LA VOCE DEI POVERI: La VdP ottobre 1963

Il Concilio Ecumenico

Non crediamo che i Papi facciano le cose con la testa nel sacco e nemmeno che facciano qualcosa soltanto per tener la barca pari. In certe prese di posizione e in certi passi avanti non è che sia sempre la famosa e antipatica (per noi povera gente) diplomazia a guidare illuminata e sorretta secondo le sue tecniche da prudenti e saggi equilibrismi. Ma crediamo invece che sia lo Spirito Santo a smuovere, a spingere, a ottenere. E questo è vero anche se i motivi determinanti, le occasioni prossime o remote, sono la storia nel suo andare avanti e quindi nel suo imperioso costringere o anche semplici sensibilità e aperture strettamente personali. Lo Spirito Santo è libero (e libero rimane nonostante le difficoltà e le complicazioni che gli uomini stupidamente Gli impasticciano) di usare di tutto e di tutti per l'attuazione progressiva del Regno di Dio nel mondo. E le Sue vie, come dice la Scrittura, rimarranno sempre le Sue vie e i Suoi pensieri (fortunatamente) non saranno i nostri pensieri.
A prima vista queste novità, questi passi avanti possono anche apparire insignificanti, di poco interesse, di importanza limitata per es. al momento, a quella tale congiuntura, a quel preciso problema. Perchè noi (e è impressionante questa mentalità spaventosamente gretta e miserabile) noi se non vediamo la legge chiara e precisa, le disposizioni tassative, le ingiunzioni canoniche, non muoviamo un dito, non spostiamo una virgola, non spengiamo una candela, non azzardiamo una idea nuova, una apertura di cuore più larga nemmeno di un millimetro.
E' la paura di sbagliare (ci hanno convinti che ad agire di propria iniziativa si sbaglia sempre). E' non volersi prendere responsabilità (e facciamo i puritani fino al ridicolo e gli osservanti fino al fariseismo, conservandoci però, con cura, mentalità grette, mediocrità impressionanti e serenamente disinvolte). E' l'avversione al nuovo fino all'idiozia senza avvederci che è per pigrizia, per vigliaccheria, per interesse. E' per obbedienza e, diciamo anche, per fedeltà (e non ci accorgiamo che scambiamo spesso l'obbedienza con l'acqua stagnante, con la passività di tradizionalismo fossilizzato e quindi vuoto e inutile, con l'indifferenza attendista e, in fondo, menefreghista).
E anche dal Concilio, quindi, stiamo aspettando legge nuove, i canoni che rivoluzionino chissà cosa, il codice che cambi tutto da così a cosà. Ancora la visione della Chiesa come un complesso legiferante. Un tribunale che condanna o assolve. Schemi quadrati e esatti. Problemi a soluzione sicura. Toccasana per tutti i mali.
Se il Concilio non tira fuori un sacchetto di anatemi, che Concilio è?
Se non ci dice cosa dobbiamo fare, come ci dobbiamo comportare in questo mondaccio nel quale viviamo, con almeno qualche migliaio di canoni (sui quali poi i giuristi piomberanno per scrivere volumi e volumi di interpretazione e di spiegazione) che concilio è?
Se i Vescovi (e nel caso il nome di Padri conciliari sarebbe davvero appiccicato e assurdo) non ritornano a casa armati di autorità, decisi a far osservare la legge che portano in tasca, disposti e pronti al braccio di ferro, esecutori energici delle novità stabilite che Concilio è questo Vaticano II?
E quindi aspettiamo. Del resto di questa posizione attendista e passiva, che sta fuori, all'esterno, a guardare soltanto ciò che si vede attraverso le finestre illuminate del palazzo o trapela dalle indiscrezioni del personale di servizio, ne sono responsabili anche i Vescovi stessi che, almeno per quello che a noi risulta, tenendo conto delle eccezioni, come preparazione del popolo cristiano e dei preti al Concilio si sono preoccupati soltanto di preparare e di disporre all'obbedienza, secondo l'educazione spirituale ormai tradizionale per la quale tutto il rapporto cristiano fra gli inferiori e i superiori, i parrocchiani e il parroco, preti e Vescovi, cristianità e Papa, sta tutto nell'obbedienza (passività, attendismo, riverenza, servilismo ecc. come spesso succede che sia intesa e vissuta l'obbedienza).
E' perchè è in giro un clima del genere che le nostre apprensioni per le fruttificazioni del Concilio Ecumenico in ordine alla sua forza di innovazione e di rinnovamento, sono angosciose e temiamo assai.
Ci hanno detto che noi siamo pessimisti nei confronti del Concilio.
Neanche per ombra: abbiamo fiducia intera e totale, nel Papa e nei Vescovi uniti con Lui e specialmente nello Spirito Santo che senza dubbio è presenza operante Grazia di luce e violenza d'Amore nelle assemblee conciliari. Siamo invece preoccupati e spesso angosciati per il clima di passività e d'attendismo vuoto e superficiale che spira d'intorno, nella cristianità. Mentre sono già in atto innovazioni formidabili, riforme sorprendenti, mentalità coraggiose, attuazioni insperate...
Son già avvenute cose capaci di novità così assolute e già colmate di forza sconvolgente che tutte le leggi che verranno, il nuovo codice di Diritto Canonico, le disposizioni di riforma, le indicazioni pastorali ecc. saranno come la casistica di fronte ai principi di fondo, la sbriciolatura di un blocco compatto di granito, i rigagnoli di una fiumana travolgente...
Vi sono fatti e avvenimenti che di per sé hanno la forza, se noi li accogliessimo con animo aperto e con sincera volontà di trasformazione, di riforma, di rinnovamento, di rovesciare tutto un mondo cristiano piatto, stagnante, chiuso, incerto, pauroso, disorientato... in una viva e meravigliosa ricerca del Regno di Dio dentro l'umanità. Qualche esempio:
Il Concilio già di per se stesso, come fatto storico indicante scopertamente il bisogno della Chiesa di rinnovarsi e la sua volontà di riforma per adeguarsi pastoralmente, ma anche su un piano di esposizione dottrinale e strutturale, ai tempi moderni e al mondo attuale.
Il discorso di Giovanni XXIII all'apertura del Concilio.
I periti teologici chiamati al Concilio. E il nome di un gran numero di essi è indicativo di una profonda accoglienza delle novità del pensiero teologico del nostro tempo.
L'invito e la presenza di osservatori rappresentanti le Chiese dei fratelli separati. E la loro presenza è indicazione chiarissima che è finito finalmente il tempo in cui il sottilismo dottrinale e un brutto spirito settaristico cercava soltanto ciò che ci divideva, scartando con terrore ciò che invece poteva unirci. E il problema dei «lontani» sta diventando sempre più soltanto un problema d'Amore.
Lo svolgimento del Concilio, il clima aperto di serena e d'impegnata ricerca pastorale. La non paura del contrasto di vedute e di opinioni, qualche volta fino alla polemica. Le posizioni chiare, scoperte e coraggiose. L'aula conciliare è meravigliosa indicazione di un clima di appassionata ricerca, di un sincero e puro Amore alla Verità, di un impegno senza riserve e timori per il Regno di Dio nel mondo. E' la Chiesa viva e vivente nel travaglio della sua storia di presenza interamente rivolta nel Mistero dei destini dell'umanità e dell'universo.
Ultimamente il gruppo di laici chiamati da Paolo VI al concilio. E finalmente lo spinoso problema dei laici nella Chiesa ha avuto un inizio coraggioso. Perchè non pensiamo che Paolo VI li abbia chiamati con funzionalità puramente strumentale, ma perchè i laici sono la concretezza delle realtà terrene, perchè sono l'umanità per la quale la chiesa è, perchè i laici sono il popolo cristiano che insieme ai Vescovi uniti col Papa, è la Chiesa, il Corpo Mistico di Gesù Cristo, vivente in questo tempo su tutta la terra.
Cosa aspettiamo ancora per cominciare a rivedere mentalità e modi di fare, formalismi e tradizionalismi ormai svuotati, posizioni sorpassate e inutili, indifferenze e attendismi pigri, irresponsabilità assurde, conservatorismi ormai soltanto non voler mollare privilegi, non voler consentire alla storia e al regno di Dio che ci forza ad accoglierlo, noi e l'umanità, ad ogni giorno che passa?
Aspettiamo le leggi del Concilio, ma il Concilio è già in forza di sé stesso e nella storia del suo svolgersi, una legge meravigliosa, immensa fino a impegnarci anche nei più piccoli particolari di mentalità e di azione, obbligante fino allo scrupolo perchè è la Chiesa, comandamento vivo, che comanda a noi di essere tutto il Suo Mistero di Salvezza, di verità, d'Amore nel mondo.


La Redazione

Il tempo dei frutti

Sento questa stagione autunnale come il tempo della raccolta. Perchè tutto si affretta, in questi ultimi giorni di tepore e di sole di metà ottobre, a maturare. Sono le ultime fruttificazioni della stagione buona e hanno in sé tutta la fatica del tempo, del sole e della pioggia. Spesso sono sopravvivenze a grandinate terribili, a burrasche di pioggia e di vento, a siccità tormentose. C'è stato bisogno di infinita pazienza e di tenacia a tutta prova per rimanere attaccati al ramo, avviticchiati al tralcio. Volontà di maturazione a costo di tutto.
Adesso una mano raccoglie e ripone. Un ferro taglia e tutto cade nella cesta. O il tempo matura fino al punto che l'albero stesso rifiuta i suoi frutti e li lascia cadere e la pioggia autunnale li porta via a nasconderli sotto terra perchè la terra riprenda ciò che dal suo seno è uscito.
E' il tempo dei tramonti rosso fuoco sul mare e il velo disteso sull'acqua pare sangue sparso uscito a fiotti da vene aperte. E' un incendio che brucia, colora tutto di fiamma, il cielo e la terra e le cose: soltanto il buio lo spenge e lo copre a poco a poco di nera caligine sì che dopo sembra che tutto sia parato a lutto.
Quel rosso fuoco a incendio che brucia, il buio della notte lo spenge e il mare e le cose e le montagne si lasciano coprire di nero e di silenzio ma è fino al mattino: sono poche le ore di sonno vegliato di stelle che tremano lassù come rabbrividite dalla prima frescura d'autunno, mentre la luna passa, calma e solenne, a guardare se tutto va bene nel silenzio della notte. Ma poi il sole, anche se con maggiore ritardo, ritorna e a poco a poco, con tanto amore, e delicatamente, introduce uno schiarore sotto il velo di buio che copre la terra e poi, quasi di colpo lo solleva e tutto è nella luce splendida e distesa nonostante la leggera nebbiolina di prima mattina, allungata come fumo candido soffiato.
Ho visto così la sera e il mattino di questi giorni di metà ottobre, dopo tutta quella pioggia che ha inzuppato la fine estate e infradicito questo inizio d'autunno.
Ma non è stata gioia come quando è giovinezza o primavera o violenza d'estate. Adesso il guardare è troppo profondo e l'attenzione segue il mistero delle cose. Certa verità adesso esige obbedienza di ragionamento. Si va avanti seguendo il filo del pensiero anche se spaventa il suo portarci lontano. E il sentimento spesso, ormai, convince e porta via irresistibile dietro a necessità e urgenze misteriose.
E allora ho visto che il rosso fuoco di ogni sera, non tutto, la notte spenge col buio. Le foglie dei miei rampicanti lì fuori ne sono già state, un poco per sera, bruciate. I giovani platani che a primavera ho piantato, stanno ingiallendo e hanno già riflessi di ruggine rossa. E là davanti quei grossi pioppi, ad ogni sera che passa, quel rosso fuoco di tramonto autunnale, li tinge di colore stanco e morto fatto di rassegnata tristezza.
E' la mia stagione. Ormai so che ogni primavera è come il mattino di questi giorni d'ottobre. E' luce bellissima, è sole splendente, ma niente rinasce. Anzi diventa subito sera e è tramonto di rosso fuoco che colora d'autunno sempre più ogni cosa e fin quasi l'anima mia, perchè è colore di fuoco che brucia con incendio che niente può spengere.
Forse vi è tanta dolcezza a lasciarsi consumare dal passare del tempo. Ma non è giusto né bello dire che è il tempo che ci consuma e ci logora. Vorrei essere io - e forse è possibile - ad affidare al tempo che passa qualcosa di me perchè a poco per volta mi porti tutto là dove devo arrivare. La primavera, l'estate e adesso l'autunno. La fioritura, la maturazione, i frutti. E' il dolce consegnarci al tempo perchè ci porti come la serena corrente di un fiume verso l'oceano. Perchè il tempo è Lui, Dio, che viene e ci prende sulle braccia e ci porta. Io devo darGli, ogni volta, di me, ogni volta che passa. Se non altro la speranza. Spesso sarebbe giusto la gioia. Sempre l'Amore. Adesso i frutti.
Forse in questo tempo di autunno perchè è il tempo dei frutti passa più spesso. Quasi mi sembra che sia ogni sera che viene, appena dopo il tramonto rosso di fuoco che il buio, così fatto di Mistero, a poco a poco spenge.
E' molto bello che venga, è così tanto tempo che Lo aspetto con trepida attesa.
Già da quei giorni di primavera quando si affacciavano timidi e incerti, al primo sole e alla prima pioggia, i bocci dei fiori. Tanta paura allora, quando nuvoloni neri e minacciosi si profilavano all'orizzonte e si sbriciolavano in grandine fitta, si avventavano giù a scrosci di pioggia e il vento era ancora gelido di notte. Tanta violenza a fiumana e ardore e passione sotto il sole cocente: periodi lunghi senza una stilla di rugiada, non un momento di refrigerio né di giorno né di notte, che anche le stelle sembravano spietate, lassù, lontane, a guardare. Quanto ho aspettato e desiderato che qualcosa maturasse, su dalla mia terra così riarsa e dura, dove anche l'erbacce erano ormai spinose e i rovi rinsecchiti. Quante volte ho avuto paura che tutto bruciasse, che fosse già bruciato. Non era meglio lasciar cadere non solo i pochi frutti, ma anche le foglie?
Ecco, adesso è venuto finalmente il tempo dei frutti. Lui viene sicuramente. Che sia già venuto? Ma forse mi sono sognato per via dell'attesa così trepidante e spesso dolorosa, anche se colmata della gioia della Sua prossima venuta. Eppure mi è sembrato di udire una sera parlare, sul ciglio del campo. Ecco ciò che ho udito delle parole che ho sognato o che mi sono state portate dal vento. Una voce diceva, con energia e autorità:
«Ecco, son già tre anni che vengo a cercare del frutto da questo fico e non ne trovo affatto. Taglialo! Perchè deve occupare il terreno inutilmente?» Ma un'altra voce diceva, con tanta dolcezza, quasi supplicando: «Signore lascialo ancora per quest'anno, per darmi il tempo di scavare tutt'attorno e mettergli del concime; se farà dei frutti, bene, se no, lo taglierai». (Lc. 13, 6 - 9).
Ora che è il tempo dei frutti in questo mio autunno, questa pagina del Vangelo e altre ancora mi sgomentano perchè può darsi che il mio albero abbia soltanto delle foglie che il rosso fuoco di questi tramonti tinge sempre più di colore di ruggine vecchia.


don Sirio

Pellegrino

Il canto della natura Ti è vicino
ed io Ti cerco in queste valli assurde,
per posare il capo sulle foglie,
per dormire al canto dei Tuoi grilli.
Ma non vi è pace lontani dal Tuo Cuore
e l'acqua che beviamo non disseta,
il pane che mangiamo non ci sfama.
Le valli non sono i nostri letti
e il canto dei Tuoi grilli non ci culla.
Forse i miei passi stanchi, affaticati
percorrono già la strada del ritorno
e... forse Ti ho visto già infinite
volte chieder qualcosa... ed io non te l'ho dato!
Cerco fra i sassi e non vedo che occhi spenti,
cerco nei cuori e non trovo che macerie,
cerco nell'acqua e non vedo che i riflessi
della povera umanità che mi tormenta.
Forse però stasera, nel segreto dei fiori addormentati
proverò a cercarti nel mio cuore,
nella vuota aridità del mio dolore!

L.F.


La preghiera povera

Signore, voglio essere proprio brava. Senza paure e incertezze. Proprio buttata là... Voglio credere vivendo che Tu sei proprio Tutto. Aver fiducia unicamente in Te. Non mi deve importare altro. CercarTi e cercarTi sempre. Come quando ero piccola: senza ribellarmi, se è possibile, senza motivi tragici o difficili. Una fede limpida, cristallina, trasparente e profondissima. Null'altro.
Ti devo cercare con tutte le forze e cercare con tutto l'amore. Io ho Te come scopo nella vita. Non devo raccogliere altro. Non ci riesco sempre. Ma devo farlo, con serietà e serenità. Lo voglio per tutto il mondo.
Bisogna che sia felice di Te. Devo proprio credere e vivere soltanto in forza della Tua fede. Perchè è Verità universale e Amore per tutti. C'è salvezza per ciascun uomo se io consento al Tuo invito. Me lo ripeti sempre con tanta insistenza. E non ne ho voglia. Mi sgomento, ascolto i miei risentimenti, il cumulo e groviglio di difficoltà mie. Invece dovrei essere felice che nonostante sia così, Tu non ci guardi e continui e riversare un torrente di Amore e di aiuto.
Lo vedi però che le cose stanno cambiando? Un pochino, e a poco a poco. Ma vedrai che ce la farai. Quelle poche volte che Ti dico di sì con tanta strana fatica, accoglile. Ti prego, anche per quando non seguo. Lo sai che non ce la faccio proprio. Ma questo abbiamo detto che non conta niente, anzi deve essere raccolto per farne un motivo di Amore e di felicità e di Tua realtà.
Ho dei doveri così enormi, vasti profondi, irrimandabili da sgomentare. Lo so. Ma non troppo bene a volte. L'unico modo per essere fedele è che «Tu cresca» in me sempre di più. Lo sai bene. E Ti voglio far crescere proprio. E' anche facile se credo in chi sei Tu. Perchè devo avere paura? Perchè mi lascio sopraffare dalle idee degli altri? Non sei più importante Tu? Non sei tutto anche per loro? che vale di più: loro, le loro idee, mentalità, valori ecc. o la Tua Verità? Ho creduto che vale di più questa da tanto tempo e che vale non solo per me stessa, ma per tutti. Allora perchè non Ti lascio essere, e con gioia? Sarebbe tanto facile lasciarsi andare ad una fiducia immensa in Te. Sarebbe proprio metterTi al primo posto, al posto che Ti spetta. Devo farlo. In ogni momento e circostanza della giornata. FarTi «venire a galla» sempre. Non devo permettere che niente Ti impedisca di essere meno in me. Devi essere sempre più importante e unico.
Se sei veramente Dio, perchè non devo lasciarTi essere, perchè fatico tanto? Sii tutto, per favore, non importa niente, anche se ho tanta paura. Credo. Credo con Amore. Con serenità e anche con gioia.
L'umanità Ti cerca. Ed è così difficile farTi riconoscere in pratica. Ci perdiamo così tanto!
Ma ora ripartiamo da Te. Il resto lo cercheremo insieme e verrà. E' essenziale che Tu sia sempre di più l'Unico e Tutto. Anche accettare la morte dovrebbe essere un atto di Fede e di Amore come per la vita. Anche se si soffre così tanto. Questa Fede deve essere Vita. La Tua Vita. Le parole non hanno più senso. Resti Tu, anche se con fatica. Potrebbe essere con serena gioia. Perchè Tu sei Dio.

C.C.



La dolce pietà di Dio

Sempre più risolvo l'angoscioso Mistero del mondo e di questo esistere umano, invocando, a gran voce, fin dal di dentro il midollo del dolore, la dolce e sicuramente infinita pietà di Dio.
No, non voglio guardare da un'altra parte per non vedere, né tapparmi gli orecchi e più ancora chiudere il cuore, per non ascoltare, non voglio cercare d'indurire l'anima mia, anche se violentemente vi sono spesso tentato perchè forse sarebbe l'unica maniera per non soffocare. Lo so bene che è più difficile credere in Dio e è più assurdo accettare che vi sia una logica nel mondo, ma pure voglio essere esposto ad ogni vento di tempesta, disarmato contro ogni violenza, parte viva, coinvolto, in ogni tragedia.
Ho incontrato quel pover'uomo - è buono da non far male a una mosca e serio e onesto - che l'altro giorno ha ucciso con la macchina due povere donne e una portava in seno un bambino e ne ha ferito una terza gravemente. Non ha colpa lui, non hanno colpa loro: è certo. Ma sono morte e lui è più morto di loro. Perchè, gridava, perchè. Già, perchè. E sono andato a trovare quel povero babbo e quella povera mamma - era tanto tempo che dovevo andare ma non avevo ancora trovato il coraggio - che hanno perduto in mare il loro ragazzo di diciassette anni: si era gettato in mare agitato a salvare due tedeschi e ne ha portato uno alla spiaggia e è tornato ancora fra le onde sconvolte a tentar di salvare anche l'altro finché la rabbia del mare l'ha sopraffatto e vinto e portato via. Tre giorni l'hanno cercato quel povero corpo sulla spiaggia e sotto gli scogli. Un bravo ragazzo generoso e serio, già colmato di consolanti speranze per quella famiglia di povero operaio manovale. E la mamma piange ancora pur non avendo più lacrime. Quanti angosciosi perchè, duri e spietati come scogli battuti dal mare implacabile.
Poi ho letto nel giornale di pochi giorni fa di quell'ondata spaventosa fuggita sotto il crollare improvviso di mezza montagna e quella povera gente dormiva tranquilla, fiduciosa e l'ondata spietata l'ha travolta e seppellita, a migliaia, in tutta la vallata. Ora cercano le responsabilità e va bene. Ve ne sono senza dubbio. Anch'io forse ne sono responsabile ogni volta che accendo la luce di camera mia. Ma ciò che spaventa e smarrisce e annienta è quel Mistero di fondo troppo senza controllo e senza ragione, infinitamente più grande di noi e di tutto ciò che esiste. Non vedo, non so, non riesco a trovare motivi che spieghino, che diano un senso, un pur piccolo significato, un'ombra di valore. Trovo soltanto che sempre più si scava nell'esistenza l'abisso del dolore e sembra sempre più incolmabile. Mi accorgo che si cammina soltanto per andare a sbattere contro la disperazione di un Mistero troppo grande per noi. C'è qualcosa - e mi sembra che sia tutto - che ci rende poveri, miserabili, nulla. Ci spoglia fino alla nudità della nostra verità più spietata.
No, non mi ribello. Non dico di no. Non si sta spengendo la Fede, né mi abbandonano la fiducia e la speranza. Dico di sì alla corrente del fiume che mi porta anche quando rapide improvvise mi travolgono in gorghi tremendi e dico di sì al vento di maestrale o di libeccio, di cui, povera foglia morta, sono in balìa. E dico di sì con Amore. Se domani il mondo si spaccasse in quattro, vorrei che una sola parola dal mondo spaccato in quattro uscisse: Va bene, Signore. Sì.
E' debolezza? E' passività vigliacca? E' nascondere la testa sotto la sabbia? Può darsi ma per me è accettare Dio come Dio e io e noi e tutti e tutto, per ciò che noi siamo e ogni cosa è.
Credo che forse è perchè ci sia concesso di acquistare il diritto alla Sua infinita dolce, paterna, anche se tanto misteriosa, pietà.


* * *

La poesia dei giorni

7 settembre - Giornata al mare. Al ritorno la sera era dolcissima: quadri di Rosai si succedevano dietro il parabrezza della macchina in corsa. La natura è felice tra gli uomini che soffrono; ho tanto pensato alle parole di una persona cara incontrata a Viareggio. Dipende dalla nostra libertà il volgersi e trarre coraggio dalla bellezza e dalla pace scritte sulla natura del mondo.
21 settembre - Nel fare la mia Comunione guardavo quella piccola ostia che, come Cristo aveva predetto, ha sollevato a sé il mondo. In particolare ho pensato a Papa Giovanni, di cui sto leggendo alcune pagine del diario, la sua anima è stata plasmata da quell'ostia fino al punto che la sua santità è traboccata su tutta la terra.
26 settembre - La poesia del mio giorno l'ho colta stasera all'improvviso; una cascata d'azzurro ha investito le colline, le case, l'aria fino a cadermi quasi tra le mani.
30 settembre - Siamo stati nel bosco, un bosco vergine qua sulla collina, tra le tamerici e gli arbusti, sotto gli affilati cipressi abbiamo trovato il volto di Dio. Ne siamo usciti come da un tempio.
4 ottobre - Stamattina ho scoperto l'apparire del giorno. Egli viene furtivo allungando strisce azzurre dietro le colline, poi lentamente invade tutta la realtà, campi, alberi, case, infine esplode nella certezza della sua essenza luminosa.
6 ottobre - "Figliolo abbi fiducia" dice Gesù nel Vangelo di oggi al paralitico, la mia anima aveva bisogno di queste parole "sicut cervus desiderat ad fontes aquarum".


Grazia Maggi

Non siamo d'accordo

In una assemblea del laicato fiorentino, alla presenza dell'Arcivescovo, sono stati trattati problemi e temi riguardanti il Concilio Ecumenico. Togliamo da «Il focolare» settimanale fiorentino dell'Opera Madonnina del Grappa, un brano di un articolo del prof. Pieraccioni che tratta dei lavori di questa assemblea.
Tolti alcuni punti, del resto così poco trattati, non siamo d'accordo con questo modo di sentire il problema della povertà e in particolare quello della Chiesa e ci dispiace, sorprendendoci assai, che ancora, in questi nostri tempi e in un clima conciliare così coraggioso, anche su questo punto della povertà, si affronti e si pensi così disinvoltamente di risolverlo, o se non altro dì acquietarlo, rifacendosi a luoghi comuni, a mentalità ormai logorate, a soluzioni per lo meno facilone quanto inutili.
Ci perdoni, il prof. Pieraccioni, ma quel brano del suo articolo ci ha penosamente sorpreso e ci riesce assai difficile pensare che il laicato fiorentino così vivo e coraggioso, abbia «sistemato» il problema povertà soltanto con quelle indicazioni e soluzioni.

d. S.


Ecco il brano dell'articolo:

«Altri han parlato della povertà della Chiesa e han lamentato alcuni aspetti del costume ecclesiastico nell'uso dei beni temporali. Bisognerà ben distinguere: una cosa (come ha ben chiarito l'Arcivescovo) è l'avarizia o il lusso, una cosa il giusto impiego del denaro: è giusto abolire ogni diversità di classe nei funerali o nei matrimoni (e questo è già stato fatto in alcune diocesi) ma non si potrebbe ad esempio sopprimere l'offerta per una celebrazione di una Messa, che è di istituzione antichissima e giusto contributo per il sostentamento del sacerdote («quelli che compiono funzioni sacre vivon dei proventi del tempio e quelli che prestano servizio all'altare hanno parte di ciò che si offre sull'altare» Cor. 9, 13), né si potrebbe chiedere al clero di rinunciare ad ogni maneggio di denaro: senza denaro non si governa una diocesi, non si tiene in piedi dignitosamente un seminario, non si tiene aggiornata una biblioteca, non si preparano come si deve i futuri sacerdoti, non si mantengono le varie istituzioni parrocchiali. Non si tratta tanto di rinunziare indistintamente a tutti i beni, alla casa, a una modesta automobile, ai sacri paramenti o alle croci pettorali (anche noi che brontoliamo e critichiamo amiamo una casa dignitosamente arredata, una automobile frutto dei propri risparmi, la televisione, gli elettrodomestici, un vestiario dignitoso, le vacanze al mare o in montagna!), ma del «distacco» da tutti i beni terreni, che è ben altra cosa; questa è una dote dello spirito, quella invece non è spesso che ostentata esteriorità e nulla più.


Cristianesimo impossibile

Turismo religioso

E' invalso sempre più l'andazzo e pare quasi diventato una delle forme del famoso apostolato moderno, di moltiplicare i pellegrinaggi ai diversi santuari in Italia e all'estero. Ormai le parrocchie, nella stagione propizia, si danno da fare per organizzare pellegrinaggi a ritmo serrato. Le Associazioni cattoliche organizzano pellegrinaggi. Gli istituti religiosi, i gruppi di preghiera, le pie unioni organizzano pellegrinaggi. E' un momento veramente di fervore questo dei pellegrinaggi e se dovessimo giudicare e misurare l'intensità della Fede di questo nostro tempo dal numero dei pellegrinaggi ai Santuari, ne verrebbero conclusioni consolantissime, da esclamare euforicamente: dicano quel che vogliono, ma ce n'è ancora di Fede a questo mondo!
Per organizzare un pellegrinaggio penso che il programma più grosso sia scovare il Santuario che possa essere attraente e suscitare entusiasmo. E' chiaro che vi dev'essere anche un contorno di interesse turistico ma a questo scopo si rimedia facilmente allungando il viaggio nell'andata o ritorno con soste dove l'attrazione turistica è più invogliante. Spesso vengono fuori itinerari assai strani e assurdi pellegrinalmente parlando, ma questo non ha importanza.
Per i servizi di trasporto e per quelli logistici è molto semplice: basta rivolgersi ad agenzie di viaggio e tutto a posto. Offrono discreti vantaggi per gli organizzatori e una sicurezza assoluta di trasporto comodissimo, di alberghi di lusso, di ristoranti caratteristici e ogni e qualsiasi servizio.
Se ne parla dall'altare, manifesti con ben specificate le tariffe, propaganda spicciola impegnando a fondo l'Azione Cattolica o altre forze a disposizione.
Si arriva con facilità al numero necessario e il giorno stabilito, dopo una funzione religiosa propiziatrice, ha inizio il pellegrinaggio. Farebbe proprio colore descrivere queste comitive di moderni pellegrini e pellegrine e cogliere la strana mescolanza di fervore religioso, di soddisfatta curiosità turistica, di gustata compiacenza alberghiera, di accresciuto, sospiroso costume borghese...
Ma non so quanto lusinghiero e entusiasmante, a pensarci bene, che confusi, ma vivamente presenti fin forse a essere determinanti e preponderanti, in molti casi, confusi con la serietà di un pellegrinaggio, vi si trovino elementi disorientanti e forse sconcentranti quali per esempio la riduzione del problema religioso a occasione turistica, l'adattarsi di una ricerca di santificazione a soddisfazione più o meno egoistiche, il consentire a che il cristianesimo sia concepito in modo dilettantistico e vissuto, fino forse a rimanere tutto lì, in pratiche assai formalistiche e assai superficiali e mediocri, o improvvisate per l'occasione.
Lo so che i pellegrini si confessano, fanno la S. Comunione, ascoltano qualche predicozzo, visitiamo luoghi santi, hanno esperienze di quanta Fede c'è nel mondo dei Santuari, cantano inni e accendono candele ecc.
Però forse quando c'è da fare una colletta per un caso disgraziato, per una famiglia bisognosa, per la fame nel mondo, per il problema missionario ecc. i fervorosi pellegrini e le ferventi vecchiette turistico-religiose che si preparano le migliaia e migliaia di lire per il pellegrinaggio turistico dove andranno a cantare inni e accendere candele e di dove torneranno cariche di entusiasmo di ricordini sacri comprati alle botteghe dei santuari, cercheranno i quattro spiccioli per i poveri, per i malati, quando non diranno, lacrimando, che proprio non possono niente.
Perchè gli organizzatori non chiedono ai pellegrini e alle pellegrine, una precisa e chiara aggiunta alle tariffe stabilite, per portare gratis qualche povero al pellegrinaggio, per aiutare la S. Vincenzo, per provvedere ai pellegrinaggi di malati e di infelici per mezzo dell' U.N.I.T.A.L.S.I., per sollevare la solitudine dei carcerati ecc.?
In qualche modo è doveroso che qualcosa del serio spirito, così sacro e santificante, degli antichi pellegrini che camminavano e camminavano nella sofferenza e nella penitenza, verso i Santuari e i Luoghi Santi portando Amore e Bontà e vivendo unicamente di doni di Amore e Bontà, sia vivo, sentito e vissuto in qualche modo dai moderni pellegrinaggi in pullmann e alberghi di lusso, perchè diversamente sarebbe molto più onesto fare del semplice turismo da brava gente che vuol vedere le cose belle di questo mondo e, per qualche giorno mangiare bene e dormire meglio, spendendo saggiamente i propri soldi.
Che a questo onesto turismo basti aggiungere il Santuario, sia pure con tutto il pietismo religioso che volete, fino a ottenere e a portare a casa fervori e entusiasmi, perchè ne venga fuori, in conseguenza, un vero e cristiano pellegrinaggio, che aiuti veramente a impostare problemi seriamente religiosi e a creare autentiche sincerità cristiane, questo è perlomeno assai superficialità e assai faciloneria il pensarlo.
Non so quanto sia giusto obbedire e consentire alle mentalità cosi poveramente umane e così terribilmente egoistiche, di gran parte della nostra gente cristiana per la quale il cristianesimo è una poltrona di qui (se non altro come desiderio e come sforzo di ricerca) dalla quale, più che sia possibile, comodamente assistere allo spettacolo di questo mondo e una soffice poltrona di là dalla quale assistere, ben sistemati, - ma più tardi che sia possibile - allo splendido spettacolo del Paradiso.


un prete

Lettera fra amici

Caro don Sirio,
non ha molta importanza che da un sacco di tempo io non le abbia più scritto: la strada che lei mi ha indicato, la strada che ora condivido con lei e le persone che le sono vicine è sempre la stessa, pulita e da percorrere tutti insieme con serietà e gioia. Mi è arrivato stamattina il giornale, di settembre, parlava del Concilio (e un po' dopo del rischio): le ho scritto subito perchè quello che ho letto non può che aumentare la fiducia e l'amore per tutto, e il desiderio di camminare in comunità. Non che sia necessario essere con tutti, per il nostro conforto personale, ma è che è doveroso essere tutti, per il regno di Dio: e essere da soli fa paura, perchè si fanno tanti sbagli, perchè si finisce a fare tutto a titolo personale e un poco polemico. Le ho scritto perchè ho tanto bisogno di essere completamente umile, e una fra tanti altri, fra tutti gli altri: la ragione, anch'io ho il mio Concilio Ecumenico da vivere, devo essere una laica da concilio ecumenico, come tutti, e le questioni, nel campo spirituale e per noi nel campo temporale e politico e pratico, sono tutte da risolvere con l'intuizione, ecco la fatica, non ci sono schemi già pronti: per noi laici ancora meno che per i preti. Siamo stati i più pigri, per lunghi secoli di storia, ci siamo lasciati passare addosso gli illuminismi i razionalismi i liberalismi li individualismi ad alto livello filosofico e ad alto livello di egoismo. Siamo dei poveri laici abituati a chiedere tutto al prete, meglio se al Vescovo che ha più autorità, perfino per il nostro impegno storico, per la nostra politica, per le nostre rivoluzioni popolari mai fatte. Non è colpa dei preti e dei Vescovi, la gerarchia, soprattutto i giovani, muore di lavoro e di mancanza di tempo. E' colpa del nostro scaricare le responsabilità, del nostro individualismo attendista, del nostro riservarci le critiche, vivendo alle spalle dell'azione degli altri che si sporcano i piedi col fango. Quasi sempre per amore.
Le sono molto riconoscente del giornale, un giornale senza notizie, non fatto per informare ma per individuare una tensione, una strada per vivere secondo lo spirito.
Si ricorda l'epistola di Compieta? «tutte le vostre cose fatele per amore»: mi basta davvero per essere più convinta, più felice che lei una volta al mese me lo ricordi, è una vera vita di comunità più di tutte le altre vite (di gruppo, di associazione, di lavoro) che si intrecciano ogni momento nello spazio delle mie giornate.
Le sono molto riconoscente di tutto: posso pregare anch'io con lei e con tutti per una crescita di amore, anche se io sono ancora tanto indietro, tanto vicina all'inizio, al poco.
So che l'amore, l'ansia e la sofferenza per la contraddizione che ci fanno andare avanti, sono solo Grazia, quasi tutto Grazia perchè noi (io per lo meno) diamo sempre pochissimo: io ho ancora molta, troppa paura delle responsabilità, degli sbagli che posso commettere, dell'orgoglio nascosto.
Spero di diventare molto umile e poi di non avere più paura di rischiare: certo è un grosso dono e so che da sola non potrò mai meritarlo.
Posso chiederle di pregare per me? (anche per me, quando prega per tutti gli altri, non apposta solo per me, per favore).
La saluto e la ringrazio con affetto.


A. F.

Le piaghe aperte

Nuovo cruento episodio, oggi, nella lotta che da tempo insanguina il Vietnam meridionale per il contrasto fra i buddisti e il governo guidato da un presidente cattolico: circa a mezzogiorno (in Italia le 5 del mattino) un monaco buddista (bonzo) si è ucciso lasciandosi bruciare in un rogo improvvisato davanti ad una folla di qualche centinaio di persone.
Secondo i testimoni oculari era trascorso da poco mezzogiorno quando, davanti al mercato, è giunta un'automobile giallo-verde dalla quale è sceso un giovane indossante i caratteristici abiti dei monaci buddisti e recante in mano una lattina di benzina.
Portatosi al centro dello spiazzo ivi esistente, il bonzo, che secondo quanti hanno assistito alla scena aveva poco più di vent'anni, ha aperto la latta e s'è versato addosso il liquido che essa conteneva. Quindi, estratto un accendisigari, ha gridato: «La signora Nhu gira il mondo per narrare fandonie sui monaci buddisti e parla di bonzi drogati ed uccisi dai fratelli. Io sono arrivato guidando l'auto, non sono drogato e so quello che faccio». Poi, prima che qualcuno potesse intervenire, ha avvicinato agli abiti zuppi di benzina la fiammella dell'accendisigari ed è stato subito avvolto dalle fiamme. Nel giro di pochi minuti il bonzo è morto. Il suo nome è Thich Quang Houng.
(da «La Stampa» del 6.10.1963)

Parlando del Primate di Cecoslovacchia come del «Dottor Beran» (omettendo cioè, intenzionalmente, il titolo religioso) un portavoce governativo - il dottor Hrusa, capo della sezione culti del ministero della Pubblica Istruzione - ha detto oggi che non vi sono stati negoziati segreti fra la Chiesa e il governo cecoslovacco per la liberazione dell'arcivescovo e degli altri vescovi; si è trattato - ha detto il portavoce - di un atto di buona volontà spontaneo del governo, «provocato dalla politica del rimpianto Papa Giovanni XXIII e dalla sua Enciclica «Pacem in terris».
Quando un giornalista ha chiesto al portavoce governativo su quali mezzi può contare l'arcivescovo per vivere, il funzionario ha risposto: «Lo stato provvederà al dottor Beran come fa con tutti i cittadini non più in grado di lavorare».
(da «Il Giorno» del 6.10.1963)


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