Con questo numero siamo all'inizio del terzo anno di vita de «La voce del poveri». Semplice foglio stampato, veramente povero di tutto.
Siamo rimasti fedelmente e cocciutamente accoccolati sui gradini della Chiesa, vestiti di stracci, ma assai sereni e tranquilli, spesso con gli occhi stanchi e delusi, ma sempre con tanta speranza e fiducia nell'anima, non a chiedere qualcosa stendendo la mano, o col cappello fra le ginocchia divaricate, ma a tener presenti situazioni umane, agitare problemi, inquietare coscienze e turbare i placidi sonni di sieste pasciute e tranquille.
Perchè la povertà sgomenta. Sta troppo a un passo soltanto dalla miseria, quindi dalla sciagura, dalia disperazione, dal vuoto, dalla morte. E ne distorgiamo volentieri gli occhi guardando, volutamente distratti, da un'altra parte.
Spesso i poveri sono come degli specchi spietati e crudeli: riflettono le nostre bruttezze gelosamente tenute nascoste da imbellettamenti e cianfrusaglie, convenienze artificiali e maniere disinvolte. Spesso i poveri ci spogliano fino al nudo delle nostre importanze e sforzature, lasciandoci qualche volta davanti a noi scoperti nella nostra ridicolezza di poveri uomini in cerca di coperture alle proprie vergogne col «bisso e la porpora» delle ricchezze, delle onorificenze, delle grandi amicizie...
La povertà altrui costringe a prendere coscienza della propria povertà: è il dono dei poveri a chi non è povero materialmente. E le ricchezze sono maledette perchè coprono questa povertà essenziale comune a tutti gli uomini, fino a impedire di sentirsi poveri: poveri come i poveri di pane, di vestiti, di casa e di lavoro, poveri come i poveri di capacità, di risorse, di equilibrio, di fortuna.
E poi impediscono l'Amore fraterno, le ricchezze. Alzano muraglie e scavano abissi. Ci allontanano, ci separano fra noi. E in fondo i poveri li detestiamo, li odiamo segretamente come la voce della coscienza, come il dovere dell'onestà e forse come l'esistenza di Dio.
La povertà forse è un richiamo alla dura e spietata concretezza del destino umano, come la malattia, come la morte. Dovremmo imparare a combatterla con Amore, in noi ugualmente e negli altri e non spingerla tutta negli altri per liberarcene noi. Bisogna prenderne qualcosa anche per noi, di questo terribile destino umano. Nulla si può e si deve respingere di ciò che è sicuramente per tutti, di ciò che sta alla radice dell'esistenza umana, di ciò che è condizione umana.
Diversamente, ci creiamo delle mentalità assurde di privilegio, imbrogliando terribilmente noi stessi, e arriviamo fino a considerarci esclusi con ragione da realtà umane comuni a tutti. Nasce allora il diritto a star bene, al benessere, all'agiatezza, al non mancar di nulla, all'aver tutto, giustificati in ogni esigenza e pretesa. E girano per le strade impellicciati fin sopra gli orecchi, corrono chiusi dentro le automobili e guardano dai vetri appannati delle case ben riscaldate, egoismi spaventosi, duri e spietati come scheletri.
Se pensassimo con serenità e libertà che la sofferenza degli altri è anche nostra sofferenza e che ci appartiene come a unica realtà umana, se fossimo capaci di giudicare che il nostro diritto è comune al diritto degli altri e che non esistono assolutismi, ma tutti siamo legati insieme, come un anello all'altro, alla stessa misteriosa catena, allora la povertà degli altri non ci farebbe paura, perchè ben disposti a raccogliere serenamente la nostra. Il peso risulterebbe più leggero e di chiaro e preciso valore, se ognuno ne prendesse la sua parte.
Il problema della povertà nel mondo è problema di fraternità, di amore. E' una realtà dolorosa, non fine a se stessa e nemmeno condanna o castigo, ma condizione, motivo di nascita per un'altra realtà d'infinito valore, quale l'amore fraterno, e quindi ricerca del Padre comune, e quindi visione teologica di rapporti e consacrazione d'esistenza a destini universali, eterni, divini.
Ancora non abbiamo scoperto e accettato la predicazione di Gesù Cristo circa la povertà, come del resto nemmeno quella riguardo al dolore e alla morte. Non crediamo ancora alla violenza divina di questo messaggio cristiano che interviene in tutto il dramma umano per soluzioni di valore infinito. La redenzione deve operarsi nella realtà umana - quella vera, autentica, concreta, scoperta, non camuffata o contraffatta dalle illusioni - per farne realtà divina, meritevole di destino eterno e infinito. E il dolore è redento in Amore, la morte è vinta dalla risurrezione, la vita terrena è già vita eterna, povero corpo tempio di Spirito Santo, povera anima abitazione della infinita Trinità e dentro ciascuno di noi -e in tutta la storia dell'umanità - palpita il destino stesso di Dio e è incarnato il Mistero di Dio fatto Uomo...
Ancora non credo e non accetto che la povertà è l'unica vera ricchezza: realtà condizionante la possibilità della Verità di Dio in me. Valore autentico determinante la misura assolutamente indispensabile della libertà dalle cose terrene per quelle del cielo, dalle cose umane per quelle di Dio.
Non crediamo al valore della povertà materiale. La accettiamo però per gli altri e non ce ne facciamo un'angoscia.
Disprezziamo e detestiamo la povertà d'essere nulla o poco e mettiamo allegramente gli altri sotto i piedi.
Tiriamo avanti facendoci largo a gomitate nello stomaco degli altri e gridiamo all'ingiustizia di questo mondaccio.
Pretendiamo rispetto, considerazione, successo, gratitudine e servilismo e seminiamo a piene mani risentimenti, vendiamo odio per guadagno, costringiamo al male per interesse...
Si potrebbe continuare chissà quanto a raccontare del nostro disamore alla povertà, concludente sempre in tanta orribile ingiustizia.
Abbiamo scritto per due anni di questi problemi. Ce ne vergogniamo sinceramente ogni volta, perchè ne siamo spaventosamente indegni. Ma ci sentiamo incoraggiati a continuare, perchè continuare a scrivere di povertà, di giustizia, di fraternità vuol dire soffrire l'angoscia di una spaventosa incapacità nostra e di tutti e vuol dire lasciarsi logorare l'anima e il cuore dal desiderio, che ogni giorno brucia di più, di un po' di Verità, di Libertà, di Amore.
La Redazione
"E vide Dio le opere sue ed erano molto buone" (Gen. 1,31)
Mi sono riletto in questo inizio di nuovo anno il primo capitolo della Bibbia. Vi è qualcosa di veramente nuovo, di iniziale, al cominciare di un anno. E' sicuramente un clima di impressioni, però mesce a comunicarci qualcosa della misteriosità del principio del tempo, del punto d'inizio di tutto lo scorrere immenso e interminabile del tempo.
Mi sembra che sia doveroso rinnovarci continuamente, ripartendo dall'acqua cristallina, limpidissima, della sorgente. Forse è un dovere da compiere al nascere di ogni nuovo giorno. Ad ogni mattina, la freschezza di un inizio, tutta la gioia del cuore che si apre in chiara fiducia, e la dolce poesia di una speranza intatta e verginale.
Voglio cominciare quest'anno (e mi sembra di averne tutta la grazia), guardando tutte le cose in profonda e chiara visione, e vedere che sono tutte molto buone : so bene cosa occorre, per vedere il mondo in questa luce di chiarità immacolata. Ma forse non è un miracolo e nemmeno forse occorre o è assolutamente indispensabile, una innocenza impossibile. Forse basta desiderare di vedere al di là delle apparenze e cogliere l'essenziale Verità, l'intima rispondenza ad un Pensiero infinito, senza timore dell'immenso mistero che si va scoprendo. Guardare una domanda e una risposta, un dialogo stupendo: parole - Pensiero di Dio e parole - giorno, notte, cielo stellato, sole splendente, mare, montagne, un bambino e l'umanità.. Bisogna essere aperti all'ascolto di questo misterioso parlarsi fra Dio e la sua creazione. Allora si ottiene anche in visione di tutto, secondo la stessa visione di Dio e diventa adorabile lo scoprire quanto sono belle e buone tutte le cose che la Sua onnipotente Bontà ha creato come dono di Amore.
Lo so che ho del buio negli occhi e non so guardare all'intorno in visione panoramica. Ho troppo ristretto volutamente il mio campo visivo e ho gli occhi stanchi di miopia, a forza di guardare troppo vicino, appena un passo davanti, e forse mi occupo soltanto di guardare dove metto i piedi. La mia visione non è fatta d'anima ansiosa, di voglia infinita. Non cerco d vedere la Verità guardando, e quindi non scopro la Bontà e non raccolgo i colori meravigliosi che l'Amore splende dovunque come la luce.
Basterebbe che lasciassi che il vento spazzasse le nuvole dall'azzurro, che la tempesta rendesse tersissima l'aria, che l'aurora tutta di sole spuntasse sul buio e fosse la mia libertà di cuore e di anima ad aprirmi gli occhi sul mondo.
Gesù diceva a Nicodemo, e parlavano di notte, sotto le stelle: «In verità, in verità ti dico che se uno non nasce di nuovo, non può vedere il regno di Dio» (Gv. 3, 3). E' vero: bisogna nascere di nuovo e aprire gli occhi sul mondo, sempre per la prima volta, in novità assoluta di visione, se vogliamo «vedere il regno di Dio».
Mi hanno sempre insegnato che l'esperienza è preziosa, che matura, rende prudenti e saggi, giudiziosi e attenti e un sacco di altre belle cose. Ma mi pare che l'esperienza ci invecchi spaventosamente, ci appesantisca e ci indurisca. Non ho voglia di imparare a stare a questo mondo, non voglio conoscere gli uomini per poi doverli detestare o averne paura. Non voglio acquistare quella saggezza e quella patriarcale prudenza che serve solo, in definitiva, a difendermi. Mi piace essere ingannato, messo di mezzo. Forse mi piace, in fondo - anche se mi costa terribilmente - essere giocato o passare da ingenuo.
Ma va bene se si approfittano di me, se abusano del mio credere a tutto e del mio fidarmi di tutti. Sono io di una mia totale libertà. Desidero che si prendano tutto che consento a che mi leghino le mani e i piedi per Amore perchè rimanere poveri, vuol dire trovarsi innocenti, scoprirsi bambini semplici e buoni. Perchè bisogna guardare questo mondo, capaci di stupore, di serena sorpresa, come per qualcosa di meraviglioso, d'immenso, di troppo. E aprirsi all'inesauribile novità nascosta di ogni cosa.
L'estasi è fatta di semplicità e di visione immediata, scoperta. La contemplazione attinge l'oggetto, rimanendone presa, guardando. La visione è conoscenza per vicendevole possesso e l'Amore è comunione, totale e perfetta, d'esistenza.
Soltanto un'estatica contemplazione per visione totale in comunione d'Amore ottiene nell'anima nostra la condizione per scoprire la bontà e la bellezza di tutte le cose in questo mondo.
Bisogna che Dio guardi ancora questo Suo universo, opera della Sua dolce fatica di Amore, con i miei occhi. Lo vuol vedere ancora col mio sguardo. Vuol vedere attraverso la mia visione.
E' giusto allora che i miei occhi siano liberi dal male, puri di ogni buio e penombra, aperti su tutta la creazione, illuminati di tutta la luce.
E si posano qui o là e vedono tutta la bontà. Si fermano su questa cosa o quell'altra e scoprono soltanto il bene. Indovinano l'Amore nascosto. Riaccendono colori sbiaditi. Rinnovano vivaci speranze. Ridonano gioie scomparse. Perchè vedono per la prima volta sempre, e sono sempre innocenti, perchè vedono sempre tutto, ma soltanto per vedere che «tutte le cose sono molto buone».
La più bella pagine di poesia è sicuramente questa prima pagina della Scrittura. Rimane come segno e indicazione dell'unica visione vera del mondo, delle cose, degli uomini. E' all'inizio, al principio. E stabilisce sicuramente un destino rimasto connaturato con l'esistenza di tutto.
Tu sei il primo Uomo uscito allora, allora, dal soffio vivo di Dio, tu la prima Donna offerta, in questo momento, all'Amore dalla onnipotente virtù di Dio. E' il primo sole stamani all'alba di tutto e stanotte nascerà per la prima volta la luna dal buio punteggiato di stelle.
Mi sono apparse le montagne come dal nulla e ho scoperto la solenne vastità del mare. E ho visto la gioia in fondo al mistero dei tuoi occhi e un mondo sempre nuovo mi consegni ad ogni parola.
In qualche modo è necessario che la storia cominci ora, in questo momento, o almeno ogni mattina. Il passato mi toglie libertà. Mi rende prudente. Mi impedisce la verginale freschezza di vedere le cose al loro principio, allo stato iniziale, e quindi prima di essere sciupate, macchiate, sconvolte.
Non voglio vederle come le vedo io, ma voglio vederle come le vede Dio. Perchè voglio amarle sul serio fino in fondo, come le ama Lui fino all'infinito.
E perchè io impari questa visione e ottenga questo rapporto di Amore, è venuto Lui nel mondo a guardare la sua creazione con occhi di carne come i miei, e penso - è adorabile - che camminando lungo le strade nel sole violento, di notte in preghiera sulle montagne vicino alle stelle, camminando sul velo dell'acqua del lago, carezzando e stringendo al cuore i bambini, vicino a sua Madre, parlando a Maria Maddalena seduta ai suoi piedi, conversando la sera con gli amici... Dio doveva ancora «vedere tutte le Sue opere ed erano molto buone».
E le vedeva sicuramente ancora, così, «molto buone», anche dall'alto della Croce, con gli occhi velati dal sangue e dall'agonia di morte. Perchè l'Amore vede soltanto la Bontà.
don Sirio
Se tu potessi vuotarti di te,
come una conchiglia disabitata,
Egli potrebbe trovarti su una secca dell'Oceano
e dire: «Questi non è morto»,
e riempirti invece di Se stesso.
Ma tu sei pieno di te stesso
e hai una così intensa attività,
che quando Egli viene, dice: «Costui basta
a se stesso: è meglio lasciarlo andare;
è così piccolo e pieno, che non c'è posto per Me».
T. E. BROWN
Signore, insegnaci a non amare noi stessi,
a non amare soltanto i nostri,
a non amare soltanto quelli che amiamo.
Insegnaci a pensare agli altri
ed amare in primo luogo quelli che nessuno ama.
Signore, facci soffrire della sofferenza altrui.
Facci la grazia di capire
che ad ogni istante
mentre noi viviamo una vita troppo felice,
protetta da Te,
ci sono milioni di esseri umani,
che sono pure tuoi figli e nostri fratelli,
che muoiono di fame
che muoiono di freddo
senza aver meritato di morire di freddo e di fame.
Signore, abbi pietà
di tutti i poveri del mondo.
Abbi pietà dei lebbrosi,
ai quali Tu così spesso hai sorriso
quand'eri su questa terra;
pietà dei milioni di lebbrosi,
che tendono verso la tua misericordia
le mani senza dita, le braccia senza mani...
E perdona a noi di averli,
per una irragionevole paura abbandonati.
E non permettere più, Signore,
che noi viviamo felici da soli.
Facci sentire l'angoscia
della miseria universale,
e liberaci da noi stessi. Così Sia.
Raoul Follereau
L'esperienza, cioè la conoscenza, matura in noi a poco a poco, del nostro vivere e di quello degli altri, porta inevitabilmente a delle scelte. Modi di pensare, di sentire, punti di vista, mentalità. Di qui, in modo consapevole o no, le scelte pratiche di vita, d'impostazione d'esistenza. A non essere contenti di essere rimorchiati o portati dalla corrente, volendo tentare di costruire una esistenza dove vi sia molto di se stessi per essere poi «veri» e realmente "vivi" è necessario e doveroso fare qualcosa.
Bisogna mettersi in una condizione d'impegno. Bisogna raccogliere delle responsabilità. Bisogna dare qualcosa di se stessi.
1) - La ricerca di idee è fondamentale. Bisogna avere una ricchezza di pensiero.
Nel frattempo bisogna lavorare al chiarimento delle nostre idee. I confronti e le preferenze non possono e non devono mai essere disprezzo e non devono operare insofferenze e intolleranze. La scelta non può che essere onestà e coerenza, quindi rispetto di se stesso e rispetto degli altri, anch'essi in diritto alla libertà delle loro scelte.
E' un grosso lavoro da fare questa formazione di noi stessi, questo allargare la conoscenza aprendola a tutto per ritorni di arricchimento vitale: base sicura per un impegno serio d'esistenza.
2) - Poi la luce va tenuta scoperta e in alto perché illumini tutta la casa. Bisogna avere la speranza di poter aiutare a scoprire valori da noi scoperti, arrivare là dove noi crediamo che è dovere arrivare. Diffondere un'inquietudine è quasi sempre fare opera di pace vera. Sensibilizzare
a problemi, aiutando superamenti egoistici, è realizzare Amore fraterno. Mettere sotto gli occhi situazioni di sofferenza, di ingiustizia, è sollecitare comprensione; smuovendo durezze, incrinando difese si ottengono aperture... E' il tempo dei discorsi nuovi senza falsa riga e tanto meno imparaticci. Molto meglio idee eccessive ed estreme che stabilità fredda e chiusa anche se tradizionalmente sicura. Oggi, al nostro tempo, chi non cammina sull'orlo e non rischia qualcosa, non è più sicuro nemmeno a letto, fra le lenzuola.
Questa pericolosità di morire per troppo quietismo e troppa pace, bisogna gridarla in tutti i modi. E suscitare inquietudini, scontentezze, nausee di se stessi e di un sacco di cose che fanno comodamente da materasso di gommapiuma a tanto sporco egoismo.
Che sia fatica inutile, in vista di certi risultati, può darsi. Sarà sempre però un onesto cercare e un serio impegnarsi in autentici problemi d'esistenza.
3) - Logicamente poi bisogna scendere sulla piazza. E mescolarsi fra la folla. Vi sono situazioni umane che vanno scoperte e raccolte con Amore.
E spesso un'ingiustizia patita è sofferenza più grave della fame. Un diritto che non riesce ad affermarsi. Una voce che non trova chi l'ascolti, spesso comporta cocenti ribellioni forzatamente inghiottite. Di bocconi amari vive tanta povera gente e si disseta a lacrime di umiliazione. Sarebbe veramente stupendo mettersi dalla parte dei poveri e gridare insieme a loro. Accanto all'ingiustizia e caricarsela tutta nel cuore. Contro le prepotenze, l'affarismo, lo sfruttamento, in rottura aperta e totale.
Presenza in questo mondo in obbedienza fedele e serena ad un ideale raccolto nel proprio cuore, diventato carne e sangue e anima ed immensa speranza.
Potrebbe essere un programma.
Gruppo Giovanile d'impegno Sociale
Rientra negli obbiettivi che il Gruppo Giovanile di Impegno Sociale vuole raggiungere anche quello di realizzare una base comune d'intesa fra i suoi componenti. L'intesa riguarda, naturalmente, le idee generali che ispirano l'azione di tutti; l'intesa si realizza soprattutto con una franca discussione dei problemi.
Il primo argomento di "fondo" che abbiamo trattato riguarda la giustizia, la carità ed i rapporti che intercorrono fra questi due concetti.
Noi desideriamo estendere questo dibattito chiarificatore a quante più persone è possibile, perché anche questo "smuovere le acque" rientra nei nostri obiettivi.
Questa è la ragione per cui pubblichiamo questi riassunti. Le nostre discussioni non hanno naturalmente alcuna pretesa di rigore scientifico e di elevatezza accademica: ma appunto perché sono ragionamenti fatti da persone di cultura e di personalità comune, noi crediamo in un certo loro generale interesse.
Il dibattito è condotto in forma completamente libera, che diventa spesso anarchica e caotica, ma, contro ogni apparenza, ha un effettivo valore cementante nel gruppo, e l'indiscutibile vantaggio di uno scambio d'idee.
I PARTE: Giustizia.
La giustizia si può definire operativamente come "il dover dare a ciascuno il suo". Naturalmente bisogna chiarire che cosa si intenda per "suo" di ciascuno. Su questo argomento si sono avute nei secoli opinioni molto diverse, ma si può notare, nella storia, un processo che tende a livellare, da un punto di vista teorico, i diritti degli uomini. Sono di poco meno di due secoli fa le prime dichiarazioni dei diritti dell'uomo. Siamo d'accordo che esse sono rimaste, spesso, e per lungo tempo, senza efficacia, ma rappresentavano almeno delle solide pietre di paragone, dei punti di partenza per un'azione futura. E' fondamentale notare come in quelle dichiarazioni si parli di "uomo" in generale e non di uomo borghese o nobile, bianco o nero, biondo o no. E' per questo che noi le giudichiamo buone e che ci associamo completamente ad esse, nel loro spirito.
Vediamo invece che nell'attuazione pratica che si è tentata di una qualche giustizia nel mondo e in questi due ultimi secoli, siamo andati incontro a ingiustizie enormi. Basti ad esempio pensare a quei movimenti che sono riusciti addirittura ad eliminare le pur forti differenze di classe in seno ad un popolo, al solo scopo di mettere quel popolo o quella razza al di sopra degli altri popoli e delle altre razze: due casi tra i tanti: nazisti in Europa, bianchi nel Sud Africa.
E' emerso dal dibattito un fatto fondamentale: questo, cioè, che gli uomini sono effettivamente diversi, una volta che noi li guardiamo uno ad uno, popolo per popolo, razza per razza, ma che appaiono effettivamente tali, e diversi da noi, soprattutto quando il nostro scopo è quello di usarli come mezzi, di sfruttarli per raggiungere i nostri fini. E' questa la lente deformante dell'egoismo, che, sul piano individuale, o su quello delle classi o delle nazioni, ha portato a tanti disastri.
Poiché è evidente che gli uomini sono egoisti e che ciascuno di noi pone il suo io al di sopra degli altri, è chiaro che, se vogliamo parlare di giustizia, dobbiamo escludere ogni criterio soggettivo nel "dare a ciascuno il suo" per realizzarla.
Esiste anche una soggettività di classe ed esiste anche una soggettività di popolo o di razza. Esempi: le grosse pene che si fanno scontare ai ladri sono evidentemente giuste dal punto di vista dei proprietari; i salari bassi sono giusti per i padroni; le leggi contro i negri sono giuste dal punto di vista di quei bianchi di quel paese. In questo modo non si realizza la giustizia. E allora è chiaro che ai diritti dell'uomo bisogna trovare delle basi che non sono nell'uomo, ma al di fuori e al di sopra di lui. E' necessario insomma, se vogliamo dare valore universale ai nostri concetti, che li fondiamo su una base oggettiva e immutabile. Alcuni di noi l'hanno chiamata «diritto universale», alcuni «legge naturale», alcuni «buon senso», altri l'hanno chiamata «Dio».
Mirco Tavosanis
- E' sconcertante - commentava l'altro giorno l'amico S.
- Anche nella nostra Viareggio, così ordinata, così pulita...
L'amico S. è un giovane molto distinto: ha una punta di erre moscia e due occhi chiari che sembrano divertirsi notevolmente a guardare il mondo; quando parla, il ronzio delle erre tornisce e lucida le parole, trascelte e allineate con un garbo di cui poche emozioni sembrano in grado di avere ragione.
- Così, anche nella nostra Viareggio... - e lo stupore non proprio divertito per le cose poco pulite e poco ordinate che non mancano di capitare si esprime con elegante sobrietà nei puntini di sospensione, evitando all'amico S. il ricorso a quelle aggettivazioni pesanti e a quei piagnucolosi
luoghi comuni che io stesso ho accuratamente depennato dalla prima stesura di questo scritto per minor tedio del lettore cortese.
* * *
C'è un piccolo uomo nel porto, che ha una barchetta piccola come lui; non ha altro al mondo, e, sia materialmente che in senso lato, ci vive su.
Un brutto giorno l'omino porta al competente ufficio il libretto di navigazione per il rinnovo, poi torna a ritirarlo: c'è sopra un altro nome.
Un errore, nient'altro che un banale errore: ma per il piccolo uomo che dorme su una barca, ciò che un ufficio scrive su un documento è qualcosa di ineluttabile come ì libri del destino; e il tragicomico dramma dell'omino che non è più padrone della barca su cui dorme perchè non sa trattare con gli impiegati del competente ufficio va avanti per mesi. Andrebbe avanti all'infinito se non intervenisse un volenteroso di modi spicci, a far da guida negli inferni della carta bollata al meschinello Orfeo senza lira.
* * *
E che dire della vecchietta che reclama da anni e anni la pensione per il figlio disperso? Non può averla, forse non l'avrà mai, perchè in un altro ufficio il foglio matricolare è andato disperso come l'intestatario, il nominativo non risulta.
Un povero morto senza tomba ha perduto il suo loculo anche negli squallidi ossari della burocrazia.
* * *
In compenso, ci sono dei vivi di troppo: due gemellini figli di nessuno, hanno oggi due anni e mezzo e letteralmente non si sa cosa farne; probabilmente saranno esportati in America, dove è più probabile che qualcuno li adotti, ma per il momento il tale Istituto li ha dimessi, il talaltro non può accettarli.
Ferrei regolamenti, leggi precise: e i gemellini nati per sbaglio in virtù di una legge più vecchia di tutte, sono lì, e nessuno li vuole.
* * *
Sono questi alcuni rosei esempi, fra i meno imbarazzanti a metter su carta, delle cose che capitano. Capitano dappertutto, e capitano a Viareggio, in una città così linda e ordinata che non si direbbe: e in pacifici cittadini molto distinti suscitano meraviglie dalla erre moscia e dagli occhi chiari.
Franco Lenzi
Se avete voglia di mangiare, non dite: - Ho fame. Ma pensate ai 400 milioni di giovani che oggi non potranno mangiare. Perchè nel mondo metà della gioventù ha fame.
Se siete raffreddati, non dite: - Dio mio, come sono malato. Ma pensate a tutti quelli che soffrono, agli 800 milioni d'esseri umani che non hanno mai visto un medico. E specialmente, ai 15 milioni di lebbrosi che il mondo ha maledetto e 12 milioni dei quali si trovano senza cure, senza soccorsi, senza amore.
Per scoprire, curare, salvare i dodici milioni di malati ancora prigionieri della nostra assurda paura, per «guarire i floridi malati» di questo insensato terrore, talvolta criminale, ho dato inizio nei 1954 alla Giornata Mondiale dei Lebbrosi, che si celebra ogni anno l'ultima domenica di gennaio.
Volete aiutarmi?
Un giorno, in Asia, fui chiamato presso una «lebbrosa» che stava per morire... Era giovane - 22 anni - di statura sotto la media. La vidi, impotente, svincolarsi a piccoli sussulti dalla sua atroce vita. Appena morta, fui preso dallo strano capriccio di pesarla. Caricai sulle braccia quell'esile pugno d'ossa, ancora tiepido, e lo portai sulla bilancia. La lebbrosa di 22 anni pesava 20 Kg.. Ora sapete di che cosa è morta....
Poiché mi mostravo inorridito, sconvolto, mi si disse: - E' così da che mondo è mondo. Non lo potrete cambiare: è impossibile!
Impossibile? La sola cosa impossibile è che voi, che io, possiamo ancora mangiare dormire e ridere sapendo che ci sono sulla terra donne di 22 anni che muoiono perchè pesano 20 Kg...
Ma è un'orribile eccezione, penserete, nel tentativo di liberarvene. Nel secolo XX del Cristianesimo ne ho trovati, di lebbrosi, in prigione, in manicomio, rinchiusi in un cimitero dissacrato, internati nel deserto, con filo spinato, riflettori e mitraglie. Lebbrosi? Ne ho visti nudi, affamati, urlanti, disperati. Ho visto le loro piaghe brulicare di mosche, i loro tuguri infetti, le farmacie vuote e i guardiani con il fucile. Ho visto un mondo inimmaginabile d'orrori, di dolore e di disperazione.
Come può durare tutto ciò? Lasceremo morire, imputridire 15 milioni d'esseri umani, mentre li si può curare, salvare, guarire?
Oltre ai nostri poveri amici lebbrosi, il vostro amore sincero e coraggioso deve saper lottare anche per altre angosce, per altri obbrobri, per altri dolori...
Mi avete compreso.
Non si tratta d'asciugare vagamente una lacrima: è subito fatto.
Neppure d'avere un attimo di pietà: è troppo facile.
Si tratta di prendere coscienza, e di non accettare più.
Di non accontentarsi più di girare attorno a noi e a quelli che ci appartengono sazi della nostra piccola parte di Paradiso.
Di rifiutare di proseguire nella soave siesta benpensante, quando tutto urla e si dispera attorno a noi.
Di non accettare più questa forma di esistenza che è una perpetua rinuncia all'uomo.
Non accettare più un Cristianesimo negativo che i piccoli borghesi della eternità soffocano in un labirinto di formule e di divieti.
Non accettare più di essere felici da soli.
Dinanzi alla miseria, all'ingiustizia, alla viltà, non rinunciate mai, non patteggiate mai, non indietreggiate mai. Lottate. Combattete.
Andate all'assalto!
Impedite ai responsabili di dormire.
Voi che siete il domani, esigete la felicità, per gli altri, costruite la felicità degli altri.
Il mondo ha fame di pane e di tenerezza.
Lavoriamo.
Raoul Follereau
Se raccogliendo la domanda dovessimo rispondere positivamente, commetteremmo senza alcun dubbio, ingiustizia verso chi non è povero. Però rimane vero che i poveri sono assai più vicini alla ragione ed alla verità che non i ricchi. Non lo diciamo noi, naturalmente, ma ne lasciamo la responsabilità e l'autorità al Vangelo di Gesù. Almeno tre volte il Signore insiste sulla incompatibilità tra la legge di Mammona e quella di Dio. Ognuno conosce il celebre paragone della cruna dell'ago del cammello, eppure pochi sono edotti sul senso vero e reale delle parole del Salvatore che non ha voluto affatto riferirsi ad una difficoltà, pur grande che sia, ma ad una autentica impossibilità, rimettendo solo la possibilità alla onnipotenza del Creatore.
Eppure, oggi come ieri, e più certamente domani, i ricchi ed i gaudenti sono arrivati al punto da far passare candidamente il cammello dalla cruna dell'ago, ricorrendo ad una infinità di sottigliezze degne del Talmud dei Rabbini.
Gesù è certamente morto sulla croce per tutti gli uomini, nessuno escluso, però è anche vero che non c'è possibilità di eterna salvezza per chi non applica la Sua Divina Dottrina, ed il detentore della ricchezza oltre misura, solo perchè la legge degli uomini la consente e la difende, è molto lontano dall'applicarla, così come ne è assai distante chi si serve in soprappiù di cose ed oggetti di piacere, maggiormente se apportatori di scandalo e di disordine interiore, con la sola scusante della civiltà e del progresso invadente.
Ci si dirà: allora dovremmo ritornare indietro con il tempo, torturandosi con cilicio e soffrendo per ogni privazione? No certamente, perchè ogni cosa bella, buona e grande viene da Dio, ma solamente uniformarci alla Sua Legge santa e sapere cogliere il senso, la verità e la portata delle Sue parole, senza arrivare ad intristire o peggio a ridicolizzare il Suo Vangelo.
Il povero è ben lontano da tutto ciò ed ha perfettamente ragione quando afferma di essere più vicino degli altri alla legge del Signore.
Nel mondo moderno la ricchezza, il piacere personale, il soddisfacimento delle passioni è una realtà viva, una specie di corsa al premio. Il grave è che in questa brutta corsa verso Mammona tanti, troppi sono ormai i partecipanti con o senza titoli onorifici, con o senza cariche pubbliche importanti ed indipendentemente dalla foggia e dal colore dell'abito.
L'importante è partire, e partire bene, ed arrivare al traguardo tra i primi, in ogni caso entro il tempo massimo consentito. E tutto ciò perché credenti ed atei - abbiamo perduto la misura delle proporzioni, il valore ed il peso della morale e del buon costume; siamo arrivati ad un grado cosi elevato di buon senso, da capovolgere addirittura il pensiero di Gesù senza avvertire il male e la gravità dell'atto che si commette.
In questo quadro così paganeggiante, sono beati veramente i Poveri che non hanno la possibilità di entrare nell'agone per disputare la maratona; essi avranno la possibilità di cimentarsi, su altra strada, per ben altra corsa, lasciando agli altri, agli arrivisti, ai non mai contenti e soddisfatti, ai dritti del secolo, ai disprezzatori della povertà, ai costruttori sulla sabbia, il traguardo inutile e dannoso di Mammona.
Ferrari Luciano
Ci stiamo domandando, ogni tanto, quanti saranno tra i 1800 circa che ricevono il nostro foglio quelli che lo leggono o che lo degnano di una certa attenzione. Sarebbe una gran gioia saperlo. Ma forse è un desiderio non buono perchè deve rimanere questa povertà di pensare, scrivere e diffondere idee che in fondo non possono e non devono che darci sofferenza .
Abbiamo sicuramente degli amici e siamo loro infinitamente grati perchè la loro simpatia è un dono per noi ma specialmente perchè è Amore alla povertà. E l'Amore alla povertà è Cristianesimo. E a chi è Cristiano sul serio gli dobbiamo una gratitudine immensa perchè è salvezza nel mondo: luce, lievito, sale, città sul monte.
C'è chi dice che scriviamo cose da «Unità» e facciamo del comunismo. Roba da matti. Consigliamo di rileggere il Vangelo, gli Atti e le lettere degli Apostoli. E molte altre cose ancora. E offriamo tutta la nostra collaborazione per spiegazioni, delucidazioni, approfondimenti, ecc.
Molti altri ci dicono che siamo degli idealisti, degli utopisti, dei sognatori ecc. D'accordo. Giudichiamo Grazia di Dio rimanerlo se diventare gente concreta, prudente, di buon senso, ad occhi aperti, vuol dire adattarsi a certe mentalità, ridursi dentro limiti egoistici, farsi avanti a gomitate, pensare soltanto a sé ecc.
Chissà quanti altri poi a veder un giornaletto intitolato La voce dei Poveri, lo getteranno nel cestino brontolando contro il Pane dei poveri di S. Antonio, gli Orfanotrofi antoniani, gli istituti di beneficenza ecc., roba solo buona a infastidire la gioia della posta in arrivo. Ci secca un po' questo scambio.
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Pazienza. I poveri devono accettare di essere scambiati per petulanti e per gente noiosa e anche per straccioni.
Intanto il governo democristiano di apertura a sinistra è intervenuto nella faccenda della carta stampata abolendo ogni riduzione di abbonamento postale e quindi elevando a cinque lire, da due che erano, le spese postali di spedizione di ogni copia.
Grazie Signor Ministro delle poste del Governo Fanfani. Così facendo i grandi periodici pagano di più è vero e aiutano il tesoro dello Stato, ma vanno avanti bene lo stesso perchè sono ricchi. Le povere voci della povera gente (hanno però diritto anche loro a dire la loro) rimangono invece mezzo soffocate. Non sembra un modo molto giusto per favorire la libertà vera, ma sembra che serva solo a riservare la libertà a chi è grande potente e ricco. E' proprio vero che nel mondo occidentale la libertà si compra. Coraggio e avanti.
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Volendo continuare a vivacchiare preghiamo gli amici dì aiutarci come meglio possono. Uniamo il cc. postale per facilitare questo aiuto. Non vogliamo che vi sentiate obbligati, ma se ci mandate qualcosa fatelo per Amore e con Amore. La povertà - la nostra e quella di tutti - non può chiedere e non chiede altro. Grazie.
La Voce dei Poveri
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455