Forse mai, come in questo numero doppio di pagine ma specialmente così pesante di problemi e segnato da tanta sofferenza ma anche di intensa lotta e ricco sol tanto di una profonda speranza, il titolo «La voce dei poveri» risponde autenticamente al contenuto.
Perché finalmente, oggi come oggi, i preti veramente consapevoli della crisi che travaglia il clero, non possono non sentirsi che dei poveri.
Una povertà che affonda le radici nel non sapere più nemmeno cosa è il prete, quale è e in che cosa consiste la sua collocazione nel vivere del nostro tempo, se ancora ha una identità, una missione, una giustificazione....
Che vi sia ancora una copertura (ormai scopertasi come una falsificazione o peggio ancora una alienazione) fatta di forzature di importanza personale e di casta privilegiata e di missione ministeriale in seno alla comunità cristiana e alla convivenza civile, rivela e indica semplicemente una povertà che rischia i limiti della miseria: par d'essere dei claudicanti che si danno arie di camminare diritti e spediti a forza di stampelle.
Noi della comunità siamo contenti di questa crisi, siamo contenti che il clero sempre più sia ridotto sul lastrico a guadagnarsi la giustificazione a stare a questo mondo, come sacerdoti, pagando serenamente e liberamente il prezzo occorrente a presentarci e offrirci come gente spiegabile soltanto e unicamente con Dio, Gesù Cri sto, l'Amore e la Fede, le scelte cristiane fino alle misure più totali come non possono non essere quelle che giustificano un impegno di vita sacerdotale.
A settembre ci sarà il Sinodo dei Vescovi, che tra l'altro (si tratta della giustizia nel mondo, nientemeno!) tratterà il tema e il problema del sacerdozio.
Non soltanto non ci ha soddisfatti ma ci ha profondamente preoccupati il documento che sarà alla base della discussione.
Abbiamo pensato che fosse Amore fraterno offrire ai Vescovi e ai nostri amici, preti o no, le riflessioni che sono le motivazioni del nostro sentirci sacerdoti.
E dalla fatica di ogni giorno, ma specialmente dal pagare quotidiano una ricerca di sincerità sacerdotale, che abbiamo messo insieme queste pagine.
Sicuramente incomplete e confuse, non dottrinali e sapute senza dubbio, esse significano soltanto la nostra gioia di essere sacerdoti e la nostra scélta, ravvivata e nuova ogni mattina, di voler giocare la nostra vita, in questo sacerdozio che sentiamo e crediamo profondamente Pensiero di Dio, Mistero di Cristo, Realtà del Popolo cristiano, grazia di salvezza per l'umanità intera.
1 - La prima riflessione è del Padre domenicano Dalmazio Mongillo, nostro carissimo fratello sul documento-base per il Sinodo.
2 - Segue una ricerca dì motivazione e di chiarificazione sul sacerdozio, venuta fuori da una ricerca che ha impegnato tutta la comunità.
3 - Una considerazione sul sacerdozio e sacerdoti di Don Luigi.
4 - La indicazione della nostra esperienza di comunità sacerdotale di don Beppe il pescatore.
5 - La precisazione della nostra comunità di uomini e donne di Maria Grazia.
6 - Come intendiamo e vediamo la nuova parrocchia di don Luigi e Maria Grazia.
7 - La precisazione concreta del sacerdozio come responsabile e inequivocabile scelta di classe dei due preti operai Giuseppe e Mario.
8 - La necessità irrimandabile di decidere fra sacerdote o prete di don Sirio.
9 - L'esemplificazione per noi profondamente tipica di sacerdozio, scoperta in Teilhard de Chardin di don Rolando.
La Redazione
Un prete non legge per dilettantismo o per curiosità un documento, sia pure non definitivo, quale quello sul «Sacerdozio Ministeriale» preparato per il prossimo Sinodo dei Vescovi.
Tratta dì un tema che tocca da vicino la sua vita, che incide sulla sua esistenza come un'operazione chirurgica su un corpo non anestetizzato.
I preti non provano gusto a discutere di se stessi. Se lo fanno non è per perder tempo, per accademismo o per gusto di erudite dissertazioni, ma perché vogliono vivere in autenticità la loro vocazione, .perché desiderano acquistare coscienza esplicita, vera, non parolaia, della loro identità e del senso della loro presenza nella Chiesa e nel mondo.
La proposta del Sinodo dovrebbe costituire il frutto della maturazione della coscienza ecclesiale sul sacerdozio. Se fosse scadente o ispirata da remore e diffidenze, deluderebbe le speranze di tutti coloro che anelano a una realtà che alimenti la speranza, aiuti a superare la stanchezza del presente e apra prospettive.
La delusione sarebbe molto triste perché siamo profondamente convinti che, se viviamo in fedeltà allo Spinto che anima la comunità ecclesiale, se il criterio ispiratore delle ricerche è la verità non l'opportunismo, la paura, la difesa dello status quo, la soluzione emerge.
La mancanza di luce, in questo come negli altri campi, è in qualche modo connessa alla mancanza di fiducia e alla diffidenza che guida i rapporti reciproci. Anziché abbandonarci allo Spirito vogliamo imporgli le nostre regole, dimensionarlo sulla base angusta dei nostri timori, della paura di mettere in discussione prassi e stili di vita, anche quando ci accorgiamo che anziché esprimere la realtà, costituiscono una barriera che impedisce di coglierla e penetrarla.
Non è per gusto o partito preso che metto in discussione il documento ma come fedeltà alla vocazione in cui credo, per rispetto agli uomini con i quali non dobbiamo instaurare rapporti ispirati dall'equivoco di tesi fatte e di proposizioni non verificate.
Occorre con sincerità, con esclusione di pregiudizi promuovere una revisione di vita che porti a farsi guidare dallo Spirito e a cogliere i veri aspetti del problema.
La crisi del ministero nella Chiesa non è isolata, è solidale di tutta la gamma di stati d'animo che sono sintomo della rimessa in causa dello stile della presenza della Chiesa nella storia. I! vero volto del prete non può emergere se non in sintonia alla riscoperta della vera via della Chiesa, del suo cammino come fedeltà al Signore che viene. La crisi del ministero è di conversione dalla infedeltà non di spinta all'infedeltà.
Del discorso che Papa Giovanni tenne all'apertura del Concilio mi colpì quel senso di sereno ottimismo che lo portava a non condividere le previsioni apocalittiche di tanti che ovunque vedevano male e rovina e che stimolava il contributo differenziato e convergente di tutti.
Da quel momento quella prospettiva non mi ha più abbandonato. Mi ha sempre consolato il fatto che fu un Papa così buono a confidarla al mondo, in un momento nel quale i pensieri espressi nascono dalla più matura riflessione.
Sarà forse anche per questo che ciò che mi ha più rattristato in questo documento è la mancanza di fiducia e di speranza. E' stilato in un'ottica di crisi di identità a cui si tenta di contrapporre alcune argomentazioni il cui valore è spesso discutibile e che scaturiscono da un'ecclesiologia che per molti aspetti è pre-Vaticano 2°, destinate a convincere che invece l'identità il Sacerdozio ce l'ha e che pertanto se non emerge è colpa di tutto quel complesso di fenomeni che si vanno verificando nel mondo contemporaneo.
Si cerca un capro espiatorio sul quale riversare tutte le colpe, mentre mi pare che il tutto è espressione di una chiamata ad andare verso una terra nuova alla quale Dio ci guida.
Ho avuto l'impressione di un certo capovolgimento di valori. La fonte dell'identità del Sacerdote è la certezza di essere stato scelto e mandato da Dio, per dire agli uomini che il Padre li ama e che vuole che essi lo amino e si amino e di dirlo donando amore e realizzando una presenza che, nella concretezza del suo contenuto può e deve variare secondo i tempi e i luoghi, attuando compiti che, in ogni caso devono scaturire dalla disponibilità interiore che la scelta, accolta e donata, determina e debbono incrementarla. Qui mi pare che l'identità sia delineata in rapporto al complesso di atti che il prete compie. Quando sorge il timore che questi siano in discussione o mutino, si ha paura che egli resti «disoccupato» e anziché spingerlo a cercare nuovi stili di impegno, a ristrutturare «l'organizzazione» in senso di profonda sintonia con la vita e affrontando tutta la serie di problemi che ciò comporta, si resta piuttosto fermi sull'aggiustamento di una cosa o dell'altra. L'ottica si sposta. Anziché stimolare l'amore a crearsi il cerimoniale in cui esprimersi, si tenta di tener in vita il cerimoniale nella convinzione che farà rinascere l'amore.
L'identità di un uomo, anche se si esprime nel ruolo che egli svolge, non deriva da esso, bensì dalla interiorizzazione di un dono di amore, dalla gratificazione dell'essere amati, nel nostro caso, dalla certezza che Colui che ci ha scelti e nel quale abbiamo riposto fiducia è fedele all'amore, proprio quando ci stacca dal transitorio e ci tiene in condizione di esodo, di stacco dagli idoli che rischiamo di crearci e nei quali confidiamo più che nel Dio vero.
Mille dubbi non fanno crollare la fede, così come mille prove non la fanno nascere. La fede è vita e la vita anche se si incarna nell'uomo, è in lui come dono gratificante di Dio. Da Lui scaturisce e deriva.
Nella rivelazione cristiana è fondamentale la fondazione e l'origine trascendente della identità personale, in questo sta tutta la sua novità e il suo vigore; il resto appartiene all'ordine del secondario e anche se ha durata e persistenza, è valido solo subordinatamente al primo elemento.
Ancora una volta ci si lascia prendere dalla paura e si mette in atto un sistema difensivo del ministero da ciò che può metterlo in pericolo. E così ci si àncora a una mentalità apologetica, la quale sfocia in un sistema di educazione orientata a creare i componenti del Sacro, a far maturare la consapevolezza dell'importanza del compito che si svolge e a pretendere che esso venga riconosciuto e valorizzato. E anziché farsi difendere dal Sacerdozio lo si mette sotto tutela, anziché stimolare i presbiteri a «inventare», a far scaturire dall'amore di cui sono oggetto da parte di Dio lo stile di vita in cui esso si esprime e a trovare la via per manifestarsi, si discute sui compiti quasi che la cosa più importante sia garantire la continuazione di certi servizi, il cerimoniale dell'amore più che l'amore che inventa il cerimoniale. Si indulge ad un bisogno di rassicurazione che hanno coloro che si sentono frustrati e destrutturalizzati quando non hanno un compito riconosciute che li valorizzi, li distingua e dia loro una ragione di esistere, mentre ci si dovrebbe spingere a diventar disponibili e inventivi di un concreto stile in cui esprimere a nuovo, in comunione con tutta la Chiesa e la Sua Gerarchia, la ragione di esistere anche quando le precedenti forme di espressione non risultano agibili
* * *
Il problema è centrato all'inizio della parte dottrinale, ma quell'enunziato dovrebbe ispirare davvero tutta la riflessione e da esso dovrebbero essere tratte tutte le conseguenze sul piano di un'autentica maturazione della coscienza ecclesiale. Il compito investe tutta la Chiesa, la responsabilizza a tutti i livelli, esige l'apporto di tutti, non escluso quello insostituibile e specifico che gli organi del Magistero mutuano dalla loro posizione unica
Occorre approfondire il rapporto tra Sacerdozio di Cristo e Sacerdozio Gerarchico, il modo come questo si è costituito nella Chiesa, quanto di ciò che era incluso nella sua maniera tradizionale di esprimersi lo sia per insostituibile esigenza del Sacerdozio di Cristo o per motivi diversi.
Altro è dire che il ministero Sacerdotale è inerente alla Chiesa, altro connettere con vincolo indissolubile a questa inerenza tutto ciò che le si è aggiunto nei secoli e le spiegazioni con le quali queste connessioni sono state giustificate. Ciò non è legittimo soprattutto quando si ricorre a questo accostamento per dedurne conseguenze operative che decidono più che risolvere alcuni grandi problemi che travagliano il Sacerdote contemporaneo. Mentre la dottrina è destinata alla vita ed è tanto più valida quanto più alimenta lo sviluppo della vita, qui si vuol dichiarare non autentiche alcune esigenze di vita in base ad una dottrina.
Non si è verificato sempre che la dottrina è stata meglio ripensata in base ai risultati dell'esperienza vitale orientata e sapientemente vissuta? La espressione teoretica dell'esperienza vitale è subordinata ad essa, la trascende e la valorizza. La vita vissuta in fedeltà allo Spirito è la verità.
Così pure resta aperto il problema del rapporto tra Sacerdote e Vescovo, specie per quanto riguarda la responsabilità nel mistero. La problematica indicata in III, II 3) ripropone l'urgenza di approfondire la questione in una rimeditata analisi del Sacramento dell'ordine più che risolverla con norme giuridiche. Altrettanto si dica del rapporto tra Sacerdoti e laici perché non appaia una questione di rivendicazione di competenze ma sia ispirato dalla fedeltà alla chiamata che assegna compiti diversi per il bene di tutti e alla quale non sì può rispondere se non penetrando il senso del proprio lavoro.
Ai religiosi è riservato solo un accenno fugace là ove si parla del loro rapporto coi Vescovi, nulla è detto sulla relazione tra Sacerdozio e vita religiosa, anche se molti Sacerdoti appartengono ad ordini religiosi.
La lettura della III parte del documento sui problemi pratici acutizza la sensazione del clima di sfiducia nel quale il testo è stato redatto e del contesto riduttivo in cui le difficoltà sono viste. Si dà un'interpretazione univoca di fenomeni che ne hanno molte altre che potrebbero aiutare a porre il problema molto diversamente.
«La ragione più profonda» della diminuzione dello slancio missionario è indicata nella diminuita stima della fede esplicita e nelle conseguenze della dottrina del cristianesimo anonimo (1, 3); le difficoltà inerenti alla celebrazione dei sacramenti sono connesse all'oscuramento della fede nella loro efficacia (1, 4, a); l'esclusione di altre attività da parte del sacerdote è vista in base al pericolo che gli sottraggano tempo per il ministero, l'attività politica è problematicizzata a un giudizio negativo su di essa e per una concezione che è, a dir poco, molto discutibile.
Si insinua la questione se «la radice ultima dell'attuale crisi dei Sacerdoti» non si debba ricercare nella mancanza di una vera e propria spiritualità sacerdotale » (III III, 1) proiettando così in una prospettiva di carattere morale un problema che ha portata tanto vasta. In questa ottica si avalla una certa interpretazione dei cambiamento dello spirito di preghiera. «Tutti riconoscono che oggi vi è una diminuzione dello spirito di preghiera, sia perché ad essa si dà poco tempo o poco zelo, sia perché sono spariti, per alcuni, i motivi e la stima della preghiera e la sua distinzione dal lavoro» {ivi, 2°) e perciò si cerca di addurre argomenti che ricostruiscano questi motivi Non appaiono emergenti alcune grandi aspirazioni che stanno alla base di un mutato atteggiamento nei confronti della celebrazione dell'Eucarestia, di cui tra l'altro la partecipazione quotidiana è inculcata affinché il sacerdote poi possa «con la parola e con l'esempio attrarre gli altri ad essa» (III, III, 3).
La causa del poco posto per gli esercizi ascetici sarebbe «il modo moderno di considerare le realtà di questo mondo, che psicologicamente è diventato quasi esclusivo (ivi 4).
Si sospetta che il diverso atteggiamento nei confronti del Sacramento della Penitenza «la cui frequenza» da parte dei Sacerdoti, «è diminuita più del giusto» può essere derivato dalla «diminuzione del senso del peccato negli stessi Sacerdoti, come del resto nel popolo cristiano» (ivi 5).
Analoga riduttività nella riflessione sul problema del celibato: «Si può supporre che il modo moderno di trattare le cose anzi la licenza circa le realtà sessuali che pervade il mondo cosiddetto occidentale, non è estraneo a questa contestazione». E si aggiunge: «Checché se ne pensi di questo problema, esso è assai complesso e bisogna che sia accuratamente vagliato nei suoi vari aspetti» (III, IV, 1).
Il problema dell'eventuale ordinazione di uomini sposati è visto solo come rimedio alla carenza di Sacerdoti e per «quei luoghi solamente dove questa mancanza è acerbamente sentita» per non privare i fedeli dei benefici che il Sacerdozio presta al Popolo. In tal caso si domanda se si può provvedere a «promuovere al Sacerdozio uomini di età matura» (ivi, 2).
Talvolta si presenta un dato come certo e poi si esclude in base ad esso un comportamento.
L'astensione dall'impegno attivo nella causa di «una certa fazione politica (III, I, 5 a) (si noti la denominazione già squalificante) è giustificata tra l'altro dal fatto che ciò sembra favorire positivamente la libertà della maggioranza dei laici, in quanto allontana il cosiddetto neoclericalismo con il quale a volte dei Sacerdoti vorrebbero imporre ai laici le proprie vedute, mettendo nell'ombra la loro libertà in questo campo. E' ancora il sistema di tagliare la testa per evitare il mal di capo.
Anche sul tema dell'agire comunitario nella Chiesa (III, II) gli enunziati programmatici a largo respiro vengono ridotti da applicazioni univoche che escludono altre alternative non meno legittime.
La diversità per es. può certamente costituire un ostacolo alla comunione, però una comunione che non liberi le diversità si distrugge perché diventa massificante. C'è non solo il turbamento causato da attività diverse dal comune ma anche quello di attività non adeguatamente personalizzate e personalizzanti. La comunione autentica libera la diversificazione e contemporaneamente la rende centripeta non centrifuga
Con queste osservazioni ho voluto mettere in rilievo il fatto che la mentalità che ispira e condiziona questa traccia di lavoro non mi pare sia quella che potrà contribuire a chiarire il problema.. So bene che uno schema di lavoro è destinato a essere profondamente rielaborato nel corso della discussione. L'esperienza del Concilio è istruttiva. Poiché pare che la mentalità che sta alla base del testo è abbastanza diffusa ho credute utile sottolineare che non può pretendere di interpretare tutta la realtà anche se non la si vuol trascurare nella proposta finale.
P. Dalmazio Mongillo
Motivi di fondo
La vita, la realtà di Dio la conosciamo trinitaria, con un movimento interno che è comunione vicendevole e perfetta. Ne sono espressione la creazione, l'esistenza delle cose, dell'universo, dell'umanità.
Questo avviene a seguito dell'essere Dio Amore e quindi Dono di se stesso. Dio non può dare qualcosa di sé, ma tutto se stesso, cioè non può non obbedire al Suo essere Amore: Amore di Dio e quindi infinito, perfetto, totale, cioè mistero di donazione che obbedisce unicamente al sempre di più.
L'amore quanto più è perfetto e cioè unicamente Amore tende all'unità e cioè alla comunione: perché l'unità si realizza nella misura della comunione e cioè nel dono vicendevole: o se non altro nell'offerta e nell'attesa. :
L'umanità nella sua realtà esistenziale, storica (personale, di popoli, universale) porta in sé tendenze ad una convergenza in Dio determinante della motivazione fondamentale della vita. Questa relatività a Dio è consustanziale alla natura dell'uomo, costitutiva, decisiva.
La storia però rivela, da quando si conosce la storia e quindi forse dall'inizio, delle divergenze, delle indipendenze, degli assolutismi. Una possibilità, una necessità di incontro, una realtà di scontro. E' la storia di sempre, storia che si è iniziata, è andata avanti sulla linea dell'inizio, perdura, è attualità. A ragione si può avere il timore che così sarà.
Universalità sacerdotale
La creazione è sacerdozio totale e universale se è tutta e unicamente realtà di Dio, cioè Dio l'unico, l'assoluto, tutto.
L'esistenza è quindi sacerdotale nella misura in cui è rivolta a Dio e in Lui converge: cioè in quanto la motivazione del suo esistere è che Dio sia semplicemente ciò che Dio è.
L'universo in quanto obbedienza è cioè fedeltà dì risposta a Dio, è meravigliosa realtà sacerdotale.
Nascita del sacerdozio
Senza una dissacrazione e cioè un disorientamento dalla necessità di convergenza dì tutta la creazione in Dio, come nata da Lui e come realtà che rimane ed è segno di Lui, non avrebbe motivazione un sacerdozio perchè tutto l'universo sarebbe stato sacerdotale.
Dio ha creato una comunione e quindi un'obbedienza al Suo Essere Amore con l'umanità, e attraverso l'umanità con tutto l'universo, chiamando qualcuno (individuo o popolo) attraverso il quale potesse realizzare la comunione unificante: cioè la creazione perfettamente rispondente al suo essere espressione dell'espansività infinita dell'amore di Dio. E quindi convergenza in Dio perchè l'unità sia completa.
Sappiamo che alla fine dei tempi quest'unità sarà compiuta. Dall'inizio alla fine è come tutta una storia di cammino che è il cammino dell'umanità: una umanità impossibile a numerarsi, un racconto impossibile a raccontarsi.
Dall'inizio alla fine in questo camminare a moltitudine indefinibile e a vicenda inimmaginabile, Corre e scorre anche una storia di uomini e di popoli che Dio ha segnato e cioè scelto e destinato ad essere realtà di comunione vivente, coefficiente di unità.
Sacerdozio personale
La necessità del sacerdozio personale (individui e popoli) è sopravvenuta per l'impossibilità del sacerdozio universale, di una sacralità dell'esistenza, cioè di una Verità dell'essere la creazione qualcosa di Dio e cioè Amore del suo Amore.
Il decidersi di Dio a questo sacerdozio personale è come riversare in un istante ciò che tutto il tempo dovrebbe contenere. Cercare in una goccia ciò che l'oceano è o dovrebbe essere. In un gesto tutto quello che è una vita.
In una persona (in un popolo) quello che tutta l'umanità dovrebbe essere. Nella motivazione di una persona la logica chiarissima che spiega l'universo.
La vocazione
E' da questo mistero che nasce dalle esigenze di Dio che si spiega la vocazione. Il chiamare da parte di Dio, il prediligere. Lo scegliere e cioè il riservarsi dove compiere tutto quello che deve essere compiuto e cioè quella sopraffazione che vuol dire semplicemente dove Dio si manifesta e è liberamente e totalmente Dio.
La vocazione vuol dire soltanto che l'iniziativa Dio se l'è conservata gelosamente intatta ed intera. E' il segno visibile, concreto della libertà di Dio e cioè del suo essere l'assoluto.
E' l'indicazione della misura dell'Amore di Dio, della Sua infinita capacità di essere amore universale riversandosi in un Amore che sembrerebbe particolare: andare cioè al di là di ogni limite, rinchiudendosi, realizzare il tutto condizionandosi.
Sacerdozio come rivelazione
La vocazione si manifesta nel rivelarsi di Dio, nel suo farsi anche semplicemente intravedere. E anche se non sembra è come qualcosa che esplode. Nonostante che quello di cui si ha esperienza possa essere minima cosa, come un gesto, un invito, una circostanza qualsiasi, un momento che può essere giudicato senza importanza.
Ma è un Pensiero che dall'eternità è stato pensato e arriva finalmente a manifestarsi: porta una violenza di luce che non può non abbagliare. E' Amore infinito in cerca dove posarsi: dove tocca accende a incendio inestinguibile.
Perchè la vocazione non è una voce, non è un invito, non è qualcosa di esterno che arriva all'orecchio o al cuore o all'anima, la vocazione è Dio che si impossessa, è dichiarazione di proprietà incondizionata, è prendere e portare via, è unire a se stesso. Perchè vocazione è trasformazione, cambiamento di destino. Ciò che era prima dopo non sarà più. E' irreversibile perchè chiamati si nasce. Anche se la rivelazione avverrà chissà quando e la trasformazione chissà quando ancora.
Sacerdozio incarnazione
La vocazione, cioè la chiamata di Dio di una persona o di un popolo (come del resto ogni cosa che è opera e realtà e mistero di Dio) non è mai un fatto personale. Non è motivata dalla persona e tanto meno si esaurisce nella persona. La vocazione è la seconda chiamata di Dio perchè sia vera la prima chiamata: quella dell'universo dal nulla.
Se Dio non chiamasse e vocazione non avvenisse vorrebbe dire che ogni rapporto è finito, ogni comunione è cessata.
Perchè la vocazione comporta nella sua essenzialità una realtà di partecipazione, di incarnazione del chiamato: un far proprio, un fare se stessi non soltanto ciò che è di tutti, ma la stessa ragione ragione di essere di tutti.
L'incarnazione non tanto è un prendersi sulle spalle, entrare dentro e partecipare ciò che non è se stessi, ma ciò che è e sono gli altri; l'incarnazione è diventare l'altro.
Sacerdozio mediazione
Mediazione non tanto come dire un mettere d'accordo un cercare di riunificare, di convincere alla comunione, eccetera; quanto mediazione per un avvenire, un compiersi, un realizzarsi di incontro. In un corpo e in un'anima avviene quello che dovrebbe avvenire nell'universo. In un essere umano quello che è destino d'umanità.
Questa mediazione è il punto d'arrivo, il compimento di tutto un cammino d'amore iniziatosi nel cuore di Dio espresso nel suo chiamare l'eletto a portare il suo Dono per incarnarlo, nasconderlo dentro l'umanità e sollecitarne la risposta in una accoglienza dell'inviato che realizza l'incontro nella misura in cui la realtà del mondo e il mistero della umanità, almeno in lui s'incontrano e si abbracciano con Dio in una unità perfetta.
Sacra scrittura
La storia dell'Antico Testamento è storia sacerdotale. E' racconto meraviglioso di vocazione del popolo eletto - sacerdozio di popolo fino alle incarnazioni più drammatiche, alle missioni più sublimi per una mediazione universale attraverso la quale lo smarrimento religioso dell'umanità si incontrasse col vero Dio - è nella vocazione sacerdotale del popolo eletto che maturano ed emergono così chiare e precisate, sorprendenti e impressionanti le figure del sacerdozio che da Abramo, a Mosé, Samuele, i profeti, chiariscono in modo inequivocabile, il mistero del sacerdozio affidato ad un popolo.
E' sacerdozio unico, indivisibile ma che unicamente si raccoglie in una persona per precisare e realizzare il mistero sacerdotale di un popolo.
Il sacerdozio di Cristo
Il Mistero di Gesù è comprensibile e adorabile a seguito di una percezione esatta e completa del Sacerdozio e nella scoperta di una attuazione perfetta in Lui fino al punto che Lui e Lui soltanto è non solo sacerdote ma il Sacerdozio.
In Lui e attraverso Lui si compie fino alla totalità perfettamente rispondente al Pensiero di Dio e alla essenzialità del mistero dell'umanità, l'incontro, la comunione, l'unità.
In Gesù e attraverso Gesù nell'universo e nella umanità, Dio è perfettamente Dio, l'unico, l'assoluto, principio e fine e quindi l'Amore è l'unica realtà, l'assoluto valore. Non vi è che un solo Dio, l'Amore.
E qui è il Sacerdozio.
Tutto il sacerdozio dell'universo, la vocazione sacerdotale attraverso una elezione di un popolo, la predilezione d'uomini per un riversare in loro e precisare una vocazione sacerdotale che realizzasse nella umanità il rapporto Dio e uomo, uomo e Dio, è tutta una immensa, meravigliosa ma anche impressionante fatica perchè Dio potesse rimanere presente nella umanità e vivente e operante, a compiervi i suoi sogni di Amore.
La pienezza dei tempi è il limite massimo del logorarsi di questa fatica sacerdotale, lo svuotarsi progressivo e il non esistere più di una vocazione che portasse in sé una rivelazione di Dio e una assunzione sacerdotale del mondo: è di qui l'inutilità di una missione e il vuoto pauroso di una mediazione ormai cultualizzatasi in un tempio di pietra, nel sangue di capri e di vitelli, in un sacerdozio istituzionalizzato, che nasce ormai unicamente dagli uomini, e dalle loro motivazioni, inventato dai loro pensieri e interessi di casta, fossilizzato nelle loro tradizioni.
E' in questo vuoto sacerdotale di vero sacerdozio che nasce, si manifesta e si compie pienamente e totalmente il Sacerdozio di Gesù Cristo.
E' da Lui che si inizia, dalla unicità e assolutezza del suo Sacerdozio, la nuova storia sacerdotale del mondo.
Perchè rimane ancora più chiaro, da dopo Gesù, che la storia vera quella che è l'anima di tutta la vicenda umana, è storia sacerdotale. Tante vero che la missione di Cristo è unicamente religiosa, coglie cioè l'uomo e l'esistenza alla sua radice, alla sua sorgente, per determinarla e costruirla in tutta la sua totalità, fino nei più piccoli particolari. Fino alla realizzazione di una creazione nuova, di una esistenza diversa, di un popolo sacerdotale, di una umanità perfettamente rispondente a come è uscita dal Pensiero e dall'Amore di Dio.
Mistero sacerdotale di Cristo
La fede in Gesù Cristo è tutta e unicamente nel riconoscere e ne 11'affermare Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo: è tutta quindi Fede nel Sacerdozio di Gesù Cristo.
Il suo mistero è ciò che avviene nel seno verginale di Maria, che è il seno dell'universo, una donna che aprendosi a Dio, è l'umanità che si apre e si offre. Là vocazione più significativa e piena è quella rivolta a Maria: è Dio che chiama l'universo ad aprirsi e ad offrirsi.
Il consenso di Maria è la risposta che contiene la motivazione dell'esistenza: è l'umanità che Dio ha sognato, disponibile e pronta alla comunione con Lui.
Gesù nasce da questo incontro «personale» di Dio e dell'umanità e porta in se stesso, come unica spiegazione e motivazione di tutto se stesso, il suo essere veramente Figlio di Dio e Figlio dell'uomo.
La missione di Cristo
Tutto in Gesù Cristo è rivolto al Padre, è rivolto all'umanità.
E' in questa realtà di totale partecipazione del Mistero di Dio e dell'uomo che il sacerdozio di Cristo compie la sua missione che è accettazione del Padre Suo e dell'umanità in una convergenza in Lui fino ai limiti estremi della Croce, compimento di ogni motivazione dell'universo. Risposta veramente totale.
E' in questa realtà di completa partecipazione dell'esistenza umana che il sacerdozio di Cristo compie la sua missione di rivelare all'uomo il suo essere figlio di Dio e all'umanità famiglia di fratelli
Perchè la sua missione è che il senso nascosto che spiega l'esistenza sia manifestato e conosciuto e vissuto: che cioè tutto è e dev'essere Amore perchè tutto è Mistero di Dio.
E' in questa visione che il Mistero delle scelte operate e vissute nella storia personale di Gesù e in tutta la sua predicazione (la Parola incarnata esistenziale e' la Parola a viva voce, pronunciata) è possibile capirlo in una realtà unicamente teologica, cioè spiegabile soltanto con Dio che è Padre con ogni uomo che è figlio, con l'umanità famiglia, popolo di fratelli: tutto cioè, Dio e umanità, spiegabile unicamente in una realtà di comunione, in un mistero infinito d'Amore.
Le scelte del Sacerdozio
La povertà e la scelta così assoluta dei poveri, l'obbedienza al Padre e all'umanità, la verginità, l'amore fraterno, la perdita di ogni diritto e l'assunzione di ogni dovere, la disponibilità assoluta a tutto il Mistero dell'uomo e dell'umanità per ritrovarvi e liberarvi i valori costitutivi secondo il Pensiero di Dio, pagando con se stesso il prezzo fino a qualsiasi misura così senza misura come quella della Croce... la scelta di Dio e della sua volontà che è sempre volontà del Padre, come unica ragion d'essere, come motivazione assoluta del suo esistere fino all'estremo del «non la mia ma la tua volontà sia fatta»... tutto è qualificante di sacerdozio, è tutta realtà sacerdotale, fino al punto che il sacerdozio è indicato e realizzato e costituito da tutto ciò che è Gesù Cristo.
E anche la Parola del Sacerdozio non può essere che la Parola di Cristo, perché la sua parola, il suo annuncio, il suo Vangelo è Parola sacerdotale e non vi può essere altra parola che possa essere parola di sacerdozio.
L'unicità, l'esclusività, la totalità del sacerdozio nell'essere Gesù, l'unico ed eterno sacerdote, comporta una meravigliosa semplificazione del sacerdozio, una indicazione perfetta di interiorità e di espressione esterna sacerdotale, di possibilità di una continuità sacerdotale storica ogni volta che almeno qualcosa di Cristo è vivente in una persona.
La continuità del sacerdozio di Cristo
Gesù, l'unico ed eterno sacerdote, ha realizzato e compiuto in se stesso il Sacerdozio: quello universale, quello del popolo eletto, quello personale. Non ha però concluso e chiuso il mistero sacerdotale nato dal Pensiero di Dio e sempre espresso nella vocazione: Dio non ha cessato di chiamare, non ha compiuto il suo rivelarsi, cerca in continuazione possibilità d'incarnazione per mediazioni storiche incessanti d'incontro fra Lui e l'umanità. li Regno di Dio è in una condizione di venuta: «Vieni, Signore Gesù, vieni».
E Gesù nel suo comportamento sacerdotale ne è l'indicazione inequivocabile.
Ha lottato per chiudere un sacerdozio istituzionalizzato, nato dagli uomini e rivolto unicamente a motivazioni terrene, strumentalizzando il fatto religioso.
Ma poi ha ripreso a fare quello che Dio ha cominciato fin dall'inizio dei tempi: ha ripreso a camminare per la strada, a incontrare uomini, a chiamarli dietro a sé, a farli suoi, a farli se stesso, consegnando loro la sua stessa missione di mediazione e di salvezza: «come il Padre ha mandato me così io mando voi».
Questo chiamare in Gesù non può essere per un istituzionalizzare un affidamento di poteri ministeriali, di annuncio di parola, di amministrati vita di Regno di Dio, ma soltanto un chiamare a perdere se stessi per partecipare al destino sacerdotale di Cristo, nella sua interiorità e nella sua storia. E' dopo e a seguito di questo Mistero di compromissione totale col Cristo che avviene logicamente - e come non potrebbe avvenire? - il ministero della Parola (il gridare sui tetti quello che è stato sussurrato negli orecchi) il ministero dell'Eucarestia e dei sacramenti, questo dare Gesù Cristo come dare a chi ha fame e sete ciò che unicamente sfama e disseta.
Il ministero sacerdotale non è costitutivo del sacerdozio, è espressione, è comunicazione, è offerta sacerdotale che non può assolutamente mancare, come l'illuminare quando splende il sole, il riscaldare dove è acceso il fuoco.
E' veramente servizio, cioè assoluta e totale disponibilità a tutto Dio e a tutto l'uomo, realizzato attraverso Gesù Cristo e compromettendo interamente se stesso e totalmente al di là di se stesso.
Il sacerdozio che fa sacerdoti è questa presenza sacerdotale di Cristo, che attraverso lo Spirito Santo investe una persona e le conferisce, le consegna fisicamente il mistero di Cristo in tutta la sua realtà interiore, nelle sue scelte storiche, esistenziali e nella possibilità di offrire tutto il suo Mistero di salvezza e di realizzazione del Popolo di Dio precisato nel ministero dell'Eucarestia, del perdono dei peccati, della Parola.
Dio continua nei secoli questa storia di rapporti d'Amore fra Lui e l'umanità e le Sue iniziative comportano fedeltà assolute.
Quello che Gesù ha compiuto necessariamente ha una continuità: come il suo entrare nella vita e il suo rimanervi oltre la morte con la Resurrezione, come la salvezza che investe ogni uomo che viene nel mondo, come la Sua parola che non passerà anche quando il cielo e la terra passeranno, come l'Eucarestia che continua a fare del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue... così la continuità di un popolo (radunato dai quattro angoli della terra) segnato dalla fede in Lui ad essere luce accesa nel mondo, sale della terra, pugno di lievito, stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato...
Così dal seno di questo popolo, la continuità di un chiamare per nome...: Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea ecc. E a chiedere a qualcuno: mi ami più di questi?... Consegnando loro non l'autorità-dominio, ma l'essere gli ultimi, per un servizio totale, cioè una realtà di Amore, che unicamente possa giustificare la loro vita spiegandola rifacendosi a tutto il mistero di Cristo.
La Pentecoste è la consacrazione di queste continuità, cioè l'inizio meraviglioso di questa comunione (di questa unità) fra gli eletti e il popolo eletto, fra il popolo eletto e l'umanità intera.
E' il primo giorno della Chiesa.
II sacerdozio nella chiesa
E' nel segno vivo, concreto, visibile del Sacerdozio del popolo di Dio che può trovare la sua giustificazione un sacerdozio personale: è la continuità di Dio che chiama quelli che Lui elegge per consegnare loro la presenza storica, attuale, sacramentale del Mistero di Cristo: è questo popolo sacramentale che precisa e attualizza il proprio sacerdozio universale concretizzandolo ne n'offrire dal suo seno canne e sangue e destino di esistenze al Mistero Sacerdotale di Gesù Cristo, unico Sacerdozio.
La Chiesa, popolo di Dio, così chiaramente raffigurata da Maria: lo Spirito Santo che suscita dal suo seno l'umanità per il figlio di Dio. Maria che offre carne e sangue per l'incarnazione del Figlio di Dio.
La Chiesa Apostolica con l'imposizione delle mani, continua questo incontro (comunione e unità) fra Dio e il suo popolo (e quindi con l'intera umanità) consacrando gli eletti da Dio e dal popolo, alla partecipazione del Sacerdozio di Cristo: al destino di appartenenza assoluto e irrevocabile alla Volontà del Padre: al destino di dedizione al popolo di Dio, alla Chiesa, fino ad esserne il segno personale del suo Sacerdozio universale, annunciando la Parola, riunificando senza stanchezze nella comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rinnovando continuamente le scelte di Cristo, rendendo visibile la Sua Resurrezione con una testimonianza di Fede fatta carne e storia e annuncio vivente.
Servizio intero, totale, fino alle misure estreme spiegabili soltanto con Cristo, di sacerdozio personale per la pienezza, l'attualità, la vitalità del Sacerdozio del Popolo di Dio, continuità del Sacerdozio unico ed eterno di Gesù Cristo, riunificazione incessante dell'umanità a Dio, in attesa dell'unità perfetta all'ultimo giorno della storia e al primo giorno del Regno dei Cieli.
La Comunità
La proposta a senso unico (meglio sarebbe chiamarla imposizione) di una figura sacerdotale tipo, offerta da quella macchina sempre più perfetta che è stata il Seminario, continua a condizionare la vita della Chiesa soffocata da schemi di una uniformità spaventosa. Ormai l'idea di un pluralismo di stile di vita sacerdotale è data per scontata, ma in pratica si continua ancora a condizionare l'ordinazione o la vita sacerdotale a canoni ben precisi che lasciano uno spazio di libertà ben angusto.
Nello spazio diocesano il porsi strada di offerte diverse da quelle tradizionalmente proposte, è fatica ancora iniziale, combattuta e spesso schiacciata dai Vescovi e più ancora dall'ottusa e interessata difesa dei valori tradizionali fatta dai preti. Un sistema centralizzato con un proprio apparato burocratico (le distinzioni tra Curia e Consiglio Presbiterale a questo livello si annullano) tende ad eliminare di per sé qualsiasi cosa che comporta un ascolto nuovo, una spinta ad incamminarsi ancora. I sacerdoti di questo sistema sono, come quelli del popolo di Israele, se non corrotti, perlomeno inetti, chiusi nel loro mondo senza vita.
Pure è il nostro stesso mondo dal quale tutti noi sacerdoti siamo usciti: è lo stesso dono che tutti abbiamo ricevuto. E raccogliere questo dono vuole che sia per essere nuovamente e pienamente donato a tutti, anche ai nostri fratelli nel sacerdozio. Offerta di un modo diverso di vivere lo stesso sacerdozio di Cristo, diverso non per contrapporsi, ma per allargare e crescere l'accoglienza di Lui.
Da qui un rapporto che continua, chiaro ed onesto con tutti i sacerdoti e con il Vescovo. L'essere inseriti nel tessuto diocesano per quanto basta ad essere accolti. Mai schiavi di questo fino al punto da rinunziare alla nostra ricerca e accoglienza di Dio, ma accettando fino in fondo il peso di una comunione che spesso significa solo essere dei poveri sfruttati nella Chiesa.
Questo spezza l'uniformità voluta e supinamente accolta, ed anche se è realtà respinta ai margini, è pur sempre ferita che non si rimargina, frattura che impedisce un ricomporsi tranquillo, un assestarsi per sempre.
Il vivere realtà diverse, noi sacerdoti di diversa età e provenienza, e il vivere in comunità, è offerta per una fiducia maggiore nella potenza unificante di una fede seria in Gesù Cristo.
Il sacerdozio nella parrocchia, nella vita di lavoro, nell'accoglienza di tutti, frantuma la figura tipica del sacerdote legata ad una funzione, ad una situazione precisa, confinata in moduli ormai così tanto consumati.
Non nasce di qui una nuova figura di sacerdote. E' una vita sacerdotale proposta ed offerta. Non è risposta alla crisi di identità del sacerdote di oggi, ma ricerca umile e seria di quell'unico sacerdozio che ci riveste. Nasce semmai l'indicazione di un insieme di motivi che rendono sacerdotale un'esistenza.
Condividere la condizione umana dei poveri, cioè di coloro che non godono di privilegi, che non hanno nessuna possibilità di difendersi, che non possono contare altro che sulle proprie braccia, sulla salute che dà Dio, sulla solidarietà e sulla misericordia degli uomini di buona volontà.
Vivere questa condizione unicamente determinati dal Vangelo, dall'annunzio a tutti che Cristo è il Signore. E bisogna veramente che lo sia in noi in misure sempre maggiori fino ad essere configurati a Lui che offre il suo corpo e il suo sangue perché il mondo abbia la vita e gli uomini l'abbiano in abbondanza.
Accogliere, a seguito dell'essere Lui il Signore, ogni realtà umana per orientarla all'unità, alla Sua comunione.
Significare nell'Eucarestia e negli altri sacramenti la Presenza di Dio, il camminare nella Sua luce, il raccogliersi del popolo che Lui si è scelto, l'attesa della Sua venuta.
La misura del nostro credere in questi motivi e viverli è il nostro essere insieme, la comunità, l'essere riuniti da Lui e nel Suo nome. E' il nostro segno più vero, quello forse più difficile, quello che impegna di più la fede di ciascuno di noi. E' misura debolissima eppure già concreta, indicazione tesa forse al compimento dei tempi, dello scomparire del sacerdozio personale, non per sostituzione, ma perché immerso e compiuto nel sacerdozio del popolo di Dio, del corpo di Cristo, del Cristo glorioso che raccoglie in sé ogni creatura perché tutto sia una cosa sola in Dio.
don Luigi
Il fatto di vivere una vita umana, cristiana e sacerdotale in una realtà quotidiana di vita comunitaria - e non in un cammino puramente individuale - è senza dubbio un grandissimo dono di Dio, qualcosa che nasce unicamente dal suo Cuore e esprime visibilmente la Sua Presenza nel tessuto della storia. Questo ci fa capire quanto grande sia la responsabilità e il debito che abbiamo verso i nostri fratelli, perché i doni che scendono dall'alto devono essere nelle nostre mani come pane offerto sulla tavola di tutti.
La nostra famiglia è nata piano piano, formata come ogni autentica famiglia dall'Amore: ma i legami che l'hanno costruita, che la tengono insieme e costituiscono i motivi validi del suo esistere non appartengono «né alla carne, né al sangue, né a volontà di uomo», ma sono purissimo dono dell'Amore di Dio e quindi continua risposta di Fede a questo dono, accoglienza di ciò che nasce dalla forza creatrice dello Spirito di Gesù.
Siamo comunità e famiglia fatta di persone che attraverso un cammino veramente personale Dio ha guidato, costruendo lentamente la sua strada, fino a farcì incontrare e a farci desiderare dal più profondo dell'anima di essere una cosa sola come Lui è una cosa sola: con la violenza della Sua Libertà Dio è entrato nella nostra vita, ha forzato e messo urgenze di scelte radicali, di impegno a pieno cuore con ì valori del Suo Regno, di offerta di tutto il proprio essere alle richieste del Suo Amore vissuto e incarnato dentro il destino umano, nel vivo tessuto della storia degli uomini.
Sappiamo bene che questo è valore unicamente cristiano, è prova chiarissima della Presenza di Gesù, del Suo essere vivente, della Sua Volontà di usare delle nostre vite, fuse in un unico destino per la forza del Suo Amore, «perché il mondo creda che Dio ha tanto amato il mondo fino a dare il Suo Unico Figlio», perché gli uomini scoprano che dentro la dura corteccia della vita corre il Sangue di Dio, ad assicurarne la Resurrezione e la Salvezza.
Questo nostro vivere insieme la vocazione cristiana e la missione sacerdotale procede su una strada che va cercata, accolta e costruita giorno per giorno basandosi unicamente sulla luce che viene dallo Spirito: non ci sono regole a tenerci uniti, né un codice, né interessi personali di nessun genere, né un capo che garantisca la stabilità del cammino. Viviamo senza alcuna autorità, ad eccezione di quella che Gesù ci ha rivelato come costitutiva della vita di tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli: «Uno solo è il vostro Maestro e Signore... Voi siete tutti fratelli... Fra di voi, il primo sia l'ultimo, il più grande come colui che serve...».
Siamo insieme - e lo sforzo e la fatica d'ogni giorno vogliamo che sia sempre più in questa direzione - unicamente perché crediamo che c'è Dio, che Gesù Cristo è vivo, che il Vangelo è la Rivelazione di come Dio ha pensato e sognato la vita umana, che il Regno di Dio e la Sua Giustizia devono essere la nostra prima e radicale preoccupazione, che l'unico comandamento e l'unica legge è l'Amore.
Vogliamo quindi che la vita comunitaria non nasca da saggezze e da prudenze umane, non sia sostenuta e garantita da sicurezze di leggi, di usanze, di buone abitudini, né tanto meno dall'aver delegato ad altri le responsabilità e il rischio del proprio impegno cristiano e sacerdotale: giorno per giorno il cammino deve costruirsi su una fedeltà sempre più totale a Gesù, ai valori del Regno di Dio, alle richieste che ci vengono dalla vita e ci costringono a spalancare il cuore e a stendere le braccia per condividere seriamente la fatica di chiunque cammina sotto il peso di una croce.
Crediamo che l'unica autorità che ha pieni e assoluti diritti sulla nostra vita è quella che viene indicata da Gesù: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro». Egli è davvero dentro la vita, alla radice della nostra scelta cristiana e del nostro sacerdozio, ragione unica di tutto un cammino: Lui solo quindi ci rende capaci di amarci totalmente, senza limiti né paure, e mentre ci dona la gioia di doverci accogliere quotidianamente gli uni gli altri, ci spinge sulla strada, là dove vivono e soffrono i nostri fratelli.
Ed è su questa strada di partecipazione seria alla vita che abbiamo potuto scoprire un'altra dimensione della nostra comunione sacerdotale: la corresponsabilità di ciascuno con tutti gli altri. Siamo convinti di poter essere davvero comunità cristiana nella misura in cui riusciamo a raccogliere nel cuore e nell'anima, nella carne e nel sangue, le esigenze della Parola di Dio e del destino dei nostri fratelli, e a vivere tutto in una comunione di responsabilità, di partecipazione, di compromissione con tutto quello che ciascuno di noi avverte di dover affrontare e tirare avanti. La scelta di uno è scelta di tutti, il rischio di uno è rischio di tutti, così come i doni che uno ha ricevuto sono ricchezze che appartengono a tutti. Stiamo prendendo sempre più coscienza di essere stati riuniti come chicchi di grano presi e messi insieme per fare un pane unico: il nostro impegno è quello di aiutarci gli uni gli altri a lasciarci mangiare e a sparire dentro la vita.
Vivendo disponibili e attenti alle famiglie della parrocchia; tenendo sempre la porta aperta per chiunque bussi e chieda attenzione, accoglienza di una ricerca, di una speranza o di un'angoscia; portando ogni giorno la croce del lavoro, nell'officina, nei campi, in mezzo al popolo dei fratelli operai, in una partecipazione che speriamo sempre più piena e autentica a tutto un destino di fatica, di povertà, di lotte e di sogni senza fine; tirando avanti un impegno di lotta all'interno della Chiesa per la liberazione di tutto un insieme di valori a volte così tanto affogati sotto i residui di una mentalità per niente evangelica; tendendo l'orecchio e il cuore alle innumerevoli voci che giungono da ogni angolo della terra, dove il volto di Dio è sfigurato nei fratelli, vorremmo tanto assomigliare in qualche modo a quella Chiesa - comunità - famiglia di Dio che Gesù ha certamente sognato e per la quale ha chiesto al Padre il dono dell'Unità. Unità che sentiamo bene vuol dire anche comunione totale di responsabilità, un sentirci compromessi radicalmente nelle scelte di ciascuno e di tutti, un vivere il proprio impegno particolare senza separarsi dall'impegno degli altri.
Essere quindi Chiesa viva, dove Dio è vivo e presente perché ci sono degli uomini e delle donne che si lasciano costruire da Lui, che insieme - nel Suo nome - affrontano la vita e le si offrono senza difendersene. Tutto questo ci aiuta a capire che cristianesimo e sacerdozio vuol dire accettare che Dio ci prenda nelle sue mani e ci offra in questa grande eucarestia che è la storia umana.
Tutto questo ci conduce anche alla scoperta progressiva di una complementarità che Dio ha realizzato e continuamente realizza nella nostra vita: accogliendoci gli uni gli altri con tutta la pienezza dell'Amore di cui Egli ci rende capaci, sentendoci personalmente compromessi nelle scelte e nel cammino di ciascuno, c'è un completamento vicendevole che si compie e che ci viene offerto. Un completamento personale, in quanto ciò che io non posso fare, quello che non potrei raccogliere o mi sarebbe impossibile realizzare, Dio me lo comunica e me lo offre attraverso i fratelli e le sorelle con cui sono una cosa sola: è una comunione di beni che ci rende uomini e donne veri, perché ci arricchisce a tutti i livelli in piena rispondenza al pensiero di Dio e quindi senza ritorni egoistici e senza chiusure individuali. Anzi, il sovrabbondare del dono è motivo di spinta per un'offerta di se stessi sempre più senza misure e senza limiti; è stimolo a non tirarci indietro di fronte alle urgenze dell'Amore di Dio, a dire di «sì» a quel «di più» che ci può venire richiesto da Colui che ha voluto chiamarci a vivere continuamente in novità di vita. Un completamento di Chiesa, nel senso che ci sembra sempre più chiaro che solo rischiando insieme tutto per il Regno di Dio, tentando insieme di obbedire alla Volontà del Padre, sia possibile offrire ai nostri fratelli dispersi e frantumati sui mille sentieri della vita l'immagine di quell'unica strada a cui Dio chiama l'Umanità: strada sulla quale è un Popolo unico che deve camminare, un popolo tenuto insieme dall'Amore, in cui le singole persone non sono schiacciate e sopraffatte dalla mano di nessun padrone, né ridotte a massa anonima e schiava di qualsiasi mito, ma dove ciascuno ritrova se stesso perdendosi nell'altro, dove la vita si conserva nella misura in cui la si offre e la si dona, dove l'unico potere è il servizio fraterno e l'unica mano che guida è quella del Padre.
Ci sembra di avvertire - nonostante la fragilità dei nostri passi - che, nella misura in cui accettiamo di vivere insieme il sogno di Dio rivelatoci da Gesù, l'uomo nuovo cresce e sempre più cancella i segni della presenza dell'uomo vecchio. E cresce quindi sempre di più quella realtà di cristianesimo e di sacerdozio le cui misure vanno ricercate nel mistero di Cristo, nella latitudine e profondità del Suo Cuore di Figlio dell'uomo e Figlio di Dio.
don Beppe
La nostra casa, posta nella campagna, scomoda e vecchia ma abbastanza grande per accogliere in amicizia chiunque crede di venire, un giorno è diventata troppo piccola. Piccola perché eravamo a poco a poco cresciuti, e la spinta iniziale a vivere insieme (due uomini e una donna) una serietà di vita cristiana senza pretese, umile, povera, parrocchiale, ma aperta ad accogliere ed ascoltare problemi più vasti di quelli posti dalla parrocchia, era stata raccolta in questi brevi anni da altre persone. E ci siamo trovati in otto, sei preti e due donne.
Ormai eravamo nello stretto specialmente perché si erano allargati degli interessi e la casa, che può così bene esprimere la vita che vi si svolge, non era più segno di un dedicarsi anche al mondo operaio. E così una parte di noi si è allargata nella chiesetta della Darsena, costruita tanti anni fa.
In questi due luoghi scorre la nostra vita: sono spazio, di anni e di luogo, nel quale si offre quotidianità, peso, stanchezza, un andare e un venire, un lavorare e un riposarsi, un accogliere e un soffrire - agli ideali che ci occupano il cuore. Ideali che viviamo attraverso una tale normalità di cose (perché il cristianesimo è normalità assoluta di esistenza, mai eccezionalità) che a volte sembra perfino a noi di averli perduti.
Qui in questa vita cerchiamo di rivivere in modi sacerdotali alcuni rapporti fondamentali dell'esistenza.
Il lavoro a seguito di una visione universale della realtà con tutto ciò che comporta come fatica del vivere, scelta di una classe, diritto e dovere che ne derivano ad una lotta libera e coraggiosa.
E una vita di comunione profonda fra uomini e donne che scelgono di camminare insieme nella verginità, che è visione sacerdotale delle cose, perché credono nella liberazione che Gesù ha portato rendendoci figli di Dio. E questa possibilità di rapporto sereno e nuovo che solo il cristianesimo può attuare, la offrono agli altri.
Ogni uomo e ogni donna e tanto più ogni cristiano ha il dovere di riportare luce e pace (non superficiali, non false ma duramente conquistate e profondamente credute) nel tormentoso problema del rapporto uomo-donna dove, nel corso della storia, si è operata la frattura più profonda forse perché la più intima.
E' stato il sacerdozio di Gesù che ha reso chiaro e semplice il perché dell'esistere dell'uomo e della donna, restituendoli a loro stessi, unificandoli in modo nuovo.
Dopo di Lui noi cristiani siamo chiamati a percorrere le vie del creato per riscoprire in esso il volto di Dio, per riscoprire in ogni realtà, e tanto più in questa, il pensiero del Padre. Che ha consegnato fin dall'inizio dei tempi alla donna un dono semplice e naturale, essere legame fra l'uomo e se stesso, fra l'uomo e gli altri, fra l'uomo e Dio. Questo legame naturalmente sacerdotale che la donna compie accogliendo l'uomo in sé perché egli possa sentirsi completato, possa ritrovare l'origine del suo essere, si possa sentire in rapporto esistenziale, totale, profondo con qualcuno, in quel rapporto che solo l'amore uomo-donna può attuare - viene poi compiuto nel generare all'uomo dei figli, segno e realtà di un uscire da sé per scoprire gli «altri». La donna, naturalmente, istintivamente, tende a proteggere la vita che deve nascere, ad accettare che si stacchi da sé, a nutrirla, a difenderla, ad offrirla all'uomo. Tende (anche senza una esperienza propriamente religiosa) come custode della vita, ad essere attenta ai valori dell'esistenza ad essere nemica del male e della violenza che vorrebbero distruggerla.
Essa dona all'uomo la possibilità - pagata nella sua stessa carne con la sofferenza del generare - di sentirsi simile a Dio perché padre, non padrone degli altri - perché esso stesso è in grado di generare, perché pienezza di vita.
L'uomo, fatto per comunicare, è chiamato alla comunione con gli altri e con le cose, a rapporti molteplici e diversi, a non sopportare il particolare, ad accendere la vita allargando ciò che è limitato per portarvi liberazione e respiro. L'uomo non è naturalmente mediatore, è fatto per l'espansione di sé.
Noi crediamo a tutto questo e sappiamo bene che per viverlo ci vuole una disponibilità profonda, una lunga pazienza, coraggio, e generosità nell'affrontare la vita; per lasciare che essa ci insegni col passare degli anni tutto quello che avevamo solo intravisto, appena intuito, o affatto compreso.
A noi cristiani però, e qui è il senso profondo del nostro sacerdozio, e qui è l'aspetto di quel valore nuovo dell'esistenza che solo Gesù ci ha rivelato, il perché ultimo, il motivo vitale delle cose - è domandato di camminare nell'esistenza annunciando una Realtà diversa, un'altra Vita, una ricchezza nuova: Dio non è solo il motivo e il fine delle cose, ma l'esistenza stessa, fino al punto che non siamo più noi che viviamo, è Dio che vive in noi.
E nello scoprire Dio, il motivo unificante della nostra vita, nel seguire Gesù, colui che ha racchiuso in sé l'intera storia umana - abbiamo scoperto poco a poco che le differenze si sono annullate. Abbiamo trovato quello spazio nuovo dì esistenza che tutte le parole di Gesù indicano, quel luogo che non ha tempo né spazio, ma è più vivo e vero di ogni altra cosa perché vivente nel profondo di noi e posto alla radice di ogni realtà esistente, nel quale la realtà umana e quella di Dio sono unificate, un tutt'uno, e fluisce da questa unione l'esistenza cristiana. Ci si arriva poco a poco, rinunciando a quanto in noi c'è di istintivo, di chiuso, di egoistico, aprendo le mani, lasciando che ciò che abbiamo si allarghi, fino al punto che non è più nostro, non ha più nemmeno la nostra fisionomia. Ci si arriva non accontentandosi di trovare motivi immediati dell'esistenza, quelli che fanno tranquilli, non andando dietro ad inquietudini strane, ma approfondendo quei valori che Dio ci ha consegnato senza dire basta, finché spariscono i particolari, e si imbocca quella via stretta di cui parla Gesù, che è stretta perché vi si cammina da soli avendo perduto lentamente ogni cosa, avendo accettato che tutto di noi si trasformi in Gesù.
E' in questa nuova dimensione che l'umano maschile e l'umano femminile si annullano per una comunione ormai troppo profonda, quale Dio solamente può compiere. Comunione nella quale l'uomo e la donna si offrono l'uno all'altra i singoli doni che Dio aveva loro consegnato allargati però dalle misure che Gesù ha indicato. E' da questo donarsi reciproco che nascono quei valori nuovi di esistenza quali l'offerta, l'accoglienza, la pace, il riposo, la lotta, la comunione, la croce che il cristianesimo ha proposto.
Valori cristiani e perciò valori nei quali vi è tutto Dio e tutto l'umano (maschile e femminile) ma fusi insieme nella proposta di una esistenza nuova.
Abbiamo creduto alla nuova creatura nata dal pensiero di Dio, pagata da Gesù, vi abbiamo dato il cuore e l'anima, vogliamo crederci nonostante tutto, e tante volte abbiamo visto che c'è, esiste, è più vero di noi, è al di là del velo che tanto spesso i nostri occhi pongono alle cose. Non ci rimane ormai che offrirci al mondo, donare quello che abbiamo, e accogliere ogni realtà con attenzione profonda, paterna e materna, per generare in essa la vita che Dio vi ha nascosto.
L'esistenza sacerdotale di uomini e di donne ci ha portato a questo bisogno di comunione, a questa esperienza di unione non trovata percorrendo la via naturale, ma creduta vera in Dio e accettata e ricevuta dall'esistere di Gesù.
Maria Grazia
Riprendiamo il discorso sulla parrocchia nel contesto di questa riflessione sul nostro sacerdozio che accoglie e vive anche questa dimensione. Se il parlare di parrocchia vuol dire per alcuni perdere tempo, ciò è dovuto al fatto che il problema si pone in maniera radicale: la parrocchia è realtà ormai esaurita? Lo è, come tutta una struttura di Chiesa a vari livelli, per nulla vivificata dallo Spirito, capace solo di frenare il corso della storia in un disperato sforzo di sopravvivenza. Una struttura centralizzata, tesa a conservare un'area di potere che le consenta di difendere i propri interessi di fronte al potere civile da cui desume, di conseguenza, tutta una logica di comportamento e di azione. La parrocchia, inserita in questa logica, è l'ultimo anello di una delle tante catene che imprigionano l'uomo e devono quindi essere spezzate.
In effetti la parrocchia non nasce, attualmente, per motivi di fede, per un accogliere sempre più allargato la vita che lo Spirito suscita nel mondo. Nasce per ragioni di efficienza della struttura ecclesiastica che determina immediatamente confini territoriali, istituisce un responsabile nella persona del parroco e gli assicura una base economica. Affida poi al parroco la chiesa, oppure la fa costruire, e presenta questo minimo di struttura allo Stato perché la riconosca ufficialmente.
I frutti rivelano la pianta: i confini territoriali provocano lo spirito campanilistico che distorge il senso di ogni manifestazione della fede. Il parroco, sotto il peso della responsabilità, assume atteggiamenti autoritari e, per giustificare la sua presenza e i soldi che riceve, è costretto ad impostare tutto su ragioni di efficienza: la chiesa piena, le associazioni ben organizzate, le opere parrocchiali compiute. La partecipazione alla liturgia è il criterio di discriminazione tra i credenti e i non credenti, tra i «nostri» e i lontani. La difesa cui lo Stato si impegna è pagata duramente da una situazione piatta e scolorita al punto che la parrocchia (e quindi il parroco) è sinonimo di «ordine» e di «legalità».
Per chi, come noi, si sente e vuole rimanere nella Chiesa, e vi lotta perché il Regno di Dio possa allargarsi, la parrocchia rappresenta un luogo concreto dove si può verificare la distruzione di ciò che nella Chiesa non nasce dal Vangelo ed insieme cercare ed offrire un modo nuovo di essere Chiesa e quindi segno visibile di questo crescere del Regno di Dio nella storia. La parrocchia è la struttura della Chiesa più vicina al popolo, vicina alla realtà della vita per un incontrarsi di umanità alla ricerca di valori comuni.
La nostra parrocchia è nata nel solito modo. Manca solo il riconoscimento giuridico dello Stato, che non dovrebbe tardare, per non avere niente da invidiare alle altre sorelle.
Pure, fin dal primo giorno, gli elementi appartenenti alla pesante struttura giuridica, sono stati scavalcati e perdono significato ogni giorno di più, se già non sono morti e sepolti. I confini territoriali non ci interessano in quanto ogni uomo alla ricerca di Dio deve essere accolto come un fratello. La figura del parroco-autorità scompare nella dimensione di una comunità sacerdotale senza gerarchie o responsabilizzazioni particolari. La dipendenza economica è tolta dal guadagnarsi il pane con le proprie mani, e così tutto un interesse di tipo politico-economico che viveva all'ombra del campanile. Le associazioni sono scomparse per lasciare campo libero ad un dialogo, senza mediazioni, con tutta la famiglia parrocchiale.
Esaurita ogni importanza, ogni ombra di potere nella chiesa ed intorno alla chiesa, è diminuita, fino a scomparire, qualsiasi differenza tra chi è «dentro» e chi è «fuori»; condizione indispensabile questa per un autentico dialogo di fede, là dove questa non è più, in nessun modo, un privilegio.
A queste scelte ci hanno spinti alcuni motivi che sono diventati fondamentali al nostro vivere, insieme ad una scelta che si colloca in modo preciso nella realtà della Chiesa oggi, realtà piena di stimoli, di rischi, di tensioni
In un mondo che vive nella precarietà, proteso alla ricerca di modi nuovi, noi Chiesa dobbiamo essere in cammino, vivere la povertà che impone il non potersi fermare, offrire la fiducia e la speranza che è possibile vivere una ricerca continua, e donare con pienezza e stabilità i valori che si possono dilatare e venire lievitati da Dio e dalla vita.
La stabilità di alcuni valori - dei quali l'uomo di oggi sente la mancanza - non si oppone a questa posizione di continua ricerca. Anzi, solo il credere perdutamente ad alcune realtà giocandoci tutta la vita, dà il diritto e il dovere di essere nuovi ad ogni passo compiuto.
La stabilità di alcuni valori - dei quali l'uomo di oggi sente la mancanza - non si oppone a questa posizione di continua ricerca. Anzi, solo il credere perdutamente ad alcune realtà giocandoci tutta la vita, dà il diritto e il dovere di essere nuovi ad ogni passo compiuto.
Per questo abbiamo scelto di dar vita ad una casa che sia un luogo di incontro e di passaggio, dove la realtà della parrocchia viene accolta come insieme di valori umani che cerchiamo di vivere, ed ai quali comunichiamo i valori che ci guidano nel profondo del cuore. Una casa dove la parrocchia viene superata come parrocchialità per un accogliere e sentire fratello e sorella chiunque accetta di essere in cammino, chiunque vi si trova anche per necessità.
Una casa è l'indicazione di un luogo che si è scelto concretamente, perché chi cerca possa sapere che c'è qual cosa da poter toccare con mano, segno, sia pure imperfetto, di una realtà di incarnazione. Non vi è nessun altro motivo (anche se in pratica arricchito dallo stile di vita di ciascuno) che guida le nostre scelte. Il perché di un atteggiamento, di una pastorale, ancor più di un'esistenza: l'incarnazione. Accettare che il modo di essere di Dio sia semplicemente Essere, ed essere Amore, e perciò nel suo farsi uomo, pienezza d'esistenza, Uomo che è Dio. Noi Chiesa perciò nel mondo siamo questo tessuto di esistenza che si offre a vivere d'Amore e nell'Amore, esistenza umana offerta e ricerca di valori, motivata unicamente da Dio, rivolta a Lui, abbandonata a Lui e da Lui lievitata. Entriamo nel mondo per offrire una Chiesa che non vorrebbe cristallizzarsi, che non vuole fermarsi, né diventare istituzione - che semplicemente vive, e in questa vita è alimentata e sostenuta unicamente dalla fede profonda in Chi ne è l'origine, e dalla speranza ostinata che qualcuno guidi l'andare della storia, cercando con tutti noi stessi di essere attenti alle esigenze sempre nuove dell'umanità in cammino.
Crediamo che l'unica pastorale possibile sia l'esistenza, l'offrire una realtà di vita cristiana che è famiglia perché completezza umana di uomo e di donna che non vivono legati da vincoli di carne e di sangue; che è casa che vive una radicale novità di valori (così vari, così diversi, così sfumati che le fanno perdere qualsiasi fisionomia precisa se non quella di essere terreno di incontro e luogo di incarnazione) per le persone, gli interessi, le situazioni che vi convergono; che decide di offrire non metodi, non mezzi, non liturgie, non soluzioni brillanti, ma unicamente il tempo, la vita, la presenza, la propria fede, il lavoro. Tutto l'esistere perché tutto, non qualche cosa, sia segno di un'altra Realtà. La nostra vita indicazione, anche se povera e in continua ricerca, di alcuni valori cristiani.
Tutto questo ci ha portati a lasciare morire ciò che nel discorso parrocchia era il peso di una situazione storica o la mentalità esageratamente materna del buon parroco che si reca ovunque. Non vi è per noi distinzione o separazione ma continuità di valori che si arricchiscono reciprocamente fra la parrocchia, la casa, la ricerca di chi ci cammina accanto, o di chi si è appena conosciuto, e il cammino faticoso della Chiesa. In questa prospettiva il nostro vivere diventa il punto d'incontro fra queste realtà che in noi si possono riconoscere essenzialmente simili, forse anche perché non ci trovano fermi ma coinvolti nel loro stesso cammino.
Evidentemente in questo tipo di pastorale non vi è posto per una ricerca dei risultati a parte il dovere di comunicare alla nostra gente i valori che viviamo fra di loro, di sbriciolarli per meglio offrirli, di seminare continuamente.
Perché ciò che ci è richiesto è questo seminare il seme buono che Dio ci ha affidato, senza stancarci, senza guardare a quanto nasce, senza preoccuparci dell'erba cattiva. La nostra esperienza come qualsiasi proposta cristiana non può certo venire vagliata da quanto la gente percepisce il nostro messaggio, o peggio ancora da quanto è disposta a viverlo. Il cristianesimo è sempre e solamente offerta e comunicazione di valori, atto di fede in Dio che saprà farli maturare forse nel segreto delle anime.
Abbiamo invece il dovere profondo di verificarci continuamente con i problemi più ampi del mondo, con le tensioni che lo scuotono e lo vivificano, con l'interrogativo che è alla base delle sue posizioni anche più assurde, con la domanda inespressa che dobbiamo sapere raccogliere perché la nostra vita sia risposta alle sue esigenze, rinnovata proposta di quei valori umani e cristiani che si stanno perdendo; offerta alla Chiesa che in questa fatica di novità alla quale non è abituata, sembra disorientarsi.
Offriamo la nostra soluzione al problema della parrocchia: una comunità sacerdotale che è viva perché si offre come aiuto, come motivo di ispirazione a chi cerca, a chi soffre, a chi lavora, a chi ha una famiglia, alle donne, agli uomini, alle comunità religiose, alle parrocchie. Ispirazione che non si concretizza in metodi per non chiudersi e diventare un fatto esteriore, che si rifiuta di «fare parrocchia» ma accetta di essere povertà di esistenza, senza nemmeno il diritto ad un volto preciso per poter accogliere una pluralità di esistenze.
Luigi e Maria Grazia
(riflessioni di due preti che sono operai)
NON ESISTE UNA «VITA DA PRETE»
Il Concilio aveva già detto che la vita del prete deve scaturire dalla fedeltà intelligente alla sua missione: «vivere in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli. Così infatti si comportò Gesù Nostro Signore, Figlio di Dio, Uomo inviato dal Padre agli uomini, il quale dimorò presso di noi e volle in ogni cosa essere uguale ai suoi fratelli, eccetto che per il peccato». (P.O.3)
Di più sulla «vita» del prete non si può aggiungere. E' ridicolo schematizzare la «vita cristiana» e la «vita sacerdotale» perché la fede e il sacerdozio sono quanto di più sconvolgente si possa immaginare: un vino che nessuna botte può contenere, perché sempre nel bicchiere per essere bevuto.
C'è il solo esempio della vita di Cristo (seguita dagli Apostoli) ma allora:
- addio la mia bella vita da prete, segnata dal suono delle campane;
- addio al vivere all'ombra dell'altare,
- addio al lavoro pastorale nelle scuole di Stato o nell'esercito di Stato, per insegnare la religione dello Stato...
Che cosa rimane? Come deve vivere il prete?
Gesù Cristo me lo dice se è vivo e se vive in me e nel suo Popolo. E se Lui non me lo avesse detto e non mi dicesse più nulla non andrei certo a chiederlo ai decreti conciliari.
Solo la fedeltà alla propria missione sacerdotale è la legge per la vita del prete. Quella sacerdotale non è un'attività occasionale aggiunta alle altre occupazioni. (Gesù Cristo non faceva il prete dopo il lavoro) semplicemente perché non è un'attività specifica, diversa dalle altre, che consisterebbe, grosso modo, in questo: vivere da prete: predicare, celebrare, assistere i malati, amministrare i sacramenti, ricavando un utile sostentamento.
Non è questo il lavoro del prete semplicemente perché non c'è un lavoro da prete, né una vita da prete.
Questa è la nostra convinzione numero uno.
GESÙ CRISTO HA FATTO LA VITA DA POVERO
Ecco il nostro Maestro, l'unico: Gesù Cristo. Si sta con Lui, si guarda la sua vita e il suo insegnamento. Si chiede allo Spirito che ci ricordi e ci spieghi le sue parole e si chiude il libro del Concilio e i documenti sul sacerdozio, (quest'ultimo in particolare, composto in modo anonimo da gente che non si sente «sacerdote» ma solo «gerarchia».)
E Gesù Cristo è stato nella sua vita, dalla culla all'officina, alla croce, un povero: la sua casa, la vita di lavoro, e i problemi di chi lavora, cioè di chi è povero.
La realtà degli uomini è stata da lui vissuta senza riserve: in tutto simile agli uomini.
Non c'è ombra in lui di sdoppiamento: non povertà di spirito, non castità di spirito, non obbedienza di spirito: ma vero povero nella povertà, nella castità, nell'obbedienza e nella lotta: tutto pagato fino in fondo col suo corpo e il suo sangue.
Ecco allora la nostra risposta franca a chi ci domanda come va il nostro esperimento nel mondo del lavoro. Gli esperimenti li fanno i ricchi sulla pelle dei poveri. Noi siamo consapevoli che la scelta della povertà è una componente necessaria nella vita di chiunque vuol seguire Gesù.
E la povertà più comune (quella della stragrande maggioranza degli uomini) è quella di chi giunto alla sera della giornata e della vita può prendere un pezzo di pane nelle mani e un bicchiere di vino e dire:: questo è il mio corpo e il mio sangue. Gesù lo ha detto davanti a pescatori e non ne ha provato vergogna e nessuno allora come oggi, può fargli rimangiare le sue parole.
Noi abbiamo la certezza e la gridiamo al mondo che per ridire in verità (senza magia o superstizione) le parole di Gesù (cioè il suo Vangelo}, dobbiamo prima scegliere di vivere come Lui.
PER ESSERE SACERDOTE FRA GLI UOMINI
Sacerdozio è scelta di classe: la classe dei poveri. E il modo normale di essere povero è di vivere col lavoro delle proprie mani (i malati hanno già la loro croce non da «preti» o come quei privilegiati che vivono sul lavoro degli altri, ma come la grande classe degli oppressi e degli sfruttati.
La loro vita porta i segni della vita di Cristo, la fatica, la lotta, la morte, lo sfruttamento, il vuoto di cultura, la mancanza di potere...: è la vita degli ultimi. Il Vangelo parla per loro e di loro. Gesù li ha messi come misura, termine di confronto per chi vuol seguirlo. Tutto quindi si capovolge.
Non è una scelta di classe gretta, piena di rancore e odio, chiusa al progresso e al benessere: ad esempio: diventare tutti poveri, per fare un mondo di disgraziati; o lottare contro i ricchi, per capovolgere la frittata.
No! Però segnare tutti il passo e mettere tutto al servizio di tutti. La cultura da parte di chi studia, i mezzi di produzione per ohi li possiede (perché non son suoi), il potere politico per chi lo esercita (perché sia un servizio e non abuso), la religione come offerta da parte di chi vive la speranza di una vita che vale e che dura al di là delle apparenze (che non sia, però, oppio che addormenta, ma fiducia a vivere e lottare).
Essere nella classe dei poveri come sacerdoti significa: condividere e alimentare la fame e sete di giustizia e di pace, .raccogliere questa vita, come ha fatto Gesù, offrirla come beatitudine e segno di salvezza per tutti, facendola poi divenire di nuovo la carne e il sangue di Gesù.
Così si prende coscienza insieme e si rivela a tutti che il popolo dei poveri, di ogni razza, lingua e religione, è l'unico che ha conservato la fame e la sete di giustizia, il pianto di chi è oppresso, la misericordia di chi sfama anche i suoi affamatori, la pace di chi subisce la violenza dei potenti.
Qui affonda le sue radici il Popolo di Dio.
Giuseppe Pratesi e Mario Facchini
L'essere sacerdote vuol dire semplicemente una cosa: una persona (povera quanto si vuole) cosciente (e la misura di questa coscienza ha un'importanza decisiva) cosciente di essere coinvolta nei rapporti fra Dio e l'umanità.
Dio ha riversato nel sacerdote tutto quello che Dio è e vuole essere nei confronti di ogni essere umano, dell'umanità intera, di tutto l'universo.
E' assai facile dire e anche dimostrare che Dio non esiste: è semplicemente assurdo affermare che Dio esiste, ma che non cerca d'essere Dio o che non è capace di essere Dio. E Dio è Dio nella misura di quanto è tutto, Lui solo, l'unico l'assoluto.
Di quanto tutto è relativo a Lui, convergenza totale, senza nessuna possibilità dì emarginazione di Lui, assolutamente di niente.
E' Dio in proporzione a quanto dove Lui sceglie e decide di essere presente, occupa fin la ragione di esistere, fin tutta la realtà dell'essere.
Che poi sopporti che tutto questo non avvenga e sia capace di attese senza fine, questo, per così dire, sono affari suoi e cioè sono motivi e modi di Amore, che non possono sorprendere affatto che siano infiniti e quindi anche incomprensibili (anche se adorabili) perchè sono di Dio.
Tutto questo Mistero di Dio, già chiaro nella storia, è diventato chiarissimo in Gesù Cristo.
Tanto più che in Gesù Cristo il suo essere Dio che si fa uomo (e umanità) si precisa in una storia personale estremamente evidente (nonostante tutte le prediche, spiritualità, libri intorno al Vangelo) e in un annuncio di dottrina chiara e semplice (complicata unicamente dalle innumerevoli spiegazioni che pare che abbiano lo scopo d'impedirne la chiara, immediata comprensione).
Il sacerdote è (o dovrebbe essere) l'uomo che Dio ha scelto e chiamato per essere costruito a immagine e somiglianza di Gesù Cristo.
Anche il cristiano, d'accordo. Ma nella vocazione cristiana il sacerdote ha una sua qualificazione personale nella esclusività assoluta di ogni altra giustificazione a essere al mondo.
Quando si nasce sacerdoti (dal seno di nostra madre e poi dal seno della Chiesa, perchè è dall'eternità del Pensiero di Dio che si è nati così) si nasce a Betlem. E necessariamente di dovrebbe morire sulla Croce. La Resurrezione è negli altri che prendono il posto in una continuità incessante e meravigliosa di vita sacerdotale.
Il sacerdote pur essendo l'uomo dell'umanità non è l'uomo della storia degli uomini, perchè deve essere l'uomo della storia del Vangelo.
La sua personalità non viene su da una cultura da una civiltà, è costituita da Dio, da una Fede totale in Lui, da una scelta tenace, fino all'irrevocabile, di Lui.
Non può essere costruita la sua personalità dalle condizioni storiche, di civiltà, di vicende temporali, di progressi o regressi umani, nasce da un aggancio fatto d'accoglienza e di dedizione, all'umanità, così come è in se stessa, nelle motivazioni essenziali della sua esistenza.
L'ecclesiasticismo è la storicizzazione del sacerdozio fino a ridurlo alle sistemazioni secondo la storia, che non possono poi non precisarsi nella ricerca di privilegi, nelle deviazioni clericali, nei temporalismi della Chiesa.
E' venuto fuori il prete che giustificatamente oggi non si sa cosa sia e che cosa rappresenti e cosa ci stia a fare.
E' il frutto di una storia lunga secoli e secoli di confusionismo religioso e terreno, di soprannaturalità e di temporalismo, di cultura fittizia e artificiosa giustificata da evangelizzazioni predicatorie, di forma esistenziali assurde fatte da angelismi strani e da privilegi molto concreti, da appartenenze al cielo e da radici molto ben affondate sulla terra, da apparenze di amore e da disumanità molto spietate...
Il Vangelo e Gesù Cristo sono rimasti sui pulpiti e sull'altare delle liturgie Eucaristiche. Sui libri e nelle biblioteche e nelle mura di Chiesa e di Cattedrali. Nella devozione e nelle celebrazioni cultuali.
E cioè è venuta fuori una religione con i ministri di questa religione.
Bisognava ricordarsi semplicemente che questa religione (perchè religione è) era il Cristianesimo e cioè Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, da adorare e amare come Dio per seguirlo e modellarsi su di Lui come vero Uomo. E cioè capace di fare veri adoratori del Padre, e degli uomini veri figli di Dio, fratelli fra loro.
E questo Gesù Cristo, non insegnarlo soltanto e in modo tanto dottrinoso, ma viverlo. E viverlo non per che dei santi (che cosa assurda questa storia dei santi) ma perchè dei cristiani.
Dedicato, consacrato, destinato perchè tutto questo fatto esistenziale in qualcuno sia ragione di vita, impegno assoluto, spiegazione unica d'esistenza, è il sacerdote.
E' necessariamente una vita pazza. Di per sé assurda. In sé stessa non può e non deve avere senso, né valore. Nessuna importanza e nemmeno rispetto. Una vita perduta. Buttata via. Irrecuperabile fino al punto che ogni e qualsiasi motivazione che comporti un apprezzamento terreno, temporalistico, è scadimento di autenticità e inizio di compromesso, quindi dissacrazione.
Il sacerdote che non ha coscienza di essere l'uomo veramente libero, di libertà assoluta perchè non condizionata assolutamente da niente e nemmeno da nessuna possibilità di condizionamento ragionevole, comprensibile, ecc. non è sacerdote: non gli appartiene il Mistero di Cristo perchè non l'ha costruito il Vangelo ad essere l'uomo di Dio. Non può annunciare la Parola di Cristo perchè sicuramente non l'annuncerà tutta intera quella Parola. E non vi metterà di contro la sua vita. Perchè l'uomo di Dio è l'uomo della lotta: della lotta vera, quella che sta alla radice dello uomo e dell'umanità. La difesa dell'uomo è il suo più vero ministero. La fraternità umana è la sua più autentica missione. Che ogni uomo è ugualmente Figlio di Dio é il suo annuncio. Che Dio è l'unico tutto e è finalità di tutta l'esistenza, è la sua più profonda e misteriosa testimonianza nella quale gioca la propria vita.
E' il primo lungo la strada, è sull'alto della barricata, perchè la sua motivazione più vera è morire ogni giorno: come ogni giorno nelle sue mani è la morte e la Resurrezione di Cristo e nella sua vita la morte e la Resurrezione del popolo di Dio.
Il pastore che dà la vita sono le parole e il Mistero che lo consacrano.
La sua risposta affermativa alla domanda: mi ami più di questi, segna il suo destino.
Il suo essere pietra angolare dà la misura della sua responsabilità.
Quest'uomo nel quale confluisce liberamente tutto Dio e tutta l'umanità.
Per il quale il padre, la madre, la moglie, i figli, fratelli e sorelle e il pezzo di terra, hanno lasciato il posto interamente occupato, fino all'estremo, da Gesù Cristo.
Sacerdote, uomo di Dio e di tutti. Un qualcosa di Cristo, visibile, tangibile, dalle piaghe aperte nelle mani e nei piedi e nel cuore. E non un fantasma.
Ripenso a tutta l'educazione ricevuta in Seminario per diventare sacerdote, e me ne viene uno sconforto terribile.
Considero la gerarchia ecclesiastica con tutte quelle sistemazioni giuridiche, liturgiche, amministrative e me ne viene una disperazione.
Penso all'imborghesimento così progressivo del clero che arriverà certamente alle misure di professionismo ecclesiastico, stipendiato, assicurato, ««uxorato» (come dicono quelli che parlano del matrimonio dei preti, con la bocca sciacquata, come dicevano «altro sesso» invece che donna, una volta) e non è possibile che uno sconcertante smarrimento.
Tanto più che quest'imborghesimento ecclesiastico porterà sicuramente ad un potenziamento del professionismo del clero, ad un rafforzamento temporalistico della gerarchia, ad una sparizione del sacerdote, ma non del prete.
E' una infinita tristezza constatare che sia la conservazione che la contestazione alla fine concludono la continuità, tranquilla, pacioccona, bene amministrata e ottimamente sistemata, della mediocrità sbiadita, scolorita scipita di una popolazione sempre più ingiustificabile come quella del clero.
Finché non avverrà che di nuovo Dio si costruirà i suoi eletti, magari dalle pietre, e gli uomini ritorneranno a ricercare preti che siano sacerdoti, perchè la loro fame e sete di liberazione susciterà in loro il bisogno di profeti. Di uomini di Dio.
don Sirio
Teilhard ha pronunciato i voti solenni nella compagnia di Gesù il 26 Maggio 1918 in una breve parentesi del servizio militare e del suo lavoro di porta-feriti in prima linea durante la guerra. Era sacerdote da sette anni. La vita del fronte, la meditazione dell'uomo preso nella tormenta della violenza, della distruzione e della morte, erano state la sua preparazione a quel momento e a quell'impegno.
«Sto per fare voto di povertà: non ho mai capito così bene come ora fino a qual punto il denaro possa essere un mezzo potente per il servizio e la glorificazione di Dio. Sto per fare voto di castità: non ho mai capito così bene come ora fino a qual punto l'uomo e la donna possano completarsi l'un l'altro per elevarsi a Dio. Sto per fare voto di obbedienza: non ho mai capito così bene come ora fino a qual punto Dio renda liberi al suo servizio».
Come prete sogna di vedere estratto da tante ricchezze inutilizzate o pervertite tutto il dinamismo che racchiudono in sé. Vuole essere il primo a cercare, a simpatizzare, a faticare; il primo a schiudersi e a sacrificarsi, più ampiamente umano e più nobilmente terrestre di nessun'altro servitore del mondo. «Voglio da un lato immergermi nelle cose e, mischiandomi ad esse, sprigionarne attraverso il possesso fino all'ultima particella di ciò che esse contengono di vita eterna, affinché nulla si perda.
E voglio nello stesso tempo con la pratica dea consigli evangelici ricuperare nella rinunzia tutto ciò che racchiude di fiamma celeste, la triplice concupiscenza, santificare nella castità, nella povertà, nell'obbedienza la potenza contenuta nell'amore, nell'oro e nell'indipendenza». La gioia e la forza di questo prete è di aver rivestito i suoi voti e il suo sacerdozio di uno spirito di accettazione e di divinizzazione delle potenze della terra.
SALVEZZA UNIVERSALE
Secondo Teilhard ogni prete, perchè prete, ha dedicato la propria vita ad un'opera di salvezza universale, se è cosciente della propria vocazione, non deve più vivere per sé, ma il mondo, secondo l'esempio di Colui che il prete è stato consacrato a rappresentare. Anima vera del mondo vuole affermare a coloro che incanta la nobiltà dello sforzo umano in nome di Cristo, che il lavoro degli uomini è sacro, sacro nella volontà che l'uomo sottopone a Dio, e sacro nella grande opera che egli elabora nel corso dei suoi infiniti brancolamenti: la liberazione naturale e soprannaturale dello spirito. «A coloro che sono vili, timidi, puerili o angusti nella loro religione voglio ricordare che lo sviluppo umano è richiesto dal Cristo per il suo corpo, e che c'è, nei confronti del mondo e della verità un dovere assoluto della ricerca».
Questo dovere assoluto della ricerca è in sostanza per lui una ricerca continua, nella realtà visibile della creazione, della Parola che vi si è incarnata, del figlio di Dio diventato figlio dell'uomo, del regno di Dio che è già in mezzo a noi e che tuttavia deve essere pazientemente cercato e realizzato.
Teilhard più va avanti nella vita e più sente che il vero riposo consiste nel rinunciare a se stessi, cioè nell'ammettere risolutamente che non ha nessuna importanza essere felici o infelici. Riuscita o soddisfazione personale non meritano che ci si fermi in esse, se si hanno: né che ci si disturbi se fuggono o mancano. Vale solo l'azione fedele per il mondo, in Dio. La grande gioia nella vita di quest'uomo di Dio fu di essere caduto come una scintilla su di un roveto. «Che il nostro essere sia teso e tutto ardente verso ciò che è lo spirito in tutto, e questo spirito si sprigionerà sotto il nostro sforzo oscuro e anonimo». La fiducia tenace che deve dominare e come coprire le forze che sentiamo in noi, anche se destinate all'oscurità o ad una cerchia ristretta, sta nell'essere coscienti che sono nate in noi e che portano a Dio l'omaggio del mondo. Non si preoccupa questo prete del risultato, ma piuttosto della fedeltà continua nello sforzo anche oscuro e anonimo per rendere attorno a sé il mondo meno duro e più umano.
PIENAMENTE UMANO
Teilhard non vede, per la sua vita di uomo di Dio, se non una sola via di uscita: andare sempre avanti, credendo sempre di più. «Che il Signore mi mantenga solamente il gusto appassionato del mondo, una grande dolcezza, e mi aiuti ad essere fino in fondo pienamente umano». Un prete non pienamente umano non è un prete. Ed essere pienamente umano comporta patire la sofferenza, l'agonia, la fatica e la solitudine degli uomini, il mordente del male nella storia e nella natura, dal quale il Cristo, primizia del sacerdote, è venuto a liberarci: «Il mondo, in certi giorni, ci appare come una cosa spaventosa: immensa cieca e brutale. Ci sballotta, ci trascina, ci uccide, senza fare attenzione. Eroicamente, si può ben dirlo, l'uomo è pervenuto a creare, fra le grandi acque fredde e nere, una zona abitabile in cui pressappoco è chiaro e fa caldo e dove gli esseri hanno un viso da guardare, delle mani per addolcire, un cuore per amare. Ma quanto questa dimora è precaria! Ad ogni istante da tutte le fessure, la grande cosa orribile irrompe, quella di cui ci sforziamo a dimenticare che è sempre lì, separata da noi da un semplice tramezzo: fuoco, peste, tempesta, terremoto, in ogni scatenamento di forze morali oscure, che travolgono in ogni istante, senza riguardi, ciò che avevamo penosamente costruito e amato con tutta la nostra intelligenza e il nostro cuore. Mio Dio, poiché mi è proibito dalla mia dignità di uomo, di chiudere gli occhi in tutto questo, come una bestia o come un bambino, affinché io non soccomba alla tentazione di maledire l'universo e Colui che lo ha fatto, fai tu che io lo adori vedendoti nascosto in lui. La grande parola liberatrice, la parola che al tempo stesso rivela ed opera, ripetila, Signore: questo è il mio corpo».
E' la certezza che anche dietro il volto della distruzione e della morte è la mano creatrice di Dio ad animare la convinzione di questo prete che vede come operino senza stanchezze le realtà dell'annuncio evangelico, anche nel fragore delle catastrofi. «Tutto ciò che ci spaventa nella nostra vita, tutto ciò che ha costernato anche te nel giardino, non sono in fondo se non le specie o apparenze, la materia di uno stesso sacramento». Noi dobbiamo credere e creder tanto più forte e più disperatamente quanto più la realtà apparisce minacciosa e irriducibile. La fede è la sostanza delle cose: il grande tesoro umano e divino della Chiesa. Per partecipare di questa sostanza e per comunicarla a tutti gli uomini Teilhard si è fatto sacerdote rispondendo alla vocazione di uomo che segue il comandamento di Dio, scrutando e cercando nelle viscere della terra la carne palpitante della creazione. Sarà lui a dire un giorno: «se la Chiesa cade tutto è perduto». Questa chiesa dove trova dei consensi alla sua visione dell'universo e della vita dell'uomo, ma dove trova anche delle incomprensioni, dei sospetti, dei rifiuti, delle condanne sottaciute.
Continua a lottare senza amarezza e con immensa fiducia, «dal di dentro» sicuro che niente gli può impedire di amare e di adorare al massimo. Conserva facilmente la pace e vi trova la gioia: la gioia dell'uomo che sa di collaborare ad un lavoro comune, che porterà gli uomini al di là delle sofferenze che fanno sudare sangue nel giardino; al di là, in un mondo in cui gli uomini avranno veramente inteso che la creazione è opera e dono di Dio all'uomo, nelle sue apparenze visibili e nella sua realtà più segreta.
AMORE: CUORE DELLA MATERIA
L'amore è l'energia fondamentale della vita. Senza amore sta davanti agli uomini lo spettro del livellamento e dell'asservimento, il destino della termite o della formica. L'amore per Teilhard non è un non so che di aggiunto, un tremore misterioso e piacevole soprattutto ai primi passi, che ci sia dato per stabilire un rapporto sentimentale e di sensibilità con i fratelli o un rapporto pseudomistico con Dio, ma è il segreto vivificatore e vivificante di tutto l'uomo, anche nella carne e nel sangue, il cuore della materia. L'Amore per Iddio non viene a sovrapporsi o a contrapporsi allo slancio naturale verso gli altri che l'uomo porta dentro di sé, bensì è presente e operante nell'uomo che nasce alla vita, e purifica l'uomo, lo matura, lo colma a cominciare da quell'aspetto dell'unico amore che è il rapporto tra 1 uomo e la donna. L'uomo e la donna saranno più uniti a Dio quanto più si ameranno l'uno l'altro e si vedranno portati ad amarsi di più nella misura di quanto più apparterranno a Dio. «Sotto la pressione di questa nuova esigenza, la funzione essenzialmente personalizzante dell'amore si distaccherà più o meno completamente da ciò che ha dovuto essere per un certo tempo l'organo della propagazione, la carne. Senza cessare di essere fisico, per rimanere fisico, l'amore si farà più spirituale».
In questa prospettiva anche l'amicizia viene a rivelarsi con il suo volto più vero, questa comunione in una ricerca insieme che ci attira fuori di noi, oltre noi stessi. Gesù ha chiamato amici i suoi all'ultima cena, quando era per lasciare fisicamente, e l'amicizia si sarebbe realizzata nel compito comune. E se è vero che «non è bene che l'uomo sia solo» come ci ha confidato Dio nel Genesi non è tanto per ovviare alla malinconia dell'uomo, quanto perchè l'uomo ha bisogno dell'altro per andare incontro alla creazione e a Dio stesso. «Le grandi amicizie si stringono nel perseguimento di un ideale, nella difesa di una causa, nelle perizie della ricerca. Si sviluppano molto meno per la penetrazione di uno nell'altro che per un progresso a due in un mondo nuovo. L'Amore passione, anche spirituale, è per natura sua esclusivo o almeno molto limitato nel numero degli esseri che avvicina: è fondato sulla dualità. L'amicizia per struttura rimane aperta ad una crescente molteplicità».
Era lui Teilhard a scrivere alla cugina, dal fronte, piegato nel ridotto della trincea «tieni a mente che quel giorno alla mia messa mi ricorderò di te con molto affetto e una grandissima speranza che la nostra amicizia attuale non sia che un principio, comparata a tutto quanto ancora deve uscirne di buono e di forte per noi e per molti altri in Dio». Trovandosi vivo alla fine di una guerra che aveva fatto tante vittime «se qualche cosa mi fa apprezzare la vita salva che Dio mi ha lasciato alla fine di questi quattro anni, è proprio (con la speranza di lavorare per Lui) la dolcezza di una amicizia come la tua».
IL DONO DI DIO
I trenta anni silenziosi di Gesù a Nazaret sono espressi con tanta semplicità nelle parole evangeliche "Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia presso Dio e gli uomini". E' un dovere propriamente cristiano quello di crescere anche dinnanzi agli uomini, e far fruttare i propri talenti anche naturali. Crescere nella sapienza e nell'operosità, far fruttare i talenti, è partecipare al rigoglio di vita che continua ad animare e a sollecitare la creazione, riconoscere il dono della vita e della creazione in noi stessi e in ogni creatura. Questo dono di Dio che è la vita stessa nella sua pienezza e lievita senza soste la vita del singolo e della comunità e di tutta la creazione, continua Teilhard: « è una prospettiva essenzialmente cattolica quella di considerare il mondo come una potenza che va maturando, non soltanto in ogni individuo o in ogni nazione, ma nella totalità stessa del genere umano, una potenza specifica per conoscere e per amare, il cui termine trasfigurando è la carità. ma le cui radici e la cui linfa elementari sono la scoperta e la predilezione di tutto quanto è vero e bello nella creazione".
La sanità per una creatura è aderire a Dio al massimo delle sue potenze «e cos'è aderire a Dio al massimo se non adempiere nel mondo organizzato attorno al Cristo, la funzione esatta, umile e eminente alla quale per natura e soprannatura essa è destinata»?
In Gesù Cristo non c'è insensibilità. Egli è la pienezza dell'umano. Perciò il vicino, il prossimo, non gli diventa abitudine; e quanto alla vastità della creazione egli ha chiara coscienza ed esperienza della propria realtà umana che si prolunga in lei e attraverso lei perviene alla realtà del Padre. Così ogni uomo, lungo la sua vita presente non deve soltanto dimostrarsi obbediente, docile, con le sue fedeltà deve costruire, cominciando dalla azione più naturale di se stesso, un'opera in cui entri qualche cosa di tutti gli elementi della terra. Ritmo di esistenza in cui azione e contemplazione siano gli aspetti di una stessa Fede, di una stessa speranza, di uno stesso Amore.
E' nella partecipazione al lavoro di Dio che si realizza la comunione di lavoro tra gli uomini e la liberazione del lavoro stesso dell'uomo dalle varie alienazioni prodotte dall'individualismo e dal disamore, l'oppressione, lo sfruttamento, l'abiezione, l'ingiustizia, l'abbrutimento, l'arrivismo, la dittatura. E nell'azione che partecipa all'opera incessante di Dio che il mio cuore cresce e che si realizzano per gradi impercettibili l'immagine e la somiglianza.
La visione cristiana dell'uomo e della vita non tendono dunque a rimpiccolire e ad avvilire l'uomo, ma liberarlo piuttosto ponendolo di fronte alla realtà della sua compiutezza: «in nome della nostra fede abbiamo il diritto e il dovere di appassionarci delle cose della terra. Come voi (si rivolgeva ai non credenti) e anche più di voi io voglio votarmi, corpo e anima al volere sacro della ricerca. Saggiamo tutti i muri. Tentiamo tutte le strade. Scrutiamo tutti gli abissi».
Anzi è Dio stesso, presente senza vuoti di tempo e di spazio nella creazione sensibile, a sollecitale la nostra passione per la ricerca. E' Teilhard stesso a riproporci il discorso di Paolo all'Aeropago: «Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che vi si trova, il Signore del cielo e della terra, non abita in templi fatti dalla mano dell'uomo. Se da un principio unico egli ha fatto tutto il genere umano perchè abiti su tutta la faccia della terra; se ha fissato dei tempi determinati e dei limiti alle dimore degli uomini, è perchè essi cerchino la divinità per raggiungerla, sia pure andando a tastoni. E non è che Egli sia lontano da ciascuno di noi, giacché in lui abbiamo la vita, il movimento e l'essere». (Atti 17-28ss).
Commenta Teilhard «Egli ci avvolge dappertutto e così il mondo stesso. Che vi manca dunque, perchè possiate stringerlo? Una cosa sola: vederlo». Vederlo. Alla fine della sua vita chiarirà che cosa sia stato per lui vedere Dio.
«Il mondo, lungo tutta la mia vita, si è acceso a poco a poco, infiammato ai miei occhi fino a diventare, attorno a me, interamente luminoso dal di dentro».
Così vide ed amò Teilhard uomo e sacerdote di Cristo.
Don Rolando ("Teilhard de Chardin", Kati Canevaro)
Facciamo nostra la parola di Langston Hughes, il poeta nero di Harlem:
Sì,
lo dico molto chiaramente,
per me l'America non è mai
stata l'America,
e pertanto faccio questo
giuramento
l'America sarà!
E' divenuto evidente per tutti quelli che hanno, poco o tanto, la preoccupazione dell'integrità e della vita stessa dell'America d'oggi, che non sì può 'ignorare la guerra attuale.
Se l'anima dell'America si avvelena mortalmente, l'autopsia rivelerà che il Vietnam ne è la causa principale.
Non si potrà mai salvare, l'America, fin tanto che distruggerà le speranze radicate nel cuore degli uomini del mondo intero.
Quelli che hanno già preso partito per l'America del futuro sono stati costretti dalla forza delle cose alla protesta e al distacco, ed è così che essi lavorano alla guarigione del nostro paese.
Come se tutte queste ragioni non fossero abbastanza sufficienti a convincermi di preoccuparmi della vita e della salvezza dell' America, nuove responsabilità mi sono arrivate nel 1964.
Non posso certo dimenticare in effetti che il Premio Nobel per la pace comporta una missione, quella di lavorare ancor più di prima alla fratellanza degli uomini.
Ma anche se questo richiamo a superare i miei sentimenti di fedeltà nazionale non mi fosse stato indirizzato, sarebbe stato frattanto necessario vivere il mio impegno al servizio di Gesù Cristo.
La relazione tra questo ministero e l'edificazione della pace è così evidente ai miei occhi che mi stupisco perfino quando mi si domanda perchè mi dichiaro contrario alla guerra.
E' possibile che non sappiamo che la «buona novella» è rivolta a tutti gli uomini, ai comunisti, ai capitalisti, ai bianchi e ai neri, ai rivoluzionari e ai conservatori?
Si son dimenticati che il mio ministero deve conformarsi a Colui che ha tanto amato i suoi nemici da morire per loro?
Se io sono il servitore fedele di Gesù Cristo cosa posso dire ai vietcong oppure a Castro o a Mao?
Bisogna che li minacci di morte o bisogna che doni loro la vita?
Finalmente, provando a rintracciare per me, non meno che per voi, l'itinerario che mi ha condotto da Montgomery fino a qui, avrei potuto dire tutto dicendo semplicemente che la mia convinzione è che bisogna partecipare a tutti gli uomini la nostra vocazione di figli di Dio, e che io devo agire secondo questa fede.
Al di la della solidarietà di razza, di nazione o di religione, c'è questa vocazione di figli e di fratelli.
E perchè io credo che il Padre si dà pensiero specialmente delle sofferenze dei suoi impotenti reietti che io vengo stasera a parlare in loro nome.
Questo è il privilegio, ma anche l'onore di tutti coloro che si sentono legati da fedeltà, e da solidarietà più vaste e più profonde del nazionalismo, e che superano la situazione attuale della nostra nazione e gli obiettivi che ella si propone.
Noi siamo chiamati a prestare la nostra voce ai deboli, ai senza voce, alle vittime della nostra nazione e a tutti quelli che essa considera come nemici, perchè nessuno non può far sì che questi uomini non siano nostri fratelli.
Martin Luther King
da «Oltre il Vietnam» - Ed. la Locusta
Se avessi un martello.
Lo batterei la mattina,
Lo batterei la sera,
Per tutto il paese lo batterei.
Lo batterei per allontanare un pericolo,
Lo batterei per mettere in guardia,
Lo batterei per creare l'amore tra tutti i miei fratelli
Per tutto il paese.
Se avessi un campanello,
Lo suonerei la mattina,
Lo suonerei la sera,
Per tutto il paese lo suonerei.
Lo suonerei per un pericolo,
Lo suonerei per mettere in guardia,
Lo suonerei per celebrare l'amore tra tutti i miei
Per tutto il paese. [fratelli,
Se avessi una canzone,
La canterei la mattina,
La canterei la sera,
Per tutto il paese la canterei.
Griderei il pericolo,
Griderei per mettere in guardia,
Griderei a squarciagola l'amore tra tutti i miei fratelli
Per tutto il paese.
Ebbene, ho un martello,
Ho un campanello,
Ho una canzone da cantare per tutto il paese.
E' un martello di giustizia,
E' un campanello di libertà,
E' una canzone che parla dell 'amore tra tutti i miei
Per tutto questo paese. [fratelli,
SECULARS NEGRI
(Antologia dei poeti negri d'America Ed. Mondadori)
Luigi Sonnenfeld
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