Questo Natale 1962 ha veramente qualcosa di particolare, di eccezionale. Fin dalla prima domenica di Avvento - il sacro tempo liturgico di preparazione alla celebrazione dei sacri Misteri del Natale - abbiamo avvertito un clima particolarmente colmato di Grazia.
La venuta sulla terra, il nascere fra gli uomini del Figlio di Dio, è Mistero che comporta una ricerca di approfondimento senza limiti. E' un fatto storico che deve essere accettato in tutta la sua infinita portata: e i valori determinati sono i tremendi valori di Dio, i misteriosi valori umani e il loro rapporto, realizzato, ottenuto, incarnato, fatto carne e vita umana, in una Persona che si chiama Gesù.
La vita del cristiano - tutto il suo vero, essenziale problema d'esistenza - è tutta e unicamente per questa ricerca di comprensione, è quasi per un rendersi conto «sensibile», una autentica e precisa esperienza, di questo Mistero. Noi siamo al mondo per far toccare con mano, per quanto possibile alle condizioni di conoscenza attraverso la Fede, che veramente «il Verbo si è fatto carne e è venuto ad abitare fra noi».
La Chiesa è questo dare esperienza, questo comunicare certezza, questa offerta viva e vivente di Lui agli uomini, di tutto il Mistero di Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, per la Gloria di Dio, per la salvezza del mondo.
Il Suo nascere storico, fra gli uomini, è di un giorno lontano - e lo rammemoriamo vivendolo in tutta la sua commovente misteriosità ogni 25 dicembre. Ma la Sua nascita mistica, quella per cui è vivente nel fluire dei secoli, nel mutare incessante delle generazioni umane, è dì ogni giorno e è dal grembo sempre vergine della Chiesa per opera di Spirito Santo.
La Chiesa genera al mondo, in ogni tempo e secondo tutta la novità d'esistenza propria di ogni tempo, il Mistero di Gesù, ottenendo un Natale sempre nuovo, così come è aspettato e desiderato, veramente sempre «nella pienezza dei tempi».
Sentiamo così questo Natale: questo Natale, nascita di Cristo, nel nostro tempo, in questo anno della nostra età.
La Chiesa ha raccolto il suo grembo fecondo, a poco a poco si è andato colmando di tutto un Mistero - seno misteriosamente gonfio di tutto l'infinito Amore di Dio nel Suo rivelarsi e donarsi all'umanità in crescita incessante di bisogno di Lui.
Il Concilio Ecumenico segna sicuramente il tempo di questa nuova nascita nel nascere senza soste di Cristo fra gli uomini. E' un Natale nuovo quest'anno per un entrare ancora di più nel Mistero di Cristo nel mondo.
E' certo che nulla si aggiunge al primo Natale nella Grotta di Betlem. Però sempre più sicuramente deve farsi nel mondo più consapevole il bisogno, l'esigenza di Lui, cresce la capacità di accoglienza del Figlio di Dio fra gli Uomini. Non può non moltiplicarsi lo sforzo per stabilire condizioni sempre più favorevoli al Suo «abitare fra noi». E quindi la meravigliosa ricerca della Chiesa di presentarlo al mondo sempre più come risposta alle attese, come esaudimento all'infinito bisogno, come sempre più perfetta soluzione al terribile dramma umano.
E' di qui la raccolta da parte della Chiesa, riunita in Concilio Ecumenico, di tutto il problema umano, da ogni angolo della terra, da ogni situazione d'esistenza, da ogni popolo, per stabilire tutta la capacità possibile perchè il rapporto fra il Mistero di Gesù e l'esistenza umana, così come è andata maturandosi fino a questo momento della storia, sia d'incarnazione, sia di presenza vivente: da parte dell'umanità di più ancora che duemila anni fa.
Commuove e è motivo d'infinita gioia quella angosciata e sofferta ricerca che i Padri Conciliari stanno facendo.
Sentiamo raccolta e vissuta da tutta la Chiesa l'ansia affaticata di una Fede in cerca continua di un rapporto alla terribile realtà quotidiana dell'esistenza. E' quella stessa pena che ci soffoca ogni mattina all'inizio di un nuovo giorno. E' un po' forse anche di quella paura che non ci basti il coraggio di rimanere vivi cristianamente in questo mondo che è quello che è. E' certamente il desiderio di tutta la Cristianità che Gesù Cristo sia vivente, che viva accanto a noi, che abiti dentro la nostra casa, nel clima di questo nostro tempo.
Perchè il dramma spesso è terribile: la verità è quella che è e non può essere cambiata ed adattata. E' certo. Non sono i tempi che determinano e creano la Verità. La Verità è unica e indipendente dal fluttuare del tempo e delle cose e degli uomini. D'accordo. Però nemmeno possiamo cambiare i tempi che sono quelli che sono, né possiamo - e nemmeno lo vorremmo se ci fosse possibile - fermare la storia, arrestare il cammino della umanità. Non possiamo non prendere l'esistenza umana così com'è nel nostro tempo. Si fa presto a respingere qui, a condannare là, a scomunicare a destra e a sinistra. Le amputazioni risolvono certamente le cancrene, ma rimane un troncone senza gambe e senza braccia.
E se nel corso della storia, per particolari contingenze (e Dio solo quanto i cristiani cattolici sono stati responsabili del maturarsi di queste contingenze) si è reso necessario il dividere e l'abbandonare al «braccio secolare» o all'abisso della perdizione, non vuol dire che queste spaventose necessità, che questi terribili doveri, diventino norma, sistema ormai consacrato, si che ci si ricorra come all'unica cosa da fare.
C'è il Mistero dell'Incarnazione che non lo consente perchè insegna che Dio si è fatto Uomo, fra tutti gli uomini e per tutti gli uomini. Ha preso sopra si sé, fino a esserne un'unica realtà, tutta l'esistenza umana. Tutta. Compresa la maledizione. E fino alla Croce.
C'è qualcosa da fare per Amore della Verità. Per difenderla e affermarla. C'è molto da fare per salvare i valori umani (da quelli più sul piano della natura, fino alla anima e ai destini eterni) prima di avere paura, piuttosto che sentire soltanto odore di zolfo, invece che vedere tutto marcio, anziché scoprire soltanto nemici e pericolo dovunque.... che spesso par d'essere sempre al tempo della caccia alle streghe.
Il Concilio ci sembra che voglia dirci - è così chiaro ormai questo linguaggio e così aperta questa testimonianza - che è tempo di pensare alla salvezza dell'umanità intera e che quindi è doveroso - semplice dovere di Amore cristiano - essere capaci di scoprire e di accogliere ogni ricerca di Dio, ogni onesta e sincera voglia di Verità, tutto il bisogno (anche quello non fatto di sospiroso pietismo) di redenzione.
Il Mistero della Grazia che insegue il mondo da millenni, con una tenacia e una pazienza propria unicamente di Dio, non può essere legato a scuole teologiche, né chiuso a doppia mandata dentro schemi a prova di bomba.
Chi sta costruendo pietra su pietra il Regno di Dio nella storia dell'umanità, matura i tempi e uomini - sia pure spesso, perchè Gli è reso inevitabile, anche attraverso dolore, sangue e flagelli - perchè la Sua misteriosa e meravigliosa costruzione vada avanti fino al compimento. E, nonostante tutto e tutti, compie il lavoro con adorabile, totale libertà veramente degna di Dio.
Ogni tempo porta con sé sicuramente maturazioni preziose del Regno di Dio. E' dovere guardare alle novità con Amore e fiducia e forse con un vero senso del sacro. Non è faciloneria, né superficialità e tanto meno dabbenaggine.
E' assai meno pigrizia della sicurezza del disprezzare, dello scartare, del condannare, del buttare a mare.
Dare un calcio è assai più facile e risolve meglio che dare una mano o più ancora un abbraccio. E' un colpo e tutto è finito, diversamente invece è una storia che comincia e non si sa quando finirà e quali conseguenze e rischi comporterà.
Si fa assai prima a considerare gli altri nemici, perchè è terribilmente meno impegnativo che considerare i fratelli.
Bisogna tornare al Mistero del Natale. Ma non al Gesù Bambino, statuetta di gesso dipinto fra le trine e le candele, il «Tu scendi dalle stelle» e il panettone. Bisogna rifarci alla nascita del Figlio di Dio fra gli uomini perchè tutti gli uomini - tutti gli uomini - potessero esserGli fratelli di carne e sangue. Perchè si è fatto uno di loro - e loro tutti - fino ai limiti estremi del possibile solo al Suo infinito Amore.
Il Concilio Ecumenico ci dona un Natale di Cristo ancora più secondo la Verità del Suo Mistero e questo attraverso valori maturati nel nostro tempo e coraggiosamente scoperti e raccolti.
Almeno così sembra a noi.
La Redazione
Il 25 dicembre è da secoli Natale, come dire il giorno della nascita. Principio di una vita. Inizio d'esistenza. Aurora di un tempo.
Se un raffronto l'ha il Natale di Gesù nella storia del mondo, è un po' come il giorno della Creazione quando l'esistenza ha avuto dalla Volontà creatrice di Dio principio.
In quel momento l'esistere fiorì, come luce dalla sorgente di luce, in perfetta rispondenza al Pensiero e alla Volontà di Dio. Nel Natale è la nascita del Figlio di Dio fatto Uomo, in perfetta rispondenza al disegno d'infinito Amore di Dio.
All'inizio del tempo fu il mondo, nella "pienezza dei tempi" è la nascita di Gesù.
E questa nascita - è quella di Dio fatto Uomo - non è fatto individuale riguardante soltanto Gesù. Ogni nascita è necessariamente una continuazione, ma quella di Dio non può che essere un inizio. E' principio d'esistenza completamente nuovo, assolutamente senza antecedenza. E' chiaro che non vi è né vi può essere mutazione, né novità nei confronti di Dio, essendo impossibile che qualcosa sia aggiunto a Lui pienezza perfetta dell'essere, ma tutta una infinita, misteriosa e sostanziale mutazione e novità è nell'esistenza umana.
Da quel Natale in poi l'umanità è congiunta alla Divinità attraverso la Natura umana assunta dal Figlio di Dio nella Sua Persona divina. Da allora s'inizia necessariamente una storia nuova. I valori sono essenzialmente modificati anche se apparentemente sono gli stessi. La nostra Verità è troppo un'altra, da allora. La nostra realtà d'esistenza è tanto diversa.
Perchè a Natale non è nato soltanto Gesù. Un Bambino, figlio di una donna e di Dio. A Natale è nata un'esistenza nuova, un modo nuovo d'esistere. Ha avuto inizio una storia. Di colpo, immediatamente. Da quel momento la terra ha acquistato significato e valore nuovo. Gli uomini pur rimanendo gli stessi, e quanto spaventosamente sono rimasti gli stessi, sono stati diversi. Chi ha avuto da allora carne e spirito e vita umana gli è stata comunicata una natura umana "modificata" dal fatto di essere natura umana unita nell'unica Persona divina al Figlio di Dio.
La storia adesso fatta da questi uomini è vissuta personalmente da Dio. E è tutta nella Sua Carne e nel Suo Sangue, così tanto che dall'essere vissuta e sofferta da Lui fino alla Croce, l'umanità ne è salvata, redenta. E' cioè, e perfettamente, per quello che da Dio dipende, secondo il Pensiero e la Volontà di Dio.
E' adorabile pensare che la mia storia, quella di tutti, dell'umanità intera, è nata là, in una capanna, nella povertà e nella solitudine, in una notte luminosa di stelle e di canti d'Angeli.
E' nata là perchè tutta vissuta, e in piena e totale Verità, nella storia dì Gesti.
Siamo nati in quel giorno insieme a Lui. E fino al punto che quello è veramente il nostro giorno dì nascita: gli altri, quelli in cui siamo nati, è come il momento in cui entrano in circolazione monete d'oro, già coniate e col prezzo pagato, chiuse nel tesoro.
Entriamo nel mondo materiale in modo visibile e scoperto, il giorno della nostra nascita, per un moltiplicarsi di manifestazione della Bontà di Dio che continua nella Sua Volontà di creazione e di comunicazione d'esistenza attraverso il nostro nascere alla vita. Entriamo nel mondo soprannaturale il giorno del nostro Battesimo: e è la manifestazione che Dio si è fatto Uomo e ha salvato gli uomini, testimonianza, viva e concreta, della Sua Volontà di Salvezza. E in quel giorno Lui, Gesù, nasce in noi per opera di Spirito Santo, come noi nasciamo in Lui e con Lui nel Suo Natale.
Ma la nascita di un cristiano, come quella di Gesù, non è fatto individuale e particolare, ha sempre un senso universale perchè ha un valore di misura infinita come tutto il Cristianesimo.
Penso al Natale dì Gesù. E' sulla paglia della mia carne, nella solitudine del mio cuore, nella notte del mio spirito, nel freddo della mia indifferenza, nello squallore della mia mediocrità. E' in queste condizioni che si inizia una vita. Condizioni che rimarranno sempre, perché così è la mia esistenza. E intanto però la Sua presenza è attiva. E' forza urgente. E' pressione incessante. E' lavoro senza soste. E' vita e vita di Uomo Dio - che vuol vivere, espandersi, comunicarsi, donarsi.
Se fossi attento la sentirei come fiume in piena. Come vento impetuoso. Come luce abbagliante. Ma infinitamente di più perché è Dio dentro la carne, vivo nel sangue, presente nell'anima. E' la mia carne nel Suo corpo, sangue mio nelle Sue vene, anima mia nella Sua anima. Comunione misteriosa, eppur tanto reale, di vita e di esistenza, di verità e di destino.
Così è per me, per te, per gli altri, per tutti. Assolutamente per tutti. E' così per tutta l'umanità. Siamo nati insieme tutti perché nati nella Sua nascita e cresciuti con Lui, per vivere con Lui e morire con Lui ed essere salvi in Lui.
Ascoltiamo tutto in noi, tutto, anche il vibrare di un muscolo e il tremare di un sentimento, ma non siamo capaci di ascoltare la violenza della Sua Presenza. Il nostro orecchio non avverte questo frangersi dì un Oceano sui nostri scogli, questo urlare di vento sul nostro deserto, questo scuoterci a terremoto fin nel midollo delle ossa. Perché?
L'umanità in cui è nato Dio. L'umanità nata nella Sua nascita.
Non ho ancora accettato questo mio Natale. Ancora non ho fatto esperienza di questa mia esistenza nata a Natale. Forse non sono nemmeno convinto che è la mia nascita il Natale perché è la Sua nascita.
E è perché questa vita, che da allora ha avuto inizio, non è la mia vita -- ancora non ho voluto pienamente che fosse la mia vita. Ho pensato, e mi è bastato pensare così, che in fondo la mia Fede nel Natale - in questo infinito Mistero dell'Incarnazione - era sufficiente, perché credevo che il Figlio di Dio si era fatto Uomo. Eccolo lì, povero Bambinello, al freddo in una mangiatoia di un bue e d'un asinello. Un po' di commozione... Cose molto belle... Esempi che se tutti li seguissero sarebbero cose meravigliose....
Ma poi una distanza di millenni fra me e Lui e un abisso d'impossibilità di rapporto d'esistenza, di vita unificata a forza d'Amore.
Mentre Lui è nato perché anch'io potessi nascere e avere "la Vita e averla in sovrabbondanza".
don Sirio
Dammi, o Madre, le armi
della purezza.,. Ch'io sia
guarito per la Tua magìa
nello spirito e nelle carni:
e tutto l'esser bruci
- nell'ansia del suo destino -
di quelle vergini luci
che incoronano il Tuo Mattino
e che improvvisamente avvolta
nell'inno delle Tue ali
l'anima dissepolta
dalle stagioni carnali
riemerga fra lo zaffiro
del Tuo celeste respiro.
Girolamo Colmi
Ti ringraziamo ancora, Signore, per aver scelto la nostra capanna per la Tua nascita. Appena un riparo addossato alle rocce della montagna, ma hai pensato che per Te, Figlio di Dio, era anche troppo.
Così è successo che hai invitato noi a vederti per primi, piccolo Bambino, appena nato, deposto nella mangiatoia che la sera avevamo riempito di paglia nuova per il bue e l'asino. Il Tuo voler essere povero è stato una fortuna per noi poveri pastori.
Perchè siamo stati noi, la nostra povertà, ad accoglierti. Forse in nessun altro angolo della terra hai trovato una povertà come la nostra: è per questo, lo sappiamo bene e ne siamo felici, che sei venuto a nascere fra noi, in una nostra capanna, vicino ai nostri greggi all'addiaccio sui fianchi della montagna.
Una notte splendida. Le stelle erano tanto chiare e vicine quella notte d'aria trasparente, quasi in un buio azzurro profondo. I nostri fuochi accesi pareva che dicessero qualcosa alle stelle lassù. E allungavano ombre nere nel buio azzurro pieno di silenzio solenne, tranquillo.
Ogni tanto i campanacci al collo delle pecore, ma erano senza eco, vinti subito dall'immenso silenzio, il tempo era immobile e fermo, pareva eternità. E il parlare era morto a poco a poco come i fuochi di cui erano rimasti accesi e vivi ardenti bracieri.
Ci andavamo preparando a dormire ravvolti dentro coperte, perchè da mezzanotte in poi le ore sono troppe lunghe, svegli, nel freddo arrivato fino alle ossa. Anche le pecore dormivano già e anche i lupi a quella ora stanno nelle tane ad aspettare lo schiarire della alba.
Sono venuti i Tuoi Angeli. Ombre bianche a scia luminosa dal cielo. Come se i bracieri all'improvviso facessero fiamma. Si vedeva qualcosa, ma non sapevamo che cosa. Sognare o vedere, è difficile distinguere quando si dorme sotto il brillare delle stelle.
Ma la voce era chiara. Parole distinte. Raccontavano cose precise. Di un bambino. Di una capanna. E erano parole ascoltate dentro l'anima e allargavano una gioia indicibile, un convincimento sicuro nel più profondo di noi stessi. Parole che ci hanno alzato dai nostri giacigli, ci hanno avviato lungo il sentiero, ci hanno guidato, come portato per mano, fino a Te.
Piccolo Bambino, nato allora, allora. Non potevi dirci nulla, né darci nemmeno un piccolo segno. Eppure abbiamo capito. Ti abbiamo conosciuto, Signore, abbiamo saputo di Te, Del Tuo Mistero.
Abbiamo detto qualcosa a Tua Madre. Ma che cosa potevamo dire a quella giovane donna che ci guardava come attraverso l'azzurro del cielo?
Siamo tornati indietro e l'orizzonte andava schiarendo il suo buio azzurro e scopriva il crinale dei monti. Ma dalle stelle lassù invece che luce era un cantico che splendeva e si ripeteva vicino e lontano colmando tutta la volta del cielo.
Non l'abbiamo più dimenticato. Gloria a Dio e pace agli uomini. Ci ha segnati come un destino. Perchè chi ha avuto di conoscere Te viene segnato da un destino di Gloria a Dio e di pace per gli uomini.
Queste parole pesano a volte sul cuore come montagne, ma spesso sono come avere tutto il Cielo nell'anima.
Donaci, Signore, il coraggio della fedeltà a un destino di Gloria, ad una missione di Pace. E' la fedeltà al Tuo Mistero di presenza viva e vitale nel mondo da dopo quella notte colmata di stelle a coprire una capanna dove su la paglia giaceva un Bambino.
(dal Vangelo di S. Luca: 2, 8-20)
Quella sentenza assolutoria del tribunale di Liegi per l'uccisione della piccola e tanto infelice Corinne, è stata una tremenda sofferenza. E non perchè hanno assolto una madre soltanto disgraziata prima, durante e dopo aver dato alla luce una sua creatura - aggiungere una sofferenza a una già sterminata, spaventosa sofferenza non è che sia cosa desiderabile anche se può rimanerne sacrificata la giustizia - ma perché gli uomini si sono assolti - per quanto riguarda quel tribunale - con una superficialità impressionante, dalla responsabilità delle proprie azioni e si sono liberati con le quattro parole del verdetto dal dovere di rispetto della vita e dal considerarla valore assoluto. Quest'esultanza popolare per l'assoluzione vuol dire sicuramente pietà per quella povera madre, ma in qualche modo può anche significare che a un certo punto la sofferenza è lei che diventa valore assoluto, davanti alla quale può essere sacrificato tutto, perfino la vita, il valore esistere.
Se così dev'essere, se così è logico e giusto che sia, allora la sofferenza è soltanto un nemico che per vincere va bene bruciare tutto, gli si può e gli si deve sacrificare tutto pur di debellarlo. E il modo migliore per distruggere la sofferenza è distruggere il sofferente. Una volta si pensava e si credeva che l'Amore bastasse, che la Bontà riuscisse a molto, che la Fede risolvesse questo spaventoso problema del dolore. Ora sembra che le soluzioni radicali vadano meglio, ma non si può non riconoscere e confessare che nel frattempo è l'egoismo che cresce fino a diventare legge suprema.
E l'egoismo non sarà mai una liberazione dalla sofferenza, ma una spinta spaventosa verso qualsiasi tragedia. Questo spietato egoismo individuale, familiare, di classe, nazionale e di popoli e di razze. Ma la storia sembra proprio che non riesca a insegnarci nulla. Quella sentenza di Liegi sarà quello che sarà giuridicamente, non me n'importa niente, sta il fatto che ha impoverito sempre di più l'umanità di Amore, di Bontà, di valore umano, e specialmente cristiano, della sofferenza.
E questa è una vera spaventosa disgrazia di cui il nostro tempo e la nostra civiltà - come di tante altre - è terribilmente responsabile.
Ho pensato questo ed altro ancora, ma specialmente l'ho sentito nel cuore, l'altra sera, quando per caso mi sono trovato a partecipare, a Milano, alla simpatica iniziativa di un gruppo di ragazze telefoniste che lavorano alla Stipel.
Da qualche giorno era a Milano il Circo Darix Togni. Le ragazze telefoniste si sono fatte dare un permesso di un pomeriggio e con un autobus sono andate all'ospedale dei poliomielitici e quaranta, fra bambini e bambine poliomielitiche, sono stati accompagnati allo spettacolo pomeridiano del Circo.
Ero lì, davanti al Circo, quando è arrivato l'autobus. Ho preso in braccio alcuni di quei poveri bambini e alcuni già assai grandicelli e ho aiutato a sistemarli sulle gradinate del Circo. Sentirmi fra le braccia quel peso di infelicità umana è stata un'impressione che non dimenticherò più. Eppure quella infelicità tremava dolcemente di commozione gioiosa, festosa.
Mi sono messo appoggiato a un trave di legno che sostiene l'enorme tendone, quando lo spettacolo è iniziato.
Quei cavalli che volteggiavano e una ragazza vi capriolava sopra pazzamente, il cosacco schioccava la frusta e saltava d un cavallo all'altro... sentivo le piccole grida di gioia dei piccoli poliomielitici, mi voltavo a guardare e vedevo musetti infinitamente felici e chi poteva batteva le mani... piccoli cavalli che obbedivano come bambini docili e buoni... cavalli da corsa frementi e poi i cammelli solenni e filosofi : sono entrati a fare baruffa i pagliacci e i bambini infelici erano indicibilmente felici.
Io avevo le lacrime agli cechi per una tristezza infinita e una commozione strana mi stringeva il cuore e la gola.
Cos'è che gli uomini giudicano felicità, per la quale meriti vivere?
Forse che la felicità di essere onorevole, di correre in fuoriserie, di andare a letto con l'amante, di ubriacarsi di wisky e tutto quello che andiamo mendicando da questa povera vita, è diversa, più nobile e più giustificante a stare a questo mondo di quella felicità dei bambini poliomielitici nel baraccone del Circo?
Anche se non vi fossero altri motivi (ma ve ne sono e d'infinito valore, grazie a Dio), anche se non vi fosse altra felicità (ma ve n'è e infinita, grazie a Dio), questa felicità del baraccone del Circo dava a quei poveri bambini il diritto a stare a questo mondo, in questo immenso baraccone da fiera a cui sempre più lo stanno riducendo gli uomini con la loro civiltà.
Sono uscito. Non avevo tempo per aspettare il numero degli acrobati, dei saltimbanchi, dei leoni e delle tigri... e mi pareva che ve ne fossero anche troppi per le strade e per le case, perché non riuscivo a non pensare alla piccola Corinna alla quale sua madre non ha concesso che avesse almeno la felicità di uno spettacolo al Circo, anche se sarebbe stata senza braccia e senza gambe, povera bimba.
Vorrei scrivere perchè sono felice, ma non so se riesco a esprimere quello che ho dentro. Perchè sono tanto felice.
Felice di vivere, di esistere.
Felice di essere così come sono.
Felice della vita che è intorno a me,
Felice delle cose che mi circondano. Del cielo, del sole, dell'acqua, del bello e del cattivo tempo.
Felice della bellezza della campagna in primavera, in autunno e sempre. Dei bimbi che incontro, dei loro volti espressivi.
Felice di poter camminare, di poter vedere, di avere freddo e caldo, fame, sonno.
Di essere accanto agli altri, come gli altri.
Di poter parlare e ascoltare.
Felice del lavoro, della vita misera e sempre uguale che conduco, del mio non saper fare.
Perchè io sono niente, non ho niente.
Ma sono tanto felice.
Nonostante la miseria che vedo d'intorno. L'ingiustizia. L'incomprensione e l'ingordigia. L'angoscia del dover arrivare, del passare sempre più avanti.
Nonostante la sofferenza dei deboli, dei poveri, di chi è niente come me.
Nonostante i grossi ed innumerevoli problemi dei nostro tempo.
Nonostante la sofferenza fisica e il dolore della morte.
Sono felice nonostante l'incapacità mia e di molti a fare qualche cosa per chi non ha conforto.
Perchè io ho in me la sorgente della felicità di tutto - nonostante tutto.
Sono troppo niente per essere capace di gioia, anche per qualche attimo.
Ma a Dio niente è impossibile. Ho tanto creduto in questo. E Lui è stato capace di farmi felice. Di darmi i motivi di tanta gioia. Trovandoli in Lui li ho trovati in tutte le cose, e nessuna cosa negativa può distruggere quello che Lui ha impresso così profondamente in me.
Perchè Lui è tutto.
E sono felice di tutto nonostante tutto.
Perchè è vero che a Dio niente è impossibile.
e. c.
L'ansietà in cui tutti, un po' più un po' meno, siamo vissuti in questi (giorni per la malattia del Papa - questo simpatico Giovanni XXIII, questo ottantenne Pontefice dal cuore coraggioso e dalla mente meravigliosamente aperta - questa ansietà preoccupata e angosciata mi ha fatto ritornare in mente, in tutta la sua impressionante evidenza, un vecchio problema.
Fin da giovanissimo - dopo aver appena scoperto qualcosa del Cristianesimo - ho cominciato a scoprire urna strana e quasi assurda dissonanza fra il nostro credere e affermare che il Paradiso è la vera felicità, il godimento eterno di Dio, la pace senza fine, il porto della salvezza, la vera vita ecc. (non sono mai riuscito, nelle mie rare predicazioni dal pulpito, in queste descrizioni così fantasiose e immaginose - chissà perchè ho sempre avuto il terrore di rischiare di descrivere il paradiso al mondo mussulmano), dissonanza assai stridente fra questa Fede nel Paradiso e la paura del Paradiso, la difficoltà a morircene in santa pace contenti di uscire finalmente da questa "valle di lacrime", e quindi l'abbarbicarci violentemente a questo mondo, l'attaccarci allo scoglio, l'aggrapparci al ciuffo d'erba della sponda del fiume, cercando di resistere, fino all'impossibile, alla violenza della corrente.
D'accordo che è un problema risalente all'istinto di conservazione che è l'istinto primordiale determinante l'attaccamento animale alla vita e il terrore della morte. E' provvidenziale quest'istinto e il suo annullamento ha qualcosa che sa di suicidio, sempre vero e proprio fenomeno di anormalità.
Però è chiaro che anche la sua eccessività comporta un immiserimento di libertà che è sempre frutto di urna visione razionale delle cose che poi raccolta dalla Fede, può arrivare a misure di superamento (non di annullamento) nel senso di andare oltre ai valori dell'istinto per cercare la verità d'esistenza e di vita fimo al suo possesso totale nella partecipazione eterna alla infinita Vita di Dio.
La Fede cristiana è considerazione del Mistero della morte come coronamento di una vita, come punto supremo d'esistenza. Esattamente come l'ultimo passo vuol dire avere scalato la montagna, come il varcare la soglia vuol dire aver concluso il viaggio. E nello stesso tempo vuol dire inizio, nascita, principio.
Ciò che è dopo l'attesa. Quello che viene dopo la vigilia. La promessa mantenuta. La fedeltà premiata. La visione finalmente concessa.
«Finalmente» è un avverbio colmato di mistero per noi cristiani e racchiude problemi infiniti di fiduciosa attesa, di ricerca appassionata, di stanchezze pesanti.... ma tutto è passato: ecco, siamo arrivati. Un infinito respiro di pace.
Il Cristianesimo ha dato un senso alla morte fino a farne un valore desiderabile, un autentico motivo di gioia.
Da dopo che il Figlio di Dio è morto sulla Croce e con la Sua morte ha compiuto la salvezza del mondo, il morire rientra in questo mistero di vita. Non è uno sparire dal mondo, ma un entrarvi come «il seme che sotto terra muore e si disfà per moltiplicare i frutti». come «il pugno di lievito che perdendosi nella massa di farina tutta la lievita».
Ma nonostante tutto (Paradiso, la Croce, la Salvezza del mondo ecc.), non abbiamo voglia di morire e tanto meno di morire volentieri.
Su questo punto noi cristiani siamo letteralmente dei pagani. Facciamo un sacco di discorsi, ma poi è come quando diciamo: beati i poveri, e nel frattempo per cinque lire ci faremmo spellare, Parliamo di carità fraterna e sbattiamo l'uscio in faccia a un importuno. Cianciamo di bontà e guai a chi tocca i nostri diritti. E così via.
Paradiso, paradiso, ma in fondo, inconfessatamente, questo paradiso terreste di triboli e spine, fatto di terra e di sassi, di carne e Sangue, ci piace da matti e della morte abbiamo soltanto una paura boia.
Ormai la scienza medica ci ha giocato un brutto tiro dandoci l'impressione di poter avere il diritto a stare sempre bene e a non morire mai.
E ci ricorriamo come ad un'arte magica. Il medico che non fa andare alla farmacia con la borsa della spesa per le tante medicine che ha ordinato, è un medico che non vale nulla. E professionalmente non farà certamente fortuna.
Obiezioni. Tantissime. Tutte giuste. Ma sì. Bisogna curarci. E' dovere difendere la salute. La vita è tesoro da custodire gelosamente. E' dono di Dio. E avanti con queste «verità» che stranamente annebbiano la grande, fondamentale verità cristiana che questa vita terrena è perchè possa esserci donata quella celeste.
E così tanto che il morire è diventato un rassegnarsi all'inevitabile. Quel «non c'è più nulla da fare» suona male cristianamente, anche se sembra la conclusione di tutto un dovere. E sentiamo tutto come un destino cieco, irrazionale, assurdo.
Anche a novant'anni.
Quando Pio XII fu gravemente ammalato ricordo che gli operai mi dicevano: ma il Paradiso non è quella gran bella cosa che voi dite? E perchè nemmeno il Papa ci vuole andare, dal momento che fa venire professori dalla Svizzera, dalla Svezia e per fino dalla America?
Evidentemente il discorso non era senza una punta malevola riprovevole, ma metteva spietatamente anche in chiaro tutto il problema terribile determinato dal nostro povero essere uomini, animali sia pure ragionevoli e il dovere di testimonianza di una Verità che della vita terrena ne fa soltanto il tempio di maturazione per l'eternità: una semplice e tanto dolorosa attesa del Paradiso.
E questa testimonianza, a noi, seguaci di Cristo, può essere richiesta con una pretesa assoluta.
Mi è venuto da ripensare a Santa Teresa dal Bambino Gesù. Lessi in un libro che quando le venne la prima emottisi era di notte e secondo la regola la lucernetta era già stata spenta. Per mortificarsi della gran gioia che avrebbe avuto nel constatare che era sangue e che quindi molto presto sarebbe andata in Paradiso, aspettò a guardare il fazzoletto intriso quando spuntò il giorno.
So benissimo di scrivere queste cose con disinvoltura perchè sto bene di salute. E con non eccessivamente troppi anni e con un po' di salute si fa presto a pensare e a scrivere intorno alla gioia di morire.
Ma non è per questo che scrivo di questo problema, è invece perchè ho una grande paura di non voler morire, di attaccarmi cosi tanto a questo mondo, fino a volerci ritornare a dispetto di Dio e dei Santi. Ho tanta paura di non concedere con serena gioia la libertà a Dio di venire come il «ladro di notte a scassinare la casa» (Mt. 24, 43).
Un Prete
E' bello fare i pezzetti a Natale perchè i ricchi allora sono buoni; è bello il presepio a Natale che tiene l'agnello in mezzo ai leoni.
Rocco Scotellaro
Quanto più è decisiva e coraggiosa la rottura, tanto più è profonda e decisiva la purificazione. Non è possibile essere umili senza umiliazione.
Proviamo a pensare, davanti al Bambino Gesù, se non possiamo fare qualcosa per entrare nella vera umiltà, nella piccolezza, in questa grande piccolezza di cui parla il Vangelo.
Potremo rompere una tradizione, o, piuttosto, una cristallizzazione che si è formata intorno a noi. Ci siamo abituati a trattare le persone di casa con certi metodi che, oggettivamente, dovremo riconoscere non troppo affettuosi, non è vero? Ci siamo abituati a trattare i dipendenti non come persone e ci alimentiamo della concezione dell'uomo che non è cristiana; essa può anche sembrarci vera, più pratica, più consona alla nostra esperienza dell'uomo; però in nessun modo possiamo dirla cristiana.
Conosciamo una persona che abbiamo lasciato lungo la nostra strada, umiliata, diminuita, tanto abbruttita che non sa più sperare da noi un'attenzione ne un gesto che le darebbe speranza e gioia.
Se provassimo a fare un gesto nuovo, insolito?
(Arturo Paoli nel suo nuovo libro «Incontri col Vangelo» Vol. I - Editrice Borla - Torino).
14 novembre - Stasera mi sento come quei Cristi nelle «Deposizioni» che dipinge P. Amodei. Sembra una casa triste, invece sarebbe bellissimo che tutti, la sera, fossimo dei tanti Cristi deposti dalle nostre croci quotidiane, sarebbe lo spettacolo divino di un mondo cristiano,
15 novembre - «Ma liberaci dal male» preghiamo secondo l'insegnamento di Gesù. Vuol dire che quando siamo nel male e ci dibattiamo tanto dolorosamente per trovare la via d'uscita, Iddio ha tanta misericordia di noi.
17 novembre - Si parla tanto del Concilio e se ne scrive ovunque. Io, ogni volta, sento una voce che mi dice «E tu concili?» proprio nel senso che dà il vigile a queste parole, quando sta scrivendo la contravvenzione, in pratica vuol dire «Paghi subito?». Credo sarebbe giusto che ognuno pagasse col dolore, l'attesa, la speranza, come scriveva Bloy che tutto dobbiamo pagare.
18 novembre - Alla Messa ci è stato chiesto aiuto per «tre persone che vivono in elemosina». Ho pensato che solo il cristianesimo ha dato rispetto per l'uomo, per cui il mendicante è «persona». Capire questo della Chiesa è di importanza grandissima.
22 novembre - Ho ricevuto la lettera di un poeta che mi parla di Dio, come di Colui che è perennemente giovane. L'idea della Gioventù di Dio in questa grigia e lacrimevole giornata di novembre è stata una folgorazione. Per i latini il poeta era anche vate, cioè profeta.
23 novembre - Siamo alle ultime foglie, sono così fini, così scoperte nel disegno, così dolci nei colori; le guardo e le assomiglio in vincolo di amore ai miei vecchi: anche loro hanno perduto la forza dei verdi anni e sono tremanti ed indifesi, ma quanto trasparente l'anima, quanto delicato ogni sentimento! I greci ed i cinesi avevano raggiunto un altro grado di civiltà nella loro venerazione per i vecchi.
I Domenica d'Avvento - Comincia una stagione straordinaria, l'attesa di Colui che verrà, gli occhi si alzano al cielo e le cose umane si sollevano al livello di Dio, in quest'orizzonte dilatato le valli si colmeranno e le cose perdute saranno salvate.
Grazia Maggi
I poveri non sono una classe: Cristo, altrimenti, non avrebbe detto la prima beatutidine; essa non avrebbe senso o ne avrebbe uno pauroso.
Povero è l'uomo, ogni uomo. Non per quello che non ha di roba, ma per quello che è, per quello che non gli basta e che lo fa mendicare ovunque, sia che tenda la mano, sia che la chiuda. Il pugno è un diritto gridato contro qualcuno. Anche se venisse soddisfatto, subito dopo è come se non avessimo ricevuto nulla, perchè il cuore non si sparte se uno non lo dona.
Primo Mazzolari
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Al tempo che oggi comincia, la tradizione raccomanda di porre in cima ad ogni pubblica preoccupazione l'assillo d'impedire energicamente con misure sociali che la miseria si riproduca e si espanda, incoraggiata dai gaudenti non frenati, dagli ingiusti non puniti, dagli imprevidenti non sorvegliati.
Come ognuno può: con il denaro i ricchi, con l'ingegno gli intellettuali, con la preghiera i santi, con l'attività pubblica i politici, con opportuni richiami i pubblicisti, con le leggi i governanti, con l'Amore tutti, dedichiamoci al compito proprio di una cristianità conscia del grave dovere di servire i poveri, per condurli, malgrado le tentazioni della miseria, alla contemplazione eterna di Dio.
(da un suo libro «Colloqui sui poveri» scritto nel 1941)
Amintore Fanfani
Al Consiglio particolare, alle Associazioni San Vincenzo de Paoli, ai nostri lettori, a chi si ricorda dei poveri e li ama, ai poveri per qualsiasi povertà... gli AUGURI DI BUON NATALE: per tutti Gesù sia sempre di più tutto.
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455