E' immensa l'eredità che Giovanni XXIII ci ha lasciato. In poco tempo aveva messo insieme una ricchezza quasi miracolosa. E mentre la raccoglieva e la moltiplicava, la distribuiva con semplicità, a cuore aperto. Tutti a poco a poco ne eravamo rimasti arricchiti. Qualcosa di prezioso si veniva sempre più precisando nel nostro cuore e in quello dell'umanità. Come se dei filoni d'oro neppure sospettati venissero in luce a poco a poco. E con stupore sempre più la ricchezza andava aumentando, quasi da non credere ai nostri occhi. Tesori perduti nel fondo del mare perchè le navi erano affondate durante terribili tempeste, venivano a galla e si aprivano gli scrigni e erano gemme meravigliose, perle e collane e diademi di re e di regine.
Occorreva un papa. E' bellissimo che sia stato un papa. Del resto, a ben pensarci, non poteva che essere un papa. Ciò che di più visibile e immediato sulla terra vi è di Dio. Chi più di ogni altro fra gli uomini è Gesù Cristo vivente. L'uomo che giustamente è chiamato il Sommo Pontefice: il ponte diretto, la comunione viva di Dio e degli uomini. Colui che nel Suo destino ha unicamente il Mistero di Dio in Gesù Cristo.
E tutto il Mistero dell'umanità è la Sua carne e l'anima Sua, ancora in Gesù Cristo.
Allora, con semplicità e dolce serenità papa Giovanni si è dato a scoprire nell'umanità quello che Dio vi vede, nonostante tutto, e vi cerca e ama. Ha cercato di scoprire in ogni essere umano e nell'umanità intera, ciò che ha scoperto Gesù, ciò che Lui, Dio, è venuto a vivere, a potenziare, a salvare, ciò per cui Lui è venuto a morire.
E gli uomini del nostro tempo si sono accorti con immenso stupore, che il papa credeva in loro, aveva fiducia in ciascuno e in tutti.
Un uomo - e qui più che mai è Dio vivo, visibile, fra gli uomini - dedicandovi la sua vita e la sua agonia e la sua morte - si è sottoposto al rischio e alla terribile fatica di scoprire la bontà nel cuore dell'umanità. E' stato come scavare dentro montagne per arrivare al filone d'oro. E' stato come scendere fino in fondo agli abissi del mare per trovare la perla.
Ma Lui sapeva che il tesoro, anche se nascosto, era nel campo. E non ha avuto paura a vendere tutto, comprare il campo, farlo Suo, e poi mettersi a scavare e cercare perchè il tesoro venisse alla luce. Il buon mercante del Vangelo che vende tutte le perle che ha, per comprarsi quella di inestimabile valore.
Ha scoperto fra gli uomini ciò che in loro unicamente vale: la bontà, l'Amore, la pace. Ha cercato di convincere tutti gli uomini che l'uomo è buono, è capace di Amore, vuole soltanto la pace.
Li ha pregati, scongiurati e è morto implorando, di essere uniti, di saper essere buoni, di vivere in pace.
Ha visto l'umanità in tutta la sua realtà positiva. Come Dio l'ha pensata, come è secondo la Redenzione di Gesù, come la sta vivendo l'azione incessante dello Spirito Santo. La realtà buona, il bene che è in essa, la misura di Verità che possiede, le sue possibilità di Amore, la ricchezza di Grazia e di Luce, la gioia meravigliosa della pace... e di questa umanità si è occupato in modo esclusivo. A questa umanità si è rivolto. A questa realtà umana ha creduto. Questa bontà dell'esistenza ha fatto conoscere agli uomini...
E ha fatto vedere agli uomini che anche la morte è Grazia, è Amore, è pace. Quella sua lunga agonia, lento, sereno, sicuro, fiducioso camminare verso l'eternità, incontro a Dio. E nelle ultime ore ripeteva soltanto, come chiamando, arrivato alla porta di casa, Gesù, Gesù.
Non ha condannato niente e nessuno. Non ha respinto niente e nessuno. Perchè per Lui, come per Iddio, niente è soltanto male, soltanto errore.
Una visione ottimista del mondo e dell'umanità, ma non per bonomia di carattere, ma semplicemente per visione teologica delle cose e per schietta e apertissima Fede in Dio e per cuore aperto interamente e totalmente all'Amore.
Ognuno di noi sa che a guardare il mondo soltanto come realtà di bene è pressoché pazzesco. Vivere fra gli uomini per occuparsi soltanto della loro bontà, è utopia assurda. Credere che gli uomini possano amarsi fra loro e intendersi è da sentimentalisti testardi. Cercare la pace a costo di tutto, come bene supremo, è stoltezza, è debolezza, è permettere il trionfo della violenza.
No. Da dopo papa Giovanni è l'unico Cristianesimo, perchè è quello di Cristo, possibile ai nostri tempi. E' da Sommo Pontefice pensare così. E' Chiesa Cattolica in tutta la sua meravigliosa missione di salvezza fra gli uomini. E' essere vivi e presenti dentro la storia nel suo incessante divenire. E' essere giustificati a stare a questo mondo come cristiani e come uomini.
Giovanni XXIII tutto questo ha insegnato e tutto questo ha vissuto. L'umanità intera con la risposta di un Amore immenso e col suo piangere durante la Sua agonia e la Sua morte, ha testimoniato della Verità del Suo insegnamento e della autenticità del Suo esempio.
Giovanni XXIII ha testimoniato che la Parola di Gesù e il Suo modo di vita, il Suo Amore e la Sua Misericordia infinita, sono possibili ancora dentro questo turbinio spaventoso della vita moderna. Anzi ora più che mai.
E l'umanità nel suo stringersi a Lui intorno al letto della Sua agonia e della Sua morte, ha testimoniato che la Bontà, l'Amore, la Pace possono, ancora e unicamente, essere speranza di fraternità, di unità di salvezza.
E' pesante, da sgomentare, questa eredità che Giovanni ha lasciato alla Chiesa Cattolica. Non è qualcosa di nuovo perchè già tutta questa eredità è nel Vangelo e è stata consegnata dall'alto della Croce. Ma è nuova, perchè di nuovo è stata raccolta e consegnata. Ci viene dalle mani ma specialmente da! cuore di questo vecchio, che, per la brevità del Suo pontificato, sembra già come un sogno, come un'apparizione improvvisa. E si battono gli occhi come per domandarci se è stato vero o se abbiamo sognato.
Che Dio ci conceda che il fermento continui a lievitare. E il piccolo seme cresca, cresca. Perchè il tesero non può più essere sepolto nel campo. E la perla non deve tornare negli abissi del mare. Il vino è troppo nuovo per essere messo in otri vecchi. E una pezza di stoffa nuova non si può cucire per rammendare un abito vecchio.
Adesso si correrebbe davvero il rischio di perdere il nuovo e il vecchio.
E' pesante l'eredità e veramente da sgomentare,
Quando c'era Lui era come tornare a casa la sera, stanchi della giornata e appesantiti dalla fatica: la casa era accogliente e dava senso di sicurezza il Suo volto bonario e la Sua parola semplice. Al vino buono e al pane fatto in casa ormai ci aveva abituati a potervi contare. Bastava, per tirare avanti.
Ora, la sera, la stanchezza è cresciuta anche perchè il pezzo di pane e il bicchiere di vino non sono preparati sulla tavola e non c'è Lui ad aspettare. E l'eredità ci fa paura. Perchè spesso l'eredità ha diviso la famiglia e messo fratelli contro fratelli. E poi perchè la vecchia casa di contadini è troppo all'antica e non si vede facilmente perchè debba essere conservata gelosamente.
Speriamo, ma la paura è tanta in questa attesa. Non per sfiducia e tanto meno per attaccamento assurdo ad un uomo, ma perchè l'eredità è pesante e portarla avanti (e come si può pensare che non sia portata avanti?) non è facile.
L'abbiamo sulle braccia tutti, questa eredità di Papa Giovanni. E' responsabilità per ognuno di noi. Per chi crede in Dio. In Gesù Cristo. Nel Cristianesimo. Nella Chiesa. Per chi crede nell'uomo e nell'umanità. Per chi crede che la pace sia possibile nel mondo. Per chi cerca la Bontà nell'esistenza. Per chi ha fiducia nell'Amore, Per chi ha il coraggio della Speranza.
A tutti questi Papa Giovanni ha dato coraggio. Li ha chiamati intorno a sé per consegnar loro la Sua fiducia e affidare il Suo messaggio.
Il loro numero è stato impensatamente a vastità universale. Gli uomini che hanno creduto in Papa Giovanni sono stati incredibilmente tanti. E credendo in Lui hanno creduto in Dio, in Gesù Cristo, nella Chiesa, nell'umanità.
Si è visto molto chiaro intorno al letto della Sua agonia e della Sua morte.
La sua eredità è pesante perchè Lui è Uomo che ha convinto e conquistato il mondo.
Ora sappiamo come è possibile convincere e conquistare il mondo. Chissà però se ne avremo voglia. E se saremo capaci di fedeltà. E' di qui e di qui soltanto la paura che ci angoscia da dopo che Giovanni XXIII è morto.
La Redazione
Signore Gesù, noi crediamo che Tu sei Dio fatto Uomo. E questo hai fatto perchè ci ami. Perchè l'Amore, o Dio fatto carne, fosse fra gli uomini, vivente e visibile.
Perchè l'Amore fosse presenza storica hai voluto la Chiesa. Perchè fosse un uomo, scelto fra gli uomini, hai voluto che vi fosse il Papa.
E tutti Ti hanno visto in quel vecchio, ascoltato ascoltando le Sue parole, e tutti sono stati vicini alla Tua agonia e morte stringendosi intorno alla Sua.
E' molto bello che Tu sia passato così visibilmente fra gli uomini «facendo ancora a tutti del bene», come dice di Te il Vangelo.
Amore, Gesù, può ancora nel mondo e la Bontà sa ancora convincere gli uomini. Nell'umanità forse è cominciato il tempo in cui è possibile la pace.
Ti ringraziamo, Gesù, di averci dato un Uomo di pace, un po' del Tuo Amore fatto visibile, qualcosa della Tua infinita Bontà. Nella Sua anima ci siamo tutti incontrati, nel Suo Cuore ci siamo amati, nel Suo sorriso, dolce e paterno, ci siamo riconosciuti. Da tanto tempo non era successo, Gesù, e pareva che fosse impossibile.
La terra è assetata, Gesù, riarsa e bruciata: ha tanto bisogno di pioggia. Gli uomini hanno sempre più sete e fame. Riapri una sorgente che non si esaurisca e manda ancora chi spezzi il pane per tutti.
La preghiera che per secoli ha gridato l'umanità alla terra spesso così dura e tenace e al cielo spesso così chiuso e affocato, per invocare Te a scendere fra gli uomini a portare la salvezza, ripetiamo anche noi in questi giorni di trepida attesa: «mandate, o cieli, la vostra rugiada e le nuvole piovano il giusto: si apra la terra e germini l'uomo della salvezza».
La preghiera di tutti, ma specialmente degli umili, dei poveri, dei semplici, di chi si affida alla speranza, di chi vive di fiducia e di attesa. La preghiera della gente, è moltitudine sterminata, quasi l'intera umanità, per la quale un Uomo è motivo di gioia, un Uomo le cui parole sono capaci di coraggio, la cui vita testimonia l'Amore, il cui destino è soltanto il dare la certezza che la Bontà esiste e è tutto.
La preghiera che chiede, o Gesù, un Tuo vero Vicario, un dolce Cristo in terra.
* * *
Se fosse possibile scrivere una lettera come fanno i bambini a Natale quando scrivono letterine a Gesù Bambino, vorrei scrivere una lettera a Papa Giovanni, ora che è in Paradiso. E non sarebbe per dirGli molte cose, chiederGli qualcosa di particolare, implorare la Sua protezione ecc., no, no, forse sarebbe soltanto per manifestarGli una immensa gratitudine.
RingraziarLo di che cosa? Di essere stato un Papa buono? Non credo, perchè è logico che un papa debba essere buono e lo sono stati sicuramente tutti, anche se un po' più o un po' meno e in modi diversi.
RingraziarLo perchè aveva una faccia simpatica, un modo di fare alla buona, un comportamento semplice e aperto? Non credo che sia merito Suo essere nato a Sotto il Monte da una buona e patriarcale famiglia di contadini, semplici e schietti come la terra vangata, naturali come la pioggia e il sole. E nemmeno perchè ha avuto un cuore grande da poter accogliere tutti gli uomini fino a non lasciarne fuori nemmeno uno: avere «un cuore fatto sulla misura del Cuore di Cristo», come ha scritto «El Mundo», un giornale di Cuba, è troppo unicamente dono di Dio.
E nonostante tutta la gioia e la chiarezza e il coraggio per poter tirare avanti la dura battaglia in mezzo al mondo operaio per realizzarvi i principi cristiani di rispetto della persona, della carità nei rapporti e della giustizia, che me ne sono venuti dalla Sua Enciclica "Mater et Magistra", non mi pare di avere sentito per Papa Giovanni della particolare riconoscenza e forse perchè ancora di più vorrei la Chiesa viva e vivente, nel mondo operaio, per una presenza di totale partecipazione non solo d'insegnamento e di magistero, ma anche concreto ed effettivo, come tanto ho sognato ai tempi quando ero prete operaio.
E' certo che il Concilio Ecumenico è qualcosa di cui sento tanta gratitudine verso Papa Giovanni.
Questo Suo chiamare la Chiesa universale allo scoperto e affrontare coraggiosamente i vuoti, le carenze, le mediocrità e cercare di rinnovare, colmare, rivedere e portare avanti, questo aprire le porte a tutti, chiamare, invitare, scongiurare all'unione, all'Amore, alla pace... povero vecchio, già malato e forse tanto stanco: sì, sì, tanta riconoscenza per questo Suo coraggio, per questa Sua meravigliosa forza di Fede in Dio, nella Chiesa, nell'umanità, per questo Suo credere nella onnipotenza della Verità e della Bontà.
E tutta la gratitudine è andata crescendo per l'enciclica «Pacem in terris», questa improvvisa e appassionata riconsacrazione della Chiesa in ordine alle sue finalità temporali e terrene, ma soltanto per essere incarnazione fra tutte le genti della «pace fondata sulla Verità, sulla Giustizia, sull'Amore, sulla libertà».
Ad ogni giorno e sempre più, con crescendo meraviglioso e miracoloso, per opera Sua la Chiesa è come uscita dal chiuso, da limiti e confini e si è andata allargando, espandendo nella considerazione degli uomini, in una stima nuova, in una simpatia insospettata. E sempre più l'umanità dispersa sulla terra e tutta impegnata nei suoi problemi, si è alzata a guardare, voltandosi verso il papa, raccogliendosi ad ascoltare la Sua Parola, serenamente aprendosi ad accogliere la dolcezza della Sua Bontà,
Quell'agonia di quattro giorni di papa Giovanni e il Suo sereno morire ha fatto conoscere il Cristianesimo e ha parlato del Mistero di Cristo, fino al punto che l'umanità intera e con immensa trepidazione e con partecipazione incredibile, è stata intorno al letto di un uomo che muore cristianamente.
Per la prima volta nella storia dell'umanità, per il Papa Giovanni, per il Suo pontificato e per la Sua agonia e morte, la Chiesa, Gesù Cristo, Dio, il mistero dell'esistenza terrena e eterna, sono stati al centro dell'umanità, il cuore dell'umanità, l'Amore dell'umanità, vincolo di unione, punto d'incontro di tutta l'umanità.
E tutto questo non per virtù e mezzi umani: non per intelligenza, cultura, ricchezza, potenza, e grandezza, ma per l'umile dolcezza, per il cuore interamente aperto, per l'Amore senza limiti e stanchezze, per la Bontà inesauribile, per una Fede incrollabile in Dio, in Gesù Cristo, negli uomini tutti.
Esaltazione di Lui, di Papa Giovanni, ma in modo chiaro e scoperto, anche se per molti indiretto, esaltazione del Cristianesimo, della Parola e dell'esempio di Cristo.
Papa Giovanni ha testimoniato cosa può il vero Cristianesimo di Gesù Cristo sul cuore dell'umanità. E ha testimoniato come e quanto la Chiesa di Gesù Cristo possa essere viva e operante il Mistero Cristiano nella storia dell'umanità.
Vorrei tanto ringraziarLo, Papa Giovanni, di avermi dato, profonda e immensa, quasi esaltante, la gioia di essere come cristiano nel mondo, fra gli uomini.
E' la prima volta che ho sentito sinceramente e profondamente amata la Chiesa. Ho sentito la Chiesa libera e aperta nel cuore di tutti e accolta su tutta la terra. La Chiesa che custodisce la Verità perchè tutti abbiano, come il cielo, sgombrato di nuvole, che offre il sole al mattino per illuminare e riscaldare il mondo.
La gioia di essere prete. Anima e corpo consacrati all'Amore di tutti gli uomini, assolutamente di tutti, costi quel che vuol costare questo terribile Amore universale. Dentro l'umanità a testimoniare che Dio è bontà, che gli uomini sono fratelli. Uomo di pace. In cerca appassionata di giustizia. Capace di tutta l'infinita libertà dei figli di Dio. Con le mani colmate dell'unica ricchezza cristiana. Disarmato e inutile, eppure quasi onnipotente. Solo, eppure con tutto il destino dell'esistere umano e dell'universo nell'anima...
La gioia di vivere soltanto e unicamente per Gesù Cristo, per parlare ancora la Sua Parola e rendere ancora vivente qualcosa del Suo esempio e tutto il Suo Mistero infinito di Gloria a Dio e di salvezza per l'umanità.
Questo destino della mia vita di cristiano e di prete, spesso rimasto nascosto e segreto, qualcosa di vissuto nel profondo dell'anima o scopertamente in qualche momento di particolare chiarezza interiore o d'impegno sacerdotale, ma sempre nel giro di pochi amici aperti, a certa ricerca, questo destino di cristiano e di prete, Papa Giovanni mi ha dato di viverlo, anche esternamente, a respiro universale, proponendo al mondo la Verità e l'Amore di Cristo e conquistandolo a forza di dolcezza e di bontà.
Sono vent'anni che sono prete. Non ho mai pensato che farsi sacerdote voglia poter dire una sistemazione nemmeno su un piano spirituale, religioso, cristiano. Non è assolutamente essere arrivato - ora ci siamo e quindi tutto è a posto, come quando uno lo fanno cavaliere, commendatore o monsignore. No, tutto è cominciato da quel giorno dell'ordinazione sacerdotale perchè quello è un fatto che ha segnato l'entrare nel Regno di Dio in modo veramente qualificato e scoperto e in misure senza dubbio senza misura, ha comportato l'assumere nel proprio destino tutto ciò che è di Dio e tutto ciò che è dell'umanità, dal primo giorno del mondo fino all'ultimo, compreso anche il buio della notte.
E quindi il tormento di una sincerità, l'ansia di una ricerca, il bisogno assoluto di Verità, il dovere tremendo di tutto l'Amore,
Erano tempi caldi quelli del dopoguerra. E giovane sacerdote ho vissuto l'epica di quelle battaglie, a lotta serrata, per la salvezza, della Fede e della libertà, ma anche con animosità accesa, con esaltazioni guerriere che, in fondo, mi avevano insegnato a giudicare come «zelo dimorante per la casa del Signore».
Non rimpiango niente e nemmeno lontanamente penso che è stato tutto sbagliato, ma in quelle fiumane di giovani o di ragazze a cantare inni verso l'Urbe, in quelle adunate oceaniche colmate di entusiasmi e di sublime eroismo a significare la giovinezza esuberante della Chiesa, non sono riuscito a vedere più «la Chiesa istituzione di salvezza», Mistero di Cristo nascosto dentro il cuore dell'umanità.
E non riuscivo ad accettare quel modo di vita sacerdotale, non avevo la gioia di essere prete, non riuscivo a essere convinto che se le cose erano così ne valesse proprio la pena essere consacrato alla Chiesa.
La Chiesa, il papa, il Cristianesimo in tutta la sua grandezza, secondo tutta la sua necessità di realtà centrale ed essenziale in ordine a tutta l'esistenza, ma non poteva essere quella la strada definitiva, il metodo vero.
Il sacerdote a organizzare schiere balde e pronte armandole per guerre sia pure di religione, ringiovanendo anche le vecchiette con animosità battagliere, non mi dava il senso vero, cristiano, del sacerdozio cattolico.
E la Chiesa grandiosa, potente, temuta, ricca di validità umane, affannosamente preminente nelle considerazioni e degli apprezzamenti umani secondo misure e metodi e criteri quasi unicamente temporali, non l'amavo: non mi ero consacrato a questa Chiesa, così chiusa e riservata, sul piedistallo, lontana, dentro le mura di un castello ben difeso e agguerrito, garanzia di particolari civiltà, anche se considerate civiltà cristiane.
Perchè la terra è vasta quanto il mondo e il popolo è l'umanità e i figli di Dio sono tutti gli uomini. Insieme alla legge vi dev'essere l'Amore perché più che la sicurezza delle difese, difende e salva la forza della speranza.
Non ci si può chiudere nel limite di visioni personali, ma è necessario aprire il cuore alla fiducia. Non io e tu e nemmeno noi contiamo, ma tutti, assolutamente tutti. E l'inflessibilità dura e tenace sarà fermezza, ma è la Bontà che vince. E non è vero che bisogna piegare gli altri a noi ma noi dobbiamo piegarci verso gli altri, perchè tocca a noi andare a salvare ciò che era perduto, se è vero che Dio si è incarnato e è venuto ad abitare fra gli uomini.
E se il mondo non accoglie il nostro Amore, noi accogliamo il mondo in questo nostro infinito Amore cristiano. Gli uomini non credono in noi, nella Chiesa, ma noi invece crediamo negli uomini, nel mondo, nei suoi destini, nella sua storia.
E un nuovo rapporto s'inizia, va avanti, si approfondisce, si allarga a misure sempre più vaste. La Chiesa è più Chiesta storicamente, ha la sua grandiosità di Mistero cristiano nel mondo, di testimonianza viva e vivente della Verità e dell'Amore di Cristo, vincolo di unione, terra comune di tutti gli uomini, speranza di pace, unica bontà nel mondo...
Il Concilio Ecumenico, Pacem in terris, l'agonia e la morte di Giovanni XXIII.
Una gratitudine infinita a Papa Giovanni. Mi ha dato tutta la gioia di essere prete, mi ha indicato con viva testimonianza il senso del sacerdozio anche nel suo impegno e nel suo modo di essere fra gli uomini in questo nostro tempo, facendo che la Chiesa ne sia esempio e guida e indicazione anche storica.
Tanta riconoscenza di aver fatto che la Chiesa sia più facile ad essere conosciuta e amata, più possibile ad essere accettata e capita. Di aver fatto che Gesù, il Gesù del Vangelo, della povertà, dell'Amore fraterno, della misericordia, del Calvario e della Croce sia di più nel cuore di tanti uomini. Di aver fatto sì che l'umanità, almeno in qualche momento, abbia potuto sognare, con desiderio struggente, che la Bontà è cosa meravigliosa, che l'Amore sarebbe tutto, che la Pace è possibile.
Ringrazio con riconoscenza affettuosa e commossa Papa Giovanni di aver liberato la Bontà, l'Amore, la Pace, dalle complicazioni diplomatiche, dalle troppe saggezze secolari, dalle complesse prudenze dei lungimiranti, e in modo particolare dalla paura della Bontà Bontà, dell'Amore Amore, della Pace Pace, ridando alle Parole il valore cristiano dell'Incarnazione fino a misure di concretezza e realtà tali da convincere il mondo a credere in Lui, a sperare in Lui, il Sommo Pontefice, il Vicario di Cristo, il Capo visibile della Chiesa cattolica.
E ancora Lo ringraziamo io e noi che non siamo più riusciti, a un certo punto, a stare in pace. E ci siamo calati giù lungo le lenzuola sdrucite e annodate, dalle mura di cinta e ci siamo trovati all'aperto. Senza borsa, senza soldi, scalzi e smarriti e un po' spaventati. Ci siamo messi a cercare farse senza nemmeno sapere che cosa, ma qualcosa sentito nell'anima come essenziale, decisivo, da non poterne fare a meno.
Tanta paura e solitudine. Le porte chiuse e qualche volta i cani, dietro, ci sguinzagliavano. La stanchezza spesso è stata terribile e il senso del vuoto e dell'inutile, poveri Lazzari a campare di briciole sull'uscio di case d'altri.
E l'incertezza nel fondo dell'anima e il timore e la paura di andare tutto rischiando, perfino la Fede, e di perdere l'Amore della Madre. Mentre tutto si era dato e tutto si andava rischiando unicamente per Amore di Lei...
Sono stati lunghi anni di sofferenza, di angoscia, di attesa trepidante e paziente, di fiducia tenace. Ma poi le parole tanto aspettate sono venute. Gli avvenimenti tanto sognati sono successi. I tempi si sono compiuti. E tutto è stato più del sogno, al di là del desiderio, oltre ogni aspettativa.
La sicurezza di non aver sbagliato strada. La gioia che non era inquietudine di gente irrequieta e stranita. Il dolce, meraviglioso stupore che tutto è stato poco, che poteva e doveva, che dovrà essere molto di più.
Dio lo ricompensi Lui, Papa Giovanni, per la serenità e la dolce gioia della sicurezza diffusa nelle nostre anime di poveri cercatori forse troppo scontenti e inquieti e inquietanti. Ora camminiamo su una strada ben tracciata, abitiamo in una casa sicura: l'unica paura è quella di non essere degni e capaci di fedeltà alle Sue consegne.
Tanta gratitudine verso questo vecchio ottantenne, malato e stanco, che obbedendo all'Amore, ha aperto le braccia ad abbracciare il mondo.
Noi, la Chiesa, siamo quelle braccia. Che Dio ci conceda di continuare senza paure e stanchezze quell'amplesso, fino all'ultimo giorno, quello dell'agonia nostra e del mondo.
don Sirio
«Bisogna farsi amare per imporre l'ordine, la pace, il progresso religioso».
«Noi dobbiamo, nel trattare le anime, sforzarci di accostarci anzi di penetrarci dello spirito col quale Gesù le tratta. E sicuramente lo spirito di Gesù a loro riguardo è più caritatevole del nostro».
«Tutti sanno suggerire e più che non poco criticare, ma volgersi ad un servizio utile e semplice: questo è altra cosa».
«Alla mia povera fontana si accostano uomini di ogni specie. La mia funzione è di dare acqua a tutti. Il lasciare buona impressione anche sul cuore di un birbante mi pare un buon atto di carità che a suo tempo porterà benedizione».
«L'amore umano senza il contatto con Dio porta ad ogni eccesso e finisce nella tristezza».
«Tutto serve a dimostrare che nel senso della pace vera del mondo o ci sarà il Vangelo o torneremo al sangue».
«Mi piace tanto far la carità agli altri, mentre vedo che il Signore ne fa tanta a me».
«Non m'importa ciò che pensano e dicono di me, che io arrivi tardi o non arrivi affatto. Devo restar fedele al mio buon proposito a ogni costo: voglio essere buono sempre, con tutti».
«Senza un po' di santa follia non si allargano i padiglioni della Chiesa».
«Sono commosso dalle attenzioni del mondo. Mi sento più che mai unito a tutti quelli che soffrono negli ospedali e nelle case, e che sono angustiati in varie forme. Questo interessamento per il Papa, che umilmente rappresenta il Signore, deve significare nuovo fervore di preghiera, pensieri e propositi di pace, la convinzione netta e chiara che nella vita tutto ciò che vale è sempre nel senso del Vangelo e cioè: mitezza, bontà, carità».
«Dobbiamo scoprire l'uomo dietro l'ideologia. Il comunismo viene respinto come in passato, ma il comunista come tale, e i popoli che vivono nei Paesi comunisti, non sono anime perdute per il fatto d'essere comunisti».
Il sindaco, il parroco, il consiglio comunale al completo (compresa cioè l'opposizione socialcomunista ) andavano a trovarlo, gli portavano fotografie e piccoli documentari sul paese. Lui si informava di tutto, si commoveva: ma era il Papa. Il suo paese non ha fognatura, manca di strade. Una volta il parroco alluse timidamente: «Basterebbe una telefonata..». Giovanni XXIII lo guardò con bontà, poi ci fu un lungo silenzio. Il silenzio crebbe mentre il piccolo parroco adesso arrossiva per la sua audacia; poi il Papa rispose: «Vedete, reverendo, ci sono due poteri a questo mondo: Dio e Cesare. Che vadano d'accordo, è una cosa molto bella; ma che impiantino un "do ut des" questo mi sembrerebbe molto meno bello».
Alla metà del febbraio 1962, Papa Roncalli smentì la propria fama di mitezza rifiutando pubblicamente un'udienza al Cardinale Ottaviani che in modo scoperto aveva cercato di sabotare la formazione del Governo Fanfani.
E poco più tardi ricevendo il Cardinale Luigi Traglia, gli impedì di ripetere ancora una volta gli argomenti della destra di curia con una frase destinata a passare alla storia, che su questo argomento chiudeva definitivamente il discorso : «Sono tutti miei figlioli, lasciateli fare»!
All'inizio del suo pontificato, si avventurò per le stanze vaticane fermandosi ad interrogare camerieri e valletti sui loro guadagni. «Ma son salari da sciopero», commentò. E da quel giorno anche il personale vaticano ebbe i suoi aumenti adeguati.
...fino al testamento
«Nato povero, ma da onorata e umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero; avendo distribuito secondo le varie esigenza e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa che mi ha nutrito, quanto mi venne fra mano - in misura assai limitata del resto - durante gli anni del mio sacerdozio e del mio episcopato. Apparenze di agiatezza velarono sovente nascoste spine di affliggente povertà e mi impedirono di dare sempre con la larghezza che avrei voluto. Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come prete del Sacro Cuore, e povertà reale e che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i miei parenti o amici.
Alla mia diletta famiglia, secundum sanguinem - da cui del resto non ho ricevuto nessuna ricchezza materiale - non posso lasciare che una grande e specialissima benedizione con l'invito a mantenersi nel timore di Dio che me la rese così cara ed amata, anche semplice e modesta, senza mai arrossirne: ed è il suo vero titolo di nobiltà. L'ho anche soccorsa talora nei suoi bisogni più gravi, come povero ai poveri: ma senza toglierla dalla sua povertà onorata e contenta».
«Il senso della mia pochezza e del mio niente mi ha sempre fatto buona compagnia tenendomi umile e quieto e concedendomi la gioia di impegnarmi del mio meglio in esercizio continuato di obbedienza e di carità per le anime e per gli interessi del regno di Gesù mio signore e mio tutto. A Lui tutta la gloria: per me e a merito mio la sua misericordia. Meritum meum miseratio Domini. Domine, tu omnia nosti, tu scis quia amo te. Questo solo mi basta».
Giovanni XXIII
Ci si è molto meravigliati e in certi ambienti vicini al Vaticano ci si è scandalizzati, del modo di fare di Giovanni XXIII nei confronti dei problemi italiani.
In altri tempi la Santa Sede ha preso delle decisioni, date certe congiunture della politica italiana. E troppo spesso la Chiesa del tale o tal'altro paese ne ha sofferto.
Giovanni XXIII non ignora l'Italia e conserva le sue opinioni personali. Ma egli vede più lontano delle sponde del Tevere. Ciò che a lui preme è il mondo intero.
Che importa che il Governo di Roma sia aperto a sinistra: questo riguarda gli italiani.
Ma il papa, che è nato a Sotto il Monte, vuole essere pienamente capo della Chiesa Universale e intende preoccuparsi tanto dei cristiani nelle democrazie popolari, in America del sud o in Africa, che di quelli dell'Italia.
Tutto ciò è molto legato alla persona di Giovanni XXIII. I suoi predecessori erano rimasti molto attaccati al ricordo dei tempi quando il Papa regnava su Roma e su una parte d'Italia.
Ma Giovanni XXIII ha rotto con questo passato.
Se però egli muore e il suo successore sarà un italiano, avrà anch'egli queste medesime sensibilità? Niente è meno certo.
«Temoignage Chrétien» del 31 Maggio 1963
24 - aprile
Sono al buio da dieci giorni e scrivo a tasto come un cieco. La mia Pasqua è stata una resurrezione alla rovescia, un rimanere agganciata sempre al mistero del dolore. Mi sono tanto ricordata di un pensiero letto su «Città Nuova», che Gesù è appeso ad una parte sola della croce, l'altra resta a noi. E ho affondato il capo in quella corona di spine, che è poi tutto il dolore del mondo
25 - aprile
Stando a letto sento come non mai la mia casa, è una conchiglia sonora che vibra sotto di me, di mattini e di crepuscoli, di voci e di silenzi, dell'incessante palpitare della vita.
26 - aprile
Sono arrivate anche quest'anno, ma non le vedo, le rondini. Sento fuori del buio della stanza le loro grida mozzate dalla gioia e immagino i loro voli radenti sul tetto e poi affondati nell'azzurro. Il cielo diventa come un lago immenso in cui concentricamente scompaiono e riaffiorano i balenanti guizzi dei candidi petti dalle ali nere.
28 - aprile
Sono uscita per votare. Dopo tre settimane come ho trovato il mondo cambiato dalla primavera! E' stata una apparizione dalla violenza inaudita questa del sole, del verde, della felicità di tutte le cose.
30 - aprile
E' lunga questa malattia, eppure in tanta pena a tanta debolezza ho avuto prepotente il senso della vita. Siamo una clessidra dell'esistere. L'esistenza, è certo, ci verrà «mutata, non tolta».
1° venerdì di maggio
Viene spesso il Parroco a portarmi la Comunione e poi resto tranquilla nella stanza silenziosa; allora non sono più istanti rubati, come spesso accade, ma è un riposare ai piedi del Signore, affidandogli tutti i problemi del mondo, da quello della fame a quello della bomba atomica, un confidargli tutte le persone care dalle più vicine a quelle più lontane, senza fretta, in dolce continuità d'amore.
1° giugno
Il papa muore e tutto il mondo piange. A parte il dolore, che anche a me ha strappato singhiozzi disperati, l'unità di tutti in questa angoscia per Giovanni XXIII in agonia ha un'importanza vitale per il nostro tempo.
Questo triste secolo, che ha visto guerre, barbarie, crudeltà e vive in modo così superficiale e indifferente dà ora il segno di essere un secolo vivo e palpitante.
Sta morendo il Capo di una comunità religiosa, di umili origini, che ha retto il pontificato per pochi anni eppure la sua santità ha conquistato la terra, come nei secoli antichi, quando gli eroi della bontà trascinavano i popoli. Non ha potuto essere felice la Pentecoste 1963, ma quest'ondata di bontà e di commozione è molto vicina alla gioia che lo Spirito consolatore ha portato in lingue di fuoco. «Vieni, o Santo Spirito ed emetti un raggio della tua luce» ancora il mondo è degno di accoglierti.
Grazia Maggi
Sono otto giorni che Giovanni XXIII se n'è andato. Quando questo nostro povero foglio uscirà di tipografia, può darsi che dal comignolo fatidico sia già uscita la fumata bianca e il nuovo papa si sia già affacciato a dare la Sua prima Benedizione «Urbi et Orbi» dal finestrone centrale di S. Pietro.
Intanto l'attesa. Ma non un'attesa serena e fiduciosa, fatta di sicurezza, anche se nella Fede e nella Speranza.
Dovrebbe essere come quando la Chiesa era chiusa nel Cenacolo in attesa dello Spirito Santo: attesa fatta di preparazione, di preghiera e specialmente di unione intima e profonda (Atti 1, 14), noi tutti della Chiesa.
E invece ci stiamo perdendo in congetture, ipotesi, illazioni.
E si moltiplicano i ragionamenti alla maniera umana. Si cerca d'indovinare scavando motivi, tirando fuori impressioni, abbandonandoci alle nostre sensibilità, simpatie e antipatie.
Oppure si seguono idee e programmi personali e si vorrebbe un papa che poi ci desse ragione, fatto a nostra immagine e somiglianza, venuto fuori dal nostro egoismo, prolificato dalle nostre presunzioni, quando non si arriva al punto di desiderarlo come affermazione e difesa del nostro punto di vista o addirittura dei nostri interessi più o meno compatibili con i problemi del Regno di Dio.
E intanto tutto serve a far perdere di vista la soprannaturalità dell'elezione del Sommo Pontefice o almeno a rendere ancora più difficile l'accettare che sia lo Spirito Santo a scegliere, sia pure faticosamente o anche adattandosi alle disponibilità, il nuovo successore di S. Pietro, il nuovo Vicario di Cristo.
E può darsi che poi se questa visione soprannaturale di questo fatto che più di ogni altro interessa il Regno di Dio nel mondo, almeno nei suoi problemi più scoperti e visibili, non riusciamo ad averla chiara, serena, aperta, può darsi che la nostra preparazione e disposizione alle novità che sicuramente un papa porta con sé, sia limitata, resa più difficile o almeno più faticosa.
Ognuno, obbedendo ai più disparati motivi e ragionamenti, si sta facendo il suo candidato alla Sede di Pietro. Se poi questo non sarà scelto dai Cardinali elettori, comporterà una delusione, la prima delusione del nuovo pontificato, che poi il nuovo papa chissà quanto dovrà faticare per dissiparla conquistandosi le nostre simpatie.
E' pena grossa e stringimento di cuore in questi giorni avvertire il riaccendersi di speranze assurde. Indicano in modo inequivocabile scontentezze per tutto un andamento di cose, scontentezze fino a preoccupazione zelante come se tutto si fosse incamminato sulla strada della rovina. Come se la Chiesa debba riprendersi, riordinarsi, ridimensionarsi come chi si è spinto troppo avanti, come uno che ha fatto una corsa troppo a perdifiato, vinto dalia strada in discesa, e ora ha il respiro affannoso e le vesti in disordine.
Perchè è in questi giorni, dopo che Papa Giovanni è morto, che si misura il suo cammino in avanti, ma è chiaro che questa misurazione la sta facendo, e lo sorprende e lo spaventa, chi non ha fatto un passo, chi è rimasto sulle posizioni di partenza e non ha voluto venire assolutamente avanti. E' ancora laggiù, laggiù: non è possibile che non si lamenti della troppa strada percorsa da chi è andato avanti, passo passo, ogni giorno, anche se con fatica, ma anche con decisa sicurezza.
E' logico e inevitabile che in questi giorni in cui tutti sono fermi e in attesa di riprendere il cammino, le distanze appariscano in tutta la loro lunghezza. E in ordine a certi problemi siamo proprio molto lontani.
No, è assurdo pensare e pretendere che sia il papa a venire a mettersi nelle nostre posizioni, qualunque esse siano. Non potrà essere un papa, chiunque sarà eletto, che sistema le nostre posizioni, che soddisfa le nostre pigrizie, che difende i nostri privilegi e asseconda i nostri egoismi.
Qualsiasi papa lo Spirito Santo vorrà mandarci, non potrà dispensarci dalla nostra ricerca personale, dall'impegno totale di noi stessi, dal giocare interamente tutto di noi per il Vangelo e il Regno di Dio.
Perchè il Cristianesimo non è quello di Pio XII o di Giovanni XXIII, il Cristianesimo è quello di Gesù. E ognuno di noi deve cercare il Cristianesimo di Gesù pagando di persona, rischiando di se stessi; bisogna scavare con le proprie mani e con le unghie smangiate dalla terra dura e sassosa, il campo per prendere il tesoro. E bisogna vendere tutto ciò che possediamo per andare dietro a Lui, carichi della nostra Croce, fatta sicuramente apposta perchè vi siano inchiodate le nostre mani e i nostri piedi.
Sì, è vero che un povero prete o un papa possono tanto aiutarci, e un papa evidentemente in modo particolare. E di qui tutta la gratitudine verso Giovanni XXIII per il Suo particolare aiuto, veramente formidabile, al di là di ogni aspettativa. Ha portato tanto Lui la Croce di una ricerca, ha affrontato Lui tanto rischio, ha sopportato Lui fino all'impossibile la fatica di aprire la strada, spianarla e allargarla per il camminare avanti dei nostri piedi spesso così incerti e stanchi.
Ma l'atto di Fede dovremo trarlo dall'anima nostra, l'Amore sarà sangue del nostro cuore e la Bontà costerà lacrime ai nostri occhi.
Potremmo appoggiarci e sarà molto bello, ma dovremo essere totalmente impegnati anche senza appoggiarci a niente, perchè a evangelizzare il mondo e a lavorare per il Regno di Dio siamo mandati «come agnelli in mezzo ai lupi e senza avere niente per il vi aggio né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro e senza due tuniche (Lc. 9, 3).
Ho paura che tanta trepidazione per chi sarà il nuovo papa sia soltanto una enorme pigrizia, un timore di qualcosa che turbi le nostre sistemazioni o che non aiuti a sufficienza le nostre povere e stanche velleità.
Sta il fatto che sempre più scopro in me e intorno a me povere misure di Fede, impressionanti incapacità e terribili difficoltà a essere perduti nel Regno di Dio.
un prete
Luigi Sonnenfeld
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