LA VOCE DEI POVERI: La VdP novembre 1961

Sempre più poveri

Le strane riflessioni imposte dal nostro tempo. Vi è qualcosa che determina, stabilisce e ottiene dei valori che gli uomini disprezzano, respingono o credono di aver ormai superato.
Ma forse sono valori che stanno alla radice, se è vero, come sembra, che in fondo, nonostante tutto, non possiamo liberarcene. Forse sono costituitivi dell'essere umano e quando non vengono accettati nella libertà dell'Amore e non raccolti dalla Fede, s'impongono violentemente e spesso in modo pazzesco.
La povertà sicuramente è uno di questi valori.
Gli uomini la disprezzano come uno dei mali peggiori. Qualcosa che si riflette sinistramente anche su tutti gli altri valori, riducendoli a zero. E nel suo buio scompare anche la dignità della persona umana facendone un'ombra.
E il povero ormai, nel nostro mondo moderno, è un non essere, un assurdo. E anche se cammina per la strada, par quasi che rubi qualcosa, perché nulla è suo, nemmeno l'aria che respira e l'angolo che occupa.
La sopportazione spesso non è concedere - sia pure per la propria liberalità - diritti al prossimo, ma è soltanto accettare di non toglier di mezzo, di non spazzar via ciò che dà noia e infastidisce e complica.
Anche i poveri sanno bene che spira questo vento per le strade e sanno che così pensano tutti e nessuno ama più la povertà perché nessuno ormai la capisce ed è vedova e sola respinta da tutti, condannata a essere ormai la meretrice finita e consunta dagli anni e dall'uso, il povero vecchio mangiato dall'ubriachezza, il disgraziato senza le gambe, il vagabondo mezzo scemo...
La povertà avvilita a disgrazia, ridotta al disprezzo, condannata alla disperazione.
Dov'è la povertà scelta dall'Amore, vergine immacolata, sposa d'ideali infiniti per ricchezza sovrabbondante di libertà senza confine?
Chi cerca la povertà credendola valore essenziale per una realtà universale di Amore?
C'è qualcuno che ancora pensa e crede che la povertà è beatitudine per il possesso che comporta del Regno dei Cieli?
Valori finiti ormai perchè quel tempo è passato. Ed è come dire che la solitudine non ha più ragione di esistere, perchè i deserti sono ormai popolati. E che il mistero del tempo è stato dissolto, perchè la vita è tutta vissuta minuto per minuto. E che il problema dell'aldilà ha finito di interessare, perchè è diventato troppo importante il problema dell'aldiquà. E che di Dio possiamo farne a meno dal momento che tutto può essere ridotto tanto facilmente e piacevolmente al proprio io.
D'accordo. Però i valori rimangono lì come pietre miliari quando si corre sulla strada. Le onde battono e frangono e lo scoglio rimane. E passano le nuvole e coprono la montagna ed eccola ancora a svettare contro il cielo.
Può darsi che la povertà sia uno di questi valori che assolutamente non possono sparire. Gli uomini - forse sta scritto in qualche posto importante - non possono fare a meno della povertà. Sono condannati - tutti - ad essere poveri.
Può essere che questo in fondo sia un disegno universale di Amore: forse è perchè questa sterminata e terribile povertà possa essere implorazione per ottenere una infinita Misericordia. Forse è perchè a un certo punto questa povertà, finalmente riconosciuta e accettata, ci costringa ad allungare la mano a chiedere qualcosa: poveri mendicanti di un po' di salvezza.
Sta il fatto che il nostro tempo sta maturando povertà spaventose dentro l'umanità.
L'indicazione esatta di una realtà di povertà e l'incertezza. E l'incertezza si misura dalla paura che ottiene.
E la paura sta crescendo, adesso, ogni giorno, perché perfino la ragione d'esistenza di tutti e di tutto è legata a pochi pulsanti sui quali sono delle dita comandate da chi tanto facilmente potrebbe essere pazzo.
La storia è lì, spietata, ad insegnare.
Che scoppino le bombe in guerre da Apocalisse Dio ce ne liberi, però in qualche modo ci hanno già distrutto per la orrenda paura che ormai rimarrà come una nuvola nera che nessun vento riuscirà a dissipare.
Solo l'incoscienza può rimediare qualcosa, ma questa è aumento di povertà e di miseria umana fino al limite estremo della povertà che è la pazzia.
Siamo poveri di sicurezza, poveri di fiducia, poveri di speranza perchè, in fondo, spaventosamente poveri di Amore.
Tutti ugualmente poveri di questa povertà d'impoverimento d'esistenza. Mai forse l'umanità è stata povera come nei nostri tempi, da qualche decennio a questa parte. Anzi, vi è un aggravarsi di impoverimento, fino al punto che possiamo essere sull'orlo della distruzione: sapere che ve ne sono gli strumenti è già qualcosa. Non deve essere piacevole vivacchiare tranquilli in una stanza piena d'attrezzi di tortura o con una corda, a nodo scorsoio, al collo.
Siamo in questa situazione di povertà. Siamo questi poveri.
Disgraziatamente non poveri per Amore, per scelta di autentici valori, per accoglienza aperta e serena del cuore.
Ma poveri, ridotti al lastrico della paura, violentemente, per sopraffazione. Siamo dei poveri impoveriti per forza perfino del diritto alla vita, ridotti a zero come persone e come umanità.
E nel frattempo siamo dei poveri come quel povero bruciato dall'alcool che appena ha uno spicciolo va a ubriacarsi per dimenticare. Come la meretrice consunta dagli anni e dall'uso che appena trova qualcosa va a comprarsi il rossetto per riaccendere la speranza.


La Redazione

Una vergogna di sempre, ma specialmente

del nostro tempo (continua)

(continuazione del numero precedente)

No, la menzogna dell'amico, l'ingiustizia dell'appoggio e la vergogna della raccomandazione non l'hanno inventata i poveri.
Non sono i poveri dei suicidi della propria dignità umana e dei rinunciatari ai diritti del proprio bisogno in forza di se sesso. I poveri dei nostri tempi, quelli che vivono della propria giornata, senz'altra speranza che la propria fatica e senz'altre risorse che la voglia di lavorare, hanno la dignità del loro lavoro e la consapevolezza del valore umano e sociale del loro sacrificio quotidiano.
E se non fossero depressi ogni giorno da valutazioni assurde proprie del nostro tempo fino al punto da considerare il lavoro schiavitù e chi lavora un animale da soma, i lavoratori sarebbero capaci di autentica dignità e compostezza umana e sociale.
Ma che gli uomini abbiano una dignità e sappiano aver considerazione di se stessi elevando sempre più il proprio valore su un piano personale e sociale, è cosa che ha sempre stranamente preoccupato i dirigenti, i ricchi, i potenti.
Evidentemente, per sentirsi pastori si ha bisogno del gregge e quindi a pecore bisogna ridurre il prossimo più che sia possibile.
La storia che si studia nelle scuole è il racconto di quello che i potenti hanno fatto per poter tenere il piede sul collo alla gente. Il bisogno di annullare gli altri, di schiacciarli, ridurre a sgabello sotto i piedi, basamento per il proprio monumento. E il risultato viene considero grandezza.
Per questo «successo» tutto va bene. E i nostri ultimi decenni ne sono indicazione esattissima.
Da noi, fra gli altri modi di dominazione, è la gran porcheria della raccomandazione. Come potenza di incenerimento della dignità umana viene subito dopo il denaro. Il denaro e l'appoggio, in questi nostri beati tempi di serena fraternità, sono la moneta di compra-vendita della dignità della persona umana del prossimo.
Riesci, ottieni, concludi se paghi o, come dice la povera gente, se ungi. Oppure bisogna che tu cerchi un appoggio. Occorre «l'amico» che lo commuova, che lo intenerisca o che gli faccia capire che gli conviene, diversamene «quello» non si muove. E tu, poveraccio, aspetti a vuoto mangiandoti le unghie.
. Si stabilisce quindi una catena di aderenze, di conoscenze e i favori non li fanno ai poveri, a chi ha bisogno, a chi ha diritto, ma se li fanno fra loro. Il povero è ridotto a povera, miserabile occasione di scambio di favori fra loro.
Come se dei medici si passassero i malati uno con l'altro per favori vicendevoli. Come se degli avvocati utilizzassero le liti e soffiassero sul fuoco per dare lavoro ai colleghi. E una volta i latifondisti vendevano il fondo, il bestiame e i contadini.
Quando si vive sulla disgrazia altrui è troppo facile la tentazione di provocare la disgrazia. Così è della povertà: è materia che troppo facilmente e troppo a buon prezzo può rendere. Perché non farne un mezzo di dominio? Perchè non mantenerla sfruttandola per i propri privilegi?
E «l'amico» del giaguaro, la raccomandazione mielosa e pietistica, l'appoggio di cartapesta non solleva la miseria e la povertà ma la mantiene e la sfrutta. Risolve il caso particolare e ribadisce e allarga fino a piaga purulenta e a peste bubbonica una mentalità di corruzione, rapporti su basi di orribile egoismo e demolisce fino a incenerirlo il diritto e la giustizia per favorire il riscatto, lo sfruttamento, il dominio di pochi.
Sarebbe interessante fare la statistica di chi fa una domanda scritta, per ottenere qualsiasi cosa e non si preoccupa di cercare appoggio e raccomandazioni.
Qualche mese fa, in un comune vicino, le domande per il posto di becchino a un cimitero erano validamente appoggiate da personaggi e onorevoli.
Siamo ridotti veramente sul lastrico della vergogna più nera. Siamo carta straccia da macero se qualcuno non si degna chinarsi a raccattarci.
Mi pare che il segno indicatore di una separazione di classi sia, ai nostri tempi, molto chiaramente stabilito: la gran folla ormai costretta a cercare le raccomandazioni e i pochi che possono raccomandare perché in condizioni di essere richiesti a loro volta di raccomandazioni. Chi è in condizioni di non stare nemmeno in piedi e ha bisogno di appoggi e chi è così stabile e sicuro, così bene in gambe, da poter essere valido appoggio.
I primi sono la classe dei poveri: i veri «poveri di spirito» (Mt. 5, 3), perché spogliati anche di ogni validità umana e di ogni diritto.
Gli altri sono «i sazi» (Lc. 6, 25), quelli che sono pieni di tutto e non hanno bisogno di nessuno. Questa nuova aristocrazia del nostro tempo. Questo classismo di privilegio fatto fiorire ancora una volta sulla morte della persona umana come i crisantemi al cimitero.
Passo per inutile e lo sono senza dubbio, non servo al povero bisognoso di aiuto, non risolverò casi pietosi e non farò carità, ma non posso adattarmi a servire all'ingiustizia. In coscienza non devo aiutare la goffa importanza del personaggio, solleticare la sua ambizione e servire ai suoi interessi: non lo posso fare nemmeno per aiutarti, povero fratello mio.
Vi è qualcosa che vale assai di più del pezzo di pane.
E poi io non ho amicizie importanti per il semplice motivo che io non ho nessuna importanza personale.
E quell'importanza che posso avere per ciò che mi è stato donato da Dio, non posso ridurla a merce di scambio con i miserabili valori umani, lo capisci bene, fratello mio, vero? Sarebbe un sacrilegio. Perché ciò che è di Dio va dato soltanto a DIO (Mt. 22, 21) e bisogna servire Lui solo (Mt. 4, 11).


don Sirio

(citazione)

Il quantitativo del salario non deve essere inferiore al sostentamento dell'operaio. Se questi costretto dalla necessità o per timore di peggio accetta patti più duri, i quali perché imposti dal proprietario o dall'imprenditore volere o non volere devono essere accettati, questo è subire una violenza, contro la quale la giustizia protesta.
Leone XIII

Vigilia di Natale

Ci sono Angioli ovunque,
han luminosi piedi
sul livido selciato
delle nostre vie.

E benedette mani
ad aprirsi il varco
nell'incerta luce
delle nostre nebbie.

Ci sono Angeli
in ogni incontro.

L'Angelo io adoro
che mi appare
dietro il liquido moto
di fraterne pupille.


Grazia Maggi
dal volume «Terra come arpa»
Ed. La Locusta


Preghiera

Buon Dio, nel momento della conquista, mi era dolce sentire che, a mano a mano che sviluppavo me stesso, cresceva pure la presa che Tu avevi su di me mi era ancora più dolce, assecondando lo slancio interiore della vita o nel gioco fortunoso degli avvenimenti, abbandonarmi alla Tua Provvidenza.
Fa' che, dopo avere scoperto la gioia di utilizzare ogni crescita per farti o lasciarti ingrandire in me, io mi accosti senza turbamento alla fase ultima di questa comunione, durante la quale io Ti possederò, diminuendomi in Te.
Dopo averti conosciuto come Colui che è «un più me stesso», quando giungerà la mia ora, fa' che
io Ti riconosca dietro le apparenze di ogni forza estranea o nemica che sembrerà volermi di
struggere o soppiantarmi.
Allorché sul mio corpo (e molto più nel mio spirito) l'usura del tempo comincerà a lasciare le sue indelebili tracce quando dal di fuori cadrà su di me o dal di dentro nascerà in me il male che indebolisce e vince nell'istante doloroso in cui mi renderò conto improvvisamente che sono malato, che divento vecchio, in quel momento estremo soprattutto in cui sentirò che io sfuggo a me stesso, assolutamente passivo nelle mani delle grandi forze che mi hanno formato: in tutte queste ore cupe, donami, Gran Dio, di comprendere che sei Tu (perchè la mia fede sia ancora sufficientemente grande), che dolorosamente disperdi tutte le fibre del mio essere fino a penetrare nel midollo della mia sostanza, per vincermi e inserirmi in Te.
Sì; più il male nel fondo della mia carne, aderisce ed è incurabile, tanto più può essere Tu da cui io
rifuggo, come da un principio amoroso, attivo; di purificazione e di distacco. Quanto più l'avvenire si apre davanti a me come una voragine vertiginosa o un trapasso oscuro, tanto più, se mi affido alla Tua parola, posso rasserenarmi per la fiducia di perdermi o inabissarmi in Te: assimilarmi al Tuo corpo, Gesù.
O Potenza del mio Signore, Forza irresistibile e vivente; poiché, tra noi due, Tu sei infinitamente

il più forte, tocca a Te a bruciarmi in quell'unione che ci dovrà fondere insieme.
Donami perciò qualcosa per me più prezioso di quella grazia che implorano i tuoi fedeli. Non mi basta morire ed entrare in comunione con Te; insegnami ad entrare in comunione con Te e morire.


P. Pierre Teilhard de Chardin



L'egoismo dei regali

Forse i pastori di Betlem, dopo aver ricevuto il messaggio degli Angeli che era nato il Salvatore e che l'avrebbero trovato, piccolo Bambino, in un presepio, dentro, una mangiatoia, per esprimere la loro adorazione avranno portato piccoli e poveri doni: pane, formaggio e forse, chissà, anche un piccolo agnello ricciuto e belante.
Sarà per questo ricordo gentile del buon cuore dei pastori verso il Bambino Gesù, che a Natale c'è l'usanza di fare doni e regali.
Il Natale fa clima di bontà, dà senso di tenerezza nell'aria, uno strano bisogno di lasciarsi vincere dalla gioia del sentimento. E il regalo si presta a farci sentire buoni, gentili, affettuosi. Dona e ci dà di ricevere il piacevole intenerimento della gioia nostra e degli altri. Siamo felici nel fare felici. E può darsi che sia tentativo di farci perdonare molte cose, riportandone sensazioni di bontà, di giustificazione di pace.
Sentimentalismo bonaccione verniciato di religioso.
Nulla di male?
Ma di qui ai doni e regali con ricevuta di ritorno, il passo è breve.
Regali e doni con la sicurezza di precisi effetti. E spesso con piani ben preparati e studiati per ritorni interessati e non soltanto sentimentali.
La mediocrità e la miseria interviene su tutto a tutto ridurre a sporco egoismo, o a sentimentalismo insulso. E il Natale ne sta facendo le spese in modo spaventoso, impressionante.
L'industria dei regali ha arricchito le vetrine fino all'incredibile. Tutto è pronto. Pieno di luce. Allettante.
Bisogna pensare al tale e al tale altro. Non si può non fare una buona figura col regalo. E' necessario studiare i gusti e scoprire le preferenze. Forse sarà bene fare un elenco, perchè nessuno rimanga indietro; potrebbero offendersene a morte. Che cosa noiosa questa dei regali, non si sa mai cosa scegliere. E poi quelli hanno già tutto: cosa si può trovare d'interessante? Occorrono oggetti preziosi. Ci vorrebbero novità estremamente originali. Ritrovati di gusto raffinato...
E l'attesa: Trepida. Curiosa. Impaziente.
Dopo, forse, la critica malcelata. La delusione. L'amarezza. O il grido di gioia. L'esclamazione estatica. E la lagrimuccia che trema sul ciglio commosso. Gl'immensi sorrisi di gratitudine...
Non è un mondo passato di moda con le carrozze dorate e i valzer viennesi. E' il nostro povero mondo borghese di arricchiti, ovattato di cavalierati e commende e di sospirose voglie aristocratiche. Clima falso per artificiosità di sentimenti, per ricerca di sensazioni solleticanti egoismi raffinati.
Le chiese illuminate sfarzosamente. Altari pieni idi candele e fiori bianchi. Gesù Bambino, di gesso roseo e paffutello, fra le trine. L'organo che tocca il cuore, accompagnando «le voci bianche» del Tu scendi dalle stelle.
Il giorno avanti è stato dato qualche vestito smesso alla lavandaia. Un'offerta all'Infanzia abbandonata. L'aiuto al Comitato delle buone signore per il pranzo natalizio ai poveri. Il panettone agli operai. Il Natale è una bella festa, tocca proprio il cuore. E poi dicono che non c'è più religione.
Intanto i regali veri hanno arricchito chi aveva già più che tutto. Hanno fatto felice chi aveva anche troppo per poterlo essere. Hanno sovrabbondato dov'era abbondanza. Sono stati fatti per avere il contraccambio. Per ottenere aderenze e vantaggi. Per sensibilizzare ai propri interessi. Per convenienza. Per non poterne fare a meno. Per forza. Accidenti, ci mancava anche il Natale.
Ma tu, Gesù Bambino, che abiti nella casa accanto o nella catapecchia del podere del padrone, in quegli scatoloni enormi tutti buchi di finestre della periferia, sei rimasto senza regali.
Anche tu, Gesù bambino, malato e povero, con poche legna per riscaldare la stanza umida, sei rimasto senza regali e ti bastava un po' di affetto e una coperta. Anche tu, Gesù bambino, povero operaio che tiri avanti appena la famiglia col tuo lavoro, sei senza regali per i tuoi bambini. Come dev'essere triste per te, Gesù bambino, chiuso in prigione, il giorno di Natale e anche per te, Gesù bambino, dell'orfanatrofio. E anche per te, Gesù bambino, di quella giungla di poveri animali feroci che è il Congo e di quella terra dell'odio che è l'Algeria. Gesù bambino sotto ogni tetto e ogni albero. Lungo le strade. Smarrito nelle città. Solo nei deserti. Gesti bambino di ogni cuore solo. Gesù bambino velato di lacrime. Raggelato d'agonia.
Tu, Gesù bambino vero, Figlio di Dio e di Maria, sei troppo senza regali il giorno di Natale, tant'è vero che quasi nessuno pensa sul serio a Te.


* * *

La pace di Natale

«E il lupo farà dimora coll'agnello, il leopardo si accovaccerà col capretto e il vitello e il leone e la pecora staranno assieme e un piccolo fanciullo li condurrà. I vitelli pascoleranno coll'orso; si sdraieranno insieme i loro nati e il leone mangerà paglia come il bue. E il bambino si trastullerà sopra il covo dell'aspide e nella duca della vipera introdurrà la mano un bambino appena slattato ». (Isaia 11, 6-8).
La dolce e sognante visione del profeta. E il tempo sarebbe venuto quando l'Amore comanderà al posto dell'istinto.
Gli interessi, gli affari hanno separato e allontanato. Guerra segreta e aperta, lotta senza ritegno e senza riposi. Ecco il risultato: molti nemici di più e il moltiplicarsi di odio e lo spargimento di rancore.
Le idee politiche. L'appartenere ad un partito e a un altro. Quindi insopportazione fino a detestarsi. E l'umanità è divisa e perfino una famiglia è divisa. Più poveri ancora perchè sempre più poveri perfino di Amore.
Perchè ancora regna e comanda la legge della giungla: la tua morte evita per me?
Perchè chi ancora decide della giustizia è la violenza e la forza?
Perchè il danaro può tutto ciò che vuole?
Perchè chi è ricco è persona importante e chi è povero è solo uno straccio?
Perchè per far valere i propri diritti c'è bisogno della corruzione degli appoggi?
Perchè brigare nel segreto e scavare la terra sotto i piedi degli altri?
Perchè nessuno crede più all'amore e giudica vuoto sentimento l'amicizia?
Sogno assurdo quello del profeta e ideale impossibile quello nato il giorno di Natale. I lupi, i leoni e gli arsi sono ancora più lupi, leoni e orsi. E gli agnelli e i capretti e i vitelli continuano a essere divorati allegramente.
Tempo di Natale, tempo di pace.
Almeno oggi esci nella strada e scambia una parola con lo spazzino. Fai mettere a tavola, insieme alla famiglia, il cameriere o la cuoca. Stringi la mano all'operaio. Sorridi a chi ha un debito con te. E trovati a sedere accanto, serenamente, al tuo concorrente.
Non è male che la falce e il martello si trovino insieme con lo scudo crociato a scambiare discorsi di pace comune. E chi ieri voleva mangiare e divorare si metta a pascolare bonariamente l'erbetta fresca del prato.
Perchè sparisca ogni pericolo e ogni paura. E la pace si allarghi sul mondo come la luce al mattino quando sorge il sole.
Allora si avvererà la dolce e sognante visione del profeta: "trasformeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci e non brandirà più spada gente contro gente e non si eserciteranno più oltre a far battaglia". (Isaia 2, 4).


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