnamento si limita alla sfera dei principi. Quanto alla loro applicazione in concreto, questo sarà compito di un programma di azione politica, e questi programmi potranno essere numerosi secondo la diversità delle situazioni e secondo, bisogna ben dirlo, le abitudini di pensiero e i temperamenti degli uomini politici che dovranno tradurre quei principi in fatti concreti.
Vi sarà sempre una politica di sinistra e una politica di destra, che potranno, l'una e l'altra, definirsi riferendosi all'insegnamento della Chiesa.
Ma ciò che mi addolora è che la tendenza più generalizzata fra i cristiani e il clero è di tendere verso una politica di destra. Sì, vi è una maniera di considerare le cose umane che dà una grande importanza ai valori dell'ordine stabilito e alla ricchezza economica, e vi è un'altra maniera di considerare le cose umane che si pone avanti a tutto dal punto di vista dei poveri. Questi ultimi hanno il torto di non avere della competenza, e le loro aspirazioni contraddicono a volte le regole sane e ragionevoli di un'economia capitalista ben amministrata. Mi pare che vi sia una prudenza dei poveri e una prudenza dei ricchi. E se provo della tristezza, è perchè la maggior parte delle reazioni politiche dei cristiani si ispirano più alla prudenza dei ricchi che a quella dei poveri.
L'insegnamento molto preciso del Santo Padre (Giovanni XXIII), nell'ultima enciclica, afferma che ogni opinione politica deriva prima di tutto dalla responsabilità dei laici competenti. Il che vuol dire che la Chiesa nella sua gerarchia, pur riservandosi il diritto sovrano di giudicare tutte le imprese umane dal punto di vista della morale divina, non deve più scendere direttamente nella arena politica.
Voglia il cielo che questa suprema saggezza sia compresa, e che coloro che si pongono, in politica, dal punto di vista dei poveri, sia pure a prezzo di qualche errore - e chi non ne fa anche a destra? - non siano più costantemente giudicati e condannati senza misericordia, come se si allontanassero dall'insegnamento della Chiesa.

(Trad. da un diario privato francese)




L'obiezione di coscienza

Il 15 ottobre «la Corte di Appello di Firenze ha inflitto a Padre Balducci 8 mesi di reclusione per apologia del reato di disobbedienza commesso dall'obiettore di coscienza Giuseppe Gozzini di Milano e per cui il Gozzini subì sei mesi di condanna dal Tribunale militare. Sempre con le attenuanti, il giornalista Leonardo Pinzauti ha avuto 6 mesi di reclusione, avendo pubblicato sul giornale da lui diretto, l'articolo di Padre Balducci».
Non è che riportiamo questo fatto di cronaca giudiziaria per intervenire nello spinoso problema dell'obiezione di coscienza, anche se per noi, che ci occupiamo di problemi di dignità della persona, umana, la coscienza ha diritto a tutto il rispetto del suo primato sul piano morale, e nemmeno per rivendicare la libertà di opinione e di giudizio sulle istituzioni umane, quali esse siano, specialmente quando questa opinione è espressa in modi corretti e rispettosi, ma abbiamo riportato questo fatto di cronaca per prendere una precisa posizione sui problemi della pace.
Si può parlare e lavorare per la pace nel mondo in molti modi e con assoluta indipendenza da ogni politica. Uno dei modi, per riferirci al fatto di cui sopra dell'obiezione di coscienza, è lottare contro il militarismo o se non altro, fare di tutto per smontare quell'alone di grandezza, quel clima epico, quell'onore militaristico ecc. di cui il militarismo si pasce.
E questo naturalmente senza diminuire e tanto meno togliere niente di rispetto, di gratitudine, di gloria a chi alla patria ha dato la propria vita sui campi di battaglia. Ad essi andrebbe assai di più dei monumenti sulle piazze e della poca pensione che ripaghi una gamba, gli occhi o la vita perduta.
Ma ci sembra che sia anche per Amore di loro, i sacrificati, che certo spirito guerriero, combattentistico e militarista debba a poco a poco sparire.
Desideriamo semplicemente che finisca sempre più il tempo dei colonnelli, dei generali o che almeno sempre più sia ridotta, per chi la vuol fare di mestiere la carriera militare, alla normalità di una sistemazione di se stessi e logicamente sempre meno importante, per il bene comune, della professione di medico, di avvocato, d'impiegato di banca ecc.
Il tempo anche qui deve andare avanti e ciò che è stato una volta non è detto che debba continuare, pena la perdita di valori gloriosi. Una volta era grandezza avere spirito guerriero e attitudine militaresca, ai nostri tempi, per fortuna è assai meno grandezza: ne viene naturalmente una maggiore possibilità di pace per tutti: non si vede come non sarebbe immenso vantaggio per la pace se questo spirito militarista sparisse completamente.
Affinché questa liberazione (o purificazione che sia) avvenga bisogna che qualcuno inizi una disobbedienza che non è alla patria e alla sua sicurezza e alle sue glorie, è semplicemente una disobbedienza a una mentalità di esistenza e a un costume storico che è bene per l'umanità che sparisca. Siccome è tradizione connaturata coll'istinto belluino umano, aggravata da millenni di orrendi trionfi e glorie pagate da oceani di sangue, bisogna fare un lavoro di rottura.
E qualcuno che inizia bisogna che paghi, come succede in tutte le cose.
E' per questo che guardiamo agli obiettori di coscienza con simpatia e siamo solidali con Padre Balducci e il dott. Pinzauti che hanno difeso il loro diritto a prendere posizione nell'unica guerra buona, quella fatta contro la guerra e con tutto ciò che di guerra sa e che alla guerra si richiama.


d. S.

La morte di Kennedy

Kennedy è stato assassinato il 22 novembre. Sei giorni dopo, un ragazzo di Brescia, di 12 anni, alunno di seconda media, si è sparato tre colpi di pistola al viso, nel buio della sera, lungo un marciapiede della città. Gli è stato trovato nella tasca un biglietto spiegazzato, dove aveva scritto: «Sono stanco, non ce la faccio più, sono sconvolto per la morte di Kennedy».
Un ragazzo di 12 anni. Quella tragedia di Dallas lo ha sconvolto, gli ha fatto oppressione spaventosa fino a diventargli una stanchezza impossibile a sopportarsi.
* * *
I principi di Liegi partecipavano a una festa nella lussuosa residenza dei conti di Bismark, alla periferia di Bruxelles. Dopo il pranzo era in programma un ballo mascherato. Arrivò verso le 20 la notizia dell'assassinio del presidente Kennedy. I conti di Bismark ne informarono gli ospiti. I principi di Liegi dettero l'impressione di non darvi eccessivo peso, e la festa continuò normalmente.
Secondo «Pan», più tardi la viscontessa Stevie Davignon ritornò a parlare della tragedia. Paola, irritata, avrebbe detto: «La smettete con questa storia? Ci rovinerete la serata: credete sia bello? Ho in programma per domani una serata dalla contessa Camerana e lunedì un pranzo dai Descamps. Approfitteranno della circostanza per impedirmi di uscire».
Scrive il giornale che tutti gli astanti avrebbero partecipato al «dolore» della principessa, la quale avrebbe aggiunto: «Bah, ne approfitteremo per divertirci un po' al castello del Belvedere».
* * *
Madame Nhu, quella del Vietnam, non è venuta meno alla sua fama di faziosità e di cinismo nemmeno in occasione del tragico assassinio di Kennedy. Ha indirizzato a Jacqueline Kennedy una lettera di condoglianze intrisa di ipocrisia e perfidia.
Dopo un'introduzione in cui manifesta la sua «profonda simpatia in questo momento di choc è di dolore», la Nhu così prosegue: «Sebbene io avessi detto che tutto ciò che era accaduto nel Vietnam avrebbe sicuramente un equivalente negli Stati Uniti, francamente non vorrei augurare a nessuno di sopportare ciò che i vietnamiti e io stessa stiamo provando, vicini come eravamo alla vittoria contro il comunismo».
La Nhu termina il suo scritto aggiungendo untuosamente di aver «specialmente pregato per il presidente Kennedy» solo quando seppe che gli era stato impartito l'ultimo Sacramento senza che avesse «ripreso conoscenza».
* * *
E voglio perfino confessare, a questo proposito, un pensiero che mi è venuto mentre osservavo, alla televisione, la fila di tutti i Capi: un pensiero che, per essere sincero, faceva seguito a una fantasticheria o, piuttosto, a una volontaria allucinazione. Con i Capi, e anzi davanti ai Capi di un passo, non c'era anche, al centro della fila, un'ombra, una grande ombra bianca e mesta, l'ombra di papa Giovanni? E il pensiero è questo: più che un pensiero, è una convinzione: padronissimo, chi vuole, di non essere d'accordo con me: io sono convinto che papa Giovanni, se fosse stato vivo, avrebbe preso l'aereo e sarebbe andato a Washington ai funerali dì Kennedy.
Comunque, idealmente, papa Giovanni era lì. Anche se la signora Nhu non lo ha potuto vedere.
Mario Soldati

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