LA VOCE DEI POVERI: La VdP luglio 1960

Il libro della parola di Dio

"Chi disprezza me e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica: la parola che ha proferito, essa la giudicherò nell'ultimo giorno" (Giov. 12,48)

Giudichiamo spesso il Vangelo insegnamento e indicazione di un modo di vita e d'esistenza veramente meraviglioso, stupendo, ammirevole da ogni punto di vista.
Ma subito dopo il solito discorso ricco di tanto buon senso rimette a posto le cose: se tutti gli uomini vivessero secondo il Vangelo, la vita umana sarebbe un paradiso,
Costatazione esaltante la grandezza e la potenza della parola di Gesù giudicata capace di far felice l'esistenza umana sulla terra: non è poco verrebbe da dire. In certo modo è come un riconoscimento della divinità di Gesù: il miracolo di creare felicità vera e perfetta solo Dio lo può fare.
Nello stesso tempo però quel discorso è anche chiara costatazione che in fondo si fratta di una pura e semplice utopia. Come dire un sogno impossibile, un magnifico ideale ma irrealizzabile, cose stupende ma assurde.
E il Vangelo rimane qualcosa che non serve, roba da ammirarsi girandovi intorno alla larga come ai resti di una antica civiltà fermata e sepolta nei suoi sogni dal buon senso della storia.
Condannato ai margini della vita per la sua assoluta impraticità. Setacciato per raccogliere e sfruttare tutto quello che può servire. Ben chiosato arrotondandolo e aggiustandolo perchè vada bene per una passabile presentazione. Diluito per farlo entrare in una logica umana, meglio nei limiti ovattati del buon senso comune.
Interventi a non finire lungo i due millenni su questo povero e piccolo libretto fatto di poche parole semplici e disadorne, assolutamente privo di pretese scientifiche e letterarie, veramente Buona Novella raccontata ai piccoli, ai semplici, ai poveri, ai puri di cuore perchè possano vedere Dio.
Ho infinita gratitudine verso la Chiesa che mi ha custodito l'integrità di questo libro con dura, affettuosa, adorante vigilanza, A Lei devo la sicurezza che le parole che leggo sono come uscite allora, allora dalla penna dei quattro Evangelisti. In grazia della continuità ininterrotta della Chiesa, raccolgo dalle loro mani (e mi pare di vedere la gioia splendere nei loro occhi per avere scritto così bene di Lui) questi poveri fogli e sento la freschezza vivace e immediata della Parola pronunciata in questo momento, il fluire sereno e scorrevole d'infiniti misteri nel racconto dolce, familiare delle parabole, la forza violenta e terribile, come di tempesta che squarcia il cielo, delle minacce incombenti, delle predizioni lontane e come presenti.
Ecco: ho fra mano il Mistero del Pensiero, della volontà di Dio. Ne volto le pagine una dopo l'altra. E leggo. Ascolto.
Ma dopo non posso richiudere il libro con cura e rimetterlo in fila fra gli altri libri. Non basta nemmeno che coltivi nel cuore un senso di ammirazione e di stima e neanche è sufficiente un rimpianto lamentoso perchè il mondo non è fatto così.
Dio mi ha parlato se ho fede in quel libro. E la Sua Parola nel vuoto del mio nulla deve essere creatrice, Basterebbe che trovasse il vuoto del mio nulla. Invece trova del buon senso pratico, umano, incontra una mentalità individualistica, urta contro un egoismo a fil di logica, si scontra con posizioni conquistate come di ostrica sullo scoglio e non c'è nulla da fare.
Non è ancora finito l'eco della Parola nel cuore e è già stata sperduta dal venticello della propria superficialità e mediocrità spirituale e cristiana.
E il parlare di Dio rimane nel libro chiuso dentro la fodera di pelle della nostra prudente prudenza.
Rimane chiusa nel libro in attesa: perchè qualcuno è sempre venuto a leggerla e ad ascoltarla quella Parola così come è uscita dalla bocca di Dio. Leggere e accogliere la Parola guardando fisso e a fondo negli occhi di Chi parla per coglierne tutto il Pensiero senza paura.
Qualcuno viene e verrà ad aprire il libro e a leggere così.
Forse il Mistero dei pochi che leggono e raccolgono pura e intera quella Parola e dei molti che non leggono o leggono male, sta nel fatto che forse tutto è come un dramma. Un dramma però la cui "recitazione" è vita vissuta, reale, concreta, "dal vero".
Il dramma che racconta le vicende appassionanti dell'Amore di Dio per l'umanità.
Qualcuno è chiamato a leggere così come è ciò che è scritto. E è invitato a "recitare" cioè a fare altrettanto a rivivere ciò che ha imparato perchè quello non è un sogno, è un preciso modo d'esistenza, è un vero sistema di vita.
Accetta e il dramma si rinnova ancora una volta. Tutti gli altri assistono: guardano e applaudono o disapprovano, in ogni modo s'interessano. Quindi partecipano. Allora son anch'essi del dramma, ne fanno parte sul serio. Lo vivono. Allora non è un sogno, un ideale impossibile e assurdo. Dio si è fatto veramente Uomo, Dio sta rivendo ancora nel mondo una vita vissuta..
Questo Mistero del racconto della storia dell'Amore di Dio per gli uomini tutti, fatto continuamente carne e sangue, problema, esistenza umana.
Forse questo basta per la salvezza.
E' un fatto che le cose stanno avvenendo così da millenni.
Se Dio ti ha dato l'esigenza strana il bisogno profondo di leggere le Parole del Vangelo così come uscite in questo momento incontaminate e vergini dalla bocca di Gesù, leggile con coraggio, lasciatici andare senza paura, consenti che ti portino via in balìa del vento dello Spirito: le renderai vere e vitali, Verità e Amore di Dio rinnovato nel momento della tua vita e quindi nella vita dell'umanità.


don Sirio

Gesù il povero (continuazione)

Gesù è povero interiormente; non è uno di quei poveri, come succede sovente, che sappia approfittare dei beni terreni facendo finta di disprezzarli. Sa, invece, accoglierli e stimarli con il loro valore, ma senza la minima paura di perderli, senza mai preoccuparsi di tenerseli e metterli da parte. E' totalmente povero, e non soltanto staccato dai beni materiali, ma altrettanto libero, altrettanto nudo, davanti a tutti gli appoggi sui quali gli uomini riposano la propria esistenza. Nulla gli appartiene, né i suoi amici, né il suo avvenire, né i suoi progetti, né il suo pensiero, né l'opera sua.
Il suo parlare è eloquente: una delle sue espressioni preferite è quella che dice ciò che non fa, ciò che non è: «Non posso far nulla da me stesso» (Gv. 5,30), «Non cerco la mia volontà» (Gv. 5,30); «Non cerco la mia gloria» (Gv. 8,50), «La mia dottrina non è mia» (Gv. 7,16), «Non sono di questo mondo» (Gv. 8,23); «Non ho parlato da me stesso» (Gv. 12,49); i suoi discepoli non è lui ad agganciarli, ma il Padre che glieli dona (Gv. 6,37,44; 10.29; 17,6). Questa privazione da parte sua non è incertezza, paura di impegnarsi o di agire. Nessuno, invece, ha come lui coscienza di essere in pienezza e in modo unico ciò che egli è: «Io sono il Messia, io che ti parlo» (Gv. 4,26); «Io sono il pane di vita» (Gv 6,48,50); «Io sono la luce del mondo» (Gv. 8,5); «Io sono la porta delle pecore» (Gv. 10.7); «Io sono il buon pastore» (Gv, 10,11); «Io sono la resurrezione» (Gv. 11,25); «Io sono il maestro e il Signore» (Gv, 13,13); «Io sono il cammino, la verità e la vita » (Gv. 14,6); «Io sono la vera vite» (Gv. 15.1); e, del tutto semplicemente; «Io sono» (Gv. 8,58). Nessuna contraddizione, nessuna distanza fra queste due reazioni; altrettanto è sicuro di sé e di ciò che fa, e altrettanto prova che la sua sicurezza gli viene da un altro, da colui che non cessa di ascoltare e di guardare: il Padre suo.
Una parola riassume il fondo del suo essere; il segreto che rivela ai suoi, è via via «Io sono» e «Non faccio nulla da me stesso» (Gv. 8,28) formula che siamo tentati di capire come un paradosso: essere, pensiamo noi, è affermarsi indipendente, non aver bisogno di nessuno e possedere tutto ciò di cui si ha bisogno. Gesù, lui, è e dichiara come Dio solo è capace di essere e di dichiararsi, senza inizio e senza declino, senza il rischio dei casi o dei decadimenti. Ma tutto ciò che ha e tutto ciò che è, gli è dato dal Padre, e non cessa di riceverlo. Figlio uguale al Padre, ricco di tutta la ricchezza di Dio, nulla gli è proprio di tutta questa ricchezza, è infinitamente ricco perchè riceve eternamente la pienezza di Dio. Ecco perchè, essendo di condizione divina, invece di tenere per sé gelosamente il grado che lo eguagliava a Dio, ha annientato se stesso, prendendo la condizione di schiavo (Paolo, ai Filippesi 2,6s.). Non per capriccio di ricco sazio, stanco dei propri tesori, ma movimento spontaneo del Figlio colmato che viene a compartecipare cogli uomini la gioia figliale di non possedere nulla e di ricevere ogni cosa. Ma chi dunque, fra gli uomini, é capace di ricevere tutto, se non il povero? Gesù, per vivere come Figlio la nostra condizione, la vive nella povertà suprema.




Jacques Guillet
(dalla rivista «Christus» ott. 59)


L'Angelo del Povero

Ora che invade le ocuriate menti
più aspra pietà del sangue e della terra,
ora che ci misura ad ogni palpito
il silenzio di tante ingiuste morti,
ora si svegli l'angelo del povero,
gentilezza superstite dell' anima..
col gesto inestinguibile dei secoli
discenda a capo del suo vecchio popolo
in mezzo alle ombre..



Giuseppe Ungaretti
(Poesie sui poveri - Ed La Locusta)


(senza titolo)

SIGNORE, vorrei essere di coloro che rischiano la propria vita, che danno la loro vita. A che serve la vita, se non la si dona? Non sono che un «borghese», in mezzo a un mondo «borghese». Sono il frutto dell'epoca delle comodità; sono assicurato; ogni rischio è previsto.
SIGNORE, Tu che sei nato, così, per caso in un viaggio e sei morto come un malfattore, dopo aver percorso senza denaro, tutte le strade, fammi uscire dal mio egoismo e dalle mie comodità.
Segnato con la Tua Croce, io non abbia paura della vita dura e dei mestieri in cui si rischia la vita... dei mestieri in cui s'impegnano le proprie responsabilità...
SIGNORE, rendimi pronto per la bella avventura a cui mi chiami.
Devo impegnare la mia vita Gesù, sulla tua parola: devo giocare la mia vita, o Gesù, sul Tuo amore. Gli altri possono essere saggi, tu mi hai detto che bisogna essere pazzi.
Gli altri credono all'ordine: Tu mi detto di credere all'amore.
Gli altri pensano che si debba conservare; Tu mi hai detto di donare.
Gli altri si insediano comodamente; Tu mi hai detto di camminare e d'essere pronto alla gioia e alle sofferenze, alle sconfitte e alle vittorie, di non porre la mia fiducia in me, ma in Te.
E finalmente di rischiare la mia vita, contando sul Tuo amore.

I giovani e la carità

Abbiamo partecipato ad un congresso giovanile sui problemi della carità vincenziana e i giovani d'oggi.
Fra le tante cose interessanti ciò che abbiamo notato in modo particolare sono state le lamentazioni e i rimpianti da parte degli anziani.
Quello dei giovani è un problema che assilla e preoccupa assai gli anziani, questi buoni e gloriosi veterani della carità vincenziana. E hanno ragione di preoccuparsene.
Dicono che i giovani si disinteressano di problemi di carità, che a loro non importa nulla dei poveri, che sono insensibili alle miserie altrui ecc.
Può anche darsi che sia vero. Noi non ne siamo del tutto convinti però.
La vita moderna mentre porta un po' tutto a galleggiare sulle acque stagnanti di tanta penosa superficialità (provvisorietà d' interessi, vanità di motivi personali, adattamento balordo agli andazzi del momento, sfasature per disorientamenti incoscienti, stanchezza per vuoto di ideali seri, disamore a tutto per via della troppa disumanità che tutto affoga in interessi materiali ecc.) questa terribile vita moderna scava però anche abissi di sofferenza, di angoscia in tanta esistenza giovanile sensibilizzata sinceramente alla serietà della vita, vista in modo scoperto e immediato, senza velature scioccamente ottimistiche, senza le bardature di oro finto così care a mentalità sempre più ormai in via di seppellimento.
E' doveroso fare costatazioni di realtà positive, di ricchezza autentica in tanta gioventù di oggi, di chiarezza di vedute, di onestà di prospettive, il tutto frutto di spirito di sincerità e di franchezza. Non è poco.
Forse c'è tanta gioventù che non é più disposta a fare le cose tanto per farle. Non accetta di fare qualcosa sapendo in coscienza che bisognerebbe, si dovrebbe fare tutto o almeno molto di più. Vuole veder chiaro fino in fondo. E' consapevole del preciso valore dell'esistenza umana, della dignità dell' uomo, dei suoi essenziali diritti.
Il bisogno di un pezzo di pane scopre il problema terribile della disumanità della disoccupazione e dei salari da fame.
La necessità di medicine mette davanti la vergogna della non sufficiente, non giusta assistenza mutualistica.
Il bisogno di un lenzuolo porta a pensare a case che non possono assolutamente essere abitazioni per esseri umani.
Miserie morali sconvolgono 1'anima per la scoperta di coabitazioni orribili per mancanze di case..
E così tutto il problema della povertà e specialmente della miseria, suscita nell'animo dei giovani d'oggi (quelli sensibili a problemi del genere perchè non affogati dalla vuotezza di certa vita moderna) un disagio, quasi un complesso di vergogna per la troppa inadeguatezza per quello che la carità offre nei confronti di quello che il più elementare senso di giustizia richiede. E molti pensano (hanno torto?) che quel poco di carità sia come misero tentativo di coprire i vuoti, gli abissi d'ingiustizia in cui stanno affondando i poveri e questo sospetto svaluta la carità irrimediabilmente.
So bene che questo è un discorso molto grave. D'accordo che è sbagliato, però importa problemi molto seri che al giorno d'oggi vanno raccolti.
Va bene - e chi potrebbe giudicare diversamente ? - la carità del bicchiere d'acqua all'assetato, del pezzo del pane all'affamato, del vestito all'ignudo ecc. sempre più però - e giustamente - l'esigenza verso il Cristianesimo si allarga a richieste di Amore più impegnative, a partecipazioni fraterne più radicali.. a dare cioè qualcosa di più che pacchi dono.
L'andare avanti del mondo e 1'approfondirsi quindi di esigenze sempre più gravi, cioè sempre più secondo le misure dell'Amore di Dio, comporta necessariamente che sia più carità - anzi forse 1'unica carità - cercare che tutte le famiglie abbiano l'acqua in casa, guadagnino un salario sufficiente per comprarsi il pane e companatico, il vestito ecc. C'è da sorprendersi se le sette opere di misericordia corporale esigono risposte molto più serie e più giuste di quelle richieste fin qui?
Ormai l'ingiustizia è malattia così mortale che non può più essere curata con impacchi caldi, ne confortata e sollevata facendole vento, va tolta e guarita a forza di Amore senza limiti e misura se vogliamo affrontarla cristianamente.
La carità oggi non può più essere un dono concesso per bontà d'animo, dev'essere atto di giustizia attuata dalla dolce violenza dell'Amore.
La convinzione che atto di carità è uguale a atto di generosità, è un assurdo cristianamente.
No, non si tratta di demolire - o pensare che ormai siano demoliti - dei valori (la Parola e l'esempio di Gesù non passano e non mutano col tempo): si tratta soltanto di spingere avanti il Mistero dell'Amore cristiano allargandolo sempre di più ad abbracciare tutti i valori e tutte le richieste dell'esistenza umana individuale e sociale, sul piano materiale e spirituale, cercando di rispondervi in pieno.
La storia porta avanti l'esigenze umane e scava problemi e ansie terribili di cui i bisogni materiali sono appena l'indicazione: c'è chi pensa che la risposta giusta sia la forza, la violenza, la rivoluzione, la politica ecc. il Cristianesimo offre l'Amore.
Solo il Cristianesimo ha il coraggio di questa speranza e di questa fiducia nell'Amore come soluzione radicale e definitiva cioè come salvezza di tutto il problema umano.
Se però quest'Amore e questa carità comincia e finisce col bicchiere d'acqua fresca e col tozzo di pane, col flacone di medicine «campione gratuito per i medici», col pacco di pasta e fagioli «dono del popolo americano» e con quegli orribili pranzi di Natale per i poveri ecc. ecc. allora la carità è soltanto irrisione e l'Amore cristiano è soltanto miserabile tentativo di mettere a posto anche la coscienza.
Il Cristianesimo imparato sul Vangelo, alla scuola di Gesù, non è fatto così. Il Cristianesimo è essenzialmente diverso, è incarnazione, cioè partecipazione assoluta, totale, fino in fondo e quando diciamo «fino alla morte» non è frase retorica ma chiarezza di Fede di credenti nel Figlio di Dio, morto nudo e dissanguato sulla Croce per la salvezza di tutta l'umanità.
E' impressionante questo nostro rimanere fuori dai vivi problemi del nostro tempo: manchiamo d'incarnare il Mistero della Verità e dell' Amore di Cristo nel tempo nel quale viviamo.
E è per questa non vivente presenza cristiana che il nostro mondo va avanti senza Amore. E sempre più quasi nessuno ormai crede nell'Amore cristiano come forza di salvezza per gli uomini.
I giovani hanno il coraggio di dirci che la colpa é nostra e non se la sentono di esserne conniventi, Quindi si guardano bene dal venire con noi e si disinteressano della «nostra» carità.


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