Diciamo «lontani» tanto per intenderci, non davvero per fare classificazioni e tanto meno per distinguere noi pensandoci «vicini».
Chi è lontano e chi è vicino?
Trattandosi della misura di rapporto con Dio, solo Lui può giudicare. Guai a noi se ci accaparriamo i primi posti, quelli che stanno giro giro intorno a Lui, e ci mettiamo a sedere sulle comode poltrone della nostra sufficienza e tranquillità di coscienza, fidando di avere posato sopra la nostra fedeltà il compiaciuto, benevolo sguardo del Padre Eterno. Non siamo degli eletti per fare un comitato d'onore intorno alla Maestà di Dio, riportandone gloria e prestigio e privilegio.
Perché allora sicuramente non saremo vicini, ma spaventosamente lontani. Lontani come nessun altro essere umano può essere lontano da Dio.
Se poi guardiamo il problema dei lontani e dei vicini, riferendoci al Mistero di Gesù - Dio fatto uomo per venire vicino agli uomini, in mezzo a loro - allora è possibile precisare con una certa chiarezza chi sono i vicini e i lontani.
I sommi sacerdoti, gli uomini del Sinedrio, i responsabili della politica, gli uomini della cultura, i potenti, i ricchi, i dominatori, gli sfruttatori, i sistemati, i calcolatori, i prudenti, i saggi... sono rimasti decisamente lontani da Gesù. Così tanto lontani che hanno voluto che vi fosse fra loro e Lui la lontananza terribile della morte. E hanno creduto di risolvere ogni problema levandolo di mezzo.
E questa lontananza è continuata. E non può non continuare perché il cristianesimo non è fatto per questi lontani. Se rimangono quello che sono non possono che rimanere lontani.
Per potersi avvicinare bisogna che diventino poveri, piccoli, umili, semplici, pacifici, puri di cuore... generalmente non se la sentono e rimangono lontani. E sono lontani anche se danno un'offerta «cospicua» per la costruzione di una Chiesa o se portano un cero nelle processioni del S.S. Sacramento.
Ma sono altri «lontani» problema angoscioso, motivo di pena infinita, perché rattrista in modo terribile costatare che sono ormai lontani quelli che sono stati vicini a Gesù.
I pastori di Betlem, la povera gente di Nazaret, quei pescatori, le folle senza pastore, i bisognosi di tutto, dalla guarigione fino al pezzo del pane, i pubblicani, le meretrici, alcune donne, il povero popolo... il cireneo a portarGli la croce. I due ladri a morirGli accanto... E gli sono vicini perché ha scelto la povertà come esistenza, l'umiltà, il lavoro, l'essere niente, l'essere schiacciato e vinto, il morire sulla croce, solo, abbandonato da tutti...
Chi è povero, chi vive delle sue braccia, chi è nulla, chi è sfruttato e sopraffatto, chi soffre soltanto e sempre, chi vive giorno per giorno come gli uccelli dell'aria, chi muore continuamente sulla croce della fatica..., non può essere lontano da Lui. Gli è vicino come nessun altro gli può essere vicino.
Gli appartiene questa gente, è cosa sua. Sono cristiani di diritto e di fatto. Sono il suo popolo.
Perché i poveri si sono allontanati da Lui?
Perché i lavoratori sono ormai così lontani, fino ad essere «i lontani»?
Perché il povero popolo abbandona sempre più la Chiesa e Gesù Cristo?
Perché va a cercare altrove, lontano da Lui, la speranza e la fiducia?
Sono questi lontani l'angoscia che colma il cuore fino all'impossibile perché vogliono dire che Gesù è «lontano» ormai dalla vita concreta, reale, storica, di ogni giorno. Lontano dalla vita dell'uomo della strada. Dall'operaio nell'officina. Lontano dalla casa popolare di periferia. Lontano da chi soffre la fame, da chi patisce ingiustizia, da chi è inchiodato alla croce. Da chi è vinto dalla disperazione. Da chi è tradito e rinnegato da tutti. Lontano dallo svolgimento della storia. Dalle liberazioni dei popoli. Dalla ricerca di giustizia. Dalla voglia infinita di pace che logora il cuore dell'umanità.
E' Lui, Gesù, che è ormai lontano. Anche se è vicino, lì, sull'altare fra le candele e i mazzi di fiori.
Gesù, Dio che si è fatto Uomo per venire ad abitare fra noi.
La Redazione
I figli della luce dovrebbero far leva sul buono che è in un lontano come in ogni oppositore del Vangelo: dovrebbero puntare su questa innata rettitudine, sulla sincerità dei loro atteggiamenti iniziali e renderseli inavvertitamente alleati e benevoli Invece, par che ci troviamo gusto a irritarli e ad amareggiarli con giudizi generici ed umilianti, i quali non rispettano le naturali oscurità né le squisite sofferenze della ricerca.
* * *
Il Cristianesimo è l'inquietudine più grande, la più intensa. Esso inquieta l'esistenza comune nel suo fondamento. Dove deve nascere un cristiano, vi dev'essere inquietudine: ove un cristiano è nato, c'è dell'inquietudine.
don Primo Mazzolari
Non so bene, ma vi è qualcosa nella mia anima di pena profonda che vorrei dire a qualcuno.
Vorrei dirla a qualcuno per dirla a tutti, al mondo intero. Perfino alle stelle di stanotte e alla luna. E al cielo grigio e pesante di tristezza. Agli alberi fermi per una primavera che ancora non viene. Alla gente che passa dalla strada e pensa a chissà cosa. Agli operai che lavorano là fuori, sul porto e nei cantieri. All'umanità intera dispersa su tutta la terra e che ora sento terribilmente vicina, come se fosse una folla radunata, come se l'avessi tutta fra le braccia, come se mi fosse tutta nel cuore.
Ma per dire questa mia pena a qualcuno e nel frattempo dirla a tutti (è dovere urgente, pressante dire a tutti questa angoscia che travaglia l'anima mia) ne parlo con Lui, con Gesù. Perchè Lui è veramente tutti. Tutto ciò che è con Lui è con tutti. Lui è più che tutto l'universo perché tutto l'universo è in Lui e tutta l'umanità è nel suo essere vero Dio e vero Uomo.
Non so ma sento - sia pure in modo sereno e disteso, nella pace più dolce - che devo tanto chiedere perdono.
E' già da molto tempo che ho nell'anima questo sentimento strano ma che si va sempre più precisando per uno scoprire chiaro e preciso responsabilità nascoste, segrete, determinate dai rapporti fra Dio e me e me e gli altri.
Devo chiedere perdono a Lui. E questo lo faccio con gioia. Ogni momento e così tanto, che a volte mi viene in mente che io mi stia approfittando della Bontà di Dio. Ma poi mi sembra che Dio ne sia felice che ci approfittiamo del Suo essere buono, infinitamente buono, cioè bontà che non finisce mai, che non si esaurisce mai, che non si stanca mai di essere sempre e unicamente bontà. E mi pare che se un giorno mi dovesse rimproverare che mi sono approfittato un po' troppo della sua bontà, io ne rimarrei molto stupito, sorpreso e mi sembra che Gli direi: ma allora io ti ho giudicato più buono di quello che veramente sei? Credo che non potrebbe non sorridere e allora io mi sentirei tutto felice di aver fatto sorridere Dio ma specialmente di non essermi sbagliato nel giudicare infinita la Sua Bontà.
Ma non è che oggi voglio chiedere perdono a Dio. Mi nascondo - e cerco di scomparirvi dentro davvero - nel Mistero di Gesù. Lui è la sicurezza del perdono di Dio. Il dubbio, l'incertezza, l'angoscia mortale tutta la tragedia fino al terrore del sudare sangue, della passione e della morte di croce, l'ha patita Lui, per questa implorazione di perdono infinito in riconciliazione d'Amore fra gli uomini e Dio. Fino al punto che il nostro chiedere perdono forse vuol dire soltanto desiderio, volontà di voler vivere nell'Amore che Gesù ha ottenuto che sia la realtà di rapporto fra Dio e gli uomini. E' un semplice consentire all'Amore che è già tutto dentro di noi.
Mi sento in quest'Amore, sento tutta l'umanità in quest'Amore come in una realtà d'esistenza nata dalla Incarnazione, passione, morte e resurrezione di Gesù, la nuova creazione, fatta ad immagine e somiglianza di Lui, di Gesù.
Chiedere perdono è chiedere che Gesù sia in noi, è chiedere noi d'essere Lui. E' chiedere che Lui sia Dio, onnipotenza creatrice dal nulla: creature di Dio; dal non essere: esistenze d'Amore; dal male: miracoli di bontà.
Nella gioia e nella pace del chiedere perdono a Dio, si allarga però ogni volta la pena, l'angoscia del chiedere perdono agli uomini.
Perchè ogni volta che mi incontro con Dio, ogni volta che mi scende nell'anima il Mistero dell'Amore di Gesù, scopro gli altri, sento il mio prossimo, mi appare tutta l'umanità.
Dio e gli uomini: è un'unica realtà con rapporti essenziali, determinanti, con me. Unica realtà, entrata come componente costruttiva del mio essere e del mio destino.
E davanti a Dio è facile chiedere perdono anche agli uomini. Nel ritrovarli in Lui e nel sentirli tutt'uno con Lui, chiedere perdono agli uomini è come chiederlo a Dio. Ma è tanto penoso, è angoscia profonda chiedere perdono agli uomini considerati in se stessi, scoperti e sentiti nella loro realtà umana così terribilmente bisognosa di Dio.
Perché devo chiedere perdono di non aver dato Dio a chi non l'aveva, a chi nemmeno lo cercava pur avendone bisogno più della vita stessa.
Non ho scuse, lo so bene e non cerco nemmeno di trovarne.
Sono nato per questo scopo. Sono cristiano per questo destino. Sono sacerdote per questa missione. Io devo dare Dio al mondo. Devo essere vivente testimonianza di Gesù.
Il mio corpo deve essere presenza di Dio. La mia anima bisogna che sia immagine di Lui. Il mio Amore il Mistero del Suo Amore. La mia pazienza la Sua pace.
La mia attesa sicurezza di Lui. La mia vita evidenza scoperta, luminosa, trasparente dell'esistere invisibile di Dio.
Non so se vi può essere qualcosa di più terribile che avere tutto il Mistero di Dio e doverne essere comunicazione, presenza. Sapere che il proprio corpo deve dare esperienza di Lui. Assai più del sole nella fiamma di luce a mezzogiorno, più delle stelle di una nottata splendente, assai più della grandiosità del mare a perdita d'occhio e della profondità senza fine dell'azzurro del cielo. Il mio povero corpo, così fragile e buono a nulla. Eppure tutti vi devono poter trovare Dio. Qualcosa che faccia pensare a Lui. Che susciti almeno un'inquietudine e scavi un po' di voglia di Lui....
E tanto più la mia anima dev'essere infinita, Mistero così profondo e complesso come è l'anima umana eppure chiarito, disteso, aperto perché tutto nella verità e nell'Amore. E' terribile dover avere un'anima schiacciata dal Mistero di tutta l'anima dell'umanità e nel frattempo avere un'anima chiara e limpida che trasparisca Dio come l'acqua cristallina i sassi bianchi del ruscello. Avere un'anima traboccata di tutto il travaglio del mondo, sopraffatta dall'angoscia dell'umanità intera e nello stesso momento avere un'anima che manifesti e offra la gioia dolce dell'Amore e la pace profonda della fiducia, come gli occhi di un bambino, fino a far pensare irresistibilmente a Dio.
Ho avuto le mani colmate di Dio. Il cuore ne ha traboccato. Un fiume di Lui la mia povera vita. Sono stato soltanto Lui, rimasto come sono appena un'apparenza, una realtà puramente esterna e anche questa spesso vinta e bruciata da fuoco che avvampa e rende cenere la carne e il sangue, più di un incendio.
Eppure ho tanta paura. Di non averlo dato Dio abbastanza. Di avere scioccamente stabilito le misure. Di avere posto dei limiti. Di non averlo lasciato andare, liberandolo totalmente da me, dalle mie prudenze e attenzioni, impedendogli, chissà quanto e quante volte, d'allargarsi a fiumana che straripa, di tutto sommergere come una marea inarrestabile.
Mi sgomenta pensare che forse non Gli ho abbandonato tutto il cuore, che non Gli ho concesso tutto il mio corpo e non Gli ho lasciato andare tutta l'anima mia permettendoGli, con la gioia pazza dell'innamorato, di forzare tutti i miei limiti lasciandomi serenamente e a occhi chiusi travolgere dal Suo infinito.
Ho tanta paura di averlo reso gretto Dio, limitato, ridicolo, costringendolo, comprimendolo nei miei limiti, nella mia grettezza, riducendolo alla risibilità della mia prudenza e saggezza.
Mi fa terrore questa responsabilità e chissà quanta ne ho, che Dio sia stato in me non come Lui è, ma come posso averlo creato io. Non io Sua immagine e somiglianza, ma Lui a mia immagine e somiglianza.
Un Gesù fatto da me. Un Vangelo non secondo Matteo, Luca... ma secondo me. E quindi secondo la mia vigliaccheria, il mio istinto di difesa, la mia miserabile mediocrità, la mia diffidenza del troppo, le mie paure dell'infinito... Ho tanto timore che vi sia chi ha cercato Dio in me e che ciò che ha trovato non l'abbia potuto accettare perché quello non poteva essere Dio, quello non poteva essere pensiero, insegnamento di Dio, non poteva essere Gesù, Dio fatto Uomo.
Qualche volta ho pensato, ne ho sentito perfino l'impressione fisica, che per una strana - sembrerebbe assurda, ma non lo è - per una strana, spietata onestà, atei o non praticanti possano avere sentito il dovere di continuare ad essere atei, a non essere religiosi perchè hanno potuto e dovuto pensare, dall'esperienza avuta attraverso me, che era più valor umano, più motivo d'impegno, più vastità d'ideali il loro ateismo, il loro materialismo, il loro filantropismo ecc. della Fede religiosa, dell'ideale cristiano che io testimoniavo e offrivo.
Allora non sarei soltanto un velo fra gli uomini e Dio, un muro, una montagna da impedire che possano vederlo anche se ne hanno voglia, da rendere tanto difficile il trovarlo anche se muoiono di bisogno infinito di Lui. Ma per colpa mia conoscerebbero un Dio impossibile. Verrebbero a conoscere un Gesù senza senso, assurdo specialmente nella sua affermazione di essere Dio. Un Dio, un Gesù Cristo che è onesto respingere. Che è giusto liberarsene e liberarne gli altri, per il loro bene. Penso ai lontani dalla Chiesa. Sento il dramma degli atei. Mi rendo conto dell'angoscia di chi non riesce a scoprire Dio e a non credere in Lui.
Perché non lo vedono? Eppure mi vedono tutti i giorni. Non si accorgono di Lui quando mi stringono la mano. Perché?
E' terribile che non avvertano in me cosa vuol dire Gesù e quanto Lui sia tutto nell'esistenza umana.
E' triste che non lo vedano Dio nell'anima mia. Assai più triste che non lo vedano nel brillare delle stelle e nel. l'azzurro del mare. Mi angoscia tanto che questo mio povero essere umano, questa mia esistenza cristiana, non sia manifestazione irresistibile di Lui, motivo di convincimento sereno e forte per gli uomini.
Perché se io non sono la luce di Dio e Grazia e presenza di Lui fra gli uomini, cosa dò loro, cosa ricevono da me? Non è peggio che se si spengesse il sole per colpa mia?
Chiedo perdono a chi non crede in Dio, a chi non conosce e non ama Gesù. Chiedo perdono ai lontani dalla Fede e da Dio. Essi sono gli affamati ai quali non dò il pane, gli assetati che non so dissetare. Sono gli ignudi che non rivesto. I pellegrini senza riposo che non accolgo in casa mia e forse nemmeno trovano il coraggio di venire a battere alla mia porta. Sono gli ammalati che abbandono alla loro disperazione, io che sono venuto per gli ammalati e non per i sani. Sono i carcerati per i quali io non sono libertà, eppure sono libero della libertà dei figli di Dio...
Chiedo perdono e dal più profondo dell'anima e non è perché nell'ultimo giorno non mi sia evitata la condanna, ma perché ho, dolore acerbo e terribile di non servire alla manifestazione di Dio agli uomini e alla conoscenza degli uomini, di Dio e di non servire al loro Amore vicendevole. Di non essere così niente il Mistero di Cristo, io che sono cristiano. Io che sono sacerdote, zolla di terra dove è piantata, di diritto, una Croce sulla quale, per il Mistero di Gesù Cristo, in ogni momento, devono potersi incontrare, riconoscersi e amarsi gli uomini e Dio. Tutti gli uomini, nessuno escluso, e Dio.
don Sirio
Uscii dalla mia casa,
e cercando intorno
trovai un uomo
nel terrore della Crocifissione.
«Lascia che ti stacchi dalla
croce» - gli dissi.
Cercai di togliere i chiodi
dai suoi piedi
ma Egli mi rispose:
«Lasciami dove sono,
poiché non scenderò dalla croce
fino a quando tutti gli uomini,
tutte le donne, tutti i fanciulli,
non s'uniranno insieme a distaccarmi».
Gli dissi allora: «Come posso
io sopportare il tuo lamento?
Che cosa posso fare per te?»
Ed Egli mi rispose:
«Va per tutto il mondo
e dì a quelli che incontrerai
che c'è un Uomo inchiodato su una Croce».
FULTON J. SHEEN
O Signore, è preghiera questa per noi e per tutti gli uomini, perché tutti siamo ugualmente lontani da Te. Infinitamente lontani da Te. A perdita d'occhio. Punto invisibile, quasi inghiottito dal buio del nulla.
Eppure nella nostra lontananza infinita, tutti - sei stato Tu che ci hai fatti così? - tutti sentiamo irresistibile il tuo misterioso richiamo e tutti camminiamo - anche chi non lo sa e neppure lo vuole - verso di Te. Abbiamo camminato millenni e tutte le strade abbiamo percorso e siamo rimasti ancora lontani da te, come se nemmeno un passo avessimo fatto.
O Signore, partiamo sempre da troppo lontano perchè possiamo riuscire ad arrivare fino a Te e la strada è troppo lunga, ci logora e ci uccide.
O Signore, siamo tutti sulla strada dove non sono consentite le soste e i riposi. Di lassù Tu vedi una folla infinita sbriciolata lungo la strada che tu stesso hai stabilito e che dal buio della profondità del nulla, si snoda, lunghissima, verso di Te. Chi è più avanti e chi più indietro, ma che conta quando tutti siamo infinitamente lontani da Te? L'infinito - e è cosa bellissima e giusta - cancella e annulla ogni differenza.
O Signore, un giorno finalmente il tuo Amore Ti ha detto che noi poveri uomini non saremmo più lontani da Te soltanto se eri Tu ad avvicinarti a noi. Perchè la strada che unisce lontananze infinite Tu solo la puoi tutta camminare.
E allora, Signore, Ti sei messo sulla strada, sulla nostra strada e hai cominciato a camminare verso di noi.
O Gesù. - Dio che cammina sulla strada degli uomini - noi non possiamo capire questo tuo infinito camminare verso di noi, sappiamo soltanto - e ci basta - che tu sei sulla nostra strada e che cammini sempre, senza stancarti mai in modo che Tu possa incontrarti con tutti gli uomini perchè incontrandosi con Te, si sono incontrati con Dio e quindi sono come arrivati.
O Gesù, noi ci siamo già incontrati e ci siamo riconosciuti. E' stata una gioia indicibile, ricordi? Eravamo forse appena un po' più avanti e ci hai incontrati per primi.
O Gesù. - Dio che cerca tutti gli uomini - dietro a noi vi sono altri. Forse si sono fermati perchè troppo stanchi. Può darsi che abbiano sbaglialo strada, è così facile. Forse molti tornano indietro, smarriti e delusi... Non sono però più lontani di noi, Gesù-Dio che non ha paura delle distanze nemmeno infinite.
Cammina verso di loro come hai camminato verso di noi finché non li incontri sulla strada: per Te non sono lontani, o Gesù-Dio accanto, nel cuore di ogni creatura!
O Gesù, noi che siamo stati i primi, siamo contenti di diventare gli ultimi per il Tuo camminare che va avanti e Ti avvicina ai lontani perchè tutti gli uomini ti siano vicini.
O Gesù - Dio che è venuto a vivere insieme a tutti gli uomini - non vi sono per Te vicini e lontani. Saremmo stati tutti lontani se Tu non venivi, se Tu rimanevi Dio e non Ti facevi Uomo.
Ma ora che Dio è Gesù siamo tutti vicino a Te perchè Tu sei vicino a tutti gli uomini: così tanto vicino che sei uno di noi. Uno che è tutta l'umanità. O Gesù-Dio che si è fatto Uomo.
* * *
Io che Ti conosco, e fui eletto tuo testimonio, sono in continua tentazione di disonorarti.
Parlo in tuo nome, uso il tuo nome e posso farti sottoscrivere qualsiasi cambiale. Lo provo nel momento sacramentale ove ti rendi a discrezione e vieni all'appuntamento, qualunque sia l'indegnità della voce che ti chiama, qualunque lordura abbia la mano che ti stringe.
Sarebbe troppo comodo e di nessun gusto, essere a servizio di una causa che non impegna chi vi si dedica.
Don Primo Mazzolari
«Tutti coloro che sono convinti che il cuore della Chiesa avrà affanni e stanchezze finché verso di lei non marcerà, con volto filiale, il grande popolo dei poveri, non dovranno mai dimenticare che in un paese della pianura padana il popolo entra in cimitero passando sul cuore di un prete, sul quel cuore che, alcuni giorni prima, sui gradini dell'altare, scoppiò all'improvviso, perchè non ne poteva più». Così in un affettuoso ricordo dice di d. Primo il padre Ernesto Balducci.
In una lettera del 2 aprile 1959 aveva scritto d. Mazzolari ad un amico: «sono stanco così stanco che mi butterei per terra»; già dal 1954, data del suo testamento, questo prete «contadino» che sempre aveva difeso i diritto di Cristo tra i poveri e nei poveri, e mai si era piegato dinnanzi ad ogni sopruso contro la dignità dell'uomo, di ogni uomo, aspettava la sua «ora»: «eppure viene l'ora e, se non ho la forza di desiderarla, è tanta la stanchezza, che il pensiero d'andare a riposare nella misericordia di Dio mi fa quasi dimentico della sua giustizia, che verrà placata dalla preghiera di coloro che mi vogliono bene».
L'ultima gioia terrena - tanta avara con la sua tormentata esistenza - del Parroco di Bozzolo fu l'incontro con Papa Giovanni. Il Papa che lo aveva conosciuto in guerra (1915-18) mentre d. Primo era tenente cappellano fra i bersaglieri in trincea e Lui sergente, appena lo vide lo chiamò: «Tenente!...» e D. Primo, fattosi coraggio, rispose: «Sergente».
In quell'occasione Giovanni XXIII disse di lui. - «Ecco la voce dello Spirito S. della Bassa Cremonese» -.
5 Aprile 1959, Domenica in Albis: iniziava la spiegazione del Vangelo su Tommaso l'incredulo, nella sua Chiesa: «Tommaso che non vuole rinunciare al suo mestiere di uomo neanche di fronte al mistero del Cristo glorioso, non è un cencio d'uomo, un pavido schiavo: è un uomo. E quando Tommaso crede, è un uomo che crede, e quando Tommaso si offre, è un uomo che si offre. E se offre a Cristo il suo cuore, è un cuore di uomo che si offre: e se china la testa davanti a Lui, è la una testa d'uomo che s'inchina».
Questo prete «mezzo selvatico, che non sapeva fare complimenti, che non sapeva sorridere, neppure applaudire ma solo piangere di dentro e spesso anche di fuori», colpito da emorragia cerebrale cadde come il lavoratore schiantato sul campo con la mano sull'aratro. «Sono creato testimonio davanti agli uomini. Dipende da me se Cristo sarà accolto o giudicato, nella mia luce o nella mia tenebra. Son di fazione per Lui fino all'ultimo respiro. Non sarò smobilitato che morendo». Ci vollero otto giorni d'agonia silenziosa per la sua smobilitazione; il 12 Aprile 1959 il «compagno Cristo» raccolse l'ultimo respiro di questo vero uomo di Dio: era la Domenica del Buon Pastore.
«Tutte le cose sono mie perchè sono di Cristo, e sono di Cristo perchè egli ha dato la sua vita per ognuna di esse. Tutte le creature vantano su lui uguali diritti per la carità che a lui le ricongiunge; le vicine come le lontane, le novantanove come l'una».
Per questo un giorno avremo un solo ovile perchè abbiamo un solo pastore. Il pastore, perchè sia pastore veramente, dev'essere buono: come l'uomo è veramente uomo quando è buono: d. Primo fu pastore e uomo, senza mezze misure.
A 6 anni dalla morte la sua figura s'impone sempre più all'attenzione dei cattolici italiani. Sulle idee di questa singolare figura di sacerdote molti fecero le loro riserve, ma nessuno potrà dubitare del suo senso sacerdotale, del suo amore alla Chiesa.
Tre mesi prima della sua morte qualcuno aveva detto di lui: «Nessuno ha fatto più male all'Italia di quest'uomo. Egli si è perfino vergognato a fare il nome di Cristo!».
Il nome di Cristo! D. Primo vergognarsi di Cristo! Hanno bestemmiato Gesù Cristo. Chi crede, come un fiore percosso dalla tempesta, si china muto, senza proteste, Perchè porre l'ineffabile accanto alle cose volgari, per cui l'uomo ogni giorno protesta?
Cristo non entra nella legge. Gli uomini che l'hanno voluto contemplare in un articolo del codice e quelli che intendono farvi appello, si sono dimenticati di quanto egli sopravanzi le cose nostre, pur nella sua vicina e comune umanità.
"Il cittadino Cristo non è mai esistito. Egli è fuori del diritto, fuori di ogni rispetto, perchè è sopra tutti i diritti, perchè l'unica riverenza che gli conviene è l'Amore, tutto l'Amore di cui un'anima è capace. Che posto gli abbiamo fatto nella nostra vita? Tutto gli abbiamo prestato, fuorché ciò che gli conviene. La nostra ignavia gli abbiamo imprestato, chiamandola rassegnazione; la nostra paura chiamandola prudenza; la nostra avidità di godimento, chiamandola sacrificio; le nostre concupiscenze chiamandole diritti; le nostre viltà chiamandole desideri di pace...". Solo questo era il rossore del prete di Bozzolo per Gesù Cristo!
Aveva qualcosa del profeta che parla pagando di persona ogni conseguenza del suo franco dire o scrivere: molti si scandalizzavano, naturalmente. «Quanti - dice p. Balducci - sono colpevoli in Italia, di non avergli mostrato un affetto pari alla riconoscenza! E a quanti sarà venuto il dubbio che un simile ritegno abbia avuto per motivo il timore di non restar compromessi con le sue idee di fuoco!
Pochi dissero parole buone sul suo conto. Uomo libero della libertà di Cristo, non fu mai un ribelle. Non concesse mai ai suoi Superiori vita comoda, non voleva giustificazioni alla pigrizia. «La libertà, con tutti i suoi rischi, è l'aria dell'uomo, e l'impegno urgente del cristiano non è d'imbrigliare la libertà perchè non faccia male, ma d'impedire che venga incamerata e assorbita da una nuova dittatura».
La sua personalità fu oggetto di equivoci e di contrasti: i libri, «La più bella avventura», "Il Samaritano", "Impegno con Cristo", suscitarono polemiche e sospetti nel quieto mondo dei cattolici italiani. In cattiva luce e minacciato dal Regime Fascista per il suo ardente desiderio di salvaguardare contro ogni potere politico la personalità e la libertà del credente, negli anni della vergogna e della caligine, fu uomo della resistenza con il suo puro avallo religioso e sacerdotale per la difesa dell'uomo, della verità e della libertà.
Per questo fu insultato, percosso, braccato e dovette vivere nascosto per sfuggire alla rappresaglia nazi-fascista. Lottatore per temperamento, non piegò mai.
Come credente e ministro del Vangelo soffriva dell'incomprensione e della rivolta ma usava di tutte le accortezze della carità per placare, illuminare, accostare; non giudicava il fratello e non si credeva in diritto di forzargli la mano per salvarlo, avrebbe tradito il Vangelo ove l'Amore viene insegnato come termine e come via: «Che cosa può venire di buono da un samaritano? Ma da quando il Figlio dell'uomo ha preso in mano gli uomini per ricrearli, gli ultimi sono i primi. Il monopolio del bene è finito. Non vi sono più popoli eletti, nazioni, classi o uomini superiori. Da quando un samaritano può rappresentare Gesù, ogni impalcatura d'orgoglio è caduta, né vale a ricostruirla la più sufficiente politica o la più servizievole filosofia. Dio gioca con le nostre categorie, e incastona il bene nel metallo più vile. Niente di occupato nel bene: il bene non è patrimonio di nessuno».
Nel suo apostolato erano esclusi non solo i mezzi non buoni secondo la legge morale, ma non si serviva dei mezzi pesanti o materiali non convenienti all'affermazione del Regno dello Spirito. Rimase fedele al Vangelo e andò pecora in mezzo ai lupi senza borsa, senza bastone, senza bisaccia, senza calzari, senza spada: «non possiedo niente. La roba non mi ha fatto gola e tanto meno occupato... intorno al mio Altare come intorno alla mia casa e al mio lavoro non ci fu mai «suon di denaro».
Credeva fermamente e di gran cuore alla verità che libera: ma una verità imposta non libera più, le vien tolto il lievito liberatore. Condizione per il suo fermentare, essere accolta liberamente, per amore.
Faticosa e lunga strada che d. Primo, curato di campagna, percorse con pazienza e fiducia perchè l'unica che conduce al regno di Dio sulla terra, l'unica strada della vittoria.
I suoi piedi stanchi di apostolo non ricalcarono le orme pesanti e disumane che non rispettano l'uomo. Anzi vi si erse sempre contro... per Amore.
Dopo la liberazione fondò il quindicinale «Adesso» per un contributo più attivo nel campo dell'opera cristiana e in posizioni d'avanguardia. Le idee perseguite dalla rivista furono la concezione antitemporalistica della Chiesa, impegno di opporsi ad eventuali forme di clericalismo politico. I suoi redattori si richiamarono anche ai sensi apostolici per evitare l'imborghesimento del clero e della cattolicità, e più importante di tutti, vollero effettuare la ricerca ed il colloquio con i «LONTANI» in uno spirito di rispetto, anzi con indulgenza e simpatia. Molti si sentirono urtati e d. Primo fu accusato di ...tutto.
Ingiustamente, è vero ma... il prete di Bozzolo discusso e compromesso «aveva bisogno della quarantena indispensabile all'assopimento dei bollori faziosi» (!!!) così scrive su queste vicende uno che gli fu vicino con il cuore, ma difforme nelle idee. .
Fu proibito a d. Mazzolari di scrivere sul giornale: lui coraggiosamente e nobilmente s'inchinò e accettò senza discutere e senza chiedere spiegazioni: «Adesso» è meno di un attimo, mentre la Chiesa è la custode dell'eterno, ed io voglio rimanere nell'eterno.
«Mi stacco dal foglio come il vecchio contadino si stacca dal suo campo appena seminato e dove ancora niente germoglia. Ma tutto è speranza perchè tutto è fatica; tutto è fede, proprio il non vedere; tutto grazia, anche il morire; tutto testimonianza, anche il silenzio, sopratutto il silenzio».
D. Primo continuò, in un silenzio difficile alla sua naturale franchezza, la missione fra i suoi figli di Bozzolo con lo stesso cuore e le stesse opinioni. Non s'abbarbicarono in lui rancori o segrete ansie di rivincita «persuaso com'era che la verità fa la sua strada nonostante tutto e che il silenzio patito per obbedienza e in unione col Cristo giova spesso al cammino della verità e della pace meglio assai che le nostre parole arroventate e vibranti».
Al funerale nessuno «dei suoi» si vergognò d'accompagnare il povero parroco «Tiratutti». Anche gli avversari gli resero l'onore delle armi.
Aveva scritto un giorno, amorosamente, ad un pastore smarrito: «Il profeta parla, deve parlare, ma se la parola non gli trema sulle labbra, vuol dire che nel ricrearla gli è venuto meno il cuore».
Il cuore di d. Primo era venuto meno in quel mattino di primavera perchè le sue labbra avevano troppo tremato per la «PAROLA che non passa».
don Rolando
da «Mazzolari», antologia dei suoi scritti. - G. Barra. Ed. Borla - Torino.
- d. Primo Mazzolari di p. E. Balducci (Ed. Paoline: «La verità e le occasioni»).
- Il Gallo di Genova, giugno 1959.
- «La Parola che non passa» di D. Mazzolari - Ed. La Locusta - Vicenza.
L'avventura cristiana continua in chi crede. Non c'è bisogno di rinunciare ad entrare in porto perchè la ricerca continui. La fede non è un approdo, ma un sicuro orientamento di grazia verso l'approdo. La traversata continua, e travagliosamente. Chi non ha la grazia di credere è tentato dall'incertezza e dal timore del niente. Chi ha la grazia di credere è travaglialo dalla luce stessa che gli fu comunicata.
Il mio ideale, che non è fatto su misura, ma che mi supera infinitamente, è il mio tormento. La parola di Dio l'ho dentro di me, non la posso più rifiutare o adattare ai miei gusti, imborghesendola. Nel lontano le ricerca è un istinto naturale: nel credere è istinto e grazia. C'è poi il confronto continuo tra ciò che mi splende nella visione e nel desiderio e ciò che riesco a fissare. Penso in eternità e avanzo lentamente nel tempo.
Ho ricevuto tanto e di tanto devo rispondere: anche davanti agli uomini.
Chi non ha una fede, non è impegnato: è sempre più onesto di chi ha un ideale evangelico. Io, che credo e predico il Vangelo, sono giudicato secondo il Vangelo, Molti uomini non mi condannano neanche: ma io non posso non condannarmi. La mia fede mi crea giudice implacabile di me stesso.
La scelta tra la realtà che tiene e la realtà che non tiene, ma che è sotto i miei occhi, palpitante, appetibile, invitante, non è facile.
I confronti si fanno col cuore palpitante e le labbra arse. Almeno la presenza fosse continua, sicura, tangibile! Invece la mia tentazione è accordata su questo motivo tragico: un Dio che resta presente allontanandosi.
Sono una memoria: «Ciò che ho visto, sentito, toccato». Qualche schiarita, un lampo, un mattino di Pentecoste: poi niente, neanche una voce: silenzio e oscurità.
A volte non è più soltanto un allontanamento ed un rimanere, ma un assenza, una fede desolata. E si deve vivere lo stesso, parlare lo stesso, testimoniare lo stesso.
Don Primo Mazzolari
Il terzo mistero: «Gesù che ci ha mandato lo Spirito Santo».
La sera prima della sua Passione, il Signore aveva detto ai suoi «Io non vi lascerò orfani». Quando partì, furono veramente orfani, che Iddio non era più presso di loro nella maniera in cui lo era nella persona del Cristo. Però, nel giorno della Pentecoste, Dio tornò nella persona dello Spirito Santo da Lui mandato. Adesso non erano più orfani: l'amico, «l'appoggio», la celeste guida era con loro. La sua opera era di «introdurli in ogni verità» e «dar loro Cristo». Fra coloro sui quali discese lo Spirito Santo era anche Maria; la Scrittura lo dice espressamente e noi possiamo forse intuire quel che dovette significare per Lei il soffio soprannaturale e le divine fiammelle. Tutte le volte che il Vangelo parla di Maria si sente la distanza che separa la madre umana dalla incomprensibilità del suo di vino Figliolo. Ce lo dice soprattutto la frase: «ed essi non compresero le sue parole». Quando viene lo Spirito Santo, introduce anche Lei «in ogni verità»; riceve ciò ch'è di Cristo e glielo dà. Ora gli enigmi si risolvono. Ella riconosce l'opera di Dio e ogni evento trova il suo significato. A noi pure è mandato lo Spirito Santo e perciò non siamo orfani. Egli è con noi, purché noi vogliamo rimanere con Lui. Egli conduce la nostra vita attraverso tutto quello che ha di incomprensibile; noi però dobbiamo lasciarci guidare; quando lo supplichiamo e ci apriamo a Lui con intelligenza ed amore, Egli ci insegna a comprendere Cristo, ed in Cristo la nostra stessa esistenza. Quando poi l'oscurità rimane impenetrabile, poiché la vita terrena è sigillata, Egli ci dà in un divino «ciononostante», come dice Paolo, testimonianza che siamo figli di Dio e la certezza che tutto ci serve nel meglio, quando amiamo Dio».
Dopo la dipartita del Figlio questa vita deve aver avuto qualche cosa di ineffabile nel silenzio della Vergine, nella sua presenza insieme e nel suo rapimento. Non sappiamo quanto sia durata, forse molto a lungo, poiché alla morte del Signore Ella aveva appena cinquant'anni. Come potremo esprimere il mistero del tempo ch'Ella ha passato sotto la protezione del «discepolo che Gesù amava»? Forse diremo ch'Ella non ha più voluto niente; nulla desiderato, nulla temuto, di nulla sentito la mancanza perchè tutto era compiuto. Lo Spirito Santo scendendo sugli apostoli li ha preparati alla loro grande opera; quando nella stessa ora, scese su Maria, Ella aveva già adempiuto il suo compito. Così in Lei non avrà fatto altro che sollevare tutto ad una chiarezza luminosa: da quel momento Maria deve aver vissuto in una luce ineffabile, e in una ineffabile pace. Avrà sicuramente atteso l'ora in cui il Figlio l'avrebbe chiamata, ma certo in modo che la sua attesa era già conscia del compimento.
L'esempio degli ultimi anni di Maria è per noi pegno e promessa.
Ci insegna che non dobbiamo prendere troppo sul serio il tempo perchè, se crediamo, l'eternità è già in noi; che non dobbiamo dare troppa importanza alle miserie terrene perchè «le sofferenze del tempo presente non hanno nulla a che fare con la gioia che deve essere manifesta in noi» e che dobbiamo pregare Dio che ci faccia comprendere come l'eternità sia già nel tempo.
(Romano Guardini)
A tre preti
Cari fratelli,
che siete stati così tanto presi e trasformati da Dio, vorrei potervi dire il mio Amore e la mia Fede in voi. So che siete molto poveri, indifesi, sbandati come chi ha il cuore troppo grande e non sa più dove andare né cosa fare. So che in voi non c'è altro che Lui e nessuno potrà trovare appoggio né sicurezza umana, o ricerca di sé. Siete anche tormentati dalla voglia di «fare», di testimoniare, di vivere con coerenza. Ma vi riesce difficile perchè intorno a voi sembra farsi il largo, e le possibilità concrete si dileguano. E' perchè i poveri fanno sempre paura, non sono bene accetti; si teme che ci chiedano troppo, che vengano a vivere nella nostra casa e avanzino dei diritti. Tanto pili quando sono dei cristiani, e sanno di essere la speranza del inondo, l'umanità più vera, la semplicità, il ricordo di Gesù. State soffrendo la pena della povera gente che viene respinta, e della creatura a cui Dio ha tolto tutto perchè non rimanesse che il desiderio di Lui.
Cari fratelli in fondo quello che vi sta succedendo è molto logico, non può essere diversamente. Non credo che quest'ansia di Amore vi si acquieterà quando avrete trovato una strada pratica. Perchè non sarete mai persone come le altre; non vi darà sicurezza - se non per breve - il fare parte di una comunità, o lavorare o scrivere, l'unico contatto con l'infinito è la preghiera. E' così quando Dio entra nell'esistenza umana, perchè renderci simili a Lui vuol dire farci diversi. La nostra vita non è più questa vita, le cose sono diventata un segno solamente. Lo capisco che ci vogliono lo stesso, se no la Sua presenza brucerebbe tutto-e poi perchè siamo uomini e dobbiamo continuare a vivere. Anche Maria e Giuseppe hanno vissuta un'esistenza precisa e «raccontabile» pur vivendo accanto a Dio. Anche noi lo dobbiamo, e poi è l'unica maniera per comunicare con gli altri, è come il solco in cui Lui può gettare il Suo seme.
Ma per adesso non vedete la strada e non sapete in che direzione andrà. Vi ha tolto anche questo, e io non Gli chiedo di darvi un cammino preciso perchè vi amo troppo per non dirGli di fare di voi ciò che vuole, così come lo domando per me. Ma Gli chiedo di aiutarvi ad essere fiduciosi e abbandonati; che questa esperienza di dolore non vi faccia adulti, ma vi mantenga bambini. Vorrei che voi non cercaste come fanno gli altri che hanno in mano la loro vita. Come se voi poteste testimoniare o fare vedere. Perchè non siete altro che esistenza umana scelta da Lui, da impiegarsi secondo i Suoi piani. Un nulla nella storia dell'umanità, un piccolo punto che deve lasciarsi porre nel luogo prescelto per servire di congiungimento agli altri punti. Vi prenderà e vi metterà in un luogo come e quando crede, ma sarà Lui a fare tutto, a voi non è dato che di acconsentire. Che la vostra ricerca di una via sia umile e serena e paziente. Che Gesù vi aiuti a non viverla incerti o tormentati, ma a raccogliere questo periodo e accettarlo facendovi formare da Lui. Che tutto ciò che vi sta dando non cada nel vuoto, ma diventi maniera di essere finché Dio non vorrà che si trasformi in agire.
Cari fratelli, vi ringrazio di essere così poveri perchè mi siete garanzia viva che Lui Ama la povera gente e che le Sue sono sempre strade di povertà. In voi ho tutta la Fede, l'Amore, il rispetto di cui sono capace, e con voi spero in Gesù.
M. G.
Il regno di Dio
Cara Sorella,
Mi chiedi di parlarti del Suo Regno. Tutto quello che c'è nel mio cuore di prete e di cristiano te l'offro con gioia. Non è sapienza, né «ricetta» assoluta; non viene da una «cattedra». E' solo quello che ho imparato lasciando al Vangelo di scendere come sangue vivo nelle profondità, dell'anima. Soprattutto nella preghiera, quando le cose si fanno più chiare, perchè Lui solo parla e ci porta sull'onda del Suo Mistero.
Il Suo Regno, vuoi che ti dica cos'è, come si fa ad appartenergli, come si deve servire: è come se tu mi chiedessi un pezzo di cuore, ma mi ci provo lo stesso. Dopo, spero, ci sentiremo più «fratelli», perchè quando si spartisce l'Amore, la comunione di vita non può che aumentare. Saranno solo povere parole, un balbettare nel vento: perché parlare dell'Amore di Dio, dell'Amore che è Gesù, al meno per me, è tanto tanto difficile. Dio stesso che diventa Vita e Principio di tutto, la Sua Verità che diventa Luce per la nostra intelligenza, fuoco al nostro cuore, modo di stabilire i contatti fra tutte le creature, per cui tu non sei più una estranea, una che ha un nome, una storia una casa, il sangue diverso dal mio, ma mia «sorella», una della mia stessa casa, unita al mio destino. E così per tutti, per chiunque incontro sulla mia strada, per tutta la mia gente di questo paese, per tutti quelli che non conoscerò mai, su tutte le strade del mondo: ogni uomo, ogni donna, ogni creatura che diventa qualcosa di me, fratello e sorella, uno della mia stessa famiglia.
E tutto questo in nome di Dio, di Gesù, del Suo essere venuto fra noi, uno come noi; dell'aver accettato come Verità unica la Sua Parola, come unico modo di pensare il Suo Pensiero e come modo d'esistenza tutto quello che Lui ha vissuto e accettato e voluto per Sé. Gesù che diventa motivo e metodo di vita. Unico specchio e misura dell'esistere mio e del mio rapporto con tutti. Lui, la strada dove ogni giorno cercare di volgere i passi, chiamando a gran voce tutte le creature della terra. Come faccio, sorella, a raccontarti l'Amore di Dio che mi rende buono lo sguardo, quando lo poso sui bambini, sui vecchi, sulla prostituta o sull'assassino di un povero negro americano: credo che tu stessa sai bene tutto questo! Questo entrare di Dio in noi e rendere tutto Amore e Bontà e Gioia; anche il morire e la sofferenza e le ore disperate. Anche se a volte la paura ritorna, e il buio cresce di nuovo; e sembra che uno debba di continuo ricominciare da capo. Come il sole ogni mattina ricomincia a vincere il buio della notte e a salire sull'arco del cielo. L'Amore, credo sia sempre un continuo attendere e ricominciare a cercare l'incontro, la comunione. Dio ci dona qualcosa di sé, appaga la nostra fame e sete di Lui, e subito scava nuove esigenze e vuoti perché il nostro cuore Lo desideri ancora di più e si spinga sempre più avanti. E' davvero un fuoco divorante, come la Bibbia ce lo presenta tante volte. Qualcosa che consuma e ci rende strani, come se fossimo gente pazza, fuori strada. Sto sentendo tanto in questo tempo il Regno di Dio proprio come irrompere violento del Suo Mistero di Pace, di Bontà di Giustizia, di Amicizia, di Speranza, di Gioia in noi, nella storia del mondo. Tutte queste parole - ed è questa la cosa stupenda - si consumano tutte in una sola Parola, che dice tutto il Regno di Dio: Gesù. Il Regno è Lui, il Tesoro, la Perla preziosa, il Seme, la Vita e l'Amore.
E quando uno ha capito che Gesù è Realtà e Verità viva per tutti, allora l'essere poveri, semplici, piccoli, trasparenti, buoni e a servizio degli ultimi diventa il nostro quotidiano impegno. E sarà sempre una gran fatica, un far violenza a noi stessi, a tutto ciò che ci invita a rinchiuderci al calduccio della nostra piccola casa, nelle nostre piccole preoccupazioni, invece di uscire fuori, e metterci in cammino tra i più poveri, i più soli, i più disperati. Per essere Lui che ancora vive e cammina con tutti, lungo l'arco della storia. A volte penso tanto che dovremmo essere la Sua Liturgia viva, il Mistero della Sua Presenza che continuamente si celebra dentro il destino di tutta l'umanità. A volte ho paura che sia tutto una favola, troppo bella, fatta apposta per tenerci buoni e non farci gridare di disperazione. Allora credo che il Regno di Dio sia tutto nell'andare avanti nella Speranza, giocando tutto, nonostante il buio e la solitudine e la paura dell'assurdo. Siamo molto complicati, so reità! Questa piccola «zolla di terra» che siamo ci dà un bel da fare; ma prima o poi dovrà pure diventare il Suo giardino, pieno di fiori e anche di frutti. Lo ha promesso Lui: succederà di sicuro. Non importa che noi ce ne accorgiamo: ciò che conta è cercare di essere sempre più trasparenti a Lui, perché sotto il velo della nostra debolezza e incapacità, chi ci passa vicino riesca a scorgere il Volto di Gesù.
Io chiedo sempre allo Spirito Santo che ci abita in cuore di far sempre più violenza, di togliere sempre più il velo, perché la Luce di Dio risplenda nella casa di tutti.
Forse il Regno di Dio è soltanto un gioco: un permettere a Dio di giocare con noi liberamente, come un bimbetto con la sua palla. Lasciare che Lui ci prenda e ci lanci dove vuole, sicuri che verrà a riprenderci, prima o poi, con le Sue stesse mani. Voglio chiederGli sempre di più che accettiamo tutti di essere adoprati liberamente per il gioco di Dio, perché forse vuol dire questo Gesù nel Vangelo quando parla di essere «come bambini» per entrare nel Suo Regno. Dimenticarsi di quello che siamo, contenti di stare nelle Sue mani ricche d'Amore.
Ti ho raccontato un po' la storia del Mio Amore; avrei potuto continuare a balbettare ancora, ma è meglio tornare a guardar Lo in silenzio, portando tutti davanti a Lui.
Domani il Vangelo parla del Tabor e della trasfigurazione: il Mistero del Regno è proprio in questo stare con Lui, accenderci il Volto della Sua Luce e scendere verso la valle dell'esistenza d'ogni momento portandoci la Fiamma viva del Suo Amore.
Fraternamente.
don B.
Il nostro convento
Miei cari amici,
Che bello leggere di voi, delle vostre esperienze, del vostro amore semplice e generoso a Gesù. Che bello sapere che mi siete compagni di esistenza! Ho tanto pensato alla lettera dedicata ai preti, agli sposi, alle ragazze alle suore. Ho pensato a voi amici che le avete scritte e non meravigliatevi se vi dico che facendo la vostra conoscenza ho quasi pianto di gioia: siete così diversi tra voi e pur così identici, così complementari l'uno all'altro, così indispensabili... Non m'importa di conoscere i vostri volti per dirvi che vi voglio un bene immenso e che mi rappresentate il mondo intero e l'unità in Gesù.
Vorrei dirvi di me, anch'io, perchè mi pensiate, mi aiutiate e mi amiate. Non posso dire che non sono nulla perché c'è ancora talmente tanto di me nel mio cuore, che vi mentirei. Posso dirvi che anch'io ho donato tutta la mia vita a Gesù. Ci sono arrivata, almeno fin qui, in maniere imprevedibili come sono le vie della grazia, a volte contro corrente, mai in maniera tranquilla. Le lacrime sono state tante, ma ora è passato, ora Gesù è con me. L'ho incontrato quasi per caso, arriverei a dire per forza, come quando tutte le altre strade non hanno uscita. Mi è stato impossibile negarGli la mia esistenza anche se a volte, Gli avrei tanto volentieri gridato di no. Ma Lui sa bene come prendere una natura troppo ardente e ribelle e si fa più vicino per aiutarla. Il lavoro duro comincia dopo, quando la volontà deve essere obbediente e fedele minuto per minuto quando l'amore deve semplificarci tanto da non cadere nella tristezza, nella mancanza di fede, nel desiderio di svincolarci.
Sorella che hai fatto voto di verginità, a te vorrei dire che anch'io mi sono chiesta come doveva essere la donna secondo il pensiero di Dio, proprio per essere più sposa per diventare davvero donna. Ho semplicemente pensato che «la Donna» creata da Lui apposta per essere scelta era Maria e che quindi tutto per noi dipendeva dal cercare Lei, dall'imitare Lei in tutto.
Per me è stato chiaro che non dovevo lasciare il mondo. Avrei trovato la «mia via» profondamente mischiata agli uomini, nella maniera più anonima possibile, come Maria a Nazaret. E' così che non mi è più possibile avere un abito, un segno esteriore qualunque, che mi distingua dalle altre donne del mondo, come Maria nel suo villaggio e per le strade di Palestina era solamente, offriva solamente una donna qualunque. Il Mistero di Amore era conservato nel suo cuore, nell'intimità più profonda del suo essere così specialmente «riservata a Dio».
Come Lei dovevo quindi accettare, contro ogni desiderio umano, l'assurdo di una vita consacrata e pur vissuta in pieno mondo.
Quando Maria ha cominciato a portare nel suo seno Gesù perchè aveva accettato e creduto nell'assurdo, da quel momento ha cominciato a portarlo in giro in mezzo agli uomini inconsapevoli che quella donna comune che incontravano portasse Dio. Come vorrei che il piccolo Gesù potesse tanto crescere in me che anch'io lo potessi portare e donare a tutti quelli che incontro nella vita di tutti i giorni...
E' così che il mio «convento» è diventato il cielo della mia città, le case, l'autobus, gli ospedali, la mia stanza e... anche me stessa. Sapeste miei cari amici come sono felice di tutto ciò! E' chiaro che ancora non sono riuscita a realizzarlo, forse non vi riuscirò mai, ma è il sogno caro della mia vita perché mi pare la volontà di Dio a mio riguardo.
«Riservata a Lui» vuol dire «riservata a tutti» proprio tutti e in mezzo a tutti, comunemente. Vivere i misteri della Sua vita così, nel mondo, sconosciuta, inosservata. Ho tanta paura anch'io della solitudine e so che questo è un grave torto che faccio al nostro grande «Amico». Ma so bene che vivere così sarà un rischio, perché niente, proprio niente ti protegge. Tuttavia è meraviglioso donare così a Gesù ogni potenza di amore perché allora, nella fedeltà, è qualcosa di più che essere «sposa»...
Allora l'anima va in giro cantando per le strade, attenta, attentissima ad incrociare lo Sposo, dovunque, quasi più dolcemente negli occhi di un povero, di un malato, di un solo, di un disperato, di un tradito, che nel Sacramento stesso.
Vorrei che il Signore Gesù fosse così tanto dentro di me che il mondo potesse riconoscere che Gli appartengo totalmente non per l'abito particolare, non perché frequento qualche convento o conosco qualche prete, non per la croce che porto al petto, ma per gli occhi pieni di rispetto, di verità, di purezza, di gioia e per il cuore divenuto solamente Amore.
Vi abbraccio tutti affettuosamente, vi ringrazio della vostra vita e vi prego tanto di ricordarmi.
C.
Pensieri a 14 anni
A che pro fabbricare tanti aggeggi, tanti modelli di vestiti, barbe, scarpe, capelli.. E via dicendo? A che pro tanti mobili presso che inutili, tante stoviglie, tante macchine e tanto di tutto? Mi sembra che far così sia sciupare il materiale che madre natura ha messo a nostra disposizione. Stupidità umana. Possibile che nessuno ci pensi? Quanto oro, argento, ferro, carbone che la natura ha prodotto con l'impiego di millenni viene così brutalmente preso sproporzionatamente. Possibile che nessuno pensi ai posteri ai quali toccherà usare le nostre case così fatte, per la maggior parte male, con poca cura, non facendo in tempo la natura a riprodurre il materiale? Quando penso a questo, tutto ciò che è in me e che mi circonda si annienta di fronte a questo problema. Oggi tutto il lusso, sfarzo, pranzi a non finire, lutto aumenta di proporzione, cibi sempre più ricercati, mentre migliaia e migliaia di uomini muoiono di fame dopo aver tanto sofferto riducendosi a scheletri: bambini che nascono già affamati e affetti da malattie e anomalie, e noi inerii a guardare, silenziosi a questo, pensiamo solo e divertirci, curarci e non guardiamo a loro. E se anche uno volesse fare qualche cosa, viene soffocato dalla società: che può un singolo contro tutta la società? Gli manca tutto, dai mezzi alla preparazione, che non potrà mai essere perfetta se non sarà una comunità ad operare. Fame, fame... per noi il problema non c'è...
Fosca Re
Numero dedicato a Mazzolari
A conclusione di questo numero dedicato a Don Primo Mazzolari nel sesto anniversario della Sua morte :
«CREDO» come conoscenza di vita
L'ignoranza religiosa, giustamente deplorata come la prima causa dell'attuale diserzione cristiana più che una ignoranza della dottrina, è un distacco dal significato umano di essa e dalla inesausta fecondità della sua azione rinnovatrice.
Quand'anche riuscissimo a rendere più facile e generale la conoscenza dottrinale, superando con più intelligente presentazione l'istintiva ripugnanza della nostra generazione per le cognizioni astratte, non dovremmo illuderci di aver risolto la crisi religiosa del nostro tempo. L'unico risultalo sarebbe quello di aumentare considerevolmente il numero dei dottori della legge, vale a dire di coloro, che, pur sapendo tante belle cose, hanno disimparato il comandamento che ricapitola la legge e i profeti.
Il credo, come conoscenza qualunque, non costa molto: ciò che veramente costa, perchè impegna anima, mente, cuore è il credo, come conoscenza di vita.
LA GIOIA
Per la mia gioia, come per la gioia della povera vedova di Naim, ho bisogno che tutto mi venga restituito... Il mio cuore è come due braccia spalancate e feste verso tutti i miei morti. Niente di quello che fu amore, tenerezza, sorriso, pianto può essere perduto.
Ho bisogno che mi torni dentro, un giorno, lo stupore dei primi sguardi, il primo sorriso della mamma, il primo sogno, il canto del primo ideale, il piccolo paradiso della mia prima comunione. Perchè la mia gioia sia compiuta, ho bisogno di ritrovare un giorno certe larghe luminosità della mia piana lombarda, certe distese fiorite di lino e di trifoglio, certe iridescenze sulle acque delle rogge, certi tramonti sul Po, il primo suono di campane dopo 4 anni di guerra, il fantastico plenilunio della mia vigilia di Messa...
Il mio povero cuore ha bisogno anche di questo: se no di pieno non ci avrei che il mio pianto...
Tu, o Signore, hai detto «Io tornerò a voi perchè la vostra gioia sia piena».
Colui che ama torna sempre: per questo, benché col cuore gonfio di memoria e di schianto per le creature che vanno, resisto, nella speranza che tutto ritorni perchè Tu ritorni.
Come tutti gli assetati di gioia, anch'io chiedo gioia per la mia anima e per il mio corpo: una gioia piena.
Solo DIO conta
Quando si è comandati dalla paura, come si può essere veraci e insegnare le vie di Dio secondo verità e non guardare all'apparenza delle persone? E la paura ci occupa, quando, al posto di Dio, mettiamo l'uomo, o poniamo la nostra fiducia in quelle cose che sono continuamente sotto la minaccia o la lusinga dell'uomo, per le quali Dio non s'impegna.
Fare la Verità
L'ora della testimonianza suprema va preparata rimanendo fedeli alla Verità, e disponendo quelle condizioni di completa luminosità per cui il sacrificio, spostandosi dal piano delle piccole passioni a quelle degli interessi eterni, obblighi gli spiriti retti ad inchinarsi davanti ad ogni calvario.
LA PACE
Qui sto bene come in Chiesa. Per molti dei miei Parrocchiani il cimitero è l'unica chiesa. Non so però dirvi quanto ci stiano bene: so però che in qualunque modo, ognuno fa un atto di fede e arrischia l'avventura non comune di trovarsi solo con il proprio cuore davanti alla morte.
Ci scusiamo per il mancato numero di aprile: il periodico sta attraversando alcune difficoltà che non sappiamo se potranno essere superate. Precisiamo che non si tratta del problema economico, ringraziamo anzi delle offerte pervenute.
LA REDAZIONE
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455