Generalmente la nostra Carità, il nostro Amore verso il prossimo è debole, incostante, incerto, perchè manchiamo di coraggio. II buon coraggio, fatto di forza d'animo e salde convinzioni, ma anche determinato da un carattere forte, deciso, energico. Una mescolanza del coraggio che ci fa camminare tranquilli di notte, senza paura del buio, e del coraggio fatto di amore al rischio fino a sentirci pronti a correre sul filo.
Coraggio umano, insomma, fatto di carne sana e di sangue vivo, di cuore forte e di nervi sicuri.
Perchè è vero che il buon grano nasce e matura in proporzione alla bontà della terra del campo dove è seminato. E nessuno mette il vino nuovo in otri vecchi, né si cuce una toppa nuova su un vestito liso, dice Gesù.
Può darsi che spesso ci dimentichiamo di questa preparazione naturale alle realtà soprannaturali. Di questo offrire roccia viva e non sabbia molle e friabile a fondamento della costruzione della torre. E Gesù continua a dirci che non si può andare con diecimila soldati a far guerra a chi ci viene incontro con ventimila. E deve concludere amaramente che spesso i figli delle tenebre sono più accorti dei figli della luce. Perchè viene spesso sicuramente il tempo in cui «chiunque ha una borsa la deve prendere e ugualmente la bisaccia. E chi non ha la spada è necessario che venda il suo mantello e la compri» (Lc. 22,26).
Si tratta di essere pronti. Le cose di Dio non si improvvisano, né si possono fare con leggerezza come se fossero storielle qualsiasi.
Non possiamo fare a meno di una buona misura di coraggio per affrontare i problemi della Carità e dell'Amore cristiano.
La fiducia nel valore della Bontà, nel valore assoluto della Bontà ha bisogno di essere sostenuta da una visione coraggiosa della vita. Si tratta spesso di andare contro una corrente d'opinione letteralmente all'opposto. La mentalità comune è tutta orientata in un apprezzamento concreto, immediato dei valori, è sempre con criteri di giudizio spaventosamente soggettivi, per una ricerca tenace e ostinata di ritorni interessati, egoistici.
Si apprezza e si tiene in considerazione solo ciò che rende e in immediata scadenza e con una fruttificazione saggiamente proporzionata.
Ci vuole del coraggio a dare di se stessi - e il meglio di se stessi - a fondo perduto. Aprire il portafoglio e vuotarlo sul fuoco, rimanendone a contemplare la cenere serenamente, non è azione da poco coraggio. Ma la carità spesso non è cosa diversa. E aprire il cuore e dare via tutto il proprio Amore, offrendolo a una sofferenza, a una situazione angosciosa, a un problema di ingiustizia, a tutta questa esistenza umana così avida di Amore come una terra di deserto di pioggia, ma che poi non darà che spunti nemmeno un filo d'erba, è terribile atto di coraggio. Ci vuole del coraggio. E spesso ce ne vuole una misura così enorme che porti fin quasi sull'orlo dell'incoscienza, dell'irrazionale. Il coraggio di far comandare il cuore mettendo a tacere tutto perfino il diritto, o almeno l'esigenza, e forse anche il dovere, di sapere se conviene o no, se è giusto o no.
Eppure, di fronte alla povertà da amare, alla sofferenza da sollevare, all'ingiustizia da risolvere, di fronte alla richiesta, a qualsiasi richiesta di un pezzo di cuore e di una fetta d'anima - ferite profonde che spesso non si rimarginano più - non vi è, come possibilità di fare qualcosa, che la logica del cuore. E il coraggio è la virtù del cuore e vi nasce dentro quando è terra buona, vergine e ben preparata e fruttifica in sovrabbondanza l'Amore.
Il problema sta dove raccogliere i motivi di questo coraggio.
No, non può assolutamente essere motivato da una emotività sentimentale: semmai di qui potrà nascere una forza di simpatia o una passionalità. Energia senza valore, perchè frutto di drammaticità, di situazione estrema, di clima eroico. Normalmente è eccessività artificiosa sollecitata da motivi personali non sempre nemmeno troppo lodevoli, né apprezzabili.
La Carità è dolce, fraterno rapporto d'Amore, semplice come una stretta di mano, schietto e aperto come un saluto da lontano, Amore offerto senza che si pensi al ricambio e nemmeno alla gratitudine. «La tua mano sinistra non sappia ciò che fa la destra» (Mt. 6, 3).
Mi pare, però, che qui, trattandosi di Carità e di Amore come problema così interamente oggettivo, e quindi staccato e puro da ogni interesse e motivo e scopo personale, mi pare che non si possa fare totale affidamento sopra il coraggio raccolto dal proprio carattere, dalla propria natura generosa, impulsiva, esuberante. Il meno non potrà dare il di più. E per salire molto in alto, una spinta dal basso si esaurisce assai presto: al massimo, si possono fare dei salti, ma ogni volta si ricade a terra, come ricadono i sassi lanciati in aria.
La Carità è dolce Amore perseverante, incessante. E' continuità di dono di se. E' presenza di una realtà di rapporto non improvvisata, non tirata fuori con sforzo, non drammatica e tanto meno fatta di momento eroico. E' limpida e serena e ormai stabile impostazione di vita, è scelta di modo di esistenza.
Occorre un coraggio particolare, originale, sicuramente unico. Può perfino stare insieme alla paura, sicuramente si trova a suo agio nella debolezza, e scopre terreno adatto in ogni vuoto di valori e di capacità umane. Anche perchè dove non trova questi vuoti, molte volte il coraggio necessario alla Carità dell'Amore li deve scavare. Forse non può farne a meno, perchè probabilmente questo particolare e unico coraggio vuol sostituirsi ad ogni altro valore, in modo che rimanga soltanto questo misterioso, strano «coraggio» (Dio, Gesù Cristo, tempo, eternità, io, tu, noi, gli altri, tutti... in tutta la Verità e nell'unico Amore per medesimo Mistero) a determinarci per ogni cosa, assolutamente per ogni cosa.
Forse questo coraggio necessario alla Carità e all'Amore è lo stesso coraggio che occorre per credere in Dio. E' certo che per amare il prossimo occorre lo stesso coraggio che per amare Dio. Non può che essere un problema di un unico, identico Amore.
E per credere in Dio e amarLo, occorre del coraggio, fratelli, e del coraggio vero, serio. Assai più che metterci a camminare sull'acqua e spostare le montagne. Coraggio sostenuto soltanto dalla Parola che dice: «Ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio, perchè a Dio tutto è possibile». (Mc. 10, 27).
La Redazione
E disse «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza» (Gen. 1, 26).
Il nostro Amore verso il prossimo, se vogliamo che sia seriamente motivato e fortemente sostenuto, in modo che sia Amore autentico, reale, concreto e non vuoto filantropismo determinato da sciocca generosità o da sentimentale emotività, bisogna che scopra e accolga ragioni essenziali, doveri nascosti alla radice di ogni rapporto umano, oggettività dipendenti unicamente dall'intrinseca dignità umana.
Non posso pensare che io ho rapporto col mio prossimo, fino ad avere doveri verso di lui, perchè io lo voglio e lo consento, o perchè io sono buono: paternalismo insulso che, grazie a Dio, sta passando di moda, anche se rimane assai incrostato a tante posizioni di privilegio aristocratiche, economiche, ecclesiastiche, ecc. E nemmeno posso considerarmi in rapporto col mio prossimo che può arrivare fino all'ingiustizia più nera che va dallo schiavismo politico a quello economico, con una graduale di asservimento impressionante del povero prossimo ai propri interessi.
Nemmeno mi sembra che sia giusto, o almeno sufficiente a regolare i rapporti umani, stabilirsi su un piano di giustizia commutativa. Quando è stato dato a ciascuno il suo, tutto è finito - e naturalmente sono io, o la legge, che è lo stesso, a determinare il «suo». Il mio rapporto col prossimo non può essere determinato sopra una bilancia, sia pure che pesi fino all'oncia. Inaridirebbe in procedimenti di calcolo e quindi sarebbe risolto da una razionalità fredda e spietata: Dio ce ne scampi da questo borghesismo calcolatore fatto soltanto d'egoismo e di coscienze in pace e soddisfatte.
D'altra parte un rapporto d'Amore non può essere improvvisato, e tanto meno posticcio. Non sono carità sana gli entusiasmi per la fiera di beneficenza e tanto meno per il ballo a favore dei poliomelitici. La lacrimuccia al racconto del bambino legato in un sottoscala, sopra un po' di paglia e abbandonato. Il risentimento per il padrone di casa che fa gettare dai Carabinieri sul lastrico la famiglia, insieme ai materassi e alle pentole. Le dieci lire cercate con cura nel portamonete per lo sciancato - mucchio di cenci accoccolato all'angolo della strada...
Mi pare che non sia il caso, per trovare motivi di Amor del prossimo, tentare di sensibilizzarci cercando di scoprire i diritti degli altri - siamo sempre spaventosamente capaci di giustificarci a non vederli, o di ridurli o minimizzarli, fin quasi a farci un dovere a non prenderli in considerazione. E nemmeno mi sembra la via buona, per una autentica impostazione di rapporti nell'Amore, il tentare di scoprire i nostri doveri verso il prossimo: sicuramente anche se ne scopriamo alcuni, ne lasceremo in ombra molti altri, e forse i più seri e i più impegnativi, e il nostro egoismo troverà sempre scappatoie eleganti da mettere in pace anche la coscienza dell'orso. Non possiamo fidarci delle nostre capacità di visione oggettiva: sono limitate, interessate, inquinate d'egoismo. Siamo tutti degli ostinati unilaterali e guardiamo sempre da una parte sola, come i monumenti sulle piazze.
L'Amore al prossimo si costruisce soltanto, mi sembra, attraverso visioni religiose, intese in senso strettamente teologico.
Dio, la creazione dell'uomo, l'ha ricopiata sulla Sua Immagine e ne ha fatto una Sua Rassomiglianza. Voglio rimanere ostinatamente - d'altra parte è Lui che mi incoraggia in questa ostinazione, con la perseveranza misteriosa e terribile di Amore per questa sua Immagine - voglio ostinatamente rimanere fedele a questo meraviglioso "sogno" che Dio ha avuto nel creare gli uomini.
Son buoni gli uomini. Hanno della stessa bontà e bellezza di Dio. E il buono e il bello deve essere amato, non può che essere amato.
D'accordo che questa Immagine è stata deturpata, la bontà macchiata e la bellezza sciupata. Ma l'Immagine resta, perchè il pensiero di Dio non è cambiato. Non ha ritirato la Sua Immagine impressa, non ha cancellato la Sua Rassomiglianza.
Ciò che Lui ha creato rimane, perchè nulla si distrugge di ciò che è della Sua Volontà creatrice. Volontà creatrice di questo momento, perfettamente "unica" con quella del primo istante, al principio dei tempi.
Gli uomini, per quanto facciano di male, per tutta la degradazione di vizio e di malvagità, con tutta la loro perversione e degenerazione fino all'incredibile e all'impossibile, non possono cancellare questa Immagine, né impedire questa Rassomiglianza. E' adorabile questa impossibilità. E forse gli uomini sono costretti a rimanere uomini da questa misteriosa immagine impressa e da questa rassomiglianza che non può non splendere riflessi misteriosi di Bontà e di Dignità, diversamente inconcepibili in questo mondaccio ottenebrato da tanta cattiveria.
Disgraziatamente, non abbiamo specchi che riflettano quest'Immagine e ci rivelino questa Rassomiglianza, dato che l'unico che avevamo a disposizione - la nostra coscienza - è tanto terribilmente annebbiato e sporco e ridotto in frantumi, fino al punto che solo "qualcosa" e soltanto qualche volta, quando tutto è sole splendente e cielo azzurro, ci consente di vedere.
L'Amore è qualcosa di Dio, è l'espansione della Sua Bontà. E quindi Lui solo riesce a darci di scoprire il Volto di Dio, di intravedere la Sua Immagine e di adorare la sua Rassomiglianza. E quindi è vero anche il contrario, e cioè che è il Suo Volto a potermi innamorare, è la Sua Immagine che può riuscire ad affascinarmi e la sua Rassomiglianza soltanto mi convince a fidarmi, a stendere la mano, ad aprire le braccia, a donare tutto me stesso in misura di Amore che, proprio perchè è Amore copiato nel Cuore di Dio, deve essere senza misura.
Allora l'Amore del prossimo ha trovato i suoi motivi chiari e convincenti. Non sono del momento, ma appartengono a valori eterni. Nemmeno sono fluttuanti al vento della contingenza, ma sono assoluti e immutabili. Non dipendono dalla mia buona o cattiva digestione, né dalla mia simpatia, né dal fatto che il prossimo è un bambino roseo fra stracci neri, o è un ubriacone puzzolente per il recente vomito di vino. Non è un problema di emotività o di tenerezza e nemmeno di meriti per la vita eterna.
L'Amore, la Carità è problema di Fede. Si tratta di credere al preciso valore dell'uomo in quanto uomo, quindi Immagine di Dio, quindi Lui visibile in questo mondo.
"Chi non ama il suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede?". (1° Giov. I, 20).
Dio ha avuto fiducia negli uomini, se ha consegnato loro il Suo Volto e la Sua Bontà e la Sua Bellezza. Il mio Amore per loro è continuazione di questa fiducia a costo di tutto, fino all'impossibile. Non posso essere io a dissacrare la sacralità dell'uomo giudicandolo indegno, immeritevole del mio Amore, quell'uomo che Dio continua ad amare con tenace pazienza e con tenerezza inesauribile.
Vi è qualcosa da amare sempre, da salvare incessantemente, qualcosa di sacro da raccogliere, e spesso è perla preziosa nel fango, è tesoro nascosto sotto la terra. Conviene, è doveroso vendere tutto il proprio egoismo e comprare a forza di Amore quella perla e tutto quel campo che nasconde il tesoro. (Mt. 13,44-46). Gesù, il Figlio di Dio fatto Uomo, ha amato e ama gli uomini così, credendo in loro fino alla Croce, credendo al loro racchiudere tutto il Mistero di Dio, perla preziosa, tesoro infinito, dentro miserie spaventose, sotto mediocrità insopportabili, durezze incredibili, ribellioni rabbiose, malvagità infinite.
Il Suo Amore a Sua Madre e alla Sua gente. Alla carne macerata dei lebbrosi. Alle membra rattrappite dei paralitici. Agli occhi vuoti dei ciechi. Ai morti ancora fuori o già in putrefazione nella tomba. Ai bambini. Alla insulsaggine dei discepoli. All'amore violento delle peccatrici. Al ladro crocifisso con Lui. Amore doloroso, angosciato dalla durezza cocciuta e maligna dei Farisei. All'arrivismo di Pilato. Al crudele mestiere dei carnefici...
E quindi Amore a me, a te, a noi, a tutti, dal primo uomo fino all'ultimo. Nessuno escluso, capisci, nessuno escluso. Fino al punto che Lui può dire a noi e a tutti: "Amatevi come io ho amato voi" (Gv. 15, 12).
don Sirio
Discopro un Cristo segreto
Che nasce nella Spagna improvviso
Non è il Cristo vittorioso
Degli affreschi catalani,
Né il Cristo di Lepanto
Sospeso da una torre
Di spade, ceri, passioni.
Non domina una collina,
Non brilla in mezzo all'altare
Fra ornamenti d'argento
Nè nel palazzo dei ricchi
Nè nel bàculo vescovile.
E' un Cristo quasi segreto
Che nasce dalle catacombe
Della Spagna non ufficiale.
Nasce dallo scarso pane,
Dalla mancanza del vino,
Nasce dalla fonda rivolta
Espressa dall'ingranaggio
Della ruota di compressione.
Nasce dalla fede maltrattata,
vagamente definita.
E' un Cristo degli operai
Attenti, sul piede di scioperi,
Figli di altri operai
Morti nella guerra civile.
E' un Cristo degli studenti
Senza danaro per le tasse.
E' un Cristo dei prigionieri
Che nel silenzio coltivano
Il puro fiore della speranza.
E' un Cristo degli uomini-larve
Affamati, insofferenti,
Che vivono in covi oscuri
Di Barcellona e Valencia.
E' un Cristo dell'esperienza
Di preti non conformisti
Che non benedicono spade
Nè incensano il dittatore.
E' un Cristo del tempo incerto.
E' un Cristo del divenire,
Formato solo nei cuori
Della Spagna che non si vede.
Murilo Mendes
Scriviamo a voi, sorelle nostre, tanto vicine alla vera povertà. Non siete sposate, non avete l'Amore di un marito, non avete la gioia dei figli, siete povere di questi valori così preziosi in questo mondo.
E non avete nemmeno il velo delle consacrate, né un convento che renda misteriosa la vostra vita. Loro passano per le strade e sono difese dalla sacralità dei loro abiti così abbondanti e ricercati e pare che non respirino nemmeno la nostra aria, staccate dal nostro povero mondo di strade infangate, loro che sembrano camminare sulle nuvole, in cieli azzurri trapunti di stelle.
Non avete avuto, lo sappiamo bene, come le sposate e le consacrate nemmeno la gioia del giorno - sia pure un brevissimo giorno - del velo da sposa. Nulla. Nemmeno l'anello al dito a fasciarvi il cuore di una corona dorata di felicità. Nulla.
Siete sole. Donne sole dentro la vita. Sole con violenze meravigliose nella carne e nel sangue e un Amore senza fine nell'anima e un'attesa che non si stanca mai.
Chi sa vedere fino in fondo, avverte la paura della solitudine che vi rabbrividisce il cuore. E l'angoscia del passare del tempo che a poco a poco inaridisce la vostra sorgente d'acqua limpida e cristallina, e tutto lentamente rimane bruciato, terra inutile - vi sembra - albero senza fiori e senza frutti.
E anche gli altri, quasi tutti, hanno aggravato la vostra solitudine spesso, scavandovi intorno vuoti d'incomprensione, chiedendovi tutto fino all'impossibile, senza darvi nemmeno una goccia d'Amore: una semplice e sincera goccia d'Amore. Voi siete le uniche donne alle quali tutto viene chiesto e a voi nessuno, o quasi, sente il dovere di dare. Perchè?
Ma forse è perchè il vostro cuore che non si è esaurito in un altro cuore, è come rimasto necessariamente inesauribile. Certa potenza in noi - e quella dell'Amore in modo particolare - quando non è limitata e costretta al particolare (e a volte occorre tanta violenza per ridurre ad un punto e a una persona una forza d'Amore che coprirebbe l'universo intero) conserva o dovrebbe conservare la sua libertà d'orizzonti infiniti e la capacità d'impegni universali.
Chi non ha una casa, sappia che ha il mondo intero dove abitare. E chi non ha un convento, è perchè abbia tutto il Regno di Dio dove trovare la sua comunità.
Non appartenere a nessuno vuol dire solo una cosa, sicuramente, anche se non vi è chiara consapevolezza: vuol dire essere di tutti e essere di Dio. E' perchè tutti possono prendere qualcosa da voi, che nessuno ha il diritto esclusivo sopra il vostro corpo e il vostro tempo e il vostro Amore.
E Dio è sempre là a raccogliere ciò che nessuno ha cercato, voluto, preferito. Lui che ha gusti di Amore particolare. Lui che cammina per il mondo a chiamare gli storpi e i ciechi e i poveri lungo le siepi e i sentieri abbandonati, per invitarli al Regno. Predilige i bambini, ha preferenze per i pubblicani, ha simpatia per le meretrici. E gli ultimi saranno i primi. E la pietra che i costruttori hanno scartata sarà pietra angolare. Lui che è venuto per i malati e non per i sani. A cercare la pecora rimasta sola, lasciata sola nel deserto dalle novantanove al chiuso dell'ovile. La moneta nascosta nell'angolo buio della casa. Lui che ha avuto soltanto una madre e pochi amici e così poco Amore e ha «sposato» l'umanità dalla quale non ha ricevuto che la possibilità di versare tutto il suo sangue e altro dono che di poter amare con una misura infinita di Amore.
Bisognerebbe che tu riuscissi a capire che certo Mistero di Amore ti riguarda. E che tu sapessi che il tuo corpo può avere potenza di fecondità inimmaginabile. E bisognerebbe che la tua anima si aprisse sul mondo intero e che tu ti sentissi viva e presente fra gli uomini assai più che fra dieci figli.
Raccogli la tua libertà: è tesoro prezioso per una vitalità illimitata. Abbiamo tutti bisogno della libertà del tuo cuore, noi, schiavi d'un uomo e di una donna, delle quattro mura di una casa, di ambienti familiari tanto orribilmente borghesi, noi prigionieri dei nostri figli e del loro, spesso, spaventoso egoismo. Noi legati mani e piedi da doveri spesso soffocanti: ci riducono a zero, non possiamo e non sappiamo più pregare, non riusciamo a fare un'opera buona, non ci è possibile dare nemmeno una briciola del nostro corpo, un palpito del cuore, un istante di tempo a Dio, a chi soffre, a chi ha bisogno di pane, ai bambini abbandonati, ai malati sconfortati, alle vittime dell'ingiustizia, a chi è solo senza un cane che gli voglia bene.
C'è chi ci ruba tutto per sé impoverendoci fino al lastrico, fino all'egoismo più sporco, impedendoci anche un solo respiro all'aperto, un minimo di Amore.
Tu, sorella, sei libera. Veramente libera di darti a tutto, a tutti e quindi a Dio.
Sei libera, cioè a cuore aperto. Tu puoi spalancare le nostre prigioni, aprire la finestra di casa e forzare i cuori più chiusi. Fai tu quello che in questo mondo deve essere fatto, c'è qualcosa che non deve mancare, sarebbe male e vuoto spaventoso per tutti... sicuramente non sei stata scelta da nessuno perchè il tuo meraviglioso destino ti aveva già scelta e segnata per il bene e la gioia di tanti, di tutti.
Non camminare per le strade quasi nascondendoti: sembra che tu abbia paura di occupare un posto o respirare l'aria che respiri. Forse tu sola, se la tua vocazione la raccogli con Fede e Amore, puoi andare a testa alta, con i capelli al vento, aperta e donata a tutta l'esistenza, ad ogni valore, ad ogni ideale. Puoi offrire la tua mano senza difficoltà: le tue dita sono senza anelli e quindi senza catene... Tu, a cui è stato dato, se vuoi, di superare l'apparenza e la contingenza dei valori umani, raccogliendo, subito e immediatamente, la verità essenziale e sostanziale dell'esistenza.
E' un assurdo la tua paura e ti impedisce di trovare il tuo posto e di vivere una grandezza. L'opinione corrente stabilita da visuali tanto egoistiche non conta, a meno che questa non debba essere giudicata autentico criterio di verità.
E' vero, a te più che a tutti occorre il coraggio di credere che il discorso delle Beatitudini non è un formulario paradossale di verità impossibili: è il pensiero di Dio espresso in parole da Chi è il Verbo di Dio. E' un sistema di vita scelto da Lui e proposto agli uomini di buona volontà.
Non dimenticare che sei stata giudicata capace di Buona Volontà.
E lascia che gli Angeli ti cantino nelle tue notti non svegliate dal bambino in cerca del tuo seno da succhiare, tanta Pace, quella vera che scende dal Cielo, infinitamente colmata di Grazia e di Amore, uguale alla gloria di Dio, cantata nel più alto dei Cieli.
Se sei così, allora tu sei una benedizione per tutti. Non pensare mai di essere inutile e di vivere a vuoto una vita senza senso, forse sei più «vera» di noi affogati dentro gli egoismi nostri e di coloro che amiamo.
Noi poveri
Nella discussione precedente eravamo giunti alla conclusione che era necessario trovare al di fuori dell'uomo, in concetti che non risentissero della soggettività degli individui, dei popoli o delle epoche storiche la base della giustizia.
«Dare a ciascuno il suo» è una definizione vuota di senso, se non si chiarisce adeguatamente quale è il «suo» di ciascuno: per trovare un criterio che definisca questo diritto di ogni uomo, bisogna andare al di sopra degli uomini e della loro storia. Queste le conclusioni a cui eravamo giunti.
La discussione è proseguita ed ha avuto per argomento ancora la Giustizia, la Carità, ed i loro rapporti. Abbiamo letto un brano del Vangelo in cui si aveva un esempio strano di giustizia divina: l'episodio dell'adultera che Gesù salva dalla lapidazione dei farisei (Gv. 8, 1-11).
La giustizia ci colpisce sempre per quel suo essere impersonale e oggettiva, e ci dà l'impressione di una freddezza talvolta disumana. Nell'esempio evangelico, la legge è chiara, la colpa è provata, l'applicazione della legge deve essere automatica, applicarla è anzi un dovere preciso. Vediamo qui chiaramente i pregi ed i limiti della giustizia. Esistono delle norme di comportamento che hanno valore per tutti gli uomini e che limitano, in difesa di tutti, il campo di azione di ognuno, che stabiliscono quale è quello che a nessuno, per nessuna ragione, deve essere tolto; che dicono quale è la pena per i trasgressori. Fissate le responsabilità, la «giustizia fa il suo corso», come si dice, e, spesso, è un corso obbligato, un binario fisso. Tutti siamo stati colpiti da esempi clamorosi di giustizia disumana purtroppo frequenti, ma inevitabili. Il ladro di due mandarini condannato a 2 anni di reclusione; il ladro di 60 chili di frumento, (era appena finita la guerra e nel paese c'era il caos e la fame) condannato a 20 anni: 1 anno per ogni tre chili di frumento.
Così è la giustizia: un criterio generale per risolvere casi particolari.
Notiamo però che nell'esempio evangelico giustizia è stata fatta: la donna è stata riconosciuta colpevole; ha ottenuto il perdono, è vero, ma è stata riconosciuta colpevole. Questo esempio ci fa pensare ai rapporti fra giustizio e carità, e ci induce a vederle ambedue come due modi di risolvere il problema dei rapporti fra gli uomini.
La giustizia appare come quella disciplina che si occupa dei rapporti delle collettività con l'individuo: di qui la sua generalità e la sua frequente mancanza di elasticità. La carità invece vuole aiutare i rapporti fra i singoli uomini, oltre quelli di ordine sociale.
La carità è amore, e l'amore è dono di se agli altri, prontezza a pagare di persona.
E' un fatto, che la maggior parte delle lotte del nostro tempo avvengono in questi termini: da un lato la coscienza di un diritto, dall'altro la negazione di questo diritto, e isolate, paterne ed obbligate concessioni fatte a titolo di carità, di elemosina o di paura.
Perchè possa agire la carità, è quindi necessario che la giustizia sia realizzata, che siano stabiliti e difesi i diritti degli uomini che vedono la fonte dei loro diritti non in invariabili condizioni di fortuna, ma semplicemente nel loro essere uomini. La carità allora può intervenire a perfezionare la giustizia, a colmarne le deficienze, a renderla giusta caso per caso.
Ma la carità non si ferma qui, va al di là, dove la giustizia non può giungere, a realizzare un rapporto fra gli uomini che alcuni del nostro gruppo definiscono di origine divina; altri dicono che la carità è una semplice manifestazione di quella qualità che in misura maggiore o minore è in tutti e che si chiama bontà.
Tutti, però, ci siamo trovati d'accordo nel vedere nella carità la pietra angolare di una buona convivenza fra gli uomini: alla base di quella pietra è necessario però che sia posto il solido fondamento della giustizia.
Mirco Tavosanis
Fa sempre piacere vedere al vivo scene di vecchie stampe di secoli passati. Naturalmente, con tutta la novità dei tempi moderni, perchè la civiltà, evidentemente, progredisce e porta possibilità nuove; gli uomini però rimangono sempre gli stessi.
Si resta male, allora, a vedere la stessa signora su una automobile di gran lusso, rosso fegato, invece che sul landò laccato di fregi dorati con un bel paio di cavalli impennacchiati. Un povero autista con divisa impeccabile, ma troppo uguale a un vigile urbano, sia pure con un berretto a visiera come un conducente di autobus, invece del pettoruto cocchiere a cassetta con le bottoniere dorate come un ussaro e il copricapo alto a cilindro. Soltanto il canino di razza pechinese è sempre lo stesso, permaloso e rabbioso come un bimbetto male educato.
E la signora, al volante, invece che su cuscini di raso rosso col ventaglio spiegato. Al volante, perchè è chiaro che i tempi sono cambiati: anche la signora «lavora» e non ha ritegno e difficoltà a guidare la macchina con l'autista a fianco. Ormai certe differenze e lontananze sono semplicemente arretratezza e ottusità conservatrice. Se n'è fatto del cammino, ormai -checché ne dicano questi «sociali» mai contenti - se siamo arrivati, lungo qualche secolo, dal cocchiere a cassetta vicino ai cavalli, all'autista accanto alla signora.
Una frenata e la macchina si ferma al punto giusto, al limitare della piazza. Di colpo l'autista salta a terra, si mette il berretto, gira intorno alla macchina, balza sulla maniglia dello sportello, si toglie il berretto e apre la portiera.
La signora si sfila i guanti (forse sono un paio adatti al lavoro di guida) raccoglie il canino lì accanto e lo depone fra le braccia dell'autista e scende con disinvoltura. E' molto giovane. Non si vede bene se sarà una contessa o la moglie di un industriale. Una volta si poteva esser certi che era una contessa o almeno una marchesa. Peccato. Ma i tempi sono proprio cambiati.
Si avvia alla Chiesa. Mancano due minuti alla Messa delle nove.
Il pechinese si agita e l'autista si rimette in fretta il berretto, perchè gli occorrono libere tutte e due le mani per trattenere quel piccolo serpe peloso. Ma il pechinese, è chiaro, non può andare alla Messa con la signora. Si arrabbia furioso e sbraita violento. Il povero autista prima è impacciato, e mi sembra poi molto seccato, dato che ormai la signora è entrata in Chiesa. Non sa come fare, specialmente ora che di laggiù all'angolo sta arrivando, trotterellando allegro, con gli orecchi ritti contro vento, uno di quei canetti proletari, ancora in giro nella fresca aria mattutina, dalle avventure della notte.
Ho l'impressione che il povero autista a guardia del pechinese sia come umiliato e mi sembra si vergogni degli sforzi strani che deve fare per trattenere la furiosa violenza e la rabbia terribile del pechinese che ha avvistato l'allegro proletario che sgambetta libero e tranquillo verso di lui.
Allora me ne vado, perchè non si deve stare a guardare l'umiliazione di un uomo, l'avvilimento di una dignità: sarebbe come stare a guardare uno a cui sono caduti i pantaloni.
Sono ripassato dopo alcuni minuti. L'autista era seduto nella macchina e teneva un giornale spiegato davanti. Era perfino senza berretto.
E il canetto pechinese era col musino e le zampette davanti, contro il vetro della portiera, contrariato e indispettito. Se avesse avuto la parola, maleducato com'era, chissà che parolacce avrebbe detto. Il canetto proletario se n'era andato.
Forse l'autista avrà avuto il permesso di uscire per andare alla Messa delle 18. Ma io pensavo che se fossi stati lui forse avrei preferito andare al cinema. Andando a casa ho visto barche da pesca che uscivano: quegli uomini non sarebbero andati alla Messa. Un gruppo d'operai lavorava con la fiamma ossidrica a aggiustare il ponte di ferro. Un cantiere intero lavorava a giornata piena per allestire in tempo un grosso motoscafo da diporto da mandare all'esposizione nautica di Genova. Nessuno di loro sicuramente sarebbe andato alla Messa domenicale.
Chissà quante mamme non potevano andare alla Messa perchè non sapevano a chi lasciare i bambini piccoli.
In ogni modo, però - al mondo non tutto va male come dice la gente ottimista - la signora della macchina rossa invece che del landò settecentesco, era alla Messa, perchè al canetto pechinese c'era l'autista che ci pensava.
Un passante
Se il Cristo «vuole che i suoi ministri siano un fuoco bruciante», lo vuole "perchè questo fuoco si accenda" sulla terra. «Io sono venuto a portare non la pace, ma la spada».
Come il Cristo, così il prete porta all'umanità un dono senza eguali: quello dell'inquietudine. Egli dev'essere "il ministro dell'inquietudine", il dispensatore di una sete e di una fame nuova. Come Dio «egli chiama la fame sulla terra». Non si tratta qui, evidente, di seminare una paura falsa nelle coscienze già esacerbate della vita moderna. L'inquietudine che il prete deve seminare è quel timore di Dio, quel tormento dell'infinito che ha fatto emettere ai mistici e ai pensatori di tutti i tempi grida d'invocazione sconvolgenti.
La rivolta che egli predica è l'insurrezione delle coscienze; l'ordine che egli deve sconvolgere è la calma apparente che copre le iniquità e gli odi. Come l'eroe e il santo, il prete nel mondo non è un cittadino che ubbidisce passivamente; egli non ha affatto una fisionomia comune. Essere per lui buon cittadino, nell'ubbidienza più sincera alla legittima autorità, significa essere l'eterno «insoddisfatto» non per turbare la pace sociale, ma per prepararne, in ogni momento, l'attuazione più perfetta. Che funzione paradossale è mai la sua! Profeta dell'Essere perfetto, egli ne riflette, nelle civiltà che passano, la pace sovrana e la stabilità. Profeta del Dio vivente egli non ammette il riposo che sarebbe la morte; sarà sempre l'artefice del divenire, del rinascere, nell'intimo delle persone come nello sviluppo della storia. Si può dire senza contraddizione che il suo modo di seminare l'ordine è quello di metterlo in discussione; il suo modo di obbedire alle leggi degli uomini è quello di appellarsi continuamente alla Legge di Dio.
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Quest'uomo che non vive come gli altri, questo legato che parla con autorità sovrana, è come una sfida lanciata agli altri uomini, è «il segno di contraddizione». Quando egli appare, le passioni si cristallizzano, si formano le coalizioni; egli provoca istantaneamente uno stato d'animo di repulsione o di amore, è la pietra di paragone delle coscienze. Anzitutto perchè egli le mette in imbarazzo. Vivendo con gli altri, egli assomiglia a loro in tutto; tuttavia c'è qualche cosa, in lui, che sfugge loro, un segreto che la vicinanza quotidiana non riesce a penetrare. Pur essendo loro sempre vicino, egli rimane l'inaccessibile; trasparente, egli resta misterioso. Si crede di capirlo, in realtà sfugge a ogni definizione. Si adatta a tutte le condizioni, ma in un secolo sempre in evoluzione, egli rimane se stesso. Nessuno dei suoi fratelli, in mezzo ai quali si confonde, osa intaccare la sua consistenza.
Quest'uomo strano, non è un estraneo. Sia che gli uomini aprano o no la loro anima, egli è sempre presente, anche a loro insaputa, come un atto di protesta della coscienza o un richiamo di Dio. Quando l'uomo crede di vivere in pace o crede di aver fatto più del necessario, ecco allora il prete che sconvolge questa quiete. Lo si vuol fuggire e invece lo s'incontra immancabilmente su ogni cammino Si crede di essere autonomi, liberi: ecco il prete che suggerisce, che obbliga.
Per questo motivo, il prete sarà sempre, sotto un certo aspetto, in questa società, l'avversario. Non gli si perdonerà mai di evocare e di perpetuare, di generazione in generazione, Colui che si credeva di aver soppresso per sempre. Come il Cristo, il prete è la pietra angolare, l'angolo vivo del Regno dei Cieli. Invece di essere un consigliere paterno o un cittadino tranquillo, il prete è come Dio un essere terribile.
Cardinale Suhard
(dal vol. «I preti operai» - Ed. La Locusta)
Nel numero precedente ci siamo lamentati di una circolare del Ministero delle Poste che toglieva ogni facilitazione postale alle stampe periodiche. Per il nostro foglio - e pensiamo per tanti altri fogli che vivono poveramente - la conseguente gravosità finanziaria non era indifferente: suonava quasi a condanna a morte.
Di qui il risentimento, del resto simile a quello di tutti i poveri che si vedono schiacciare, proprio perchè poveri.
Il Ministero, però, è ritornato sulle sue decisioni e ha conservato l'abbonamento postale alle pubblicazioni al disotto delle 10.000 copie. Grazie.
Luigi Sonnenfeld
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