LA VOCE DEI POVERI: La VdP settembre 1962

Vigilia del Concilio Ecumenico

Ci siamo permessi, noi povera voce, di scrivere qualcosa intorno al prossimo Concilio Ecumenico. Ci sembra presunzione e stranezza anche a noi. Ma è non perchè crediamo che abbiano importanza queste paginette de «La Voce dei poveri», ma soltanto per cercare di capire e di vivere con viva partecipazione questo grande avvenimento della storia religiosa del nostro tempo.
I lettori abbiano la cortesia di prendere queste pagine come appunti personali, riflessioni semplici e spontanee e se trovano qualcosa che li possa aiutare, ne siamo felici, diversamente il cestino della carta straccia può sempre mettere a posto ogni cosa.

Vigilia del Concilio Ecumenico

I poveri, i semplici, i non arrivati, i non importanti guardano al Concilio Ecumenico di prossima apertura a Roma, con segrete e serene speranze. Forse non sanno, e nemmeno possono sapere precisare, cosa si aspettano da un avvenimento così grandioso e importante. Sembrerebbe niente: ma non è vero. Niente si aspetta soltanto chi non crede che molte cose possano cambiare, chi non gli importa che molte altre debbano cambiare.
Senza occuparci di come giudica il Concilio chi non gli interessa nulla del problema religioso, cristiano, cattolico, anche rimanendo fra i credenti e i praticanti, non sono pochi quelli che guardano al Concilio in modo distaccato: son cose a cui devono pensare il Papa e i Vescovi. E guardano al Concilio come alla processione del Santo Patrono quando passa, tra i lumi e i fiori e i canti traballando sulle spalle di quei poveracci che lo portano per le vie della città: loro stanno sul marciapiede ad ammirare lo spettacolo.
Non sono pochi quelli che non sperano niente, anche perchè il Concilio lo sentono come un consiglio dei Ministri buono a legiferare e a prendere provvedimenti. E forse, sia pure inconsapevolmente, sanno di essere ormai, loro e il mondo religioso che hanno d'intorno, così statici, così fossilizzati, così ormai murati a cemento armato a prova di bomba, che, lo sanno già in partenza, nessuna forza di nessun Concilio al mondo li potrà smuovere loro e le loro mentalità e le loro abitudini.
Perchè la sfiducia nelle possibilità di rinnovamento del Concilio? I casi sono due: o è perchè non si crede nelle possibilità di una incidenza nella vita della Chiesa e della Cristianità da parte del Concilio che è sicuramente la massima forza e l'organismo supremo proprio della Chiesa militante, o si pensa che ormai il Papa e i Vescovi, il Concilio Ecumenico, abbiano intorno una cristianità diventata materia veramente sorda, dura, implasmabile.
Nell'un caso come nell'altro, si tratta di una sfiducia che a ben pensarci arriva fino alla mancanza di Fede. Assai più di quello che non si pensi, il Concilio si apre con un vuoto di Fede intorno, assai pauroso. Vuoto di Fede autentica, che si rifà a Dio, a Gesù Cristo e alle Sue Istituzioni, vuoto di Fede che lo Spirito Santo è presente nella Sua Chiesa e che Lui può veramente tutto. E vuoto di Fede intorno al Concilio è guardare ai Vescovi di tutto il mondo cattolico come a una immensa riunione raccolta per ascoltare e abbassare fino al torcicollo la testa annuendo in continuazione, immensa riunione totalmente a livello di riunione di uomini in cerca di formule, di nuove leggi, di nuovi regolamenti.
Queste mancanze di Fede sono la peggiore preparazione che la Cristianità poteva fare al Concilio: creano indubbiamente dei vuoti intorno al Concilio di cui il Papa e i Vescovi risentiranno, come di un clima non adatto, di un'atmosfera guasta e viziata.
D'accordo che è molto difficile in questi nostri tempacci così smaliziati e materialisti essere capaci di una visione soprannaturale dei fatti storici, attuali e contingenti. Uomini e cose ci risultano inevitabilmente vestiti di temporalismo, legati mani e piedi a mentalità del momento e di luoghi particolari, costretti dentro limiti di tempo e di visuali personali, ecc. E quasi inavvertitamente allarghiamo questo storicismo da quattro soldi anche alla Chiesa e agli uomini che in questo nostro momento storico la rendono viva e vivente.
E dimentichiamo, o non consideriamo abbastanza, che in fondo il Concilio non può che essere un impegnare lo Spirito Santo in una presenza più scoperta e più intensa nella Sua Chiesa. Ci viene da sentire il Concilio - Papa, Vescovi, cristianità - come raccolti, fatti anche materialmente una realtà sola, per una appassionata preghiera a Dio, in Gesù Cristo, per la salvezza dell'umanità. Perchè è certo che la ricerca e la testimonianza della Verità nel mondo, prima di ogni altra cosa, è preghiera di salvezza.
E la Chiesa nel mondo è questa ricerca e questa testimonianza della Verità e il Concilio ne è la manifestazione massima, suprema e più rischiosa e coraggiosa.
Per questo, ci sembra, il Concilio non è qualcosa che riguarda i Vescovi e il Papa, ma è atto di Fede che impegna tutti, fino all'ultimo credente. Ne portiamo ciascuno nell'anima una misura di responsabilità.
E' veramente cosa strana e penosa certo atteggiamento di passività attendista. Con la storiella dell'obbedienza che deve arrivare fino a quella di giudizio, uno si scarica tranquillamente le spalle e la coscienza di ogni responsabilità, preoccupandosi soltanto di essere capace di tirare su dal pozzo l'acqua col canestro o di piantare le cipolle dalla parte delle code invece che dalla parte delle radici.
Bisogna certamente essere pronti e disponibili all'obbedienza, ma prima di essere a questa seconda parte bisogna pensare alla prima e qui ognuno deve prendere il suo posto e dare il proprio contributo di Fede, di Amore, di ricerca, di testimonianza. Perchè il rinnegare se stessi è ordinato ed è sicuramente per poter essere in condizioni di prendere la croce sulle spalle, e questa croce è quella della salvezza dell'umanità intera.
Ancora non abbiamo noi credenti messo le spalle sotto questa Croce alla quale è inchiodata l'unica speranza di salvezza.
Il Concilio Ecumenico ne è una occasione misteriosa, ma anche splendida, meravigliosa.
Siamo chiamati a uscire dal nostro guscio o dalla nostra tana e cominciare a guardare in giro per il mondo, per tutto il mondo. E' doveroso cominciare ad accorgersi che ci sono anche «gli altri» e che tutti hanno diritto alla salvezza. E' necessario toglier la muffa di vecchie, inutili abitudini e mentalità, dentro le quali ci si rigira così comodamente.
Ma tutto questo, e molto altro ancora, non lo possono il Papa e i Vescovi e non vi saranno formule e ritrovati e novità che potranno ottenerlo.
Questo e il senso di responsabilità universale e la serietà di impegni e di sincerità ecc. è miracolo che lo Spirito Santo otterrà in chi vive e soffre nella propria anima il mistero di questo Concilio, in chi vi partecipa offrendosi totalmente alla ricerca della Verità insieme al Papa e ai Vescovi, in chi ne accoglie a cuore aperto tutta la responsabilità, anche a costo di tanta angoscia e preoccupazione.
Il Concilio è come un misterioso Sacramento che si inserisce fra l'umanità e Dio a realizzare universali, infiniti rapporti. Vi si possono riscontrare facilmente la materia, la forma, i Ministri. E è tutta l'umanità che riceve questo Sacramento. E ogni corpo e ogni anima e ogni esistenza.
Ma non si può e non si deve ricevere questo Sacramento che Dio ha offerto a noi e al nostro tempo, passivamente, come disgraziatamente succede per i Sacramenti ai quali andiamo aprendo soltanto la bocca per ricevere la Comunione, o aspettando che tutto sia finalmente finito, come il Matrimonio, ecc. E' doveroso partecipare in modo attivo e vivo e non solo a nome nostro, ma dell'umanità intera.
Perchè questa enorme Grazia del Concilio Ecumenico offerta all'umanità del nostro tempo non cada nel vuoto.


La Redazione

Il mio Concilio Ecumenico

Non sono un Vescovo e tanto meno Giovanni XXIII, eppure mi viene da considerare il prossimo Concilio Ecumenico come il mio Concilio. Come qualcosa che mi appartenga, qualcosa di mio.
Vorrei scriverne un momento per precisare meglio e chiarirmi quest'impressione che sento in modo così profondo. Penso che non ti dispiaccia perchè il Concilio appartiene anche a te come a me e è bene riflettere un po' su queste nostre responsabilità che non sono sicuramente tanto piccole né di poco peso.
Non mi sto per niente ponendo il problema di cosa farà o non farà il Concilio, nemmeno se concluderà grandi riforme, se e quanto inciderà sul rinnovamento della Chiesa nelle sue strutture umane e contingenti ecc. Le previsioni sono sempre inutili, trattandosi poi d'un avvenimento così grandioso e importante nel quale poi la componente decisiva è niente meno che lo Spirito Santo, far previsioni è cosa soltanto ridicola.
Sono convinto che la preparazione tecnica, per così dire, non è mancata. Ho piena fiducia nell'onesta e serena apertura di Giovanni XXIII per una ricerca sincera di tutto il bene possibile per la Chiesa. Ho piena fiducia nell'Episcopato che voglio e posso giudicare espressione viva di tutta la Cristianità nel mondo.
Fatto questo, non credo per niente di avere esaurito i miei doveri verso il Concilio. Fermarsi qui o limitarsi - anche se è molto importante - ad una partecipazione attiva attraverso la preghiera, vorrebbe dire rimanere al di fuori, in osservazione, in attesa, in posizione puramente passiva. Nei rapporti con la Chiesa, proprio perchè si tratta della Chiesa, corpo vivo in cui ogni membro deve essere vivo, occorre, è doverosa, una partecipazione attiva fino a un coinvolgersi totale in ogni problema.
Tutto ciò che è della Chiesa deve essere mio, qualcosa che mi comporta responsabilità, impegni, doveri.
Ho sempre cercato di esprimere al mio Vescovo e quindi per Lui, alla Chiesa, ogni mia esperienza, ogni mia ricerca. Ho sempre tanto desiderato «dare» alla Chiesa una vita viva e attiva anche come ricerca di allargamento d'esperienze o se non altro offrendo una sofferenza e un'angoscia di impossibilità e di incapacità.
So che è poco, anzi è come nulla, ma l'oceano è fatto di gocce d'acqua e quindi anche da questo punto di vista sento il Concilio come il mio Concilio: la mia povera ricerca dentro questa immensa ricerca di verità e di sincerità di tutta la Chiesa.
Ne sono felice di questo sentirmi unito alla Chiesa. Non è più un problema mio personale il problema religioso e cristiano: unito alla Chiesa ho l'impressione di essere meno solo, meno smarrito dentro questo Mistero del Regno di Dio nel mondo, che spesso sento come un buio terribile, troppo fitto per non averne spavento e paura.
E' molto bello sapere che la propria pena e paura e tutta l'ansia, tutto il violento desiderio di Verità e lo spaventoso dovere di Amore per la salvezza del mondo, è raccolto, trattato, discusso, chiarito e sempre più impegnato da tutta la Chiesa docente.
Perchè parleranno di me, di te, di noi, degli altri, di tutti. Si occuperanno del problema che tanto ci angoscia del come poter essere sinceramente Gloria a Dio in questo nostro tempo, in questo nostro mondo, del come poter essere utili, nel modo più concreto e vivo, alla salvezza di tutta l'umanità. Tratteranno di ciò che ci sgomenta ogni giorno, di ciò che è pena terribile perchè è «tutto» ormai nella nostra vita, ma d'altra parte è problema così colmato di difficoltà fin quasi all'impossibile.
Questo credere in Dio spesso così faticoso e pesante perchè troppo lasciato sulle nostre povere spalle, sarà trattato in faccia al mondo, raccolto e vissuto da tutta la Chiesa, sofferto da tutta la Chiesa, in modo scoperto e in misura totale. Allora più che mai siamo insieme - tutti i credenti - in affermazioni di Fede universali, veramente raccolta di tutta la Fede in Dio sparsa nel mondo.
E' il mio Concilio perchè mi unisce a tutti e tutti unisce a me, veramente anche in modo visibile. Sento i Vescovi che vanno a Roma come l'umanità che si muove dai quattro angoli della terra per confluire dove unicamente è possibile «un cuore solo e un'anima sola». Perchè tutta l'umanità si trovi davanti a Dio in attestato di Fede in Lui. E prego perchè ogni Vescovo porti la sua terra e la sua gente e siano veramente i pastori con nella carne e nel sangue tutto il loro gregge. Che lo Spirito Santo li renda umanità intera per la celebrazione di quell'unità sempre più sogno impossibile alle povere forze umane.
Visioni soprannaturali di avvenimenti umani: ma Dio raccoglie sempre più la storia fatta di uomini e ne fa attuazioni del Suo Regno. E di uomini in cammino, di un trovarsi insieme, di un luogo e di un momento ne fa un mezzo di Grazia e di Salvezza per tutto il mondo. Questo Mistero è cominciato a Nazareth, a Betlem, a Gerusalemme e la Chiesa lo continua a Roma. Per questo il Concilio è il mio Concilio, come è mia la mangiatoia di Betlem e la Croce del Calvario.
Ogni cosa della Chiesa mi appartiene. Si riflette e si riversa nell'anima mia. Non ho più un'anima e un corpo così individuale come una realtà propria, divisa e chiusa. Da molto tempo è inutile chiudere a chiave la porta di casa per rinserrarmici dentro e starmene in pace. Ormai la casa è senza muri e senza tetto e vi piove e vi batte il sole e ogni vento vi è padrone.
Da quando ho cominciato a credere in Dio, in Gesù Cristo e quindi nella Chiesa, sempre più, anche se a poco a poco, le ho consegnato il mio corpo e la mia anima e ogni mio interesse, ma non tanto perchè «qualcosa» (tutto me stesso nel caso) le appartenesse - ho sempre avuto il convincimento di averla arricchita molto poco col dono di me stesso - quanto perchè tutta la Chiesa diventasse mia e mi appartenesse così tanto fino al punto da essere interamente mia in tutto il suo Mistero.
E ora la Chiesa è assai più di me stesso. E' soltanto lei che vive e la sua vita misteriosa mi smarrisce e mi disperde sempre più su tutta la terra e in tutta resistenza e mi getta sempre più fra l'umanità e Dio, in questo abisso infinito.
Ora questa mia Chiesa me la trovo tutta riunita negli uomini che ne portano tutto il destino in questo mio momento, in questo mio tempo.
Sento tutta la fatica della Chiesa per un peso spaventoso uguale a tutto il rapporto dell'umanità con Dio in Gesù Cristo. E mi schiaccia questa fatica perchè non è una parte, ma è tutto il peso che bisogna portare. E il Concilio, questo mio Concilio, mi mette davanti e mi consegna l'umanità intera, ogni problema del Regno di Dio, tutto il Mistero della Sua Grazia e della Salvezza.
Andiamo a Roma al Concilio e vi portiamo la nostra fetta di terra, il nostro problema personale, la nostra visione particolare e ci sarà consegnato il mondo intero, ci sarà messa sulle spalle l'umanità, ci sarà chiesto che il cuore si apra in accoglienze universali.
Allora la mia ricerca di Verità acquisterà doveri nuovi: se la mia Fede ho accettato che sia manifestata al mondo e gridata ai quattro venti, deve avere capacità e sicurezze di testimonianze universali. Perchè questo mio Concilio metterà la mia Fede a pietra angolare per reggere il mondo. Ancora una volta usciamo dall'ombra che spesso la storia aggrava intorno alla Chiesa e diciamo che qui soltanto sta la Salvezza.
E è mio quel Concilio, perchè io voglio che sia presa questa posizione e me ne prendo tutta la responsabilità.
No, il Concilio non è qualcosa che riguarda soltanto il Papa e i Vescovi. Sono io, sei tu, siamo tutti - a meno che non rifiutiamo il nostro consenso - che diventiamo città costruita sul monte, impossibile a nascondersi, e luce accesa per illuminare tutto il mondo (Mt. 5, 14).
Non può lasciarmi indifferente il Concilio: sta aggravando terribilmente le mie responsabilità davanti al mondo. Lo sento come un avvenimento che non lascerà immutate le situazioni: o sarà più Luce o il buio, dopo, sarà più fitto.
Mi comporta, lo sento bene, che Dio sia di più tutto, valore assoluto: una trascendenza tutta presenza di Bontà, di Amore. Più Cristianesimo come unica speranza di salvezza e indicazione perfetta di veri valori. E mi costringerà ad aprire il cuore in capacità di conciliazioni fraterne colmate di fiducia. Sono tanto felice che sia venuto il tempo in cui la Chiesa possa fare un Concilio che non sia contro nessuno, che non sia per separare e tagliare via, ma per conciliare, non tanto i suoi figli, quanto tutti gli uomini, per accogliere, per aprire le braccia in aperture universali. Non lo sento come un Concilio per problemi di Verità e di Dogmatica, ma unicamente o quasi per problemi di Amore.
Offro al Concilio - se non altro attraverso le vie misteriose di Dio - tutto il mio problema religioso, ma non è soltanto il mio, è quello del mio tempo e della mia gente, il problema di una Verità e sincerità cristiana vissuto e sofferto nella nostra carne e nella nostra anima, raccolto nelle strade e nelle fabbriche e nelle scuole e nelle case. Mandiamo al Concilio, per mezzo dei nostri Vescovi, il travaglio quotidiano per una ricerca di Amore a Dio in questo nostro mondo, in questo nostro tempo, e tutto il travaglio quotidiano per una ricerca di salvezza di ogni valore e di tutta l'esistenza umana.
Consegniamo i nostri pesi, le incertezze, i disorientamenti, le debolezze, i tradimenti, ma anche un desiderio appassionato di Verità, un cuore ansioso e pronto all'Amore, un'anima aperta a tutte le responsabilità.


don Sirio

Preghiera del gregge

Sono i fedeli più poveri, perchè di nessuna importanza dal punto di vista umano, che Ti pregano.
Tu ci hai chiamato "pecore" e lo siamo veramente e forse assai più per le somiglianze poco simpatiche che per le qualità veramente pregevoli e positive di questi dolci e docili animali. Ma Tu ne hai fatto «gregge» di noi e hai voluto esserne il Pastore: è molto bello essere pecore di un gregge di cui Tu sei il Pastore.
Ora Ti preghiamo per chi visibilmente hai voluto al Tuo posto dentro il Tuo gregge, a guida di noi tue pecore.
Vogliamo loro bene perchè vogliamo bene a Te.
Crediamo in loro perchè crediamo in Te.
E li riconosciamo alla voce quando ci chiamano per nome e obbediamo docilmente perchè in loro vediamo Te.
Sappiamo che portano nel cuore l'angoscia della nostra salvezza e di quella del mondo. Non sono pastori tranquilli, buoni soltanto a mungere il latte, tosarci al tempo della buona stagione e raccogliere gli agnelli quando i prati sono in fiore e quando le foglie cadono gialle al vento d'autunno.
Sono come Te, pastori veri che conoscono il gregge e mettono la vita di contro per salvarlo dai lupi. No, Tu Io sai e noi pure lo sappiamo, non fuggono il pericolo e la fatica e la preoccupazione.
Li vediamo in alto sul poggio a scrutare l'orizzonte per prevedere la tempesta. E tendono l'orecchio per ascoltare dentro il vento l'ululato dei lupi. E cercano, cercano con Amore e con ansia, il prato dall'erba fresca e salutare e il ruscello con l'acqua che scorre limpida tra i sassi e il muschio tenero e profumato.
Benedici, o buon Pastore, il loro viaggio in cerca di pascoli nuovi.
Colma di sapienza il loro ragionare e discutere intorno alle cose del gregge.
Gonfia il loro cuore di Amore come le vallate di fiori a primavera e i fiumi allo scongelarsi della neve.
Hanno bisogno di sole: accendilo splendente di Luce dentro un cielo senza nuvole. E che non li colga la notte e il buio dello sconforto e della stanchezza, come sempre tutti gli uomini coglie in questo faticoso camminare sulla terra.
E se qualcosa di penombra e di buio sarà inevitabile, fai brillare le stelle, quelle splendide delle notti d'estate, all'addiaccio sulle montagne.
Noi intanto staremo quieti, sereni e fiduciosi
Possiamo serenamente sperare, perchè ci sono loro, i nostri Pastori, a vegliare con veglia premurosa e attenta, tenendo i fuochi accesi, perchè le anime siano pronte.
Ti preghiamo di insegnare loro a fidarsi di noi, perchè possano andare in cerca delle pecore perdute: è il tempo di farlo, perchè anche noi ormai ci ha colto il desiderio della salvezza di tutti. E ci stringe il cuore di pena chi è solo nella foresta, fra le spine e i rovi, senza pascolo e senz'acqua, preda di fame e di sete e quindi dei lupi.
Buon Pastore, raccogli intorno a Te ogni Pastore. Ti vediamo fra loro, il primo di loro, sempre, ma specialmente adesso che Tu li hai chiamati a riunione intorno a Te.
Le pecore pregano che Tu dia loro il Tuo Cuore, perchè sia il loro il Tuo Amore: è di qui che può cominciare la speranza che finalmente il mondo sia un unico ovile, l'umanità tutto un unico gregge perchè vi è un solo Pastore.

(Cfr. Vangelo di S. Giov., Cap. 10, 1-16)


Litanie dell'umiltà

Dal desiderio di essere stimato, liberatemi, Gesù.
Dal desiderio di essere amato
Dal desiderio di essere decantato
Dal desiderio di essere onorato
Dal desiderio di essere lodato
Dal desiderio di essere preferito agli altri
Dal desiderio di essere consultato
Dal desiderio di essere approvato, liberatemi, Gesù.
Dal timore di essere umiliato
Dal timore di essere disprezzato
Dal timore di soffrire ripulse
Dal timore di essere calunniato
Dal timore di essere dimenticato
Dal timore di essere preso in ridicolo
Dal timore di essere ingiuriato
Dal timore dì essere sospettato, liberatemi, Gesù.
Che gli altri siano amati più di me, Gesù, datemi la grazia di desiderarlo!
Che gli altri siano stimati più di me,
Che gli altri possano crescere nell'opinione del mondo e che io possa diminuire,
Che gli altri possano essere prescelti ed io messo in disparte,
Che gli altri possano essere lodati ed io non curato,
Che gli altri possano essere preferiti a me in ogni cosa,
Che gli altri possano essere più santi di me, purché io divenga santo in quanto posso.



Card. Merry del Val

Amore alla Chiesa

L'Amore alla Chiesa fra i poveri e gli operai, fra la semplice gente del popolo, è più vivo di quello che si possa pensare.
Ma è un amore che va capito bene, perchè altrimenti può sembrare tutt'altro che Amore.
Fra il popolo vi è un appassionato attaccamento al Vangelo e un rispetto profondo per Gesù Cristo. La Chiesa non possono tollerare che sia qualcosa di diverso, non possono sopportare che gli uomini di Chiesa che propongono il Vangelo e parlano di Gesù Cristo non ne siano testimonianza viva e fedele.
Ho sempre pensato che questa intolleranza e insopportazione, e quindi questa assoluta esigenza, siano Amore vero verso la Chiesa.
Da noi - in larghi strati del nostro popolo, compreso il mondo operaio - non vi è dell'indifferenza, della noncuranza verso la Chiesa e le cose della Chiesa. La nostra gente - è ancora qualcosa di miracoloso - non ha una mentalità complementare «liberata» dal problema religioso. Non ignora tranquillamente la Chiesa. Non vi passa al largo come se ormai non esistesse. E la Chiesa e il problema religioso e cristiano non è ancora chiuso in se stesso, ormai staccato e lontano dal cuore e dalla sensibilità popolare.
Al fondo vi è dell'Amore verso la Chiesa e dell'Amore autentico, veramente sentito e sofferto.
Può darsi che di questo Amore non ce ne accorgiamo perchè molto stupidamente pensiamo che Amore sia il baciare la mano, un grande scappellarsi in riverenze, un favorire privilegi, il non fiatare mai, altro che per dire sissignore. Abbiamo creduto troppo che Amore alla Chiesa sia l'essere iscritto a tutte le Associazioni e Pie unioni della parrocchia, l'andare in processione, essere sempre contenti di tutto e contribuire generosamente al buon esito di tutte le iniziative.
E' tanto facile scambiare la piaggeria per obbedienza, l'adulazione per rispetto e l'insincerità per devozione: e giudicare Amore alla Chiesa un vago, vuoto, superficiale sentimentalismo religioso determinato, il più delle volte, da tendenze naturali e inclinazione di carattere, che da visione chiara e aperta delle cose e da una scelta sincera e coraggiosa.
Mentre con facilità veramente impressionante, con una leggerezza irresponsabile, viene da respingere come un eretico chi azzarda qualche osservazione, diventa un luterano chi si permette qualche critica e è sicuramente un comunista sfegatato chi arriva a permettersi qualche risentimento.
Perchè si parte con una stupida sicumera che tutto quello che può essere detto non secondo noi è sicuramente sbagliato e tutto ciò che è contro di noi è per malafede, per anti-religione, per malvagità d'animo per sfacciato comunismo.
E anche ammettendo che in parte possa essere giusto un giudizio del genere, rimane però vero che anche chi è su questa via di perdizione ha diritto al nostro Amore e quindi ha diritto a essere preso in considerazione, ascoltato e benvoluto.
Ma non può accadere che in tutto quello che viene detto e che giudichiamo con serena disinvoltura come contro di noi, vi possa essere qualcosa di vero?
Non può darsi che molto del risentimento anticlericale sia determinato anche dalle nostre mentalità e dal nostro comportamento, assai più che dalla malvagità atea, anarchica e comunista degli altri?
E non potrebbe darsi - cose che succedono in questo strano mondo in cui lo Spirito Santo è sicuramente libero e non ipotecato a nessuno e a niente - che sotto la scorza rude di un'apparenza risentita e anche violenta, vi siano angosce segrete e spinte appassionate d'Amore?
Questo nostro popolo vuole ancora bene alla Chiesa e ai suoi preti. Soltanto che spesso vuole bene sul serio. E quindi ama di un Amore esigente, quasi geloso.
E' come un innamorato a cuore aperto, questo povero popolo, e chiede, non può non pretendere, una fedeltà assoluta.
Ho imparato a scoprire Amore di quello vero in quella pretesa che la gente ha che io sia povero e semplice, aperto a tutti. E' Amore volermi assolutamente soltanto dalla parte dì Dio, espressione viva della Sua libertà e della Sua Giustizia. E' un bene appassionato a me e alla Chiesa aspettarsi una testimonianza chiara e scoperta, sicura e coraggiosa che questa vita è soltanto attesa e che il Paradiso soltanto è vera felicità.
E' Amore pretendere che la mia vita e tutta la Chiesa sia una smentita pratica e concreta che i quattrini sono valore tanto importante, che le ricchezze sono una potenza, che la politica è un interesse.
E' Amore a me, vero e profondo, e insieme è Amore a Gesù Cristo e al Vangelo esigere una perfetta identità fino al punto da poter vedere il Vangelo e Gesù Cristo con i propri occhi e toccarlo con le proprie mani.
Ho ascoltato tante critiche, e spesso tanto dolorose e pesanti, sempre però al fondo vi ho scoperto una scintilla di Amore, perchè vi ho visto tanta sofferenza e spesso perfino dell'angoscia perchè le cose erano così, andavano avanti così, mentre sarebbe stato meraviglioso se tutto fosse stato come, del resto, è scritto e come insegnato che dovrebbe essere.
Ho imparato a conoscere il Vangelo e Gesù Cristo, fra questo popolo, più che sui libri d'esegesi, fra questa gente criticona e sempre scontenta, pretenziosa e perfino arrogante: ma che ascolto sempre con umiltà e dolcezza, perchè le loro esigenze anche spietate le hanno scoperte sul Vangelo che io insegno loro e ogni diritto nei miei confronti è stato loro concesso da Gesù Cristo che io vado dicendo di rappresentare.
Non possono esser contenti di me. Hanno ragione di lamentarsi e di criticarmi. E sono tante le cose di cui possono essere scontenti anche nei confronti della Chiesa nella sua realtà umana.
E' giusto che pretendano anche l'impossibile. E' Amore metterci davanti spietatamente il problema delle nostre responsabilità. E è loro diritto chiederci tutto.
Può darsi che perfino nel perseguitarci e ucciderci vi sia qualcosa di un misterioso Amore?
Prego perchè il Concilio sappia ascoltare queste esigenze, raccolga queste pretese, non respinga certa critica, sappia considerare e dare giusto peso a tanto anticlericalismo, scoprendovi non odio, risentimento, malevolenza ecc., ma serio e profondo, anche se misterioso, Amore.
Così coi fratelli separati, così col mondo mussulmano e con quello pagano.
Perchè è venuto il tempo di scoprire e di raccogliere tutta la Verità, dovunque essa sia.
E il Concilio consacrerà solennemente questo dovere della Chiesa e della cristianità perché nel mondo vi sia chi ha la forza e il coraggio di amare la Verità, dovunque essa sia e da qualsiasi parte essa venga.



Un Prete

Le attese dei poveri

Ho sempre sentito i Concili che si sono svolti lungo il tormentoso cammino della storia della Chiesa - specialmente alcuni perchè quasi in modo drammatico - come scelte precise della Verità nei confronti di diverse prospettive sia su un piano teologico che disciplinare e pastorale, maturate a poco a poco per ricerche di uomini, per problemi d'esistenza, per l'andare avanti della storia.
Perchè l'umanità è una folla immensa sterminata a camminare sulla strada della storia e lungo questo viaggio si presentano incroci misteriosi a proporre nuove strade per nuovi cammini. Allora la scelta è inevitabile. Non si può non cercare la strada giusta e trovatala bisogna imboccarla con coraggio. Le soste agli incroci. L'affanno e il tormento della ricerca. Lo smarrimento ondeggiante del premere della folla. La confusione di idee e di opinioni. Il dramma della scelta e poi delle separazioni e il cammino faticosamente riprende lungo la nuova strada.
Anche questo Concilio Ecumenico sento così. Tutti diciamo che l'umanità è in crisi di transizione. E' un'epoca di passaggio la nostra. Siamo sicuramente a incroci spaventosi e decisivi. E quel che è peggio non lo siamo drammaticamente perchè la violenza dell'eresia è scoperta per chiare prospettive o perchè pressioni di persecuzione incalzano da vicino con paure di sangue e di morte.
L'incrocio del nostro tempo è arrivato con maturazioni intense ma con logiche calme e tranquille, prospettandosi come cambiamento radicale di strada o meglio ancora come una strada lunga secoli e millenni finita, arrivata al suo termine e ora vi è una distesa davanti e qualunque pista può andare benissimo.
La Chiesa si raccoglie di tra la folla fatta di tutta l'umanità e si raccoglie per operare ancora una volta con sicurezza infallibile, le sue scelte.
Il Concilio Ecumenico è questa scelta di valori divini e umani, coraggiosa e forte, chiara e scoperta davanti a tutta l'umanità. Non vi saranno - secondo l'opinione a comune - né definizioni di verità rivelate né condanne di errori con scomuniche e separazioni. Quindi le scelte non saranno d'ordine dogmatico e disciplinare eppure non potranno non esservi scelte di tra i valori che il nostro tempo prospetta con allettamenti più o meno convincenti. Succede che non sempre si possono risolvere i problemi di scelta con indicazioni vaghe e con raccomandazioni per il giusto mezzo.
Il problema religioso ha bisogno, come sempre ma specialmente al nostro tempo, di un terreno adatto dove possa esser seminato perchè si sa che sulla strada, fra i sassi e fra i rovi non nasce nulla e nulla viene a fruttificazione.
Il Cristianesimo fin dal primo momento ha scelto una mangiatoia, un lavoro umile da vita nascosta e povera, .ha scelto la Parola affidata a pescatori rimasti perfino senza barca e reti, ha scelto la Croce e si è affidato totalmente allo Spirito Santo.
Ha scelto il mondo degli schiavi e dei poveri, dove diffondersi. Poi i barbari. E poi altre scelte, spesso imposte dalla storia o subite per violenza o per debolezza.
Qual'è il mondo, la realtà storica umana che nel nostro tempo è terra, la più pronta e arata e concimata, per la semina.
Pensiamo naturalmente ai poveri. Trattandosi di cristianesimo non possiamo non pensare ai poveri come al terreno già chiaramente scelto e quindi in dovere da scegliersi anche al nostro tempo e in qualsiasi tempo.
Poveri perchè ancora non sopraffatti dalla materialità delle ricchezze, perchè ancora puri per ideali rapportabili a Dio, come sono la pace, la giustizia, l'uguaglianza, perchè realtà viva, umana per condizione di sofferenza, per comunità di problemi, per bisogno ancora di Dio. Poveri perchè hanno già qualcosa che somiglia al Cristianesimo o perchè fanno pensare al Cristianesimo come a unica loro speranza e forza o almeno perchè conservano valori umani capaci di preferenza da parte di Dio come al tempo della sua incarnazione fra gli uomini.
Pensiamo al mondo orientale. Ai popoli di colore. Alla classe operaia. A chi ha sete e fame della giustizia.
Sogniamo dal Concilio Ecumenico scelte chiare e precise per indicazione - per quanto è possibile - di dove è più viva e attesa la speranza di Cristianesimo, scelte coraggiose, pratiche e concrete per un impegno di Amore totale.
Perchè il nostro tempo deve scegliere inevitabilmente dove nascondere il lievito perchè tutta la massa di farina sia fermentata. E deve trovare il coraggio di vendere tutto per comprare il campo dove è nascosto il tesoro prezioso.


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Due libri sul concilio

«I progetti presentati ai concili non sono ancora decisioni. Fu per dovere di coscienza, non per mania di critica, che i Padri del Concilio Vaticano rilevarono i difetti delle proposte disciplinari, come anche per dovere di coscienza i presidenti curarono l'ordine e il progresso dei dibattiti. Ci sono «partiti» ai concili, c'è «opposizione»; si potrebbe perfino dire che su un concilio senza opposizione graverebbe il sospetto di non essere un libero concilio. L'opposizione degli antiocheni ad Efeso, come quella degli alessandrini a Calcedonia ebbe la sua funzione nella ricerca della verità. La scuola agostiniana a Trento contribuì a porre in più forte rilievo nel decreto della giustificazione l'importanza della fede e della giustizia di Cristo. Anche i partiti di centro hanno un loro provvidenziale compito. Come soltanto i neo-niceni posero fine alla disputa intorno all'homousios, così al Concilio vaticano il partito di centro aiutò a chiarire la natura e i limiti dell'infallibilità papale.
Un concilio deve saper sopportare originali come il vescovo Martelli di Fiesole, imperterrito assertore dei diritti dei vescovi al tridentino o come il vescovo Strossmayer, focoso avvocato della libertà di parola al Vaticano. Un concilio deve anche superare intrighi, come ne ordirono Simonetta e Manning, e deve saper confidare che alla fine la verità e soltanto la verità rimane vincitrice. Se spesso ai concili le cose procedono in modo molto umano, ciò non mette minimamente in dubbio la loro autorità, bensì conferma la loro libertà. Un'adunanza di persone sempre pronte ad annuire non sarebbe un concilio, ma ne sarebbe soltanto la caricatura».
(da « Breve storia dei Concili di Hubert Jedin pagg.206-7)

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Padre Voillaume scrive che mai come oggi il mondo ha avuto bisogno dei segni esterni della Chiesa: la Chiesa deve esprimere esternamente i suoi valori più soprannaturali, più divini, attraverso dei segni che il mondo possa riconoscere. Anzitutto il segno della povertà: «come accade - si domanda P. Voillaume - che uomini e donne consacrati a Dio nella povertà, che hanno rinunciato a tutto per il Cristo, vivano in una maniera tale che il loro ideale di vita non possa più essere comprensibile dagli animi del loro tempo?». In realtà un abisso separa le concezioni economiche sulle quali è fondata la povertà volontaria dei monasteri, dalle strutture economiche che impongono la miseria e l'impotenza del proletariato.
Il secondo segno è il segno dell'amore per l'uomo e del rispetto che gli è dovuto. L'amore per l'uomo deve esprimersi oggi in un atteggiamento che possa realmente preparare la pace fra gli uomini e contribuire allo sviluppo della giustizia; è necessaria soprattutto un'attenzione maggiore, più generale da parte della cristianità per la condizione dei poveri, dovunque essi siano. Vi è infine un ultimo segno che gli uomini attendono dalla Chiesa: è quello della trascendenza di Dio, il segno della preghiera e della contemplazione. La vita di preghiera deve esprimersi in uno stile pieno di bellezza e di profondità, che trasmetta veramente agli uomini qualche cosa del mistero del Dio incarnato.
(Dalla recensione su Testimonianze di un libro «Un Concilio per il nostro tempo». Ed. Morcelliana)
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Nella presente questione lo sconcio maggiore è questo: supporre una classe sociale nemica naturalmente dell'altra, quasi che i ricchi ed i proletari li abbia fatti natura a lottare con duello implacabile tra di loro.
Ma le classi sociali conosceranno che tutti sono stati egualmente redenti da Gesù Cristo e chiamati alla dignità della figliolanza divina, in modo che non soltanto tra loro, ma con Cristo Signore «primogenito tra molti fratelli» sono congiunti col vincolo di una santa fraternità. Conosceranno che i beni di natura e di grazia sono patrimonio comune del genere umano, perchè «se tutti figli, dunque tutti eredi; eredi di Dio, e coerenti di Gesù Cristo».
Leone XIII


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