LA VOCE DEI POVERI: La VdP marzo 1963

Il cristianesimo, scelta personale

Capita molte volte la discussione intorno al Sacramento del Battesimo amministrato appena appena siamo nati. La Chiesa - se non erriamo - comanda ai genitori di battezzare i propri figli dentro gli otto giorni dalla nascita.
Il problema ha sicuramente una enorme gravità e vi sono motivi validissimi perchè questa tradizione sia conservata, ma vi sono anche ragioni determinate dalla scristianizzazione della famiglia che non possono non lasciare perplessi.
Se il missionario in Africa non dà il Battesimo se non quando la famiglia offre sicurezze di ambiente cristiano e di salda educazione religiosa, non pensiamo che il buon parroco delle nostre città possa amministrare il Battesimo a tanti bambini senza una terribile angoscia nell'anima. Questo battesimo è davvero un immenso atto di Fede. E ci viene in mente il romanzo di Graham Greene «La fine dell'avventura».
Ma poi c'è anche l'altro grande problema che sempre più questi nostri spietati tempi impongono per il loro violento spazzar via ogni ombra o anche impressione d'imposizione e di formalismo, l'altro grande problema che il cristianesimo - questa impostazione e condotta d'esistenza, questa soluzione del mistero della vita... - abbia bisogno e richieda sempre più una scelta personale, cosciente, consapevole, responsabile.
Ma lasciamo andare questo problema se il battesimo sia meglio amministrarlo appena nati o da adulti. Non è compito nostro, evidentemente, discutere di questi argomenti: ci auguriamo però che chi ne ha il dovere, abbia il coraggio necessario - non ce ne vuole poco a non fare come sempre si è fatto e a non fare come sarebbe logico e meraviglioso fare.
In ogni modo - comunque vadano le cose - rimane estremamente vero un fatto: tocca a ciascuno di noi decidere se essere cristiani o no. Anche se battezzati appena aperti gli occhi alla luce del sole, nella vita, o prima o poi, dev'essere operata questa scelta del Cristianesimo.
Perchè il Cristianesimo non è come la patria, o la condizione sociale, la famiglia, il sistema di educazione, la civiltà in cui siamo nati. E' qualcosa di essenzialmente diverso che fa sì che sia assurdo un trascinare, più o meno passivamente, l'essere cristiani come chi è nato bianco o negro, un qualcosa ormai di inevitabile come uno che dalla nascita ha una gamba più corta e una più lunga.
E c'è chi ne fa una aristocrazia dello spirito. Un appannaggio e un privilegio, come i nati da famiglie nobili. E diventa il cristianesimo come un dovere per discendenza. Una fedeltà a mia madre o a mio nonno. Un dovere per via della civiltà occidentale. Una continuazione di tradizioni culturali. E' per una difesa di valori civili. Come elemento d'ordine e di conservazione...
Fino a qualche anno fa - e chissà se non stanno continuando in qualche paesotto «cattolico» - i comizi sulle piazze per le crociate elettorali erano appassionata invocazione alla difesa delle patrie tradizioni cristiane, dei valori della nostra civiltà cristiana.
E nelle grandi prediche tuonanti dai pulpiti sulle folle aggrumati lì sotto, docili e quiete come gregge di pecore sotto lo scrosciare della pioggia, il Cristianesimo era quella gran cosa che era perchè Dante Alighieri, Alessandro Volta, Alessandro Manzoni e Guglielmo Marconi erano cristiani.
Bei tempi. Il Cristianesimo sembrava che fosse come mettersi il vestito buono la domenica. O andare a passeggio nella carrozza del marchese. O mettersi a tavola invitato alle nozze. Tutto pronto. Tutto fatto. Il gran guaio erano i peccati, ma poi le grandi missioni dei Padri Passionisti sistemavano le cose con fiumane di gente alle prediche più o meno spettacolari.
In pochi anni - in questi nostri pochi anni - tutto è un po' cambiato. Niente, ormai, sembra che sia più possibile a folla, a moltitudine. Le tradizioni popolari scadono di anno in anno. E le buone usanze non valgono più. Certa apologetica è soltanto ridicola. E le parate spettacolari non fanno più religione.
Spesso si ha perfino la paura che non sia nemmeno più possibile costruire un ambiente che faccia cristianesimo e non si riesce, nonostante fatiche e spese, a creare un clima cristiano, un'atmosfera respirabile cristianamente.
Il Cristianesimo sempre più ha bisogno di una scelta personale. E' una preferenza determinata da un convincimento personale operato dallo Spirito Santo e aiutato dalla testimonianza cristiana semplice e schietta, scoperta e raccolta nella Chiesa.
Che piaccia o no, non è stato possibile evitare un moltiplicarsi, quasi per ogni anima, del peso e del volume enorme del problema cristianesimo e umanità.
Ciò che una volta doveva essere affrontato in relazione a folle, a popoli, a civiltà, ai nostri giorni è cominciato il tempo in cui tutto deve essere affrontato e sostenuto per ogni anima.
Perchè ogni anima (ogni cristiano) ormai si pone davanti tutto il problema religioso, tutto il mistero cristiano, tutta la realtà della Chiesa. E non sono più possibili schemi fissi, frasi fatte, argomentazioni ben tornite. In ogni anima è necessario riversare tutti noi stessi, lasciar cadere tutta la Verità, abbandonare tutto l'Amore.
Il centellinare la parola, lo sbrigare con un consiglio, il sistemare con una indicazione come il vigile urbano interpellato all'incrocio stradale, è un assurdo. Bisogna prendere per mano, spesso in una bracciata, caricarsi di tutti i pesi e dare tutto, senza nulla chiedere o aspettarsi. E attendere che la scelta maturi. E l'inverno spesso è tanto lungo, la primavera non arriva mai a germogliare le foglie e i fiori. L'estate spesso per la violenza del sole, fa riarsa la terra e l'irrigazione, qui, è fatta con lacrime e sangue. Perchè i frutti siano salvi, e il raccolto sarà quella scelta cristiana, quella preferenza, nei confronti di Dio, quell'atto di Fede, quel momento di totale Amore. Quel voler consapevolmente costruire la propria esistenza secondo il Cristianesimo. Quel tentare di voler vivere una vita spiegabile soltanto con Dio e Gesù Cristo.
E' spaventosa fatica, è rischio tremendo, è passione e morte di Croce ogni momento per Lui e per la Chiesa e per noi, che questi nostri tempi abbiano fatto sì che il Cristianesimo sia possibile soltanto ormai altro che a seguito di una scelta personale, di uno per uno, consapevole e responsabile.
Ma non si possono, pensiamo e crediamo, affrontare queste misteriose esigenze maturate nella nostra gente dai tempi nei quali stiamo vivendo, senza impostare coraggiosamente problemi radicali di povertà. Di quella povertà cristiana che unicamente realizza condizioni interiori di apertura totale agli altri e dà di essere disponibilità assoluta, serena e pronta, in ordine a qualsiasi richiesta e a qualsiasi esigenza.
Perchè è divinamente vero che la povertà dà alla Verità Cristiana e quindi alla sua testimonianza di Amore, di essere sempre pronta per ogni tempo e capace di rispondere ad ogni esigenza.
Crea e stabilisce quelle condizioni indispensabili per cui è spontaneo e appassionato l'Amore. E ai nostri tempi, senza limite e misura, viene chiesto al Cristianesimo e quindi ai Cristiani; l'Amore. Quell'Amore che unicamente può decidere, con un peso determinante, per una scelta cristiana.


La Redazione

3 - Non sono povero

Sono tanti i motivi che ogni tanto saltano agli occhi, così all'improvviso e raggelano l'anima, come una ventata diaccia che arriva fino al midollo delle ossa. Te ne stai tranquillo e vivacchi in una sonnolenza pacioccona perchè ti pare che in fondo tutto vada avanti, assai passabilmente. Rimane un fondo di scontentezza ma, si sa, questo è normale, anzi è forse addirittura grazia di Dio e al massimo costringe a non ripiegarsi sopra se stessi affogando in brodo di giuggiole, ma invece a guardare almeno al di là del proprio naso.
Tutt'a un tratto eccoti la mazzata sulla testa. Un mezzo terremoto scuote tutto dalle fondamenta. Scroscia all'improvviso un acquazzone da diluvio universale e ti ritrovi, nudo bruco, quasi alla disperazione.
Oppure è come svegliarsi all'improvviso e tutto quello che è stato fin lì, ecco che lo senti come un sogno strano e sciocco. Una costruzione fittizia, un mondo fasullo. Non conta proprio niente. Non vale nulla. Bisogna ricominciare da capo.
Penso che sia terribile alla fine della vita, se ci sarà dato spazio di tempo e lucidità di visione: a quella luce nuova e vera (l'ultima è sicuramente la più nuova e la più vera, quella attraverso la quale mai abbiamo visto, le cose) tutto ci apparirà con contorni veri, snebbiato e perfettamente a fuoco, liberato dai tentativi pazienti e tenaci di travisamento soggettivo e interessato, nudo e scoperto in tutta la spietata realtà: allora penso che sarà terribile. Perchè la Verità oggettiva dev'essere ciò che di più meraviglioso e spaventoso esiste.
Ma ogni tanto, anche prima di quell'ultima esperienza, capitano ventate che spazzano via dall' anima ogni nebbia, momenti di luce da abbacinare gli occhi. Qualcosa che è come una pedata che ti spinge a uscire di dietro le quinte di nascondimenti più o meno interessati e ti getta là in mezzo, alla ribalta, a sostenere coraggiosamente la tua parte, anche se ti viene da morire di paura.
Trattandosi di problemi di povertà cristiana, questi colpi in testa, capitati all'improvviso, ti svegliano e ti sgomentano nello stesso tempo.
Lo so che non sono povero e forse non lo sarò mai. Quella vita di lavoro manuale, nella condizione di necessità assoluta per il mangiare e il vestire, non mi sarà possibile, anche se me ne ha dato esempio e insegnamento Gesù che credo Figlio dì Dio fatto Uomo. E di quella vita di testimonianza della Verità e della sua predicazione fatta di esistenza e di parole che l'ha portato e costretto a non avere un sasso dove posare il capo, meno degli uccelli che hanno un nido e delle volpi che hanno una tana, anche quella vita dì povertà assolata non mi sarà concesso che di sognarla e di adorarla. Ma poi rimarrà come una impossibilità anche se non una vera e propria assurdità.
Pure però quando capita qualcosa che ti dà la certezza di una smentita fino a non poterla nemmeno attenuare o minimizzare, allora è proprio cosa tremenda.
Già da un pezzo avvertivo il problema che l'abitare una casa non in affitto, ma in proprietà era qualcosa che non andava d accordo con la povertà secondo il Vangelo. Poi all'improvviso il colpo di fulmine nel più profondo dell'anima e la convinzione chiara e sicura.
Tempo fa è successo seguendo da vicino esperienze di amici. Ultimamente è successo conversando con degli operai. Parlavano di case e naturalmente di affitti. E lunghe storie di sloggiamenti più o meno improvvisi. Traslochi a non finire. Oggi qui, domani là. E mai la tranquilla sicurezza di una stabilità. Il continuo timore di un aumento dell' affitto e è già così grosso il buco che ogni mese il pagare l'affitto fa nella busta paga.
Hai lavorato e lavorato per tutti quei giorni e gran parte di quella fatica, di quel logorarsi di tempo, di salute, d'esistenza è per pagarti il dormire la notte, dove rifugiare tua moglie e i tuoi figli e quei quattro mobili di casa.
Non sai nemmeno chi è quel tale che è padrone dove dormi la notte e mangi a mezzogiorno. Se domani gli viene in mente, ti manda lo sfratto. Se niente, niente ritardi a pagare, un avvocato ti manda un foglio carico di minacce. E il tribunale è sempre lì pronto a far funzionare la legge che butta per la strada chi non possiede una casa dove dormire, per fare un favore a chi possiede non una ma dieci, venti case, dove il bisogno del dormire degli altri sotto un tetto gli dà la possibilità di fare vita da signore.
Un chiodo, che è un chiodo, non lo puoi piantare, Di una stanza più grande è impossibile farne due più piccole e sarebbero risolti tanti problemi a volte tanto spinosi. Qui ci vorrebbe una finestra per raccogliere quel po' di sole al mattino e qua una porta a vetri darebbe un po' di luce dove c'è la macchina da cucire e il tavolo dove il bambino fa la lezione.
La sera, chiudiamo la porta, ma non siamo in casa nostra. Qualcuno è lì, sempre presente, anche quando la luce è spenta, a dire senza parole: qui c'è mio. Gira per le stanze e guarda le pareti, apre e chiude le finestre e le porte, per ricordarci che non siamo in casa nostra. E bisogna pulire e tenere ordine perchè c'è suo. Questo fantasma che gira sempre per la casa, di notte e di giorno. L'imbiancatura è quella che è perchè così è piaciuta a lui. Quelle finestre sono lì perchè gli tornavano bene nella sistemazione di tutti gli appartamenti. E devo abitare con questi vicini, trovarmi con quella gente sulle scale: è chiaro che non sono di mio gusto e mi viene spesso da maledire il giorno che sono venuto ad abitare qui.
Ma dove dobbiamo andare? Conviene lasciare un calvario per andare a morire su un altro?
E' triste, dev'essere spaventosamente triste, per un marito non poter dire a sua moglie: sei in casa tua. E umiliante dev'essere per un padre allevare i figli in un nido preso a prestito, dietro pagamento mensile, concesso solo per interesse. Dover abitare in una casa e lì vivere l'Amore, donare sé stesso, partecipare ogni gioia e ogni dolore, alimentare speranze e sopportare sventure... e tutto in casa di un estraneo che consente che tutto un mondo meraviglioso si svolga dentro quelle mura e sotto quel tetto, soltanto per guadagno, per interesse, per speculazione.
Mi pare - e non dite, per favore, che l'abitudine aggiusta tutto, questa maledetta abitudine che spesso è soltanto un uccidere sensibilità e valori umani tanto preziosi - che in una casa d'affitto nemmeno si possa ridere spensieratamente e liberamente, non può non aggravarsi la solitudine e l'angoscia di chi piange. Tutto viene fatto necessariamente a pigione. Provvisoriamente. In affitto. Dietro pagamento, Pena il trasloco. E sempre all'ombra del tribunale. In ogni modo sempre dentro gli interessi di un tale qualsiasi e per via dell'egoismo altrui.
Ricordi il girare affannoso e preoccupato alle agenzie di affitti? Vogliono sapere chi sei, cosa fai, che conoscenze hai, il lavoro, quanto guadagni e ti guardano come sei vestito e come cammini...
Ricordi, quando sei ancora in casa, ma ormai devi andartene, quelli che vengono a vedere perchè hanno intenzione di comprare quella casa dove tu hai vissuto per anni? Vogliono vedere di qui e di là. Entrano in camera, guardano fin nei ripostigli, aprono e chiudono le porte... e stai lì a guardare e è come se ti palpassero tutto il corpo e ti frugassero dentro il midollo delle ossa. Ne viene uno, due, tre e quegli ultimi giorni sono angoscia spaventosa.
Ricordi quanto ti sei sentito zingaro e animale senza tana, quando calavi i mobili dalla finestra e giù per le scale e li seguivi dietro il carro traslochi, a testa bassa, quasi vergognandoti o come andando dietro un funerale?
Non sono povero. E' chiaro. Soltanto loro sono poveri, questa gente che vive a pigione, in affitto.
Quando sono andato a parrocchia ho avuto una casa. Non era mia proprietà eppure era mia. Il diritto canonico perchè il parroco non sia povero dichiara che è inamovibile: non è sul suo, però nessuno - nemmeno il Vescovo - può rimuoverlo di dove é: vi ha messo le radici fino alla tomba. Era povera e vecchia e brutta quella casa parrocchiale, ma era bella perchè era mia. E vi facevo i lavori che credevo e la sistemavo come meglio mi sembrava e la guardavo con amore, come una persona amica, come braccia e cuore sempre aperto.
E' molto bello dormire la sera distesi nel proprio letto, ben chiusi e custoditi e difesi dentro quattro rnuri che sanno di castello fortificato. Vi è la legge a far guardia intorno al diritto di proprietà e vi sono i carabinieri e il tribunale. Sono in casa mia.
La porta è chiusa sono nel mio guscio. Questo pezzo di mondo è mio. Qui c'è mio. Qui comando io. Ne dispongo come mi pare. Queste mura allargano lo spazio, il volume del mio io. Sento di occupare un posto e è tutto per me e le mie cose. Chi viene qui, chiunque sia, deve dire: permesso?
E' molto bello possedere una casa. Pare di non essere a pigione nemmeno nella vita. Non una foglia al vento ma albero dalle radici ben affondate dentro la terra.
Possedere una casa è essere al sicuro, al coperto. Ci si sente al posto. E si ha meno bisogno di Dio. Della Sua protezione paterna. Della Sua difesa amorosa. E si desidera meno di andare ad abitare nella casa del Padre che è il Cielo.


don Sirio

La Preghiera del deserto

Ti ringrazio, Signore, di essere venuto nella solitudine aspra e paurosa delle mie pietre, riarse dal sole e dal vento. Solitudine sterminata senza il sollievo nemmeno della pietà di un filo d'erba o di un grido nella notte.
Qui lo Spirito che. ti ha generato dalla Verginità di tua Madre, ti ha condotto. Avvolto dal mio silenzio, nelle nottate colmate soltanto di stelle e nelle ombre delle pietre bruciate dal sole durante giorni e giorni affocati, la Tua infinita adorazione al Padre e tutto il Tuo Amore ai fratelli.
Perchè la mia solitudine è abitata dalla Grandezza di Dio e dalla disperazione degli uomini. Qui tutto è soltanto Cielo e pietre. Dio e gli uomini qui si guardano immediati, quasi negli occhi. Perchè forse il deserto più di ogni altra cosa al mondo è l'immagine del Mistero di Dio e dell'umanità.
E Tu sei venuto qui perchè Dio è solitudine infinita e perchè gli uomini sono solitudine infinita. E queste solitudini opposte, eppure misteriosamente una sola solitudine, scavano deserti riarsi di pietre, bruciati di sete e di fame.
Ti ringrazio Gesù perchè finalmente dal deserto di sete e di fame della vita umana Tu hai gridato che non di solo pane vive l'uomo ma di ogni parola di Dio. E che Dio non va provocato e che Dio soltanto dev'essere adorato e servito. Perchè Lui solo è Tutto.
Hai dato voce e anima e Amore, Gesù, alla mia solitudine, al mio silenzio solenne, al vento, alle pietre, al sole, alle stelle delle mie notti luminose. Aspettavo da millenni di gridare la mia Verità con le tue parole, o Verbo di Dio fatto Uomo.
Perchè, anche dopo che Tu nel deserto hai vinto il nemico, gli uomini continuano ad averne paura della mia solitudine?
E hanno terrore del silenzio. Della pace vasta e solenne. Delle parole gridate dal vento e sussurrate dal brillare delle stelle. Scritte sulle pietre. E fatte di luce di sole.
E non sanno gli uomini amare nemmeno il deserto allargato nell'anima, fatto di pietre dolorose, di solitudine colmata di abbandoni, bruciato dall'angoscia...
Eppure tu sei vivo e vivente in ogni deserto a combattere ancora l'antica battaglia, a gridare che Dio soltanto è Tutto e che a Lui solo dobbiamo servire.
Perchè aspettano che Tu faccia delle pietre pane per una fame che non è tutto, che Tu compia miracoli che siano meraviglia, che Tu sia potente e faccia potenti i Tuoi?
Mentre Tu sei sicuramente e unicamente nel deserto dell'umanità per affermare che Dio sia adorato e Lui solo sia servito.
Ecco il deserto aspetta: ci sarà ancora chi vorrà seguirti, o Gesù, fra le mie pietre riarse, nella notte colmata di silenzio e di stelle, fra il vento che urla e il sole brucia perfino le ombre?
E tu, cristiano, credente in Lui, questo dovresti sapere: non è lontano il deserto che aspetta. Non devi camminare a lungo e varcare il mare. Il deserto sono l'anima tua e lì, nella tua solitudine, Lui - e spesso da solo - grida che Dio è tutto e Lui soltanto bisogna servire.

(dal Vangelo di Mt. 4, 1-11)

La speranza morta

Il Signore ha bussato alla tua finestra:
«Amico, amico, amico, amico».
Il Signore ha bussato alla tua finestra,
ma tu dormivi.
Non aspettare dunque che la notte finisca,
non aspettare dunque di finire i tuoi sogni.
Il Signore ha bussato alla tua finestra,
ma tu dormivi.
E il suo popolo passando ti chiamava:
«Amico, amico, amico, amico».
E il suo popolo passando ti chiamava,
ma tu dormivi.
Un malato ha gridato fino all'aurora:
«Amico, amico, amico, amico».
Un malato ha gridato fino all'aurora,
ma tu facevi il morto.
Un pover'uomo t'ha chiesto due soldi di speranza:
«Amico, amico, amico, amico».
Un pover'uomo t'ha chiesto due soldi di speranza,
ma tu non hai voluto vederlo.
Il vicino è passato sollevando il pugno in segno d'odio:
«Amico, amico, amico, amico».
Ma tu resti nel tuo cantuccio.
Il Signore ha bussato alla finestra:
«Amico, amico, amico, amico».
E il suo popolo passando ti chiamava,
ma tu dormivi.
Ma un mattino aprendo la porta,
tu troverai
la speranza morta.



dal disco "Le ciel est ròuge" di Padre Duval



La prima beatitudine

Spesso si sente dire, rifacendosi ad una interpretazione assai superficiale e facilona della prima Beatitudine, che per essere poveri basta essere distaccati dalle cose terrene, dalle ricchezze, dai beni di questo mondo.
E' un modo come un'altro per aggiustare una tremenda e bruciante Verità alle proprie misure, sistemandola in pieno accordo con le nostre esigenze di comodità, godute in pace con Dio e con gli uomini e specialmente con la propria coscienza. Si può anche concedere che la povertà possa essere, in fondo, questione di capacità di libertà di spirito: e come è vero che lo spirito rimane libero anche quando il corpo è avvinto dalle catene e seppellito in un fondo di galera, così può rimanere libero della dolce libertà della povertà anche quando è carico di ricchezze, oppresso dalle importanze, schiacciato dagli onori. Se il Cristianesimo, e quindi il mistero della povertà secondo Gesù Cristo, fosse un problema di psicologia da risolversi con impressioni, modi personali di pensare e di sentire, mentalità individuali ecc., potrebbe anche andare questa povertà di spirito, intesa come distacco semplicemente interiore dalle ricchezze.
Il guaio è che il Cristianesimo, della povertà, ne fa un problema di Fede. E fino al punto che la giudica una realtà interiore ed esteriore capace di essere vivente e vissuto atto di Fede in Dio, affermato come unico Valore, unico motivo d'esistenza. Bontà infinita, Provvidenza paterna.
E la Fede è sincerità interiore fino al punto da esprimersi anche esteriormente in opere rispondenti in coerenza perfetta. Così la Carità. La Verginità. L'obbedienza. Così tutto il Cristianesimo e in modo veramente particolare la povertà che può essere considerata non tanto fruttificazione, risultato di virtù, quanto invece punto di partenza e motivo determinante e decisivo di ogni virtù.
La povertà cristiana ha valore unicamente religioso e vuole ottenere soltanto sincerità religiosa. Mi vuole rapportare direttamente e immediatamente a Dio, realizzando appartenenze a Lui fino ad essere ottenute anche sul piano materiale. E' attraverso la povertà che il mondo, le cose, la carne e il sangue, i valori umani ecc. non sono più nemici di Dio e negazione e impossibilità di Amore verso dì Lui, ma invece diventano chiara e sicura occasione di affermazione di Lui come valore supremo, come principio e fine di tutto l'esistere.
Questa Fede fondamentale ed essenziale nei confronti dell'Essere di Dio, nel suo valore unico ed assoluto, trova la possibilità di una concretizzazione precisa nella povertà fino al punto che la povertà ne è la testimonianza e la garanzia. Le opere di questa Fede di fondo (così decisiva per tutta una impostazione d'esistenza secondo il Cristianesimo) sono tutte nella povertà perchè è la povertà che materialmente, in modo concreto e misura perfetta, riporta i valori, le cose, le ricchezze alla loro contingenza, alla loro limitatezza e relatività, cioè dire alla loro verità.
E tutto questo perchè la povertà cristiana rende logico il non avere, dà un senso preciso al non possedere, crea la mentalità del non avere e la perfetta convinzione che non si deve possedere: è allora che anche lo spirito è povero. La povertà è diventata pensiero, idea, razionalità, logica, convinzione, mentalità. La povertà è anima, è spirito. Quindi ideale, motivo unicamente umano. Allora, attraverso la Grazia, la povertà diventa Fede. E' Amore. E' entrata nel Mistero di Dio. Partecipazione della Natura stessa di Dio. Visione e possesso di Lui. Quindi beatitudine.
«Beati i poveri di spirito perchè di loro è il Regno dei Cieli» (Mt. 5, 3). Perchè ciò che è riservato alla Gloria del Paradiso possa iniziarsi sia pure «come in uno specchio e nel mistero», qui sulla terra, è necessario che qualcosa dì totale e di assolutamente vero si compia. E in questo compiersi sulla terra di qualcosa che è unicamente del Cielo, ogni valore entra in gioco e deve dare se stesso. Forse i beni di questo mondo, le ricchezze, entrano nel gioco e hanno importanza perchè possono essere messe alla pari di Dio, ma poi perchè attraverso la povertà restano scartate per preferenza e scelta unica e assoluta di Dio.
Perchè la povertà soltanto dà sicuro criterio di giudizio e forza violenta di scelta. Fino al punto che ciò che è falsità viene scoperto e respinto e ciò che invece è valore, vero e assoluto, è scelto e preferito.
La povertà, secondo Gesù, deve aiutare l'intelligenza alla Verità, deve essere forza alla volontà, vuole allargare l'anima a misure infinite di libertà e cerca di potenziare l'uomo in tutti i valori dello spirito nel superamento di ogni condizionamento materiale, contingente, finito.
Non può trattarsi di essere distaccati dalla terra e nel frattempo soffocati o schiacciati dalla sua materialità. Se lo spirito è libero, questa sua libertà non può non operare (o almeno cercare di operare) una vera liberazione. Almeno il conflitto e l'angoscia non potrà essere evitata. Lo sforzo violento (e questa sofferenza è magnifica povertà) di liberarsi non potrà che essere terribilmente incessante e sempre più urgente.
Perchè lo spirito diventato povero, perchè vinto e sopraffatto dalla Verità e libertà di Dio, è forte e non si arrende, ma lotta e si dibatte senza stanchezze fino all'ultima liberazione dell'ultimo peso fatto di terra.
Ma non siamo poveri di spirito: è per questo che viviamo in pace, tranquilli in un Cristianesimo fatto di penose approssimazioni, più o meno inconsapevoli.


* * *

Cristianesimo impossibile

Matrimoni di ricchi e di poveri

Passavo da quelle parti, ho visto tante automobili di lusso sulla piazza e non ho resistito alla tentazione di curiosità e sono entrato in chiesa. La Porta centrale aveva appena i battenti socchiusi perchè la grande guida cominciava fin dal di fuori ad accompagnare gli sposi all'altare: nei matrimoni di prima classe la sposa è sempre vestita di abito bianco e spesso è lungo fino a terra e qualche volta vi è lo strascico e allora la guida è indispensabile oltre che a fare solennità e grandezza. Ho appena scostato un battente della porta centrale e sono entrato fermandomi appoggiato al muro di fondo dell'interno della Chiesa.
Di qua e di là della guida, vasi di sempre verdi davano l'aria di vialetto di giardino, su su, fino alle balaustre. Luci accese dovunque, comprese le file di piccole lampade intorno al gran quadro del Santo Patrono e fiori bianchi a grappoli e a cesti e a ciuffi sull'altare e in tutto il presbiterio.
La Messa era già avanti e di fondo alla Chiesa sentivo la forte e sicura voce del Sacerdote che leggeva il prefazio. Gli sposi, inginocchiati lassù davanti all'altare, li vedevo di spalle e due di qui e due di là i testimoni : quando sono quattro il matrimonio è sicuramente di gente importante. Non mi ero sbagliato, la sposa era vestita di bianco, ma non vedevo se aveva lo strascico. Al di qua delle balaustre, fra le panche, i parenti e gli amici, chi in piedi e chi seduto. Un paio gironzolavano qua e là per la Chiesa a guardare le immagini. E alcuni gruppetti parlavano insieme, fitti fitti, con vivo interesse.
Dopo il sanctus un violino accompagnato dall'harmonium ha cominciato a suonare, non so di che, ma qualcosa per toccare il cuore e sollevare l'emozione. All'elevazione grande ondeggiare del cappelli delle signore (chissà perchè i cappelli delle signore ai matrimoni mi sembrano sempre così strani e buffi) e gli uomini si sono induriti in piedi, ostentando grande considerazione per il momento solenne. Scampanellate allegre dei chierichetti (quand'ero ragazzo si faceva normalmente a pugni per servire la Messa degli sposi).
E dopo quella fatica di pochi secondi d'attenzione e di silenzio, grande rilassamento generale. Il violino adesso, con sicurezza di successo, tenta il pezzo forte per strappare la commozione e forse lacrime ardenti e appassionatamente attacca l'Ave Maria di Shubert. Ma è questione di pochi momenti e poi vedo che la folla lassù si sta sbandando. Quasi tutte le donne e le ragazzine e anche qualche signora col cappello, lasciano le panche e vengono giù, lungo la guida, disponendosi fra i vasi di sempreverde. C'è ancora tempo assai, prima che la Messa sia finita e gli sposi, fra i lampi di flaschs. scendano lungo la chiesa, camminando sulla guida e sorridendo a tutti voltandosi a destra e a sinistra.
Ma l'attesa è veramente intensa: tutto considerato penso che la sposa debba avere un abito splendido e forse anche lo strascico lungo qualche metro.
Lassù intorno all'altare sono ormai in pochi: gli sposi, i testimoni, i parenti. Il Sacerdote declama a braccia aperte il Pater noster. Ma pochi gli badano ora che è già cominciata l'attesa della sfilata finale lungo la guida con i vasi di sempreverde come il vialetto di un giardino.
Noto che gruppetti di giovani - saranno gli amici dello sposo - stanno uscendo di chiesa. Forse sono stanchi di star lassù impalati o non sanno più di cosa chiacchierare. E adesso il violino ha ricominciato a cercare di toccare il cuore e si sforza poveretto di commuovere.
Anch'io esco. Sono stanco di quella vuotaggine lì d'intorno. Vi è un'aria di formalismo che soffoca. Una superficialità che spaventa E' penoso che un Sacramento, la Messa, una cerimonia religiosa, sia ridotta a mediocrità così miserabile e salottiera.
Esco, riaprendo un po' il battente della porta centrale, socchiusa stringendo nel mezzo la guida.

Lì fuori già preparati quei gruppetti di giovani amici dello sposo che avevo visto uscire. Hanno in mano pacchetti di riso. Gli ultimi li vedo uscire dal negozio alimentari in fondo alla piazza, dove hanno comprato pacchetti di riso. Ridacchiano allegri aprendo quei pacchetti di riso: lo getteranno in faccia agli sposi quel riso impacchettato acquistato al negozio alimentari e vorrà dire felicità agli sposi.
Quand'ero in parrocchia, alla lontana, i polli e le galline del vicinato stavano ad aspettare che tutti se ne andassero per precipitarsi a beccare furiosamente il riso della felicità e qualche volta qualche vicina veniva con la scopa a raccattare il riso degli sposi.
Mi hanno pregato di andare a celebrare il loro matrimonio due poveri ragazzi. Poveri di tutto e forse, Dio non voglia, poveri perfino di Amore.
Sono venuti in circolare alla Chiesa e i testimoni con un furgoncino a tre ruote. Li ho trovati sulla porta di chiesa e mancava ancora mezz'ora alle sette, l'ora fissata. Una di quelle mattinate diacce da morire del mese scorso. La sposa tremava dal freddo in quel vestitetto rimediato e lo sposo mi ha detto che aveva soltanto la canottiera sotto la camicia celestina ben stirata, sul vestito nuovo, nuovo, acquistato la sera avanti già confezionato. La Chiesa era quasi deserta, fredda e ancora in penombra. Quelle quattro o cinque vecchiette non si sono nemmeno voltate quando gli sposi sono andati all'altare con i due testimoni venuti col furgoncino. Un matrimonio celebrato alle sette del mattino non può che essere un matrimonio di povera gente e la povera gente non fa nemmeno curiosità.
Mentre che domandavo e la parola mi suonava poco rispettosa: lei Signor... lei Signorina... ecc. e mi rispondevano con un «sì» debole e fragile, quasi spaurito, un Sacerdote cominciava, ad un altare laterale, a celebrare la sua Messa e recitava tutto a gran voce e il gruppetto di donne, riunitosi là intorno, gracchiava le risposte. Noi del matrimonio siamo come spariti. Non si contava più nulla sopraffatti da quella Messa all'altare di una Santa o della Madonna che fosse. E c'è voluta tutta a farmi intendere quando leggevo a quei due poveri ragazzi gli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi.
E' cominciata la nostra Messa, ma è andata avanti sopraffatta com'era da quella dell'altare laterale, così povera, povera che mi pareva che fossimo in un angolo, oscuro e polveroso, sopportati appena, dimenticati da tutti.
A un certo punto ho sentito che quella Messa era quasi finita e speravo che gli ultimi minuti sarebbero stati tranquilli. Invece all'improvviso si è levato un coro di vociacce di vecchie più quella del sacrestano che ormai anche lui ci aveva abbandonato per accendere le candele della Benedizione e dare man forte a cantare il Salutaris Hostia.
Mi sono voltato a leggere la Benedizione della sposa, povera ragazza mezza morta dal freddo, ma non sono riuscito, nonostante la leggessi in italiano, a far udire nemmeno una parola. Eravamo alla Comunione, ma ormai il nostro matrimonio era sparito dentro la cantilena delle litanie, strascicate e lamentose.
Ho finito la Messa, mi sono inginocchiato all'altare e mi sono voltato a fare un inchino agli sposi e a stringere loro la mano: avevo un gruppo di pianto in gola.
E quei poveri ragazzi ormai sposi - poveri anche di un po' di silenzio affettuoso e di un po' di pace cordiale durante la celebrazione del loro matrimonio -se ne sono andati con i due testimoni venuti col furgoncino e là all'altare stavano cantando, con quelle vociacce di vecchie e di sacrestano, il Tantum ergo.


un prete

La poesia dei giorni

3 febbraio - Anche il paesaggio toscano, sempre così restio, è stato domato dall'incanto della neve.
I cipressi sembrano assaliti dall'agile arrampicarsi di un'edera candida, gli ulivi portano sulle piccole foglie una fioritura gigante, le colline svaniscono nel bianco folleggiare dell'aria e la notte
c'è chiaro di luna su tutto questo immacolato splendore.
11 febbraio - Sono tornati la pioggia e il vento a flagellare i vetri, ad agitare gli alberi, ad affastellare le nubi, solo la casa vive la sua perfetta stagione. Essa ha un suo cielo ed una sua luce,
le ore sono determinate non dall'arco solare, ma sul ritmo del lavoro e del riposo, l'aria ha le sue tenerezze ed i suoi geli rapportati al fluire delle gioie e delle pene, il chiaro ed il buio scaturiscono
solo dalle voci del cuore.
La casa fa blocco, contro ogni altra realtà impone la sua, che è poi il tessuto intimo di ogni vita.
15 febbraio - Ho di nuovo trovato il tempo la sera per stare un poco dietro ai vetri, al buio, a guardare la notte. Allora le colline colme d'ombra s'allungano sul cielo a confondere i lumi della terra con quelli del cielo (che sempre qualche stella scappa fuori, anche tra le nubi) e gli alberi si intravedono, solo se il vento li muove.
Sento tanto riposo nella notte, forse per la sua perfetta rispondenza al nostro vivere fasciato di buio.
25 febbraio - Esco oggi dalla Casa di cura dove sono stata tenuta tre giorni completamente al buio. Ritrovare la luce fuori è stata una gioia da farmi odiare ogni amore per la notte. Il sole era sulle strade, c'era sole sulle case, sole sui pendii, sole sulle foglie, sole sulla vita, che la vita è fatta di luce!
2 marzo - Mi sono piovuti addosso giorni duri, non so neanche come accogliere dentro questa realtà così confusa e dolente.
Occorre abbozzarla in forma di croce, per renderla possibile.


Grazia Maggi

Esame di coscienza sulla povertà

«Lasciamo che la luce viva del Vangelo, come il raggio di un faro, illumini tutta la realtà della nostra vita quotidiana...».
E' in questi termini che in una Settimana religiosa, Mons. Gerald Huyghe, vescovo di Arras (Francia), domanda ai suoi diocesani di ogni condizione - come fa egli stesso - di cercare come, attraverso misure concrete, essi possono e devono ritrovare lo spirito evangelico che è essenziale per testimoniare la Chiesa.
Dopo aver ricordato i numerosi interventi che, al Concilio, hanno impostato, in termini spesso molto urgenti questo problema - e specialmente quelli del Cardinale Lercaro e di Mons. Larrain, Gouyon e Hakim - Mons. Huyghe scrive: "I vescovi dei paesi sottosviluppati comprendono meglio di noi l'importanza della povertà per la Chiesa. E gli Europei che partono per quei paesi sono scossi dal contrasto fra la miseria del popolo e la ricchezza almeno apparente dei luoghi di culto e delle scuole cattoliche".
E prosegue:
"Come vescovo, io non posso semplificare tutto dall'oggi al domani, ma devo continuare a pormi dei problemi sugli abiti che le usanze mi fanno portare nelle cerimonie liturgiche e non liturgiche, sugli onori che ricevo nel corso delle cerimonie e nella vita di tutti i giorni.
Io sono felice di aver trovato, al mio arrivo nella diocesi, un movimento favorevole alla semplificazione delle distinzioni in classi dei matrimoni e dei funerali. E l'ordinanza pubblicata all'inizio del mese di gennaio ci aiuterà a meglio vivere secondo lo spirito del Vangelo.
Vi dirò anche che io non posso non pormi il problema delle distinzioni e delle onorificenze diocesane. Noi nomineremo dei canonici per la prossima «Saint Vaast», ma io so che un certo numero di preti della diocesi aspettano con ansia il giorno in cui la maggioranza del clero sarà favorevole all'abbandono di un uso che non risale che al secolo XIX e che sa più di spirito del «mondo» che di quello di Cristo.
Come preti, dobbiamo porci per esempio, il problema della decorazione delle nostre chiese. San Giovanni Crisostomo ha venduto parecchie volte dei vasi sacri per soccorrere i poveri... non si tratta di imitarlo alla lettera ma noi non dobbiamo dire troppo presto che niente è troppo bello o troppo caro per la gloria di Dio quando due uomini su tre muoion di fame.
I religiosi e le religiose hanno fatto il voto di povertà... ma, come diceva il cardinale Lercaro, praticano essi la povertà individuale e collettiva?
Anche i laici hanno dei problemi da trattare in questo campo. Essi sono impegnati nel mondo moderno. E' vero. Ma sono veramente in questo mondo così affamato di possedere, i testimoni di Cristo povero?
Nè per i vescovi, nè per i preti, nè per i religiosi, né per i laici, può esistere, data la differenza dei problemi, una soluzione uniforme. E non tocca a me imporvi qualche cosa. Ma io avrei l'impressione di non aver fatto il mio dovere se non vi avessi messo a parte di queste riflessioni che sono nate e cresciute in me durante lo svolgimento della prima sessione del Concilio.
Ne va di mezzo l'autenticità evangelica del nostro cristianesimo. Ne va di mezzo l'unità dei cristiani alla quale tanto pensiamo...".
da Informations Catholiques Internationales - 15.2.1963


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