LA VOCE DEI POVERI: La VdP marzo 1961

Tempo di Resurrezione

"Io sono venuto, perchè abbiano la vita e l'abbiano in sovrabbondanza"... (Gv. 10, 10)

Ai nostri tempi una grande azione di carità e di amore è cercare di risuscitare nel nostro prossimo valori perduti, verità spente, destini morti e seppelliti. Dio ha fatto questo per noi, per tutti, per l'umanità. La Sua Venuta e la Sua Presenza è segno di Resurrezione.
Il Cristianesimo nel mondo è promessa di Resurrezione. Allora, alla fine del mondo, la resurrezione della carne per la partecipazione alla Vita eterna anche del nostro corpo: ora, ogni momento, come resurrezione continua, incessante della Verità, della Bontà, dell'Amore...
Cammin facendo si perdono forze ed energie, il tempo e le ore ci logorano e ci consumano e non solo fisicamente. Le vicende della vita normalmente ci intristiscono a morte. I problemi ci schiacciano fino a soffocarci. E poi c'è il male, il peccato: sono ferite che uccidono i peccati. La morte si fa in noi, ogni volta che la Volontà di Dio è disubbidita e il Suo Pensiero tradito. Facciamo di nostra iniziativa, seguiamo le nostre scelte, ma è una strada che conduce sull'orlo dell'abisso. E' scavarci la fossa sotto i piedi. E nella nostra rovina travolgiamo ogni valore. Siamo tutti responsabili dell'impoverimento, dell'immiserimento dell'esistenza umana.
Ci lamentiamo di scoprire continuamente panorami di desolazione e di distruzione, d'inciampare ad ogni passo in macerie, d'incontrarci ad ogni angolo di strada in spettacoli da appestati perchè ormai non c'è più onestà nel mondo, non vi è che odio ed egoismo e tutto è marcio.
Sì, va bene, d'accordo, sarà così, ma lei, scusi, cosa fa per rimediare a tanta rovina? Piagnucolare soltanto, è stupido. Arricciare il naso disgustati, è roba da farisei ipocriti. Inveire a parolacce roventi di sacro sdegno, è sacrilegio. Rimpiangere il tempo passato, mi scusi, è sbavare inutile da vecchiaia paralitica.
C'è molto altro da fare.
Intanto alleggerire il carico spaventoso di male che schiaccia l'umanità, del peso delle proprie miserie, dei propri peccati. In modo particolare rendere l'aria più respirabile spalancando le finestre di un egoismo tanto chiuso e muffito. Liberare il prossimo dalle orribili oppressioni delle nostre mentalità spaventosamente mediocri. Diffondere il senso della fiducia disposti a pagare di persona. Far luce lasciandoci bruciare.
Perché, scusi, lei per essere onesto aspetta che tutti siano onesti? Lei farebbe il galantuomo quando tutti sono galantuomini? «Questo, direbbe Gesù, lo fanno anche i pagani». (Mt. 5, 46-47).
Forse il nostro essere cristiani è soltanto per ricevere: è soltanto sfruttamento di quello che il Cristianesimo (il sacrificio di Dio fatto Uomo, il martirio di tanti, l'immolazione nella Fede e nell'Amore di tanti altri) ha portato di bene nel mondo: prendiamo tutto quello che ci interessa e quasi sempre sul piano materiale e non diamo un centesimo dell'eredità ricevuta, una briciola del pane fatto col frumento seminato, cresciuto e mietuto col sudore degli altri.
Oltre a questo egoismo, avanziamo pretese e ci crucciamo di questo Cristianesimo che non riesce più a difendere i privilegi, che lascia cadere vecchie alleanze, che abbandona certe posizioni e si mette sulla strada dove cammina faticosamente questa povera storia umana.
Questo certo Cristianesimo dei nostri giorni che vuole essere incarnazione di tutta l'esistenza umana ma non per l'eroicità di qualche santo, fedele imitatore di Gesù Figlio di Dio fatto pover'Uomo a Nazaret, sulle strade della Galilea e Giudea e sulla Croce, ma attraverso una totale impostazione di esistenza cristiana.
Ecco: bisogna portare in questo mondo materialista, ateo, immorale, disonesto, marcio, imputridito, morto e sepolto (scusi, lei vuole aggiungere qualche altra pennellata al quadro? Faccia pure), bisogna portare - dicevamo - una Resurrezione. Richiamare a vita. Bisogna far di nuovo vivere. E' necessario che siano viventi, vita vissuta, pienezza, abbondanza di vita i valori del Cristianesimo.
La Resurrezione di Gesù è pegno e garanzia della loro vitalità.
La Verità, l'Amore, la Giustizia, la Libertà, la Fraternità, i valori dello Spirito, i Destini eterni...
Anche lei è d'accordo, vero?
Però la loro testimonianza vera, sincera, efficace è condizionata al Discorso delle Beatitudini (lo legga nel Vangelo di S. Matteo al Cap. 5).
E la Resurrezione nell'esistenza umana dei valori cristiani del tempo e dell'eternità, è frutto di una passione e di una morte di Croce. (Lo legga il racconto nelle ultime pagine dei quattro Vangeli).
Non c'è nulla da fare (mi dispiace, creda, ma non cerchi altre strade, perché non ve ne sono sicuramente; sarebbe tempo perso e delusione penosa e fatiche gettate al vento: ormai di storia maestra della vita ce n'è così tanta, perché non vuole capire?), questa Resurrezione continuata, incessante, appassionata dei valori cristiani nell'esistenza umana fruttifica soltanto dalla nostra passione e morte. Cioè è la Sua Passione e la Sua Morte che ottiene dalla nostra passione e morte di ogni giorno e dell'ultimo giorno il miracolo della Resurrezione della vera Vita nella morta esistenza di questa povera umanità.


La Redazione

Passione e Morte e Resurrezione di ogni giorno

Il Mistero di Gesù, e quindi in grazia e in forza di Lui, il Cristianesimo, compie nel mondo incessante azione di Amore. Offre e ottiene Amore là dove non sarebbe che vuoto, solitudine e morte.
Mi pare di capire sempre di più perché il Cristianesimo debba essere povertà, umiltà, semplicità di bambino, pazienza di innamorato, fede di sconfitto, morte di croce... perché raccolga le "pietre scartate", si rallegri che la sua verità «sia nascosta ai grandi e sapienti di questo mondo e sia rivelata ai piccoli», perché sia venuto perché "quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi", perché proclami «beati i poveri, quelli che piangono e i perseguitati»...
E' chiaro che il Cristianesimo è rivolto alla gran parte d'esistenza umana che è senza senso e significato umanamente e non a quelli che «hanno già ricevuto la loro mercede» o la stanno ricevendo perché la loro vita sul piano delle valutazioni, umane, offre loro qualcosa.
A chi è in questa situazione di sufficienza umana non rimane altro - se vogliono una ricchezza cristiana nella loro ricchezza umana e terrena - o "vendere tutto" per essere poveri e quindi in diritto al Cristianesimo, o scavare vuoti enormi nella propria sufficienza fino a che tutto quello che hanno e sono vi sparisca dentro e capiscano di avere bisogno di stendere la mano come
chi niente ha.
Ma io penso ai poveri senza casa e senza pane. Ai malati fin dall'infanzia e dalla giovinezza. A chi è soltanto attrezzo da lavoro e non ha un giorno per respirare liberamente e nemmeno un'ombra di sicurezza materiale.
Penso a te che non hai avuto da nessuno nemmeno un gesto, uno sguardo di Amore. La tua vita, il tuo corpo e l'anima tua, ha soltanto servito agli altri. Non hai mai avuto un destino tuo, povera pietra murata nella casa dove gli altri vivono e ballano.
E se qualche volta hai osato chiedere qualcosa, qualche briciola che cade dalla tavola imbandita, povero cane bastardo ti hanno mandato alla cuccia con una pedata!
Innumerevole povero, cos'è la vita umana per te? Non hai neanche l'illusione di vivere e non puoi cercar d'impazzire o di stordirti come fanno i ricchi e nemmeno di distrarti: a meno che ti basti un fiasco di vino da 200 lire o nasconderti nel buio di un cinema o andare a letto con qualcuno più stanco e più miserabile di te.
E penso a te che hai cercato per tutta la vita l'onestà e la giustizia. Hai avuto timore di Dio e hai fatto sempre del bene a tutti. E anche tu che hai amato la Verità e non ti sei fermato alle apparenze. Tu che hai dato la tua vita alla causa della Giustizia e hai creduto all'Amore fra gli uomini. Vivi per loro. Le tue ore di preghiera. La tua ricerca di Dio. La tua amicizia offerta a tutti. Il tuo cuore aperto fino all'impossibile...
Ti sei caricato di tanti pesi non tuoi e forse davanti a Dio porti sulle spalle gran parte del peso misterioso dell'esistenza umana.
Ed è solitudine nera. Scoraggiamento a non ridire. Depressione e sconforto. Morire lento e amaro ogni giorno e ad ogni passo. Non sono nulla. Non servo a niente. Tutto è inutile...
E le tenebre si fanno fitte, fitte. Il senso del vuoto cresce a vertigine. E' come una nebbia soffocante che sale e tutto avvolge. Non rimane altro che il niente di tutto.
Passione e morte di Gesù.
E' nato, è vissuto, è morto fra questa povera gran parte d'esistenza umana dispersa e abbandonata nel mondo, per dare un senso, un significato, un valore alla passione e morte di tutti.
C'è veramente chi ama questa gran parte d'esistenza umana fino a farne qualcosa della Sua esistenza divina, in modo storico, allora, per quegli anni della Sua vita terrena, ora, ogni giorno, ogni momento, per partecipazione invisibile ma reale e concreta secondo la Sua Presenza Eucaristica e Divina.
Fra loro vi è Lui: seduto alla loro tavola, accanto alla loro fatica, amico della loro solitudine. E vi è come pegno e garanzia di Resurrezione perché Lui ha già vinto la Sua e la loro morte.
Forse non lo sanno che non sono soli. Non vedono Chi è dentro la loro solitudine. Non credono nemmeno che esista o forse danno anche a Lui la colpa della loro pena e continuano a mangiarsi le mani dalla disperazione e a rifarsi di quello che manca con tutto ciò che capita, degenerando sempre di più nel materiale e nell'animale... Ma è povertà che cresce, che si moltiplica; è povertà assoluta; è nudità crocifissa; è vita dissanguata da quattro chiodi e da un colpo di lancia...
Lui è morto di questa povertà assoluta e da questa morte è risorta la Vita, la Sua e sicuramente tutta la vita morta o che muore della Sua stessa morte.
Noi credenti e praticanti - è nostra vergogna questo "noi" quasi casta distaccata e quindi non «incarnata», ma è così perché abbiamo paura "di perderci" - noi dovremmo testimoniare la presenza del Mistero di Gesù, passione, morte e resurrezione, in questa gran parte d'esistenza umana "povera" di valori terreni.
Ma non bastano le parole dal pulpito, le paterne benedizioni e tanto meno i sospiri di preoccupazione per questo mondaccio.
E neanche sono sufficienti i buoni del latte, il vestitino ricavato da una vecchia gonna rovesciata della Signora o la raccomandazione presso l'Onorevole per un posto da manovale.
E nemmeno dicono gran che le scuole private delle suore o dei frati. Le cliniche private, sempre delle suore o dei frati. Le colonie estive al mare e al monte. E i pellegrinaggi ai santuari.
E un mucchio di altre storie, perché generalmente "hanno già ricevuto la loro ricompensa" (Mt. 6, 1-4) e quindi non sono Cristianesimo. Non sono passione e morte e resurrezione.


don Sirio

La preghiera che non si osa fare

Signore, non ti fidare di noi perché siamo degli ipocriti: pensiamo il contrario di quanto affermiamo. E' vero che ti diciamo: "Mio Dio, crediamo in te"; ma ciò significa soltanto: "So che esiste qualcuno, lassù, al di sopra di noi...". Noi crediamo in te, Signore, come Voltaire credeva nel Grande Orologiaio dell'universo (la cosa non disturba molto!) o, peggio ancora come il Diavolo stesso crede nella tua esistenza, perché non può fare diversamente, mentre strepita perché è cosi.
Noi vorremmo davvero, Signore, fra le altre cose, che Gesù non fosse tuo Figlio, perché pur richiamandoci a lui e portando il suo nome, gli diamo segretamente torto in molte delle cose che ha fatto.
Così, per Natale, abbiamo appena finito di cantare le sue lodi, continuando a deplorare, da parte nostra, che non sia nato in un palazzo piuttosto che in una stalla, in una famiglia ricca piuttosto che in una casa povera. E non siamo affatto entusiasti di sapere che ha vissuto trent'anni come falegname in un oscuro villaggio di Galilea: l'avremmo preferito nel ruolo di grande sacerdote, o, meglio ancora, di principe regnante e anche attraente. Questo ci avrebbe consentito di vivere la sua vita per procura, evadendo dalla nostra. Ma non c'è nulla in lui che possa farci sognare. Peccato!
Noi ammiriamo molto, Signore, i miracoli fatti dal tuo Figlio. Ma avremmo molto preferito che avesse adoperato la sua potenza per imporre il bene con la forza, senza lasciarlo alla nostra pigra libertà.
Sopratutto, siamo scandalizzati, Signore, di vedere che il tuo Figlio si è lasciato crocifiggere come un brigante, senza aver abbozzato un gesto per difendersi, mentre aveva in mano la potenza sufficiente per annientare i suoi avversari (dei quali, certamente, noi non facciamo parte). E se festeggiamo la sua resurrezione a Pasqua, rimpiangiamo vivamente che egli abbia profittato così poco del suo trionfo. Perché non ha trasformato di colpo il mondo? Invece di lasciarci fino alla fine del mondo a fare noi stessi quel lavoro!
Non è tutto, Signore. Se non amiamo molto ciò che ha fatto tuo Figlio, amiamo ancora meno quanto ci ha chiesto di fare dopo di lui. Certo, noi troviamo che è bella, teoricamente, la carità universale, ma non ci piace troppo di considerare, effettivamente, tutti gli uomini come nostri fratelli. Ci dà molto fastidio vedere i negri d'Africa giungere all'indipendenza, e abbiamo una paura blu al solo pensiero che la Cina gialla potrebbe entrare all'ONU.
Affermiamo di voler davvero la fine della guerra in Algeria, ma vediamo abbastanza male che si voglia realmente mettere le due comunità di laggiù su un piano di eguaglianza: restiamo intimamente persuasi che un europeo vale sempre, in sostanza, più che un mussulmano.
Proclamiamo la necessità della giustizia e della carità, e tuttavia non abbiamo affatto voglia che siano effettivamente applicate. Ciò disturba sempre troppo le nostre vecchie abitudini.
Ti diciamo a voce alta: «Mio Dio, mi fido di te», ma abbiamo ben più fiducia, per il momento, negli eserciti dell'OTAN e aspettiamo molto dalle nostre future bombe atomiche.
E non è ancora tutto, Signore. Abbiamo delle ipocrisie più concrete e più giornaliere. Per esempio, siamo persuasi di essere buoni cristiani perché il nostro nonno era cantore in Chiesa, perché andiamo alla Messa due volte all'anno e non manchiamo se non di rado ai funerali. E quando siamo praticanti quasi regolari, abbiamo una forte tendenza a relegare la religione nei limiti stretti della messa della domenica e ad impedirle l'entrata nella nostra vita di tutti i giorni, per paura di doverla modificare, tuttavia credendoci migliori degli altri. D'altra parte, facciamo battezzare i nostri bambini, li mandiamo al catechismo, ma. con la segreta speranza che lascino tutto questo a dodici anni, al massimo a venti, come abbiamo fatto noi stessi; perché se i nostri figli e le nostre figlie diventassero migliori di noi stessi, ci sarebbe un rimprovero vivente!
Infine, per confessare tutto, Signore, noi ci siamo accomodati in una religionetta confezionata con cura, a nostro livello. Non ci teniamo ad essere sfrattati. Se qualcuno pensasse, da parte tua, di darci il senso della nostra cattiva coscienza, gli mostreremmo i denti. La tua religione, Signore, ci disturba.
Ecco come siamo, Signore, e come vorremmo restare. E il Papa ha appena finito di dirci, a Natale, che bisogna mettere la verità nella nostra vita. E' precisamente quello che non abbiamo affatto voglia di intendere, e meno ancora di mettere in pratica!
Allora, Signore, tu sai che cosa ti rimanga da fare: dacci la lucidità e il coraggio che ci mancano. E non attendere troppo che noi te li chiediamo: mandaceli, per piacere, un po' presto; altrimenti rischieresti di non poterceli donare mai, e noi di non praticarli. Amen!





abbé Joseph Tiger
(Dalla rivista genovese «Il Gallo» del febbraio 1961)


Le nostre parole a Dio

«Tu mi separi da me stessa
La mia anima tende ad abbandonarmi
Io mi perdo nella tua carità
Non son altro che un nulla che ama..
E' finita o reale la tua assenza
Forma della tua grazia o della mia morte?
Quando abbiamo ricevuto la tua Parola
Nella dolcezza del primo dono
Nella forza e nella gioia del cuore nuovo
Tu ci custodivi nella tua Pace
Tu misuravi su misura umana
La nostra parte del calice amaro
Noi abbiamo sofferto è vero
Nel corpo, nell'anima e nello spirito
Ed abbiamo conosciuto l'angoscia
Ma sempre abbiamo potuto situare la nostra sofferenza
E sapere che altrove la felicità esisteva...
Tutto ciò è abolito
Tutto ciò che fu avanti...
Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe
Dio di verità e di bontà...
Lascia dunque che ti parli con la follia che afferra la mia anima...
O Croce che dividi il cuore
O Croce che spacchi il mondo
O Croce divina legno amaro
Prezzo sanguinoso delle Beatitudini...
Croce tenebrosa, patibolo di Dio
Stella dei Misteri, chiave della certezza...
Il Signore m'ha fatto entrare nel suo riposo
Ha fissato il mio cuore quasi con una lancia...
Lui che separa l'anima dallo spirito
Chiede la mia volontà e la mia vita
Vuole la mia distruzione e la mia morte...».,


Raissa Maritain
(Dalla rivista fiorentina «Testimonianze»)



(commenti e citazioni)

Discorsi che non si fanno fra noi

Se fra noi cattolici e uomini di Chiesa vi fosse l'uso di guardare in faccia le cose e dire la Verità senza riguardi, cioè senza paura di mancare di rispetto e di carità, mettendo al posto dei «colcos, sovcos» ecc. organizzazioni cattoliche, istituti e ordini religiosi, parrocchie ecc. e al posto di patate, grano, carne e latte: istituzione religiosa, testimonianza cristiana, onestà, carità, spirito fraterno ecc. e naturalmente al posto di comunismo, cristianesimo, il discorso di Kruscev del 23 febbraio u.s. sarebbe una gioia leggerlo in qualche pastorale o discorso di personalità ecclesiastica.
"Numerosi colcos, sovcos e interi distretti e regioni segnano il passo e persino retrocedono (nella produzione agricola: n.d.r.), mentre i dirigenti pronunciano tanti discorsi sul rapido avanzamento verso il comunismo. Quei discorsi non costano un soldo. E' necessaria una guerra risoluta contro la retorica irresponsabile... Non basta conoscere a memoria le formule di Marx, Engels e Lenin, è necessario saper coltivare patate e granoturco, produrre carni e latte... coloro che discutono su chi conosce meglio le formule combattono con spade di carta... i dirigenti incapaci devono essere sostituiti, i chiacchieroni irresponsabili devono fare fagotto... c'è da richiamare gli studenti e invitarli a studiare tutto da capo".


I nostri rammarichi

Cioè quelli del Vescovo di Pesaro nella sua lettera pastorale di questa quaresima: «Ci siamo lasciati sorprendere e travolgere tutti dagli avvenimenti. Invece di guidare siamo stati guidati. Basti ricordare il modo col quale sono stati applicati i decreti del S. Offizio, basti accennare all'apertura a sinistra. E' una Babele che stringe il cuore. La poca dottrina, la poca riflessione, la passione politica, l'aver preso a guida più il partito che la Chiesa, più questo o quell'uomo politico che la Sacra Gerarchia, ci ha condotti a questo: che ci siamo scoronati da noi. Non sono più i sacerdoti che insegnano ma i laici. Entrati nella vita pubblica con la qualifica dì cristiani, sostenuti dal favore e dai voti dei cattolici, si sono presto stancati di sostenere il gran peso del nome e della dignità del Cristianesimo... ».

«La mia coscienza come non fa diventare vera una verità accettandola, così non la distrugge negandola: però ha questo tremendo potere, che non può esserle stato concesso che da Dio: per entrare in me, per farsi mia verità, ci vuole il mio libero consenso... La verità non si perde: il mio rifiuto non la scalfisce. Essa è Verità senza il mio voto, come Dio è Dio anche se l'uomo lo nega. Non è quindi giusto parlare di sconfitta della Verità, la quale conosce vittorie ben più gloriose di quelle che pretendiamo assegnarle d'ufficio. La Verità ha le sue ore, le conosce e sa attendere: a differenza di qualche suo impaziente paladino, saper discernere, saper tacere, saper attendere sono doveri poco praticati...
La verità non è merce che svilisce, bisogna lasciarle il tempo di gettare le sue rodici nel cuore, poiché l'accoglierlo non é soltanto questione di sapere, L'essenziale è di Amare...
Primo Mazzolari



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