LA VOCE DEI POVERI: La VdP gennaio 1965

Tentazioni del nostro tempo

Spesso vi è un grave problema ad affliggere molto seriamente l'anima del credente, del cristiano. E' vera e profonda afflizione perchè arriva fino a deprimere, a scoraggiare, a sgomentare. E' un problema che porta in se possibilità perfino di disorientamento. Turba fin nel più profondo. E è capace di diventare una terribile tentazione.
La tentazione di non onestà e di non totale coerenza con la propria Fede.
La tentazione del compromesso giustificato e santificato dalle buone usanze e dai consigli dei prudenti, dalla prassi comune.
La tentazione della stanchezza di fronte all'assurdità di una ricerca che sempre più si rivela inutile o almeno inaccettabile, come se si trattasse di utopie.
La tentazione della sfiducia nella Chiesa per via della troppa saggezza degli uomini che la guidano.
La tentazione della vita tranquilla, normale, saggia e prudente, rispettata e considerata dai benpensanti, dai furbi, dagli opportunisti e perfettamente rispondente ad una sana pigrizia, ad un sereno addormentamento in placide situazioni di privilegio.
E queste sono appena alcune delle tentazioni, estremamente pericolose, che si affacciano all'anima in pena, penetrando a poco a poco nelle screpolature determinate dalla stanchezza e riescono spesso a sbriciolare, in mediocrità paurose, grandezza d'ideali e compattezza di Fede.
Sono problemi di contrasto fra una Fede chiara, limpida, ingenua in Dio, in Gesù Cristo, nel Vangelo, e una riscontrata, esperimentata impossibilità di tradurre in vita pratica, di realizzare, in una coerente esistenza, questa Fede.
E' problema serio, per chi ha scoperto Dio e ha subito il fascino di Gesù, trovare il modo d'esistenza perfettamente in linea a ciò che ormai gli è nato nel cuore come esigenza assoluta, come Verità totale.
Non è vero che un certo mondo attuale cattolico sia gente scontenta, inquieta, eccessiva estremista. E tanto meno è vero che ormai un certo spirito d'indipendenza, di amore alle novità, di tentativi rivoluzionari ecc. sia filtrato, dalle turbolenze agitate di questo nostro tempo, fin dentro alcune anime irrequiete di cattolici e di preti, a mettere sottosopra il quietismo pacioccone, la rassegnata passività, l'indolenza tradizionalista e conservatrice, troppo spesso scambiata come virtù d'obbedienza, umile sottomissione, attesa fiduciosa piena di fede.
Pensare così, ci sembra offesa allo Spirito Santo, come se ormai non avesse più capacità d'iniziativa o forza sufficiente per spinte infinite.
Sta di fatto invece - e dovremmo ringraziare Dio con infinita gratitudine - che la conoscenza chiara e scoperta di Dio non lascia più tranquilli, ma scava dentro urgenze di corrispondenze incontenibili. L'Amore di Gesù, quando è seriamente entrato nell'anima, si mangia tutta la pace e brucia ogni possibilità di accontentatura puramente devozionale e scende subito nella realtà dell'esistenza e «è fuoco che non desidera e non cerca altro che di accendersi sempre più».
Pensiamo che sia una incredibile grazia, concessa al nostro tempo, che vi sia gente che ormai il Cristianesimo non lo sopporta più fatto di candele o di altari splendenti di elettricità e di fiori, di processioni barocche, di devozioni a tutti i santi, di impostazioni intellettualistiche...
Nemmeno gli bastano le liturgie espresse da comunità fittizie e artificiose, raffinatezze di privilegiati, ricerche di consensi popolari ottenuti offrendo partecipazioni generose.
Chi crede in Dio sente e capisce bene che cosa vuol dire: comporta, in modo concreto, vitale, accettare Dio come determinante di tutta la propria esistenza, come motivo fondamentale del vivere umano.
Non si può credere in Dio e non impostare unicamente e totalmente tutta la vita in Lui.
E' inevitabile cercare dipendenze assolute convergenze essenziali. Non può essere la solita vita che crede in Dio e poi si fonda in questo o quest'altro valore, spera qui o là, si arrangia aggrappandosi a tutto.
Gesù Cristo, se è veramente Dio fatto Uomo, non può non incidere con estrema violenza nella realtà della vita. Bisogna necessariamente che la modifichi secondo il Suo Pensiero, bisogna che la determini secondo i Suoi criteri. Gesù Cristo vuol dire costruzione di vita. Non può non essere programma esattissimo, ed estremamente esigente, d'esistenza.
E' veramente bello ed esaltante che il Vangelo sia il libro che più turba e che rende impossibile la pace.
La Chiesa lo incensa nella liturgia, ne canta le parole e ne spiega il significato e ne insegna la dottrina, ma poi non è più possibile riporlo nell'armadio o sullo scaffale fra i libri buoni o di devozione. Il Vangelo è una pesante pietra sul cuore e vi grava sopra con un peso uguale a quello di Dio. E' un fuoco che brucia sempre, a fuoco lento, e logora, spietato, fin nel midollo delle ossa o brucia, avvampando improvviso, mangiandosi tutto di colpo e lasciando soltanto terra bruciata.
Il Vangelo - se la Fede è chiara e scoperta - comporta un bisogno di serietà immediata per un consegnargli tutto il proprio corpo e l'anima e il tempo ed ogni ricerca o sogno o ideale di concreta autenticità di esistenza, per se stessi e per l'umanità intera.
Non può non essere l'unico codice capace di segnare i diritti e i doveri. Le misure degli impegni e la gioia della libertà. Il peso delle responsabilità e la gloria del proprio destino.
Chi legge il Vangelo e lo prende sul serio, vi trova la storia della vita di Gesù e vi scopre la Volontà di Dio in ordine a tutta l'esistenza umana e è come imparare la strada sulla quale camminare, è salire sulla barca per attraversare l'oceano, è scoprire la casa dove abitare perchè già vi abita Dio.
Non si può, dopo, contentarsi di una vita secondo la prudenza umana, regolata dal buon senso e dalla saggezza. Non ci si può adattare ad una sistemazione secondo i canoni fissi del vivere normale. Non si può accettare che il Cristianesimo vada avanti affidandosi ai valori umani. Non si riesce a sopportare che la Chiesa confidi nei mezzi terreni e si regoli secondo le mentalità proprie de! mondo e secondo la sapienza umana.
E' triste voltarsi dovunque e cercare un po' di purezza di Vangelo, un metodo di vita arrischiato secondo quelle pagine. Un modo d'esistenza ricopiato alla lettera da quel libro. Una sistemazione di un vivere quotidiano perfettamente aderente all'esempio di Gesù ed esecuzione coraggiosa e serena di tutta la Sua Parola. E' triste cercare dovunque con una voglia infinita e non trovare niente o quasi: è triste, se qualcosa uno riesce a trovare, sentirlo al di fuori di ogni ufficialità, quasi clandestino o alla macchia, come se fosse un pericolo o un tradimento, non - si sa bene poi di che cosa.
Nel mondo si ha sempre più voglia di un po' di pazzia secondo il Vangelo e invece tutti trovano soltanto burocrazia raffinata, diplomazie consumate, prudenze a non finire, saggezze fino alla nausea e il buon senso del «loda il monte e tienti al piano», oppure della buona regola «chi va piano va sano e va lontano».
E' allora che la pena diventa angoscia. E la stanchezza comincia ad essere tentazione. E l'adattarsi pericolo quasi inevitabile e invincibile.
E' il problema gravissimo che questi nostri tempi pongono sempre più urgentemente e scopertamente alla Chiesa e alla cristianità.
Non siamo riusciti bene a capire se il Concilio si è posto chiaramente questo problema di incoraggiare esperienze nuove di esistenza cristiana, non soltanto individuali, ma comunitarie. Non ci sembra, anche se si è seriamente impegnato nel tentativo di riforma delle istituzioni esistenti.
L'ambiente cattolico non ne sembra molto preoccupato di questo problema, e continua a veder male e a respingere ai suoi margini, fino a cercare di spengere, ogni tentativo di nuova esistenza cristiana, di nuovi modi di rapporto fra cristianesimo ed esistenza umana, di ricerche di incarnazione autentica del Mistero cristiano nella realtà concreta del nostro tempo.
E chi cerca, chi sta giocando tutto, si stanca e si scoraggia, tentato terribilmente di abbandonarsi alla corrente del buon senso comune.
E chi aspetta di trovare concretezza di esistenza cristiana, rischia delusioni dannosissime. Chi sta cercando di trovare un po' di Vangelo vissuto come programma di vita, trova buona gente sistemata e tranquilla, che va avanti ben guidata da sagge mentalità umane. Chi si ostina ad aver voglia di un po' di pazzia di Cristo, trova chiese ben riscaldate, funzioni religiose ben congegnate, gente che legge e canta insieme con tutta la convinzione di realizzare così una comunità cristiana.
E si potrebbe, con terribile facilità, continuare nella descrizione di ciò che la cristianità offre di cristianesimo, e sarebbero descrizioni di mentalità e di traduzioni in esistenza cristiana che sgomenterebbero.
Spesso la sofferenza è così profonda da non essere capaci di fare altro che rivolgerci alla Chiesa, ripetendole con le lacrime agii occhi, l'invocazione del Pater noster: ...«non c'indurre in tentazione». E è come preghiera di bambini alla loro Madre.



La Redazione

Questa voce dei poveri

Non credo che sia disdicevole per me scrivere su queste pagine di ogni mio problema. I miei amici sanno che non è per ostentazione o desiderio di pubblicità, è soltanto offrire la propria esperienza e molto di più ancora, le proprie ricerche di Amore di Dio, di fedeltà a Gesù, di obbedienza alla Chiesa, perchè chi ne ha bisogno e gli può essere di aiuto e di conforto, si senta accanto qualcuno che cerca, perchè unita alla propria sofferenza ne senta un'altra, a rendere forte la propria Fede gli serva la fatica di un'altra ricerca, a tenere acceso un po' di Amore gli sia di aiuto il focherello di un altro cuore.
Non scrivo quasi più lettere, ormai, questo foglio mensile è la mia risposta a tutti quelli che mi scrivono, anche perchè non sono mai riuscito a trattare problemi individuali con ricerche particolari di soluzioni o di chiarificazione: credo tanto che in fondo è là grande ricerca di Dio che risolve tutto e specialmente l'Amore per Gesù. Per noi cristiani Gesù è la soluzione di ogni problema, il superamento di ogni difficoltà.
Non abbiamo bisogno di altro, per affrontare ogni situazione, che cresca la conoscenza di Lui e l'Amore, che la Sua presenza in noi sia più determinata e assoluta. E' soltanto necessario guardare tutto nella Sua Verità e ogni cosa rapportare a Lui, al Suo Mistero. E' in proporzione a quanto Lui è tutto in noi, che tutto diventa chiaro e buono e adorabile. Semplice e facile. Logico e normale. Perchè Lui quando è tutto in noi, diventa la misura della libertà, della Verità, dell'Amore. E la Sua misura è essere senza misura.
Quindi mi è tanto naturale e spontaneo riversare tutto su queste pagine nella certezza di aiutare i miei amici per quanto io posso e per quanto loro si aspettano da me. E, speriamo, per quanto Dio si attende da noi.
Anche e perchè quello che scrivo è sempre e soltanto risonanza precisa e fedele di quello che credo e cerco, giocandovi tutto me stesso.
Può darsi che spesso l'entusiasmo della Verità mi prenda la mano, perchè spesso la felicità di Dio può traboccare e l'Amore di Gesù spesso può aggravare violenze di convinzioni accese e ardenti e può quindi capitare una eccessività di parola e di discorso. Però è certo che dietro - ma credo di poter dire «dentro» - ogni parola vi è il cuore, a riprova di sincerità, in ogni frase è mescolata l'anima a giustificare ogni rischio, e sempre ogni discorso ha, come unica forza di logica, una vita giocata senza riserve e paure, fino a cercare di poterne essere autentica testimonianza. Mi verrebbe da dire - anche se può sembrare stupida presunzione - che tutto è cuore e anima e sangue e vita. Se non altro come voglia infinita e desiderio cocente. E non può che essere così, è normale che sia così, quando la parola è parola del cristiano, del sacerdote - continuazione e pronunciamento incessante della « Parola che si è fatta carne e è venuta ad abitare fra noi».
La necessità assoluta quindi di rispondenza totale fra la parola e resistenza, fino al punto che la parola sia espressione e comunicazione d'esistenza. Non può essere diversamente, nemmeno per un'ombra. Per la parola de «La voce dei poveri» occorre logicamente una realtà di vita corrispondente, almeno per me (a parte gli eventuali collaboratori).
E se fino a pochi mesi fa mi sembrava di essere terra adatta per certi alberi da frutto, o arbusti o rovi che fossero, attualmente non ho più questa chiara sicurezza.
Ho seriamente pensato di non scrivere più queste pagine perchè troppe cose sono troppo cambiate per me, in questi ultimi tempi, da non sentirmi più giustificato a parlare di povertà, di Vangelo, di Gesù, di realtà umana e di problemi d'esistenza, indispensabili almeno per una onestà umana di discorso.
Quando la Parola non si paga di persona i casi sono due o si rompe con questa situazione d'insincerità o si smette di parlare.
Sono stati giorni di angoscia terribile e a un certo punto mi ha vinto la paura di pagare di persona, del compromettersi, del rischiare sempre lo impossibile, del camminare sempre sull'orlo. Perchè anche la mia carne ha le sue ragioni e le sue prudenze, il cuore le sue giustificate stanchezze, la anima i suoi diritti ad una tranquilla sicurezza, davanti a Dio e agli uomini e quindi davanti alla Chiesa.
E' allora che ho pensato che era finalmente venuto il momento di adattarsi alle nuove situazioni maturate in forza delle cose o, può darsi, anche per Volontà di Dio.
Voleva dire ritirarsi nel guscio delle proprie sistemazioni, nel grembo caldo di una tranquilla comodità. Era un ritornare a casa dalla trincea o in una ben sicura e onorata sistemazione nelle retrovie.
E' stato però per pochi giorni. E di nuovo come un dovere essenziale al quale non si può non obbedire, sono uscito fuori di casa, all'aria aperta, contro vento, sotto la pioggia, a camminare dove la strada non è tracciata e nemmeno io so di dove possa passare. Ma non ha importanza, la gente smarrita è possibile incontrarla dove non vi sono cartelli indicatori o tracciati visibili. La gente disperata vaga soltanto nel deserto, sola e abbandonata a se stessa. La povertà è unicamente dove si rischia ogni .giorno anche il pane quotidiano. Così la Verità e l'Amore sono dove e quando Dio è l'unico valore e unica fiducia. L'unico Tutto. Gesù allora è là, all'incrocio della strada, all'imbocco di quella stretta, sassosa e ripida e che svolta subito fino a non poterne vedere che la misura d'un passo dopo l'altro.
E' stata una liberazione fino ad andarsene via coperto e difeso soltanto dalla nuda povertà perchè nasca finalmente vera e cresca ogni giorno di più, una schiavitù non di catene alle mani e ai piedi, ma di destino di servizio incondizionato all'unico adorabile Signore.
E' ancora una speranza, ma ormai è una scelta anche se in condizioni d'attesa. Credo che per il momento sia sufficiente perchè la Voce dei poveri sia ancora una voce onesta.
E' per questo, fratello e sorella, che ancora ti arriva e tu puoi aprirle il cuore con serena fiducia.


don Sirio

Preghiera d'inverno

Signore, la notte, l'inverno e la morte mi fanno paura. Ancora mi fanno paura come quando avevo dieci anni. E non so se è perchè devono sempre fare paura o se è perchè io ho ancora dieci anni.
Signore, la terra grigia e fredda d'inverno mi sembra che sia come morta, è tutta come quella che ricopre le tombe al cimitero. E mi pesa nella anima come se mi seppellisse.
Signore, gli alberi d'inverno sono come braccia levate verso il cielo scuro di nuvole, a implorare pietà: sono la mia preghiera di ora, soltanto implorazione, un chiamare a gridi lunghi e penosi.
Signore, ti adoro nella notte fonda e nera di questo inverno, quasi sempre senza stelle. Ti adoro da questa terra diacciata fino a sembrare senza speranza. Ti adoro dentro questo inverno per me così tanto freddo fino a rendere di gelo la anima mia.
Signore, sono un albero scheletrito, sono un campo spento, una montagna dalle rocce scoperte: anche se dentro gli ideali e le chiarezze e la gioia e l'Amore tremano per impazienza violenta come le gemme in attesa, come l'erba e i fiori dei campi, come il verde che veste le montagne.
Signore, e quando cade la neve allora il silenzio cresce, la pace si affonda di più nel profondo della anima, e divento deserto bianco, solitudine sterminata, vastità infinita.
Signore, tutto è bello allora ma il freddo aumenta e la fame cresce perchè è difficile credere che sotto la neve ci sta il pane, quando la neve copre anche l'ultimo filo d'erba e tutto nasconde sotto il suo gelo bianco.
Signore, e tu sai che io sono un povero uccello, non ho granai come tu hai comandato, né filo, nè mieto, aspetto ogni giorno che il Padre celeste mi doni una briciola di Verità, un chicco d'Amore e mi rivesta di un po' di tepore d'affetto.
Signore, sono povero e solo, te ne prego, per favore, fai che sulla neve, anche se caduta di fresco, io trovi delle orme di qualcuno che ha segnato la strada. Dove l'inverno mi ha fermato quest'anno io non conosco nemmeno un sentiero e se trovo delle orme non smarrirò la strada e un po' di coraggio salirà su, da quelle orme, fino al mio cuore.
Signore, ma se devo essere io a segnare la strada, ecco, uscirò e camminerò sulla neve. Seguirò l'istinto dell'anima e mi affiderò, ad occhi chiusi, alla tua mano invisibile ma sicura. Aiutami, perchè vorrei camminare a piedi nudi perchè chi verrà dopo di me trovi non soltanto una strada tracciata ma sappia con sicurezza che di qui è passato un uomo e era povero. Ne sarà felice e non si sentirà più solo.


* * *

Epifania 1965

E' la festa del manifestarsi e del rivelarsi del Salvatore e Redentore agli uomini, al di là del suo popolo, ai «pagani», cioè a tutte le genti e all'umanità nel suo complesso. Questo ci annuncia «Apparve la grazia benevola e l'umanità del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo»; la solennità dice: Ecco, Dio è qui, ancora piano e sommessamente, ancora come la primavera sta chiusa, tranquilla nella sicurezza della sua vittoria, entro il piccolo seme, nascosta sotto la terra invernale, eppure già più possente di ogni tenebra e gelo. E' la festa che proclama: «E' qui Dio, che s'è fatto uomo, che è penetrato nella povertà e nell'angustia della nostra vita», Egli è vissuto così da essere uno di noi, e da non rendere mai più dubbio quale sia l'esito di questo dramma che l'umanità recita sulla scena della sua storia, così da far cosa sicura - o fede benedetta - che questa tragedia apparentemente improvvisata con tanta assurdità, intrisa com'è di sangue e di lacrime, è invece pregna di un divino finalismo, da quando Dio stesso non si limita più ad osservarla da spettatore, ma vi partecipa Egli medesimo da attore e pronunzia le battute caratteristiche e decisive. Festa dell'apparizione del Signore: nella quale si continua perennemente a celebrare la santa Notte, che è più chiara dei nostri oscuri giorni, dacché ha accolto l'eterna piccola Luce a brillare nella nostra tenebra.
Tuttavia v'è pure un nuovo tratto in questa seconda festa natalizia, che non emergeva tanto chiaramente nella prima. Non solo Dio è venuto a noi, ma in virtù di questo atto divino gli uomini stessi sono spinti a porsi in moto, essi medesimi s'avviano verso Colui che è venuto a loro.
...Pertanto questo giorno è la festa del viaggio benedetto dell'uomo in cerca di Dio nel pellegrinaggio della sua vita, dell'uomo che trova il Signore perchè lo è andato cercando.
In realtà, quando leggiamo i primi dodici versetti del secondo capitolo di Matteo, che parla dei Magi noi lèggiamo la storia di noi stessi, del nostro eterno pellegrinaggio.
E' la nostra storia, che vi cogliamo, o meglio deve esserlo. Non siamo noi tutti pellegrini, in viaggio, uomini che non hanno sede alcuna, permanente, quand'anche, nella realtà concreta, non dovessimo abbandonare la nostra patria? Come fugge il tempo, come svaniscono i giorni, come è vero che noi siamo sempre nel divenire, che passiamo sempre oltre: abbiamo cominciato in qualche luogo e in qualche momento, ed eccoci già partiti per il viaggio, che procede sempre più avanti e mai non ritorna nel medesimo punto. E la via si svolge attraverso la fanciullezza, il vigore della gioventù, la maturità virile, attraverso poche feste e molti giorni feriali, attraverso le altezze e le miserabilità, la purezza e la colpa, l'amore e l'illusione, sempre più oltre, inarrestabilmente oltre, dall'Oriente della vita all'occidente della morte.
Ma dove si dirige questo vigore? Meta del nostro pellegrinaggio si chiama Dio. Egli abita in remota lontananza. La via verso quel termine ci può sembrare troppo lunga e difficile, ed incomprensibile ciò che noi stessi intendiamo quando diciamo «Dio».
..L'enorme flusso dì tutto il creato attraverso ogni tempo, ogni mutamento e ogni vicenda, fugge verso di Lui.
Non si deve mettere in cammino verso quella meta pure il nostro cuore, per cercarlo, se lo spirito libero trova soltanto ciò che ha voluto cercare?
...Ecco, i Saggi sono partiti... La strada è lunga, il piede spesso stanco, il cuore a sua volta sovente greve e inaridito.
Ma il cuore dei cercatori di Dio resiste, essi stessi non sanno donde continui a venir loro il coraggio e la forza, che non scaturiscono da loro, che son sempre solo quanto bastano, che neppure tuttavia vengono meno.
Quando poi giungono e si inginocchiano, fanno solo ciò che hanno sempre compiuto, già durante la ricerca e il viaggio, portano l'oro del loro amore, l'incenso della loro venerazione, e la mirra del loro dolore innanzi al volto del Dio invisibile fatto visibile.
Andiamo anche noi nel villaggio avventuroso del cuore verso Dio! Corriamo! Dimentichiamo quello che sta dietro di noi. Tutto è puranche avvenire: sono ancora aperte tutte le possibilità della vita, poiché possiamo ancora trovare Dio.
Cuore, non ti sgomentare alla vista della fila pellegrinante dell'umanità, degli uomini che procedono curvi sotto il peso del loro segreto tormento, sempre avanti, apparentemente tutti nella medesima assurdità senza scopo. Non ti sgomentare: la luce è là e risplende.
Come debbo correre? Deve muoversi il cuore! E' lui che pregando protendendosi nel desiderio, trepido, ma pronto a esercitarsi onoratamente nelle opere, corre, cammina incontro a Dio, il cuore, che crede e non si lascia inasprire, che stima più saggia la follia della carità che la furberia dell'egoismo; il cuore, che ha fede nella bontà di Dio, vuol farsi perdonare con amore la sua colpa da Lui (è cosa più difficile a compiersi di quanto forse non si pensi), il cuore che si lascia convincere dal Signore della propria misteriosa povertà di fede, né se ne stupisce ma Gli rende onore e Lo confessa, tale cuore ha intrapreso il viaggio avventuroso dei cuori regali.
E' iniziato un nuovo anno. Anche in esso tutte le vie vanno dall'oriente all'occidente attraverso i deserti della vita, senza fine, ai margini del passato. Su di esse però si può compiere il beato viaggio pellegrinante verso l'Assoluto, diretto a Dio. Parti, mio cuore, e cammina.
L'oro dell'amore, l'incenso dell'anelito, la mirra della sofferenza, li hai con te.
Egli ci accoglierà e noi Lo troveremo.


Karl Rahner

Grazie, Maria

Ti ringrazio Maria, perchè so che Tu sei stata la Creatura. La realizzazione del Suo sogno. Il rapporto dell'Universo con Dio, l'offerta totale, l'obbedienza perfetta, la Vita creata che torna al Creatore. Dio ci ha sempre pensati così. Ha desiderato abitare tra di noi come ha abitato in Te.
Grazie per avere tanto acconsentito. Per non avere avuto timori quando la potenza dell'Altissimo Ti coprì della Sua Ombra. Non ti sei preoccupata de! futuro, di ciò che sarebbe successo, delle responsabilità che te ne venivano (e dovevi ben saperlo che da te dipendeva tutta l'umanità). In fondo è logico che la creatura serva Dio, sia strumento del Suo pensiero, si pieghi e s\ faccia modellare secondo i suoi disegni. Tu hai tanto raccolto e sei rimasta fedele e pronta. Semplicemente Sua. Non avendo che Lui. Custodendo tutto ciò che ti metteva dentro. Ma continuando ad. abitare con noi perché anche Lui abitasse tra noi. Una come tutte.
Perché lo so e lo credo che tu sei stata la donna più donna perciò donazione che nulla pretende, Bontà, Purezza, prova per l'uomo dell'Amore di Dio e della Sua fiducia in lui, sicurezza di Vita.
Quando l'Angelo ti disse che lo Spirito sarebbe sceso su di te gli hai detto sì con semplicità.
In quel tuo sì c'è tutta la nostra ragione di essere. Perchè, tu sei il senso delle cose, il riassumersi di ogni ricerca ed esperienza di Lui, l'offerta dell'umanità a Dio. E anche il frutto di tutto l'Amore, la Fedeltà, la Pazienza, la Bontà di Dio col popolo di Israele, e perciò con ogni uomo.
Quando leggo l'Antico Testamento penso sempre che anche se siamo stati così poco amore con Lui, Lo abbiamo tanto tradito, e abbiamo cercato di sfuggirgli, non potevamo non essere Suoi, infine. E Lui ci ha vinto in te. Gli abbiamo acconsentito. Gli abbiamo detto sì Abbiamo vissuto la Fedeltà e la Purezza. Siamo stati creature, e basta. E perciò veri.
Perché Dio ci ha sempre e solo chiesto questo, essere come bambini, farci guidare, formare, amare; ha sognato di raccoglierci sotto le sue ali come pulcini. Non ci chiede altro se non di non distrarci perché è un Dio geloso.
Come è stata semplice e fatale la relazione tra te e Dio. Continua, credo non abbia mai smesso per un attimo, perché hai accettato di farti amare senza difesa, e hai acconsentito ad accogliere il Mistero di Dio come fosse una cosa tua. Te stessa. La tua stessa vita. Gesù.
Ti ringrazio Maria; aiutaci, ti prego, ad essere veri e semplici ad essere solo Amore, ad avere un'immensa fiducia in Lui, restando senza difesa, abbandonati.


M. G.

Una vita?

Ditemi cos'è un albero.
Ditemi il canto di un fiume
quando si ricopre d'uccelli.

Parlatemi del mare. Parlatemi
del vasto odore dei campi.
Delle stelle. Del vento.

Raccontatemi un orizzonte
senza chiavi e serrature
come la stamberga di un povero.

Ditemi com'è il bacio
d'una donna. Fatemi il nome
dell'amore: non me Io ricordo.

Gli innamorati profumano ancora
le notti dei loro brividi
di passione sotto la luna?

O non c'è altro che questa fossa
che la luce di una tomba
e la canzone di queste pietre?

Ventidue anni:... sto scordando
ormai la dimensione delle cose
SCRIVO
il loro colore e il profumo
SCRIVO
A tastoni il mare e i campi...
DICO foresta e non so più
la geometria di un albero.

Parlo, tanto per parlare di cose
che gli anni m'hanno cancellato.

(Non posso continuare: sento i passi dei secondino)



Composta nelle carceri di Burgos dopo 22 anni di permanenza


Marcos Aña

Lettere dal carcere

Un amico ci ha inviato con l'autorizzazione di pubblicarle, queste tre lettere di Giuseppe Gozzini, l'obiettore di coscienza condannato da un tribunale per essersi rifiutato di prestare servizio militare in obbedienza all'ideale della non violenza da lui così seriamente e profondamente sentito come norma di esistenza cristiana.
La pubblicazione di queste lettere è chiaro che per noi vuol dire profonda simpatia per Giuseppe Gozzini e solidarietà con l'ideale cristiano della non violenza.
Le lettere sono state scritte dal carcere durante l'attesa del processo.
d.S.

Ospedale Militare reparto neurologico
Caro don....
sono qui in uno stanzone che rappresenta il manicomio di questo ospedale. Sto mangiando una mela scacciando il pensiero di essere un po' abbandonato da tutti.
Devi sapere che oggi soltanto ho ricevuto la tua lettera, che ho divorato. Poi ho appeso la preghiera al letto. Finora mi ha scritto solo T. che non conosci (più che ateo è un nostalgico di Dio) e gli ho risposto di non fare molto baccano.
Poi, insieme alla tua, anche una lettera dei miei.
Qui è diverso dalla cella di rigore perchè almeno mangio e dormo, ma è anche più triste perché non si può chiudere gli occhi sul " campionario giovanile" che c'è qui dentro: pazzi, falliti, delinquenti, truffatori deliranti con la camicia di forza, ecc.
C'è una suorina luminosissima che pare sia rimasta molto scossa dalle mie parole e, dopo molti dubbi, interrogativi ecc. mi ha detto che sono un prediletto. Vai a capire le suore! E' comunque una figura « incantevolmente straziante» e ci sa fare in questo ambiente. Purtroppo è tagliata fuori perché viene solo a cena e a pranzo. Ti scrivo un po' male perchè sono sul letto.
Non sono meno chiuso che in cella, ci sono sbarre dappertutto, ma dentro ci sono persone vive cui parlare. Sapessi quanto poco riesco a fare per loro, come ci si sente impotenti, mentre loro mi sono così vicini. È necessario che vinca le poche briciole di orgoglio che mi sono rimaste, continuamente stuzzicate, perchè non ho fatto finora che riscuotere la simpatia di tutti. La cella era diventata addirittura un luogo di incontri e di amicizie e venivano in dieci a portarmi da mangiare. Non sai i colonnelli, capitani ecc. che mi hanno voluto " convincere"; non pochi ricorrevano a mezzi subdoli, come " ricatti sentimentali", « tirate patriottico-sociali» ecc.
Continuo ad essere irremovibile, non solo perché la lezione di X mi è proprio entrata nel sangue, ma perché - anche se mi sento molto indegno - penso che nella nostra testimonianza cristiana (si tratta di incarnare una Parola) non possiamo passar sopra alle strutture « storiche» che l'hanno falsata, come resistiamo attivamente nelle piccole « contingenze» che fanno la nostra vita quotidiana. Quanto alle leggi, così assurde nel mio caso, dobbiamo lasciare bagnare il naso da Socrate o dobbiamo proprio ricorrere al mito di Antigone, per capire che sono opera degli uomini e che bisogna superarle quando contrastano con la nostra coscienza? Sono molto stanco, caro don..., perchè sono stato troppo martellato. Il colonnello comandante.... mi ha già regolarmente denunciato e deporrà contro di me al processo di... Sono qui perchè vogliono fare molto in fretta (a... parlavo troppo) e cercano di mettere a tacere la cosa. Il medico dei pazzi, un tipo buffissimo per nulla stupido, mi ha offerto questa mattina (sono arrivato ièri) di «dichiararmi matto» ; infatti tu sei matto - mi ha detto. E' chiaro che non accetterò mai di essere esonerato per tale motivazione (anche se mi ha detto che non dovrò firmare nulla e non mi nuocerà affatto perchè non lo saprà nessuno). Mentre sarò ben felice se per la mia « gastrite duodenale» sarò rimandato a casa, perchè è vera e non presunta soprattutto ora. Nella tua lettera ti sento molto " vivo", presente.
Ciao, ti abbraccio.



Carcere militare
Caro don....
ti scrivo subito per comunicarti il mio nuovo indirizzo... E' una sistemazione anche questa no? Non ho voglia di dirti nulla, perchè a volte gli amici si sentono così presenti (come quésta sera) che il ricordarli è come se si fossero dimenticati.
A parte gli scherzi, qui fa così freddo in cella che riesco appena a tenere in mano la penna.
Voi come state?
Riesco a pregare molto, ma c'è il rischio di pregare da soli, cioè di sentirsi soli nella preghiera. Poi la Chiesa è a portata di mano (ce ne è una ma è " vuota") La presenza di Cristo sulla terra, dapprima nella sua breve vita terrena poi nel Corpo Mistico che è la Chiesa, è oggi misteriosa anche nell'Eucarestia.
Quest'ultima « presenza» è quella che mi manca di più nelle mie condizioni di vita e di salute.
A voi " fortunatissimi", tutta la mia invidia « santa e fraterna». Mi hanno portato qui ieri sera « ammanettato» e sono in attesa della sentenza: il processo è già nella fase istruttoria. Spero di essere giudicato prima di Natale. Vi terrò informati. Posso essere comunque « visitato» (è anche un'opera di misericordia), salvo nuove formalità.
P.S. Mio avvocato difensore è ...direttore de « L'Incontro». Una delle cose più dure per me è che, dovunque vado, metto un po' le radici, mi faccio degli amici e poi non sai quanto mi costa lasciarli. E poi ogni uomo che entra nella tua vita è come se mettesse in discussione tutto, anche se lo incontri sul treno.
Qui la necessità spinge per forza ad « adattarsi», ma c'è il rischio che la vita di galera diventi" normale", ed allora vuol dire che si è dimenticato troppo della vita fuori, che è poi quella vera e normale.
Ti abbraccio.


Carcere Militare
Caro Don...
prima avevo un po' più di tempo per scriverti, ma ora, essendo in una cella mi hanno tolto tutto (le stringhe delle scarpe, la cinghia dei pantaloni, la penna, i libri, l'orologio).
Così riesco a scrivere due righe quando viene qualche « caporale buono» a portarmi da mangiare e mi porta l'occorrente.
Non so come riassumerti la mia posizione di obiettore di coscienza, ma ritengo comunque che sia mia vocazione personale, di cui devo rispondere di fronte a Dio, vivere l'insegnamento evangelico della non violenza.
Sono anche un povero uomo malato, in attesa di processo. So che a Firenze sono duri e mi beccherò non meno di due anni a Gaeta. Tu come stai? È troppo che non ci si vede e non ci si sente e il caporale mi fa già fretta.
Qui il cibo è indecente e quasi sempre freddo, la cella è umida, il tavolaccio è duro. Prego tanto anche per te e sono abbastanza su di morale forse perché faccio questa vita solo da cinque giorni.
Ti abbraccio.


Giuseppe Gozzini

L'uomo tra il silenzio e Dio

La mano di Dio e la mano di Adamo... Non è facile trovare nelle figurazioni artistiche un'opera che esprima così plasticamente il senso dell'uomo e della sua missione, quanto la creazione di Adamo di Michelangelo. Vi è come accennata una continuità misteriosa. Adamo che, quasi proiettato da Dio nel mondo, a Lui si protende con l'invocazione silenziosa della sua mano e del suo sguardo. Mano di Dio - mano di Adamo: una consacrazione figurativa al ruolo d'« immagine »... Quella mano, che si tende come invocazione e nostalgia, è già ritorno. Il silenzio delle due mani...: una consacrazione accolta nel dono proprio dell'uomo davanti a Dio, e che dice ammirazione, dipendenza adorazione... Smarrire questi sentimenti è smarrire il perchè stesso della nostra umanità.
Il silenzio - afferma M. Picard in una sua suggestiva opera - non consiste nel fatto che l'uomo, ad un certo punto cessa di parlare. Esso comincia là dove la parola finisce. Ma non comincia «perchè» la parola finisce, ma soltanto perchè in quel punto si manifesta: e la parola muore se perde il suo legame col silenzio. Nulla in questo nostro tempo ha tanto mutato il volto dell'uomo quanto la perdita del silenzio, la rinuncia al proprio mondo interiore, a quella «segreta» dimora dello spirito che è il vero motivo della sua grandezza.
E l'uomo che ha perduto il silenzio non ha perduto soltanto una sua proprietà, ma ne è stato modificato in tutta la sua fisionomia interiore. Perchè il silenzio non è semplicemente un fenomeno, qualcosa di negativo... quasi - come a volte si dà - fosse una amputazione, un'incapacità dello spirito che non sa donare una parola...
No. Il silenzio appartiene alla natura stessa dell'uomo. Esso nasce e si alimenta nel mistero stesso dell'uomo e di Dio. E la parola che nasce da questo silenzio è sempre qualcosa di essenziale e di divino.
Ma il silenzio non è più un «fatto» tra noi: oggi esso va edificato, attraverso una vigilanza continua dello spirito. Il mondo dell'uomo moderno deve, ad ogni istante e forse più che in passato, ritrovare le modalità del suo silenzio, ricrearsi tutte le possibilità di recupero attraverso gli ostacoli che si oppongono ad esso. Esteriorità, evasione, attivismo e culto dell'effìcacità concreta, il peso dell'utile... quasi l'uomo si sfuggisse indefinitamente.
A qualsiasi piano... il silenzio può compiersi in Dio. Senza la capacità di tacere e d'accogliere la verità stessa sembra sfuggire alla capacità di comprensione dell'amore, così come una testimonianza perdere la sua autorità persuasiva.
Non è la parola che si oppone al silenzio, perchè esso ne è ambito di pienezza interiore. Si può dire «nel» silenzio!... E la parola umana vera, autentica, quella che esprime più che le semplici banalità della vita d'ogni giorno... tale parola ha la sua origine nel silenzio. Perciò il silenzio è sempre qualcosa di significativo, mentre il linguaggio e la parola ne sono la risonanza esteriore, un dono della persona alla persona, una mano offerta alla mano nello stesso cammino...
Vi sono momenti dell'esistenza umana in cui l'uomo deve parlare nel silenzio. L'incontro con Dio nel mistero di un espandersi filiale del Cuore in Lui, la preghiera. Il «sì» del consenso coniugale ed il mistero di una nuova nascita. Il «sì» della Vergine silenziosa che accoglie il Verbo - la Parola di Dio! - nel suo seno: un silenzio verginale abitato «corporalmente» da Dio... Il silenzio della Culla di Bethlehm... Davanti a Gesù Bambino, forse soltanto il silenzio può dire qualcosa, perchè siamo davanti ad un mistero avvolto nel silenzio, la presenza dell'Ineffabile a se stesso. Davanti alla sua Culla il silenzio dice contemplazione, come lo svelarsi di una pace incontaminata colma d'amore che solo l'innocenza accoglie e gode... Immensità fragile di un Dio Bambino così serio, terribilmente serio nel suo amore.
Il silenzio dunque ha un suo linguaggio. Certi sguardi hanno il privilegio di lasciar presentire nel loro casto offrirsi come un livello di una vita profonda: quello in cui i limiti della nostra opacità sono valicati perchè fluisce già in Dio. Qui soltanto, nell'intimo del cuore, è la parola unicamente degna di chiamarsi tale: una parola-silenzio che emana da una intensità vissuta di grazia. Una parola-silenzio che ha la sua radice là dove è il nucleo primo dell'essere stesso: tale silenzio è un silenzio religioso, interiore, come il santuario dello Spirito di Dio.
Parlare allora, si «dirà» Dio: perchè le nostre parole non saranno che il silenzio del Dio del nostro cuore reso udibile!... L'uomo è creato come uditore di «questa» parola!... Accoglierla come tale, è la preghiera. Al silenzio della nostra preghiera non si oppone la parola, ma la molteplicità. Quando l'attenzione si concretizza su Colui che è silenzio, riposo, Dio della pace... allora le formule che prendono tanta parte della nostra preghiera, ci parranno null'altro che un brusìo chiassoso che fan da schermo alla ascesa filiale del cuore a Dio, nostro Padre. Le formule allora - a meno che non ci vengano dal cuore stesso di Dio, come il «Pater» - sono quanto di più povero noi si possa offrire a Dio. Ma esse sono l'espressione della nostra povertà, per questo vanno amate, così come amiamo il nostro nulla e tutto quanto in noi è capace di servire di sostegno a Dio...
Esiste un legame organico tra silenzio e preghiera. Il silenzio come clima interiore, spirituale soltanto nel quale la nostra preghiera è possibile. Questo «clima d'accoglienza» è un silenzio popolato, abitato da Dio... e da esso scaturisce l'efficacia vera della preghiera. Non si può entrare in questo silenzio senza vederlo trasformarsi in preghiera. La preghiera di Gesù, spesso, si alimentava così, là nel silenzio dei monti e delle notti.
Il silenzio sigilla questa dimora dello Spirito che abita il nostro nulla, e ci rivela figli misteriosamente ormeggiati al cuore suo di Padre. E' questo silenzio la dimora interiore, quel «segreto» cui Gesù, in Mt. 6,6 allude e che Egli pone come condizione della Preghiera Cristiana.
Se il silenzio, che il nostro incontro con Dio ci impone, avrà il dono di farci toccare il senso della nostra dipendenza... allora anche la nostra preghiera sarà qualcosa di divino e di fecondo per l'edificazione della Città di Dio nella e attraverso la città dell'uomo; sarà un tempo interiore e spirituale, intenso e sacramentale. Permettiamo - col nostro raccoglimento - alle cose di trasparire quella capacità che esse hanno per noi di appartenere al linguaggio interiore della Parola di Dio, procurando così al suo Amore infinito la gioia di ripetere fuori di sé la Parola e il movimento di luce che sono la Sua Vita Eterna.




T. Renato Marmolino m.S.C.

"Les Mains que voici"

IL CROCEFISSO DI ABRAMO
Sono venuto qui perchè l'altro giorno nell'autobus Nazareth-Haifa ho conosciuto Alberto, Abramo nel kibbutz.
Da quando aveva saputo che mi interessavo alla vita dei kibbutz mi aveva invitato a visitare Ginossar. Mi fa vedere con orgoglio le loro istallazioni e il piccolo porto. Parliamo di pesca, del radar, poi di religione... D'un tratto, tirandolo fuori di tasca mi mostra un crocefisso di metallo, abbastanza grande. Io rimango interdetto.
«Ecco, vedi - mi dice - sono stati degli italiani venuti qui per iniziarci alla pesca che me lo hanno dato».
Io sono stupefatto, tanto più che Abramo usa il suo crocefisso come portachiave. Io gliene faccio un rimprovero:
«Perchè se non sei cristiano tieni questo crocefisso? Tu ne fai un uso offensivo».
Ora è Abramo ad essere meravigliato. Mi guarda con aria di compassione, come se volesse dirmi - ma come, non capisci? -. Finalmente dice:
«Si, lo uso come portachiavi, ma in questo modo lo tengo sempre su di me».
Poi mostrandomi Cristo sulla croce mi dice: «E' ebreo, Lui».
Siamo rimasti in silenzio. Fra Abramo, ebreo, e me, prete, si è venuto a formare un legame che nessuno ha mai potuto ne potrà rompere. Abramo non aveva nemmeno bisogno di portare su di se un crocefisso. Ogni ebreo ha in sé qualcosa di Gesù Cristo. Questo popolo crocefisso tante volte lungo i venti secoli trascorsi dal dramma del Calvario rimane il popolo scelto da Cristo per prendere dal seno della Vergine immacolata carne e sangue, questa carne che sa sofferto e che si è fatta crocefiggere, questo sangue sparso per la redenzione del mondo. Tutti i giorni tengo nelle mie mani, nell'Eucarestia, questa carne e questo sangue. Abramo ha ogni diritto di tenersi almeno questo crocefisso, e sperare perchè «è un ebreo, Lui».

NESSUNO MI HA INSEGNATO A PREGARE
Oggi Abramo è venuto nella baracca dove vivo, mentre stavo leggendo il mio breviario.
«Cosa fai?»
«Prego».
«Sei fortunato. Mi piace vedere gli altri pregare. Quand'ero in Egitto mi piaceva andare a vedere i religiosi e le religiose pregare. Ma io non so farlo, nessuno mi ha mai insegnato».
Gli spiego che è una cosa molto semplice: pensare a Dio. AmandoLo.
«Penserai qualche volta a Dio Lo amerai quando peschi sul lago».
«E' vero, mi risponde, ci sono dei momenti nei quali si è obbligati a pensarLo. Ci prende così, come un grido «Ah!» e tutto è troppo grande, troppo bello. A volte, invece è dalla parte della Siria, vicino alla frontiera, là dove c'è pericolo: anche in quella occasione bisogna per forza pregare».
Queste preghiere di Abramo, questo slancio dell'anima, questo gridare del cuore «Ah!» davanti a Dio grande e misericordioso nessuno glielo ha insegnato, nessuno se non Colui che grida nel nostro cuore «Abba» (Padre ), quel nome che Giacobbe, il bimbo di Abramo gli grida quando gli si getta fra le braccia: Abba.

VISO SENZA SORRISO
A tavola, nella sala da pranzo comunitaria sono stato più volte colpito dall'espressione di alcuni visi profondamente tristi. Mai un sorriso a illuminare il loro sguardo. È forse l'influenza di una vita austera, di una concezione esistenziale senza una dimensione trascendente? La risposta mi viene data dal braccio di una mia vicina, una donna dal viso senza sorriso. Il suo braccio porta il marchio del campo di concentramento dal quale è scampata. Molte braccia portano simili stimmate. Come fanno i volti a non esprimere la tristezza dei campi della morte?
Sei milioni di ebrei, dei quali un milione e cinquecentomila bambini sono stati bruciati nei forni crematori di Hitler. I sopravvissuti conservano nella memoria quelle visioni di spavento che i loro tatuaggi o i loro marchi a fuoco ricordano continuamente. Quel camerata durante la sua deportazione è stato condannato ad alimentare i forni dove i suoi venivano bruciati.
Quella ragazza, al suo arrivo ai kibbutz, non osava spogliarsi di fronte alle compagne perchè portava sul petto, a marchio di fuoco, con lettere gotiche «Riservata agli ufficiali». Durante tre anni era stata prostituita ad uso degli ufficiali del fronte russo. Aveva quindici anni. Dopo la guerra mondiale venne in Israele, in un kibbutz, nascondendo ciò che credeva essere una vergogna. Finalmente, una sera, non potendone più, si aprì la camicia svelando la sua storia ai compagni. Un ragazzo le domandò di sposarla. Lei rifiutò per un anno, perchè non voleva la pietà. Convinta del suo amare lo ha sposato, e ora dà il seno a un bambino, non potendo purtroppo velargli quello che resta per lei un indicibile dolore. «Voi che passate guardate e vedete se c'è un dolore simile al mio». L'Uomo del dolore predetto da Isaia, continua la Sua agonia, nella umanità oppressa dal peccato.
Un camerata col quale parlavo di queste cose nel kibbutz di Degania mi aveva detto:
«Si, vedi abbiamo tanto sofferto durante la deportazione, tanto pregato di fronte ai forni crematori, che ora non osiamo più pregare. Avremmo l'impressione di ridicolizzare Dio».
Non conoscendo il senso del Mistero della Croce, quel camerata aveva ragione. Solamente la fede nella Redenzione attraverso la sofferenza permette di pregare Dio nel dolore. Ma, privati di questa fede, come potranno tornare a sorridere i visi di quelli che hanno tanto sofferto?

IL LAVORO: REDENZIONE E AMORE.
Nel kibbutz di Degania, a sud del lago di Galilea, i miei camerati mi mostrano orgogliosamente il museo Gordon. David Gordon riposa poco lontano, in un cimitero sulle rive del lago. Filosofo e scrittore è venuto a lavorare come sterratore a Degania, quando la regione non era che paludi, regno della malaria. Oggi, dopo quarant'anni è un paradiso terrestre.
Nelle sue «Lettere di un operaio in Palestina», Gordon ha sviluppato il tema del lavoro, redenzione per la terra e per l'uomo. Guardando questo paese, rinato sotto il lavoro degli uomini, e vivendo con questo popolo, rigenerato dai suoi sforzi, si comprende che Gordon aveva ragione; la mistica del lavoro ha portato frutti meravigliosi. Alla sua morte, estenuato dalla doppia fatica di scrittore e di sterratore Gordon lasciò ai suoi camerati questo testamento: «amatevi gli uni gli altri lavorando».
Sicuramente la mistica del lavoro potrebbe diventare un idolo al quale l'uomo viene sacrificato. Ma la luce del Vangelo può illuminare la civiltà del lavoro e della socializzazione. S.Paolo vedeva nel lavoro il mezzo per non pesare sugli altri e per aiutare i poveri: «Queste mie mani, come voi ben sapete hanno provveduto ai miei bisogni e a quelli dei miei amici... E' nella fatica che bisogna aiutare i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù che ha detto: vi è più felicità nel dare che nel ricevere». (Atti, 20, 34-39). Oggi, nella presente evoluzione tecnica e ideologica tutto questo è ancora più vero. E' per mezzo del lavoro che si possono portare gli uni i pesi degli altri e attuare così la legge dell'Amore. La solidarietà del lavoro, trasfigurata dalla Grazia diventa comunione di Amore.
Oggi, prolungando il pensiero di Gordon sul valore redentore del lavoro, offro la mia dura fatica.
Mentre porto i tubi di zinco che conducono l'acqua attraverso gli immensi campi di mais, penso che non è solo questa terra deserta che sarà fecondata, ne l'umanità solamente che si rigenera per mezzo del lavoro. Attraverso il sacrificio di Cristo che ha preso su di Sé la fatica e le sofferenze dell'umanità, il lavoro acquista una dimensione trascendente. Questa sera, alla fine della fatica, il Sacrificio Eucaristico dona a questo lavoro il suo pieno significato. Gordon, filosofo ha dato al lavoro una mistica di redenzione e di fratellanza terrestre e carnale. Il prete che lavora porta verso Dio questi valori, li fa passare per una autentica redenzione, in autentica comunione con l'Eterno.





PAUL GAUTHIER
(Editions Universitaires Chrètienté Nouvelle) - trad. di M. G.


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