LA VOCE DEI POVERI: La VdP febbraio 1963

Confidenze fraterne

Il numero di gennaio è stato per noi motivo di gran gioia, perchè è stato occasione di scoprire simpatie (e anche insopportazioni) verso questo nostro povero foglio mensile, veramente inaspettate. E logicamente non è che ci abbiano fatto gran gioia gli attestati di solidarietà e di amicizia verso di noi e la nostra fatica mensile, quanto lo scoprire vaste sensibilità in ordine a problemi di ricerca di verità e di sincerità cristiana, stanchezze ormai impossibili a sostenersi per tante mentalità e formalismi ormai rivelatisi vuoti e inutili e spesso pesanti e soffocanti e, cosa ancor più motivo di gioia, è stato lo scoprire quanto sia profondo il bisogno di un Cristianesimo aperto, sereno, autentico, libero, e quanto sia appassionato l'amore per il Cristianesimo del Vangelo, dei primi secoli della Chiesa, della più pura tradizione religiosa, dei Santi.
Con questo non è davvero che ci giudichiamo e ci sentiamo banditori e propugnatori di questo autentico Cristianesimo e tanto meno apostoli di rinnovamento ecc., non siamo cretini fino a questo punto, grazie a Dio. Non ci sentiamo proprio nulla di speciale, né ci assumiamo missioni di alcun genere. Siamo dei poveracci e così pochi per di più e di così nessuna capacità, che ogni volta che ci sentiamo presi in considerazione, sia per simpatia come per antipatia, dobbiamo farci una forza particolare per rendercene conto seriamente e quindi cercare di poterci sentire un po' importanti, se non altro per raccogliere le dovute responsabilità.
Ma il bello sta proprio qui e è questo il gran motivo di gioia. Così nulla, così zero, eppure dobbiamo constatare tanto interesse, raccogliere tanti consensi e anche essere oggetto di tante preoccupazioni e discussioni. Sei paginette messe insieme con tanta improntitudine e con così fanciullesca semplicità, articoli improvvisati, senza ricercatezze e senza letteratura (almeno senza nemmeno l'ombra di voler fare letteratura, te lo possiamo assicurare e tu ci conosci, fratello) anche se tirati su dall'anima come i frutti dalla terra - e sempre problemi di povertà: questo strano e noioso problema della povertà visto come qualcosa di essenziale, di decisivo, di determinante. E' come una fissazione ormai e chissà perchè. No, non possiamo fare diversamente: il resto non ci interessa, perchè ormai e chissà perchè, crediamo che per un Cristianesimo vivo e incidente nel mondo del nostro tempo nella carne viva e nell'anima angosciata degli uomini fra i quali stiamo vivendo, la povertà sia come zappare la terra e prepararla, come aprire il cuore all'Amore, come spalancare la prigione per tutta la libertà.
E' un clima dì accoglienza indispensabile. E' una condizione di verità insostituibile. E' una disponibilità all'Amore di cui nessuno può fare a meno, da dopo l'Incarnazione, né Dio (perchè così lui ha scelto) e tanto meno gli uomini, e quindi in maniera assoluta la Chiesa, questa Chiesa che è perchè il Regno dei Cieli si faccia e si compia per ogni sorgere e tramontare di sole, all'orizzonte.
D'altra parte ognuno deve battere il suo ferro, seguire la sua strada, dar seguito alle sue «fissazioni», specialmente poi quando gli pare di essere sicuro che prima di lui sono state e sono «fissazioni» di un Altro al quale è stata consegnata la propria esistenza e specialmente il proprio destino, che è qualcosa di molto di più.
E, cari confratelli, la Fede che abbiamo non può bastare che sia quella che ci è stata data ai tempi del catechismo dei pantaloni corti e delle Messe servite da Chierichetti e nemmeno può essere sufficiente quella della formazione del seminario, ottenuta dalle meditazioni nella penombra diaccia della Cappella alle cinque e mezza del mattino o dei discorsini più o meno pietistici settimanali. Non è nemmeno quella del giovane sacerdozio, della Messa novella, delle accensioni apostoliche e dei Vangeli domenicali preparati e scritti con cura, cercando gli esempiucci convincenti e chiarificanti dagli schermi stampati per tutte le domeniche e feste dell'anno.
Sì, è quella Fede, fondamentalmente. Ma quella Fede ricevuta, più o meno passivamente, e accettata e vissuta con serena ma spesso superficiale obbedienza anche in ordine alla Grazia stessa, non può non aver determinato altro (e non è poco) che una conoscenza di Dio e una esperienza diventata dura convinzione che Dio va cercato. Che bisogna pagare di persona. Che il rischio è inevitabile. Che la sofferenza della nostra esistenza - la nostra fondamentale povertà - è ricominciare questa ricerca di Dio ogni giorno, ad ogni Messa, ad ogni stretta di mano, ad ogni parola scambiata, ad ogni anima e ad ogni valore o miseria scoperta e avvicinata. Ricerca di Dio fatta per noi, per salvare e affermare la nostra Fede - la Fede per la quale crediamo in Dio e in Gesù Cristo e nella Chiesa e negli uomini - e ricerca di Dio fatta a nome di tutti, di tutta l'umanità, di ogni uomo sperduto sulla terra e nell'angoscia dell'esistenza.
Questa ricerca e questa conquista della Fede, e quindi di Dio, ha bisogno di motivi, di ragioni vitali, di testimonianze essenziali, di evidenze misteriose, ha bisogno di tutta la carne e di tutto il sangue, di tutta la Rivelazione e specialmente di tutto il Cristianesimo in tutta la sua meravigliosa e decisiva essenzialità.
Le tradizioni di sentimentalismo religioso popolare non bastano più né a noi né agli altri, né sono sufficienti i formalismi ormai vuoti, i pietismi delle funzioni, le carità a fuochi artificiali, gli omaggi reverenziali, le cerimonie barocche, le candele votive e nemmeno i deputati cattolici, le grandi opere, le celebrazioni solenni, ecc. ecc.
Da dopo la prima parte del Concilio Ecumenico il mondo cattolico sta prendendo coscienza di ciò che ormai è soltanto pesantezza e ostacolo e difficoltà alla Fede: ma si sta anche scoprendo che è duro mollare privilegi, posizioni di comodo, superficialità di apostolati...
E' difficile riconoscere e accettare che il castello feudale è l'ora di raderlo al suolo. E scendere dal piedistallo può sbalordire e sgomentare il monumento, specialmente per il fatto che non è abituato a muovere i piedi, fermo e fisso com'era sul piedistallo di marmo con l'iscrizione. Mettere i santi nell'urna era facile e ancora più facile mettere candele davanti da accendersi per 50 o 100 lire, ma ormai i santi devono essere vivi e camminare per le strade, la gente li vuole in carne e ossa, a faticare e lottare la vita - e tanto più la Vita eterna - mescolati e sperduti tra la folla, dentro tutta la realtà terribile e sgomentante dell'esistenza umana.
E allora noi parliamo di povertà perchè la povertà è l'esistenza concreta, reale, vissuta del Cristianesimo, insieme all'Amore, al dolore, alla morte, valori scelti da Gesù per una perfetta e concreta e reale e vissuta Gloria a Dio e per una universale Redenzione di tutto il destino dell'umanità.
Cerchiamo nella povertà la via diritta per arrivare al Vangelo e quindi a tutto il Mistero di Gesù e scoprire in Lui le profonde logiche dell'Amore, violenza unicamente capace di portarci a Dio stringendoci agli uomini in un tutt'uno di misterioso, infinito bisogno di Lui.
Il mondo moderno ha demolito o sta demolendo, pezzo a pezzo, tante vie tradizionali sulle quali, più o meno speditamente, è rotolato avanti il problema religioso. Non siamo disposti a vivere di abitudini, di convenzionalismi, di artificiosità più o meno umane, più o meno fruttificate in questa o quest'altra epoca, in questo o quest'altro costume proprio d'altri tempi.
Non per disprezzare nulla: Dio ce ne guardi. I musei - anche quelli conservati meticolosamente come se fossero cose vive - meritano tutto il rispetto. Attesteranno glorie passate, ma non sono più argomenti e testimonianze viventi, seriamente capaci di aiutare alla Fede noi e gli altri.
Quindi cerchiamo qualcos'altro. Con pazienza, con serenità, con disinvoltura. Forse anche con un tantino d'incoscienza che poi in fondo vuole essere fiducia.
Questa ricerca, questo guadagnarci il pane quotidiano della Fede, chiedendolo a Dio e logorandoci di fatica, questo cercare di accorgerci sempre di più della sofferenza e dell'angoscia degli altri per poter credere seriamente in Dio e cercare di amarLo insieme al prossimo, partecipandola interamente e facendone tutt'uno con la nostra ricerca, è forse ciò che interessa di questo nostro povero foglio, sempre più realmente voce di poveri.
Voce di chi non ha sicurezze granitiche, di chi non si sente cattedra della Verità, di chi è convinto di non aver forse nessuna ragione, di chi spesso cammina a tentoni sulla propria strada, di chi rischia tutto ad ogni passo, di chi apre il cuore senza paura, di chi si fida di tutto e di tutti senza difese... voce veramente di poveri. Ce ne sono tanti di questi poveri come noi: ci dispiacerebbe se non fossimo, in qualche modo, la loro voce.
Sembra che, sia pure molto miseramente e indegnamente, lo siamo. Ci basta.
Chi non è povero nemmeno di questa povertà, beato lui. Noi non gli vogliamo male, non gli portiamo invidia, lo rispettiamo con serenità, anche se spesso succede che non possiamo condividere le sue mentalità e sopportare che siano scambiate e credute Verità e Vangelo.
Gli chiediamo soltanto, se gli è possibile, di non tagliarci le gambe, perchè anche noi abbiamo il diritto e il dovere di camminare per la nostra strada.
E ormai sappiamo che certo cammino o non si fa o va fatto con le proprie gambe.


La Redazione

2 - Non sono povero

E' tanto difficile dire cos'è la povertà, in che cosa consiste il suo vero valore e anche dov'è la povertà e dove non è.
Siccome la povertà, secondo il Vangelo, è condizione indispensabile e determinante per la verità dei nostri rapporti con Dio e col prossimo perchè dà di poter realizzare l'Amore che è l'unico Comandamento e quindi tutto il Mistero di Dio, non può essere contenuta in una formuletta o in una definizione, né può essere pensata in un modo assoluto piuttosto che in un altro e tanto meno contenuta in programmi chiusi come una strada fra gole di montagne.
C'è il Vangelo che narra quanto la povertà sia stata scelta da Dio nel Suo venire e abitare e morire fra gli uomini. C'è la Parola di Gesù che ne fa una essenzialità pressoché assoluta per una libertà di servizio a Dio e al Suo Regno.
Ma poi nella sua attuazione, nell'essere vissuta, la povertà non può non risentire delle diverse misure di richiesta della Verità del Vangelo, a ciascuno.
Dio non chiede tutto a tutti. Anche se esige sicuramente che quello che chiede a tutti, anche se di diversa misura, sia però perfettamente secondo Verità, cioè secondo il Suo Pensiero.
E il Suo Pensiero, non si può sbagliare, è quello di Gesù, la Sua Parola, la Sua Vita.
La povertà risente di questo Mistero. E è per questo che ogni cristiano non può non cercare di conoscere cos'è la povertà secondo Gesù perchè o poca o tanta o tutta che gli sia richiesto viverla, deve essere povertà perfettamente secondo il Vangelo.
Non so bene quale misura di povertà mi sia richiesta. A volte mi sembra di scoprirne una misura da farmi letteralmente terrore. Ma non so con chiarezza e speriamo che non sia perchè ho paura a saperlo. Sta il fatto però che sento vivissimo il desiderio e il dovere di saperne qualcosa di questa misteriosa povertà del Vangelo. Così: apertamente e scopertamente, senza girarvi d'intorno o guardando da un'altra parte, come si fa quando si incontra un creditore.
E scopro sempre di più che non sono povero. Che non ho vissuto la povertà e che forse non mi sarà mai dato di viverla.
Ho pensato che la povertà secondo il Vangelo esiga il non possedere niente. Appena, appena il necessario per l'oggi e null'altro, all'infuori di una Fede nella Provvidenza di Dio.
Il diritto dì proprietà è sicuramente diritto di ordine naturale, connaturato a come l'uomo è fatto, espressione dell'istinto di conservazione, necessità in rapporto alla famiglia e per l'ordinamento sociale, ecc.
Ma secondo il Vangelo il diritto di proprietà ha solo il valore di potersene spogliare facendone formidabile realtà di Amore.
Mi sembra che sia mal conciliabile il diritto a possedere (se stessi, le cose, i valori umani) e il dovere di amare secondo il comandamento dell'Amore cristiano.
Ho sempre pensato (e forse ancora non ho molto accettato perchè è cosa veramente dura) che il Cristianesimo comporti un libero superamento di ogni diritto personale perchè rimanga il solo diritto a chiamare, insieme a Gesù, nello Spirito Santo, Dio come Padre e a nome di tutti gli uomini, sentiti unicamente come fratelli.
Sì, è vero che questo perdere ogni diritto non è affatto immiserimento e tanto meno distruzione di noi stessi. E' uscire dai propri limiti - e sono sempre una prigione anche se castello incantato. E' vincere l'egoismo che è sempre raggomitolarsi su se stessi, fatti spietatamente principio e fine di tutto. È liberarsi di pesi, zavorra che soffoca ogni ricerca e schiaccia l'anima e il cuore.
Ma è anche non esistere più. È non essere nemmeno più oggetto di niente e di nessuno. E' diventare soltanto un valore di relazione e di rapporto. E' essere sempre in movimento di convergenza. Portato via incessantemente verso un'altra realtà. Mai essere punto di arrivo. Termine di qualcosa e di qualcuno. Niente è mio. Nulla mi appartiene. Nessuna cosa è per me. Unicamente per me. Mai allora sono io, soltanto io a vivere, a essere.
Questo vuol dire, prima di ogni altra cosa, l'avere o no il diritto di proprietà. E il non possedere due tuniche, o due calzari, l'andare senza borsa nella cintura. Il dare anche il mantello a chi ti chiede la tunica. Non resistere al malvagio. Dare la guancia destra a chi percuote la sinistra. Amare i nemici. Pregare per chi perseguita... questo strano modo di impostare i rapporti con tutta la realtà della vita umana, mi pare che voglia dire, andare di là, saltare oltre il diritto di proprietà fino a non saper più nemmeno cosa voglia dire. Diventato quasi un assurdo questo diritto fondamentale che decide di tutti gli altri diritti, fin quasi anche di quello di mangiare e di respirare.
E questa è la povertà. Sarà la povertà fino alla misura massima, sarà la povertà che nasce e fiorisce sull'orlo dei precipizi come certi fiori di montagna, che corre sul filo di qualcosa che rassomiglia così terribilmente alla pazzia, eppure è la povertà con la quale devo fare i conti perchè sicuramente condiziona la sincerità di tutto il Cristianesimo.
Tant'è vero che gran parte del Cristianesimo, e in particolare nella sua essenzialità del Comandamento dell'Amore, non è vivibile (perchè pensato assurdo) proprio perchè non siamo poveri di questa povertà che ci vuole spogliare del diritto di proprietà fino a ridurci sul lastrico, in modo che chiunque, se vuole, possa approfittarsi di noi: perchè è dal consentire tutto a tutti che comincia a germogliare l'Amore.
E non ci basta pensare e poter credere che è allora, ridotti sul nostro lastrico esattamente come siamo in realtà, che entriamo nel gioco misterioso di Dio che vuol fare di noi copie conformi di Colui che lasciò fare - e lascia fare - di Se stesso tutto quello che gli uomini vollero - e vogliono - per poterli salvare e rendere Figli di Dio.
Non sono povero e non voglio esserlo. Lo vedo bene. Sto aggrappato ai miei diritti con una caparbietà pazzesca. Posso dar via tante cose, ma non mi consegno mani e piedi legati. Nemmeno a Dio. Continuo ad aver paura di Gesù Cristo. Diffido di tutti e qualche volta mi pare che sia saggezza buona il detto: fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Forse non ho nemmeno amici, se ho paura che a un certo punto prendano troppo di me.
Non voglio che tutti si approfittino di me come di uno straccio. Sono stanco spesso di servire soltanto. E ogni tanto vorrei anch'io ricevere. Avere qualcosa per me, per me soltanto.
E invece so che dovrei essere mani che raccolgono e che offrono immediatamente. Terra che riceve il sole e la pioggia e il buon grano del seminatore e subito tutto fruttifica per la sazietà di tutti. Perchè la semina e la mietitura sono di ogni giorno e di ogni istante per questa mia povera zolla di terra ormai senza speranze di riposo, E non è gioia questa povertà anche se spesso è chiara consapevolezza di Amore, perchè è sempre troppo poco. Dovrebbe essere di più. Perchè la misura giusta, è quella del Suo ultimo respiro sulla Croce: "Tutto è compiuto", (Gv. 19, 30) perchè tutto è stato donato.


don Sirio

La preghiera dei cittadini di Nazareth

Ti abbiamo cacciato via dalla nostra città. Anzi ti abbiamo trascinato fin sopra un dirupo per gettarti di sotto e perdere di Te perfino il ricordo.
Non Ti abbiamo riconosciuto il diritto di essere della nostra terra, non abbiamo accettato che Tu sia uno di noi.
Fin che hai fatto il falegname e aggiustavi i nostri aratri e facevi il fabbro per forgiare e temperare le nostre zappe e servire ai nostri interessi materiali, allora tutto andava bene.
Ma poi ti sei messo a predicare, a tirarti dietro discepoli, a far miracoli: quando sei tornato fra noi quel giorno, ci è sembrato che Tu ti dessi arie da profeta e hai cominciato a dirci cose spiacevoli, quasi offensive verso questa tua città che in fondo non è peggiore delle altre: allora è stato difficile sopportarti.
E' stato difficile sopportarti perchè mentre parlavi abbiamo visto le tue mani ancora callose e dure del falegname, il tuo volto era ancora come avvampato e scurito dalia fiamma della forgia... come potevamo noi della Legge, della scienza antica, della tradizione autentica, accettare come sapienza le tue parole, come verità i tuoi discorsi?
Ma pareva che troppo tu ti fossi dimenticato di essere un povero fabbro che aveva tenuto il martello in mano fino a pochi giorni prima.
E Ti sei accorto che noi ci stavamo Indurendo contro di Te. Ti si stava respingendo dentro i tuoi confini di povero operaio. Non avremmo mai accettato che un fabbro ci facesse da Maestro.
Allora Tu hai detto che nessun profeta è bene accetto nella sua patria e poi la storia della vedova di Sarepta e quella del lebbroso Naaman Siro... non c'era altro da fare che cercare di farti tacere. E ti abbiamo portato sul dirupo per gettarti di sotto, ma Tu - e non sappiamo ancora come hai fatto - ci sei scivolato via di tra le mani.
E te ne sei andato al tuo destino.
Ma forse Ti abbiamo aiutato a liberarti dall'essere di una città. E del nostro cacciarti via ne hai fatto un metterti sulla strada di tutta la nostra terra. Un giorno poi ti cacceranno anche da Gerusalemme, crocifiggendoTi fuori delle sue mura, perchè Tu possa essere di tutta la terra.
E' duro e difficile guardare fuori di casa, al di là dei confini della propria città e della patria, per allargare il cuore e l'anima in misure più vaste dell'orizzonte. Ma Tu sei questo Mistero di Amore, Gesù, Figlio di Maria e di Dio, della nostra terra e di tutta la terra, del nostro popolo e di tutta l'umanità.
E chi vuole seguirti bisogna che sia cittadino del mondo. Chi vuole mettersi sulla tua strada è necessario che si senta di camminare su tutte le strade. Perchè la sua legge è l'Amore, i suoi fratelli ogni essere umano, la sua terra tutta la terra.
Ma a chi non ti accetta così, non rimane altra scelta che trascinarti sull'orlo del precipizio e tentare di gettarti di sotto.
(dal Vangelo di Luca, Cap. 4, 14-30)


Non tarderà a far giorno

Non tarderà a far giorno,
l'umidore è già sulla tua fronte
e sulla foglia il ragno tende i fili
perchè debole in giro con la punta
di un'ala appena la luce si bagni.
S'agita l'erba al tuo respiro, punta
il sole che tocchi, col piede distendi
l'orizzonte a perdita d'occhi.


Leonardo Sinisgalli


Alito primo

L'alito primo di una luce sacra
in me rifulge come se oggi fosse
il primo grido la prima Giornata
della Creazione che ho dentro le ossa.

E se la carne cade ed è malata
nel mio pregare ondeggiano le mosse
di una fiamma oceanica sgorgata
da un cielo denso di una eterna possa.

In me dormono mondi consumati,
barlumi d'ere e palpiti di tombe,
vivi sapori di giorni dorati;

per cui morendo alla terra, son pregno
d'una fragranza di sole e di ombre
e del richiamo di un intatto Regno.





Girolamo Comi

Anch'io non sono povero

Carissimo don Sirio,
da quando sono prete ho sempre avuto timore (sarà un complesso personale) nell'incontrarmi con gli operai: sempre devo far forza a me stesso se sulla "mia" strada si profila un cantiere edile. Scantonare o allungare il passo è la regola se m'imbatto, al suono della sirena, all'uscita rumorosa delle maestranze di uno stabilimento: non che tema gli insulti, attualmente rari, le parole grasse, gli scongiuri, no.
Figlio di contadini (mezzadri se t'interessa) cresciuto in rione popolarissimo, prete in Parrocchie "proletarie", ho nel sangue una certa facilità d'abbordaggio, pronto al dialogo, riesco facilmente ad essere amico di tutti. Ma un timore sofferto rimane: con loro mi sento un bleffatore a cui tremano le carte in mano. Pochi mesi or sono è morto, qui, un ancor giovane padre dì famiglia: la mamma, la moglie e tre bimbi. La silicosi, contratta in galleria, era stata la sua commenda mortale. Eravamo amici: l'ho assistito sino in fondo tremando, non solo per le sue sofferenze (lo bastavano... credimi), ma perchè, io, dinnanzi a lui mi sentivo terribilmente piccino, piccino...
In quell'agonia, tra una mamma dalla fede coraggiosa e un bimbo cosciente, ho vissuto, lentamente, ciò che tu hai scritto nel «io non sono povero». E tanti, tanti ancora, di questi nostri fratelli, quando di buon mattino (io saltuariamente, loro tutti i giorni) dividiamo il viaggio in treno, mi salutano e parlano con me rispettosi. Noi, vedi, abbiamo sempre il rispetto, loro forse neppure questo.
Perchè ti ho scritto, don Sirio? Per dirti che non sono mai stato povero in questi, non pochi, anni di sacerdozio. Mai ho sofferto la fame (solo, da seminarista, in tempo di guerra: chi ne fu escluso?!?): che cos'è la fatica, estenuante fatica di un lavoro amaro e senza speranza? Umiliati, aspettare lungamente, per avere un po' di lavoro! Io ho una camera decente, diversi libri, la motoretta. Mai ho chiesto al mio Vescovo la più disagiata delle Parrocchie.
Sì, d'accordo, non ho risparmi in banca, faccio opere buone, non chiedo e non accetto regali e doni per me, onorari non li pretendo, non voglio nulla: ma basta?
Se ho un rimpianto è di non essere più un giovanissimo: diversa, lo spero, sarebbe la mia testimonianza di cristiano e di sacerdote di Gesù. Desiderio.. pio desiderio!?!
Purtroppo... Vangelo vivente, sale della terra, lievito, fuoco!! Se non sono povero, come l'amico Cristo desidererebbe (non lo posso, forse, o non ne ho il coraggio) permetti che rimanga un mendicante: senza onore "perchè non vai a lavorare (...vagabondo)" con dieci, venti lire gettate... denaro che nella mano pesa disprezzo, fallimento di una vita. Spazzatura della terra ci chiamerebbe Paolo Apostolo. Avrà a che fare tutto questo per il Regno di Dio? Non lo sono sicuro, ma di amare il «Fabbro di Nazareth» e tutti gli uomini, sì; non ne ho conosciuto, certamente, il giusto modo.
Solo nella Preghiera si cerca il coraggio di essere uomini senza onore. Sarò perdonato per il fatto che «vivo alle spalle di Dio e di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi?».
Ricordi il buon Ladrone!
Speranza, calda speranza al cuore di uno che pone ipoteche in Paradiso, il sentirsi, da mendicante, un povero Cristo qui sulla terra.
Chiedi anche, don Sirio, a che cosa approderà la « Voce dei Poveri », ma?!... So che non dà «pace» ad un povero prete di campagna che sereno, ringraziandoti, ti abbraccia.


don Rolando

Cristianesimo impossibile

In una lettera che mi è stata inviata a seguito di problemi di carità cristiana trattati nel numero precedente, viene impostato, raffinandolo assai sottilmente, ancora il problema di fare elenchi pubblici per mettere in evidenza chi ha dato offerte o compiuto opere buone. Difatti mi viene scritto e sostenuto, argomentando nientemeno che per via di assurdi e col Vangelo alla mano, che per ovviare a certi tradimenti nei confronti della carità cristiana, basti non mettere le cifre offerte accanto ai nomi e cognomi degli offerenti.
Evidentemente non accettiamo questa raffinatezza così squisitamente ricercata.
Ma veniamo al fatto. Sarebbe interessante ricopiare tutta la lettera, così come è stata scritta, ma per ovvie ragioni di rispetto per il prossimo - ci fermiamo al problema accennato, trattandolo come un modo di vedere, un punto di vista in ordine a questo spinoso problema del come deve essere praticata la carità cristiana.
Mi si scrive che è modo giusto, non tradisce per niente la carità secondo il Vangelo, ma anzi risponde ad un dovere di manifestazione del bene e di glorificazione di Dio, dire nome e cognome di chi fa opere buone, basta non specificare l'entità di ciò che e stato offerto. Si possono e si devono fare elenchi e liste di nomi e cognomi, basta che i nomi e cognomi siano messi in ordine cronologico di modo che «i primi possono essere facilmente quelli che hanno dato 100 lire e non quelli che ne hanno date 100.000», che poi si dica, continua la lettera, che è fatto male anche questo, allora è tutto sbagliato e tutto da rifare, compreso il Vangelo: ut videant opera vestra bona...
Non siamo d'accordo riguardo al cartello con i nomi e cognomi dei buoni parrocchiani offerenti, anche se non vi è la relativa cifra. In fondo questo mancare della cifra non cambia molto le cose, anche se è già molto in relazione al pacchiano e banale modo di sollecitare l'amor proprio dell'offerente offrendogli in cambio risalto e riverenza e tornaconto al suo nome.
Lista secondo l'ordine cronologico e quindi secondo - almeno credo che voglia dir questo - il tempo dell'offerta. I primi ad arrivare hanno il primo posto. E la lista si allunga man mano che il tempo passa.
Anche chi non ne aveva molta voglia alla fine bisogna che si decida a far segnare il proprio nome sulla lista. Perchè chi va' in chiesa guarda e commenta: hai visto il tale e il tal altro, ancora non ha dato nulla. Nemmeno 100 lire, Misericordia, che gente.
E si sa come è fatta la carità fraterna paesana, è tessuta di malignità. E il tale e il tal altro bisogna che pieghino, anche perchè la moglie e i figli lo scocciano per via di quei discorsi che girano per il paese, messi in circolazione - sia pure senza la minima cattiveria - dalle donnette che vanno alla Messa tutte le mattine e si fermano, dopo il ringraziamento alla Comunione, a guardare e a commentare quella lista di nomi, rallegrandosi o malignando per quei nomi che via via appariscono e per quegli altri che non si sono ancora decisi e chissà cosa aspettano, neanche se fossero morti di fame.
E allora, piano piano, arrivano un po' tutti i buoni parrocchiani e questo dimostra che in fondo, nonostante quello che si dice, della Fede ce n'è ancora a questo mondaccio.
D'altra parte quando finalmente uno si è deciso a presentarsi per mettersi in lista, possibile che abbia il coraggio di offrire 100 lire soltanto? Rientrano forse nel segreto d'ufficio quelle offerte?
So bene di essermi lasciato andare alla fantasia facendo questa descrizione, ma il mondo è grande e tutto, mi ha insegnato questa noiosa esperienza, è possibile, data la debolezza umana e dato anche che spesso di questa debolezza umana ci viene da approfittare serenamente e a coscienza tranquilla, quando il fine è buono.
Ma io vorrei domandare, e la domanda è molto ingenua - ma d'altra parte l'ingenuità (o la poesia, o il sognare, come mi dicono molti) è la nostra unica saggezza - vorrei domandare: quella lista (come gli annunci sul giornale di opere di carità, le lapidi nelle chiese, i nomi sulle vetrate, sulle panche, sui calici e i candelieri, ecc.) è proprio per obbedire al Vangelo che dice, come è stato citato, piuttosto alla leggera, sulla lettera: «vedano le vostre opere buone...»?, quelle liste ecc. sono per dare buoni esempi, per diffondere il bene, per la gloria di Dio, per testimonianza di Cristianesimo... o non piuttosto... ma non è bello scrivere certe cose, mi dicono, e i nostri stracci è bene lavarli fra noi. Va bene ma laviamoli però, una buona volta, questi stracci, perchè almeno possano essere stracci, sì, ma decorosamente puliti.
Tutto considerato allora, concludo che anche il fare liste dì nomi, sia pure senza «la relativa cifra», è veramente sbagliato. Ma con questo non concludo affatto, come si conclude nella lettera, che allora «tutto è sbagliato e tutto da rifare» compreso il Vangelo, perchè quelle cinque parole citate da S. Matteo, cap. 5, basta leggerle (come esige una semplice e sana esegesi) in tutto il contesto, che è nientemeno che il discorso delle Beatitudini, per capire che non c'è assolutamente bisogno di rifare il Vangelo, ma che invece c'è bisogno di accoglierlo interamente e viverlo seriamente se vogliamo essere di gloria a Dio.
Il Cristianesimo è infinitamente di più che scrivere un nome e cognome su una lista di offerte, anche se fosse fatto perchè gli uomini vedano le nostre opere buone e diano gloria al Padre. Bisogna dare al discorso di Gesù (e a tutto il Suo Mistero) le giuste misure, proprie del Pensiero di Dio, facendo attenzione a non ridurlo a un formalismo gretto come le mentalità umane.
Ecco, come stanno le cose: "...voi siete la luce del mondo. Non può rimanere nascosta una città posta sopra una montagna, né si accende una lucerna e la si pone sotto il moggio, ma sul candeliere perchè faccia luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli". (Mt. 5, 14-16).


un prete

La poesia dei giorni

3 gennaio - Sono due giorni che nevica, la natura tende a purificare tutto quello che il passaggio dell'uomo insudicia; le strade rese grigie dalle automobili, i marciapiedi neri, i tetti affumicati hanno ricevuto un candido dono dal cielo e gli alberi innalzano un'architettura splendida di bianchi cristalli. Eppure solo l'uomo riassume questa purezza virginale che viene dall'alto e all'alto la restituisce in rendimento di grazie.
4 gennaio - Abbiamo salito la montagna in seggiovia, è stato un volo leggero, ecco la tecnica ha risposto al salmo antichissimo poiché tutto era sotto i nostri piedi «le pecore e i bovi e anche le fiere della campagna e gli uccelli dell'aria».
Epifania - E' stata la valle a darci l'"epifania" della bellezza e dello splendore celesti. Appena alzato il sole, eravamo sulla sommità, dove finiscono i prati e cominciano le rocce, sotto di noi fluiva il Boile e dal fondo splendente di neve si alzavano le montagne come immensi icebergs azzurri. Così cantavano in cuore le profezie di Isaia: «Sorgi, splendi, Gerusalemme, perché la tua luce è venuta e la gloria del Signore è spuntata sopra di te».
15 gennaio - Tutta gelata l'Italia nel nostro lungo viaggio sulle interminabili strade ghiacciate dal Cadore a Firenze. Tutta morta la rigogliosa pianura padana, le sponde fiorenti dei laghi, le pendici degli Appennini. Eppure tra pochi mesi riapparirà la vita che pur vive sotto questo manto di morte, le radici germoglieranno, i semi voleranno, i rami si sveglieranno e avranno fiori e frutti.
Penso che una stessa potenzialità di vita resterà anche nei nostri corpi dopo la morte, onde risorgeremo l'ultimo giorno.
20 gennaio - «Il desiderio di generare un proprio simile» P. Pouget confessò di averne sentito la tentazione e Jean Guitton, riportando l'episodio, ricorda come anche San Francesco un giorno, che sentiva il desiderio di una famiglia, si era messo a distruggere fantocci di neve.
E io ho intorno a me la mia famiglia che in ogni ora del giorno ha una sua pulsazione viva e ardente, in cui il mio passato è sempre verde e il mio futuro si prolungherà. Capisco lo strazio di tale privazione.
26 gennaio - Ho finito la traduzione dei «Pensieri» di P. Pouget dal francese. Tra pochi giorni il dattiloscritto e l'originale partiranno per la Casa Editrice. Ho pena come se stesse per partire un amico.
Tenevo il testo e la macchina da scrivere nella mia stanza sul tetto e quando avevo un momento libero correvo lassù; dalle pagine mute e dalla lingua straniera la voce usciva, come per un incanto, sempre più piena, più aderente, più suasiva, più arguta. P. Pouget è morto nel '37, ma io ho conosciuto ogni sfumatura della sua parola, ogni moto della sua natura piano, piano, ogni giorno, per quattro mesi.
Egli mi ha parlato da quella che lui chiamava la «sua eternità» e lo porto in me come un dono.
30 gennaio - «Quando uno soffre, soffre e basta» dice il mio P. Pouget. Ho patito tanto in questi giorni, in modo così terribile da essere stata vile e incapace di altro che di soffrire.
Per il cristiano però resta questo: il non avere l'urgenza dì dimenticare i giorni del dolore e di rifarsi di fronte ad esso: sappiamo che sono stati giorni positivi, giorni in cui siamo entrati misteriosamente nel circuito della salvezza del mondo.


Grazia Maggi

Un lettore

Caro amico,
perdonaci se pubblichiamo la tua lettera. Ci è stata di grande conforto e di vero incoraggiamento, in un momento assai penoso per noi. Sapendo che noi possiamo esserti di aiuto nel tirare avanti la tua dura vita di operaio perchè ti aiutiamo a scoprire il valore cristiano della povertà fino ad amarla, fino a farne motivo di gioia, ci viene il convincimento di continuare ad essere vicini a te e a tanti come te, anche se spesso il nostro scrivere può spiacere e infastidire altri lettori.
Grazie, caro amico e che Gesù sia nel tuo lavoro e nella tua povertà, come in quella di tutti, dolce speranza e gioia profonda perchè la tua vita (e la famiglia che tu sogni) sia nella sovrabbondanza del Suo Amore.

Carissimi, «La voce dei poveri» non è una voce al vento e nemmeno carta sprecata da cestino, ma una voce che penetra e che dà frutti buoni.
E' un povero che vi scrive, un povero che legge il vostro foglio fino all'ultima riga e trova tutto così vero, e utile per la sua vita quotidiana, fatta di duro lavoro e lunghi sacrifici, perchè un giorno non lontano vuol formarsi una famiglia.
Quante volte, nonostante il lavoro mi dia di vivere onestamente, mi avvilisco pensando a quanti vivono meglio di me, sprecando denaro a profusione, mentre io, nonostante il duro lavoro, appena, appena vivo!
Ma ecco che «La voce dei poveri» arriva nella mia casa e leggendo nelle sue poche ma grandi pagine trova la forza e la gioia di lavorare, pensando che non sono veramente povero e se lo sono, quale bella e grande famiglia, unita al Povero falegname di Nazaret, Gesù.
In quattro anni di vita dunque «La voce dei poveri» ha dato i suoi frutti e li continuerà a dare anche se qualcuno la passerà nel cestino.
Tante cose belle a tutti dunque e che il Signore vi benedica per il bene che fate.


un povero

Precisazioni doverose

Nell'articolo del numero precedente sono scivolato, realmente senza volerlo, ma per alcune circostanze particolari che non ha importanza riferire, in due inesattezze.
La prima è che la somma elargita ai poverelli e agli orfanelli non era di 20.000 lire, bensì di 60.000. Chiedo vivamente scusa della minorazione in cifre di quella carità che, date le circostanze già denunciate, con alcune aggravanti venute in luce poi, rimane a zero come carità cristiana e meno che zero come esempio di bene e come metodo di esortazione all'Amore del prossimo.
Ma veniamo al secondo guaio da rimediare: cosa che faccio molto volentieri.
Ho scritto, sempre nel medesimo articolo, questo periodo: «Siamo entrati (nella chiesa) e a sinistra, lì, appoggiato, mi sembra ad una colonna, bisognava guardare per forza un grande quadro con su scritto a grossi caratteri nome e cognome e relativa cifra dei buoni parrocchiani offerenti».
Devo precisare che sul cartello in parola vi era soltanto i nomi e cognomi degli offerenti ma non la cifra offerta.
Francamente mi dispiace aver mancato di esattezza. Dopo i discorsi fatti, a pranzo finito, pochi istanti prima di entrare in chiesa, scorgendo quel cartello e intuendo di cosa si trattava, mi volsi appena a guardare per non mettere tutti in impaccio e non mi accorsi che accanto ai nomi elencati non vi era la cifra offerta.
Non è stato però affatto un non voler tener conto della Verità. Prego vivamente di credermi e chiedo scusa dell'inesattezza.


un prete

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