Il Natale è una dolce solennità. Sa di famiglia, di bambini, di cose buone. E' un giorno dì tenerezza, di commozione, di intimità. E' il giorno in cui si sente l'incanto della bontà, il fascino dell'essere buoni e, può darsi, il rimpianto di non esserlo.
D'accordo. Tutto bello, meraviglioso. Tutto bene.
Però è giusto che riflettiamo che il Natale vero - il Mistero cristiano, Dio che si fa uomo - è tutt'altra cosa. E' strano che ci fermiamo molto - e diamo molta importanza - ai contorni quasi di nessun valore e lasciamo da parte ciò che è l'essenziale, i motivi determinanti, quelli di fondo, cioè la Verità.
E' certo che la solennità del Natale, rinnovata a data fissa ogni anno, ha un particolare significato, uno finalità ben precisa. Quella di provocare in noi e di ottenere sentimenti tenerelli e commozioni dolcissime per un fiorire di sensibilità umana dentro il nostro intimo, nella famiglia, fra gli amici ecc., è sicuramente valore secondario e, se fossimo sinceri, dovrebbe essere una semplice e serena espansione della luce vera che si è fatta in noi, un ridondare all'intorno di quel traboccar d'Amore di cui il Mistero di Dio ci ha sopraffatto.
Non crediamo nemmeno che la celebrazione annuale del Natale (come del resto di tutte le festività religiose) abbia lo scopo di onorare, rendere omaggio, ricordare quell'avvenimento, d'importanza così infinita, successo duemila anni fa. Anche se fosse per ringraziare Chi questo avvenimento ha compiuto, manifestarGli in qualche modo gratitudine, non sarebbe motivo sufficiente. Pensiamo che le commemorazioni e le rimembranze abbiano poco significato nel Cristianesimo.
Il Cristianesimo è attualità di tutto un Mistero di rapporti fra Dio e l'umanità. E' una incessante presenza come se tutto si compisse in questo momento.
Dal punto di vista storico la straordinarietà della vita di Gesù e tutti gli avvenimenti che la compongono, hanno il valore d'inizio, tutta l'importanza di un inizio di «qualcosa» (quanto è infinito questo «qualcosa») che non finirà più, che esisterà sempre, che sarà ormai «presente» per sempre.
E non si tratta di una presenza entrata nella storia del mondo e dell'umanità e di ogni uomo, in maniera statica o produttiva in proporzione al valore «storico» del fatto o dell'avvenimento, come del resto succede di ogni fatto o avvenimento fino al punto che anche il muovere un dito segna e comporta una realtà nuova nell'esistenza.
La vita di Gesù (o per dirla con una parola che esprime così bene, quando è rettamente intesa, tutto ciò che riguarda Gesù Cristo fino al punto che questa parola, in fondo, sulla terra appartiene, di diritto e di fatto, soltanto a Lui) il Mistero di Gesù è inizio non soltanto di realtà storiche nuove, ma di una autentica realtà nuova, e precisamente l'esistenza cristiana. Esistenza cristiana che è tutta l'esistenza umana( tutta, fino a «un capello del vostro capo») e nello stesso tempo esistenza divina, secondo la realtà stessa di Dio. Esistenza cristiana, continuazione cioè sulla terra, nella realtà dell'umanità, della esistenza iniziatasi con Lui, con l'esistenza di Gesù, nella sua realtà e verità di vero Dio e di vero Uomo. Sono «i nuovi cieli e la nuova terra» della Scrittura. Sono le visioni di Isaia. E' il nascere di nuovo di cui parla Gesù a Nicodemo. E' l'uomo nuovo di S. Paolo. E' il cristiano, vero, sincero, di tutti i tempi. Sono i santi. E' la Chiesa nella sua purezza di popolo di Dio.
Il Natale, questo inizio misterioso di esistenza. E siccome questo inizio è Mistero di Gesù, porta in se una carica infinita di Grazia, di forza di Dio. Non rimane inerte, statica, inutile, come storia chiusa nel breve giro del suo tempo, come un quadro nella cornice o una statua nella nicchia.
E' veramente «il piccolo seme di senapa» nascosto dentro la terra e che cresce continuamente in albero.
E' un pugno di lievito che forza incessantemente la massa di farina a lievitare.
E' il sale che diffonde, senza esaurirsi, il suo saporire tutte le cose.
E' la luce accesa che illumina a pieno sole, sempre più, tutti quelli di casa.
E' la Verità che sempre più libera gli uomini.
E' la dolce e terribile violenza di Amore che sta costruendo ogni giorno il Regno di Dio nel mondo.
Il Natale che celebriamo ogni anno non è il Natale di Lui, se non è adorazione appassionata di questo inizio di esistenza nuova. Se non è consenso totale alla realtà di questa novità d'esistenza. Se non è constatazione attenta dello sviluppo di questa necessità assoluta di crescita. Se non è come un gettarci nel fiume perchè cresca la sua piena, come un gettarci nel fuoco perchè allarghi il suo incendio su tutta la terra.
Il Natale di quest'anno ha in se la realtà della nascita di Gesù Cristo, con tutto il suo valore d'inizio di un'esistenza nuova e tutta la sua forza entrata nella vita umana e cresciuta incessantemente nel tempo, fino al Natale che stiamo per celebrare.
Ogni Natale vuol dire entrare sempre più nel Mistero di Cristo, un essere sempre più esistenza nuova, la Sua esistenza, un far crescere, un allargare, un rendere ancora più cristiana l'esistenza del mondo.
E' veramente grande solennità il Natale perchè Chi è nato è sempre di più fra gli uomini.
E' gioia profonda perchè quell'inizio di nuova esistenza ha avuto una continuità fino a noi e il Natale che celebriamo vuol dire l'entrare in noi e il nascere di questa nuova esistenza, quella di Dio fatto Uomo, fino al punto che anche noi «non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio siamo nati». (Giovanni 1, 13).
E siamo nati insieme a Lui, siamo nati con Lui. Il Suo Natale è veramente il nostro giorno natalizio. Il Suo nascere fra gli uomini è realmente incessante per il nascere continuo d'esistenza nuova, la Sua esistenza, quella di vero Dio e di vero Uomo.
E' di qui che proviene la terribilità del nostro dovere di fedeltà a Lui.
Bisogna assolutamente che il Natale di ora, il nostro dare continuità al Natale di Gesù, all'inizio dell'esistenza nuova nel mondo, abbia tutta la Verità del Mistero di Gesù.
Vi è un problema di fedeltà assoluta al «mondo» interiore di Gesù, alle Sue realtà soprannaturali, ai valori infiniti del Suo essere Dio, alle misure meravigliose del Suo Amore per l'umanità, alla Sua Verità di Figlio di Dio e di Figlio dell'Uomo...
E ugualmente vi è un dovere o almeno un problema di consenso e di fedeltà alla storia iniziatasi con la nascita di Gesù: è un nuovo modo d'esistenza, di valori scelti, di attuazioni pratiche, di svolgimento di vita iniziatosi con Lui e caratteristico, in modo unico, a Lui, fino al punto che «mangiatoia, falegname di Nazaret, non una pietra dove posare il capo, croce» ecc. voglion dire Gesù. Povertà, nascondimento, silenzio, amicizia, cuore aperto, verità assoluta, Dio soltanto, bontà sempre, Amore senza stanchezze, dolore infinito, offerta totale, sangue sparso fino all'ultima goccia, fiducia assoluta, morte di croce ecc. vogliono dire Gesù Cristo. Significano Cristianesimo.
Il Natale è inizio di questa storia non per Gesù ma per il mondo intero.
Il Natale che celebriamo ogni anno è (o dovrebbe essere) testimonianza che questa storia è in pieno svolgimento. Se non altro, è o dovrebbe essere verifica di una fedeltà, di una continuità.
Se il Natale tutto questo Mistero di presenza di Gesù in ogni tempo non è, allora può essere benissimo un'occasione come un'altra per mangiare, nel calduccio della casa con la famiglia riunita, il tacchino arrosto e il panettone. Oppure l'occasione buona per fare un'offerta ai poveri vecchi o all'istituto dei bambini abbandonati. O per cantare «le pastorelle» al Gesù Bambino di gesso messo fra le luci elettriche e le candele in un tripudio baracconesco di luci. O anche per ascoltare a mezzanotte fra il pigia pigia della folla, una delle poche Messe all'anno. O per fare, così alla buona, Confessione e Comunione, date le insistenza della mamma o della moglie e le tenerezze del presepio col l'albero di Natale costruito dalla bambina. Eccetera.
E' difficile pensare che il Figlio di Dio sia nato da Maria Vergine, nella grotta di Betlem per dare inizio a queste buone, lodevoli e tanto commoventi usanze. E che queste usanze continuino con crescente fedeltà a segnare il 25 dicembre come il giorno in cui il Figlio di Dio ha cominciato ad essere Figlio dell'Uomo.
La Redazione
Andando laggiù «sapevo» che mi sarei incontrato con Lui. Che l'avrei visto lungo le strade sassose. Dietro l'angolo delle case. Con l'ombra stagliata, netta, sotto il sole violento. A salire lungo il pendio pietroso delle montagne. Lassù, sotto le stelle così chiare, nelle nottate di solitudine e di adorazione.
Sapevo che mi sarei trovato ai suoi piedi. A guardarlo, anche se con occhi forse dubbiosi ma certamente consumati d'Amore. Mi vedevo a seguirlo di istinto come cane fedele: un cane fedele che non capisce, non sa rendersi conto perchè segue il padrone eppure gli sta alle calcagna senza perderlo di vista.
Sapevo che le sue parole mi avrebbero frustato a sangue e mi mettevano al rischio di fuggirmene via lontano, finalmente stanco di un infinito impossibile, di sogni assurdi, di pazzie inconcludenti.
Sapevo benissimo che era l'ultima prova, dopo anni di riprove e tutto poteva crollare come castello di carta: tutto, gli anni struggenti di preghiera, il lungo piangere nella solitudine, tutto l'angoscioso vincere la realtà concreta dell'immediato con sogni appassionati.
E' terribile avvertire sempre la presenza d'una alternativa, semplice, facile, sicura, normale, perché di tutti, mentre si cerca soltanto l'infinito, l'impossibile. E dopo anni è angoscia incredibile accorgersi che tutto è arrivato a misure di valore estreme da reggere ogni confronto: è allora che ci si accorge chi si deve sempre scegliere e decidere. Che la scelta può essere fatta in un istante, dopo un passo, stringendo una mano.
Dio stesso aiuta questo gioco di alternative e di scelte (in fondo è il bellissimo gioco dell'Amore) rivelandosi in tutto il Suo Essere misterioso e meraviglioso e insieme consegnando le Sue accessività di Amore, così rasentanti l'assurdo, alla nostra razionalità saggia e prudente. Nel frattempo accende purezze nell'anima come aurore limpidissime, colma di gioia per un sognare bellissimo, arricchisce di bontà una foglia, una stella e il cuore di un uomo o d'una donna. Chissà perchè mi ha reso capace di scoprire che tutto è buono e bello e meritevole d'essere vissuto. Chissà perchè ma forse è perchè io, dopo, scelga la sua povertà, la sua solitudine, il suo essere considerato nulla, l'orrore della sua croce e del suo essere mangiato come pane e bevuto come vino.
Mi ha allargato il cuore per gioie infinite, mi ha scavato la voglia che la terra sia tutta cielo, mi ha fatto credere che un essere umano vale quanto Dio... per farmi accettare che la terra sia come una pietra, per farmi aggrinzire il cuore a forza di delusioni, per darmi di incontrarmi con gli uomini soltanto per essere schiacciato.
Da tempo tutto questo contrasto di Dio e di uomo, di terra e di cielo, di sogni bellissimi e di cruda realtà, di carne e di spirito, di Gesù e di egoismo, di follia e di prudenza mi stava soffocando.
Sapevo bene che andare laggiù nella sua terra, correvo un rischio gravissimo perchè tutto sarebbe arrivato allo scoperto, su pianure e montagne, sotto un cielo azzurro di giorno e stellato di notte, senza ripari e nascondigli, faccia a faccia a tu per tu. Io e Lui.
Si, un rischio. Un rischio di perdere tutto, ma anche un rischio che tutto sarebbe potuto essere di più, di più. Così tanto di più da rimanere soltanto, unicamente, Lui. Un rischio per amare di più va sempre corso a cuor leggero. L'ho imparato da Lui, da Dio, a rischiarare tutto perchè tutto possa essere più Amore. E ciò che si è imparato da Lui va sempre bene, anche se non è troppo consigliabile a volte...
E poi Lui è venuto sulla terra, ad abitare fra noi, per farsi vedere e farsi vedere come Uomo, un uomo qualsiasi, nella totalità della condizione umana pur essendo DIO.
Avevo paura di vedere Gesù nella sua terra, nella realtà della sua povera storia, nei limiti così ristretti della sua vicenda.
Avevo paura che quelle montagne me lo soffocassero. Le vallate non potevano non sembrarmi troppo anguste per Lui. I sentieri laggiù sono tanto pietrosi e le distanze immense: avevo paura a vederlo camminare e camminare come un poveruomo spinto dalla fame, come uno straccione senza casa, come un disperato senza riposo.
Quel lago è un cucchiaio di acqua azzurra: cos'è per l'infinità di Dio? E così il fiume. Le rocce aride del deserto. L'orizzonte morto, senza speranza, immobile da millenni.
E poi tutta la storia che gli uomini hanno accumulato su quella terra. Ha levigato le pietre delle macerie. Ha distrutto, riedificato, ridistrutto innumerevoli volte, per motivi d'Amore e di odio, di devozione o d'orrore. E sapevo che anche ora tutto è così conteso e diviso, motivo di rancore, pietrame e terra di conquista. Perfino dove è nato l'Amore, nella mangiatoia, e dove è morto, sulla croce.
Avevo paura. Ma sono andato. E' stato come se Lui mi chiamasse di laggiù. La stessa parola detta a Andrea e Giovanni, invitandoli a casa: vieni a vedere. La stessa parola detta a Levi: vieni. La stessa parola rivolta a Pietro, quando l'ha chiamato sull'acqua: vieni.
Sono andato a vederlo.
E mi sono incontrato con Lui, con Gesù. Siamo stati insieme molti giorni. Con calma serena, senza emozioni, senza fervori. Quando si è insieme, si è insieme e questo è tutto. Cos'è che può avere importanza?
Non abbiamo parlato molto. Anzi quasi niente. Nemmeno mi sono fermato a leggere il Vangelo, Non ce ne era bisogno. C'era Lui e Lui è più di ogni parola. E' vero che Lui è proprio la Parola, la Parola fatta di Lui, Lui stesso. E Lui ha parlato sempre senza pronunciare parola, o quasi.
Mi sono molto perduto invece a guardarlo. A cercar di vederlo bene, con chiarezza, con dolcezza, con Amore. Con semplicità d'affetto. Lo conoscevo bene, già da molto tempo e non lo guardavo per scoprire in Lui qualcosa di nuovo, non cercavo di sapere di più di Lui di quello che già sapevo, lo guardavo con uno sguardo d'insieme, con uno sguardo che abbraccia, che si allarga a ricevere, ad accogliere interamente. E lo vedevo insieme alle montagne, alle vallate, a tutto il lago, con tutto il giro dell'orizzonte, insieme al cielo azzurro e al brillare delle stelle.
Lo vedevo dentro al Mistero di Dio e degli uomini. Cosa Sua, di Dio e cosa nostra. Il cielo e la terra insieme. Io e tu e gli altri e tutti in Lui. Ho visto il tempo in Lui e i millenni della storia. Ho visto l'universo della creazione, guardandolo, ma non come riflesso e tanto meno come sintesi, come è realmente, così vasto e misterioso. Ma specialmente ho visto l'umanità tutta, quando mi perdevo dietro a Lui e lo vedevo camminare lungo i sentieri di pietre, un punto quasi invisibile, nelle vallate riarse di sole, salire e scendere i crinali delle montagne. Povero. Solo. Colmato d'infinità. Segnato da un destino. Senza riposo né quiete. Stanco, polveroso, affranto, affamato. E sempre solo.
Il più povero di tutti gli uomini perchè spogliato dal suo essere Dio.
Ho visto la tristezza del suo parlare, con obbedienza alla Verità, ma senza speranza. Ho capito, perchè l'ho visto, il coraggio delle sue parole. Perchè assolutamente l'ho visto sempre solo. Senza le folle. Come se non avesse avuto nessuno con sé e nessuno ad ascoltarlo. Era come se parlasse al vento. Alla distesa delle pietre. Sulla superficie increspata del lago. Mi pare di averlo visto soltanto pregare, camminare, parlare. E lasciarsi portar via da Dio e dagli uomini. Uno che è di tutti e di tutto come lo può essere soltanto Dio.
Non so, ma specialmente i primi giorni mi ha sgomentato. Sono rimasto come schiacciato. L'impossibile è qualcosa che non si può accettare facilmente e tanto meno subire.
Bisogna superarlo, vincerlo rendendolo una logica serena, dolce, una verità normale, una possibilità di tutti i giorni. E forse il modo migliore per riuscire è abbandonarcisi all'impossibile, giocarvi tutto con tranquilla disinvoltura.
E' dura questa decisione. Somiglia molto da vicino alla morte. E' come affidarsi alla pazzia per risolvere le impossibilità della ragione. Si chiama Fede ed Amore. E nel Mistero cristiano è tutto.
La Fede mi ha dato di incontrarmi con Gesù, di vederlo in piena luce, di sapere tutto di Lui. E ho saputo cose stupende, meravigliose, inimmaginabili. Ho visto ciò che di più bello agli occhi, ma specialmente al cuore, è dato di vedere. E me ne sono innamorato. A poco, a poco, con indicibile soavità e violenza. Finché l'Amore soltanto è rimasto. Da allora siamo stati insieme io e Lui. Come la cosa più normale del mondo.
don Sirio
Un vescovo brasiliano, mons. Gollard, ha chiaramente indicato la via da seguire perchè il colloquio con gli uomini del nostro tempo sia efficace. Ha detto che il mondo non giudicherà la Chiesa negli aspetti scientifici, economici e politici della sua dottrina, ma dalla sua fisionomia pastorale ed evangelica e dal suo spirito di disinteresse. «Qualche volta - ha detto - siamo chiamati in questa aula con il titolo latino di «ornatissimi » e cioè distintissimi o qualche cosa di simile.. Ma talora, purtroppo, il popolo ci vede «ornatissimi » in altro senso, dalla testa ai piedi; ci vede indulgere a formalità più adatte al secolo passato che alla mentalità moderna. Togliamo di mezzo gli ornamenti e tutto ciò che impedisce il dialogo. Il Cristo ci ha dato l'esempio; si è fatto umile e povero ed ha potuto avvicinare tutti, ha potuto parlare con tutti: con i potenti e gli umili, con i giovani e i bambini, con la peccatrice, con gli Apostoli, anche con il diavolo e sulla croce con un ladrone».
Il vescovo ha detto ancora: «vedendo tanti orpelli, il popolo ci considera ricchi, anche se in grandissima parte non lo siamo e pensa che noi dimentichiamo le sofferenze dei senza casa e dei senza pane anche se, invece, siamo vicinissimi a tutte le sofferenze».
Gesù, è vero che sei nato. E' vero che sei venuto ad abitare fra noi. E' vero che sei Dio fatto Uomo. E' vero che sei qui, fra noi, uno di noi.
Gesù, credo perdutamente in te. Nel tuo Mistero. Nella Storia della tua vita. Nella luce delle tue parole. Nella Forza del tuo Amore. Nella tua divina umanità e nella tua umana divinità.
Gesù, accetto tutto di te. Tutto veramente. Dalla paglia della mangiatoia fino alla nudità della croce. Bambino appena nato e la tua Resurrezione. Il tuo essere nulla e il tuo essere tutto. E accetto tutte le tue parole. Tutte.
Gesù, però è difficile capire perchè l'umanità sia ancora tanto senza di Te. Sei nato, è vero, sulla terra, ma dove sei? Sei venuto, è vero, ad abitare fra gli uomini, ma dove abiti? Sei uno di noi, è vero, ma perchè è così impossibile incontrarti?
Gesù, è difficile credere che per l'umanità tu conti qualcosa. Che la tua vita è entrata nella storia del mondo. Che la tua parola illumina ogni buio. Che il tuo Amore è più forte dell'egoismo.
Gesù, la terra pare che non sia la tua culla. Sei venuto ad abitare fra noi, ma sei rimasto solo nella tua solitudine. La tua luce trova occhi chiusi. Il tuo Amore è rimasto senza cuori che amino.
Gesù, mi verrebbe da domandarti: ma che sei venuto a fare?
Gesù, è vero, c'è la povertà che ha bisogno di te. C'è la solitudine che senza di te sarebbe disperazione. C'è il dolore che chiede di essere spiegato. La morte che deve essere vita...
Sei nato perchè chi vuole l'Amore lo possa trovare. Perchè gli occhi che hanno voglia di vedere abbiano la luce. Perchè chi non conosce la strada trovi una mano sicura nella sua mano che cerca a tastoni. Perchè chi ha paura e chiama gridando aiuto a qualcuno, la sua voce non si perda nel vuoto, portata via dal vento.
Gesù, sei nato per essere qui. Dietro l'angolo di casa, pronto sempre a venire, al minimo richiamo. Sei nato perchè chi cerca Dio, lo trovi subito, lì fuori l'uscio di casa. O in piedi accanto alla tavola apparecchiata. O seduto vicino al letto. O lungo la strada a camminare insieme a tutti. O nella folla, portato via, come tutti, dalla fiumana terribile della vita e della storia...
Gesù, sei nato fra gli uomini, perchè Dio sia un'offerta, un'offerta buona, dolce, paziente. E soltanto fatta di Amore.
Gesù, non so perchè non riusciamo ad accorgerci di te, a vederti subito, ogni volta. I nostri occhi sono stanchi, bruciati di fatica, a forza di cercare, di frugare dovunque per scoprire qualcosa di vero, di buono. E non vediamo te. Sei qui. Il tuo alito ci sfiora. Le tue vesti ci toccano e spesso il palpito del tuo cuore ci martella nell'anima e la tua voce ci parla sommessa e ci chiama appassionata... e non ti vediamo. Perchè?
Gesù, Gesù, non essere soltanto un'offerta. Sei nato anche per essere violenza. Non stare sèmpre ad aspettare, entra di forza. Tanto sappiamo bene che la tua violenza è dolcezza e la tua forza è forza di Amore.
Gesù, oppure fai in modo che abbiamo bisogno, urgente e immenso, che Dio sia un Bambino. Scava in noi il bisogno di Dio trovato in casa, o nella strada, nella angoscia di ogni giorno, nella vicenda misteriosa della storia. E' necessario che ci tormenti la voglia di abbracciare e baciare Dio come fosse un bambino, di amare Dio come si ama la carne e il sangue, di abitare con Dio come con una sposa, i figli, gli amici, di mangiare Dio come il pane, di bere Dio come il vino...
Gesù, sei nato per questo vivere di Dio con noi. Per questo tuo essere nostro. Perchè possiamo essere una cosa sola con te.
Ora sento quanto sia spaventosamente poco dirti grazie.
* * *
Non sono ancora nato; oh ascoltami.
Fa' che il vampiro, il topo, l'ermellino o lo storpio demone non si avvicinino a me.
Non sono ancor nato; consolami:
Temo che la razza umana mi muri fra alte mura, m'avveleni con forti droghe, mi adeschi con sagge menzogne,
mi torturi su nere ruote, mi travolga in bagni di sangue.
Non sono ancora nato; procurami
l'acqua che mi culli, l'erba che cresca per me, alberi
che mi parlino, cieli che mi cantino, uccelli
e una bianca luce dietro la mia fronte che mi illumini.
Non sono ancora nato; perdona
le colpe che in me compirà il mondo, le mie parole
quando mi parlano, i miei pensieri quando mi pensano,
il mio tradimento fomentato dai traditori che mi sono estranei,
la mia vita quando uccidono con le mie mani,
la mia morte quando mi danno vita.
Non sono ancora nato; suggeriscimi
le parti che devo recitare, le risposte da dare quando i vecchi mi istruiscono, i burocrati mi insolentiscono, le montagne
mi sdegnano, gli amanti mi deridono, le bianche
onde mi spingono alla follia e il deserto mi chiama
alla perdizione e il mendicante rifiuta
il mio obolo ed i miei figli mi maledicono.
Non sono ancora nato; oh ascoltami,
fa' che l'uomo che è bestia o crede di essere Dio non si avvicini a me.
Non sono ancora nato; oh riempimi
di forza contro chi vorrebbe gelare la mia
umanità e vorrebbe legarmi ad una macchina di morte
e fare di me il dente di una ruota, una cosa
con una faccia, una cosa - e contro tutti quelli
che vorrebbero annullare la mia interezza e vorrebbero
soffiarmi come un cardo di qua
e di là o di qua e di là
come l'acqua raccolta nel cavo
della mano spargermi.
Fa' che di me non facciano una pietra e non mi gettino.
Uccidimi altrimenti.
(non conosciamo il nome dell' autore)
C'è stato un Vescovo indiano che al Concilio ha fatto una proposta. Ha chiesto che a Roma (ma ci vorrebbe, aggiungo io, in ogni diocesi e in ogni parrocchia) sia costituita una commissione permanente o un segretariato «che ascolti apprezzamenti e critiche da parte dei fedeli sull'opera pastorale della Chiesa».
E mi viene in mente «il timore reverenziale» che opprime ogni povero fedele che deve parlare col suo parroco per chiedere anche semplici cose. Se poi si tratta del Vescovo allora si rasenta il terrore. Misericordia, se poi uno avesse la sorte di avvicinarsi al Papa.
Vi sono già le parole da usare che intrappolano terribilmente. Reverendo, monsignore, eccellenza, eminenza, santità... a chi il lei, a chi il voi, a chi direttamente, a chi in terza persona.
E poi il rispetto, i modi ossequiosi, i toni untuosi, le maniere ricercate, studiate. Dare la mano ma solo se viene offerta, baciarla con devozione, baciare l'anello (vi è l'indulgenza mi sembra) inginocchiarsi, gli inchini rispettosi.
Poi cosa dire. E qui il problema diventa serio e spaventosamente complicato.
Cosa si può dire. Cosa si deve dire. Cosa non conviene dire. Cosa è doveroso non dire. Cosa è spiacevole dire. Cosa è pericoloso dire...
Perchè secondo cosa dici e come lo dici manchi di rispetto, riveli poca fede, o nessun Amore alla Chiesa, poca Fede in Dio. Non sei dei «nostri». Elemento su cui non si può fare affidamento. Di cui è meglio non fidarsi. Conviene tenerlo alla larga. Certamente non è da contarci su, ecc.
Il popolo, come parte attiva, nella Chiesa conta veramente, paurosamente poco. E' il povero popolo, senza stima ne considerazione, che deve soltanto ascoltare, sempre obbedire, mai avere impressioni particolari e tanto meno esprimerle. E' folla anonima, incolore, senz'altro diritto che d'avere soltanto quello che viene dato e come gli viene dato.
Il popolo nella Chiesa non ha il diritto delle proprie opinioni, non ha il diritto di farsi dei giudizi, nemmeno di pensare che questo è brutto o bello (è chiaro che non accenno, nemmeno per ombra, alla formulazione di giudizi circa il bene ed il male).
Siccome tutto è fatto sicuramente per il bene del popolo e per la gloria di Dio, i poveri devono tutto accettare senza nemmeno dubitare che vi potrebbe essere «qualcosa» di migliore per il popolo e di maggior gloria di Dio.
Non si tratta evidentemente di problemi di Fede e dì Morale in cui è certo che la Chiesa è Maestra infallibile e nemmeno degli andamenti fondamentali della vita della Chiesa nel nostro tempo e in questo mondo: soltanto la Chiesa può e deve guidare il popolo cristiano, come il Pastore guida il suo gregge ai pascoli. E l'obbedienza e la fedeltà e l'Amore sono il rapporto giusto, necessario, indispensabile che tutti i credenti e tanto più i poveri, devono avere nei confronti della Chiesa. Perchè i poveri sanno bene che l'unica ricchezza che hanno è la Fede e l'unica sicurezza che possiedono è la Bontà di Dio e non possono e non vogliono fare a meno della Chiesa, testimone e garanzia offerta così concreta, di questa Fede e di questa Bontà.
Ma il problema è completamente un altro. Si tratta di un clima di apertura, di sincerità, di accoglienza. Si tratta - e è questo il punto importante - di un problema di stima.
La Chiesa per essere Chiesa dei poveri deve cominciare a «credere» che la gente comune, il povero popolo le vuole bene. E' un problema di fiducia.
E il segno che il popolo vuole bene alla Chiesa è il manifestarsi di una esigenza sempre più urgente e stringente che la Chiesa sia di una fedeltà sempre più pura e assoluta al Vangelo, a Gesù Cristo.
Il popolo chiede della bontà, spirito fraterno, umiltà semplice e serena, libertà dalla potenza umana, dalle ricchezze, disponibilità ai valori e ai problemi umani, povertà per essere poveri cioè niente d'importante, liberi da ogni privilegio, purificati da ogni pretesa, semplici e schietti in una condizione di totale servizio, contenti di essere sotto i piedi di tutti, coinvolti nei problemi di tutti, crocifìssi nel bisogno terribile che travaglia tutti gli uomini (dal Presidente della Repubblica all'ultimo mendicante) di salvezza, di un barlume dì speranza, di un po' d'Amore.
Il popolo vero, quello povero, vuole la Chiesa così, la reclama così e ormai l'accetta soltanto se è così.
Se potessero parlarci a cuore aperto i poveri ci insegnerebbero tante cose. Se potessero venire liberamente a dirci quello che pensano scopriremmo tanto Vangelo. Perchè è vero che la voce del popolo è voce di Dio.
La Chiesa dei poveri non può avere paura del parlare franco, dello scrivere liberamente. Del manifestare con franchezza le opinioni e del formulare giudizi.
E' giusto che ognuno cerchi la Verità e la cerchi anche secondo la propria coscienza, in obbedienza allo Spirito Santo che non è ipotecato presso nessuno, ma soffia come il vento che non sai di dove venga e dove vada, come dice Gesù a Nicodemo, in S. Giovanni.
Viene in mente il gran discorso che si sta facendo sulla comunità dei fedeli. La partecipazione comunitaria alla liturgia. E sembra grande concessione da parte della Chiesa verso il popolo che un po' di liturgia finalmente sia fatta in italiano, che si cerchi una particolare, effettiva partecipazione.
Ma non si può non avere tanta paura che tutto questo gran discorrere circa la Chiesa come comunità dei fedeli, rimanga qualcosa di arido, di artificioso, di formalistico se nel frattempo non si realizzano contatti aperti o cordiali, in un clima di sincerità e di schiettezza, riguardo a tutto il problema di esistenza cristiana che vuol dire certamente «la Chiesa, comunità dei fedeli».
La comunità intorno all'altare è il portare a Dio attraverso la preghiera e tanto più in Gesù, nella Messa, una comunità vivente, concreta, fatta di vita vissuta.
Finché il popolo è chiamato soltanto ad applaudire, a dire che va tutto bene, a ossequiare, a rendere omaggio, ad ascoltare, a trovar tutto fatto, a scappellarsi, ad avere timore, a guardar da lontano o, come unico modo di partecipazione, a dare quattrini, pagando soltanto e sempre le belle o brutte idee degli altri, finendo poi di pagarla anche con l'ammirazione più o meno forzata e insincera ecc. il povero popolo è soltanto una passività, vuota, incolore, morta, non davvero una «comunità di uomini vivi».
(continua)
d. S.
A Londra sui muri di una Chiesa, si legge «Il 60% degli uomini vive in uno stato di permanente digiuno: t'interessa? - Ogni minuto 6 persone muoiono di malaria: t'interessa? - 400 milioni di persone sono affette da tracoma: t'interessa? ».
E' una testimonianza agghiacciante che si stenterebbe a credere. Il nostro relativo ma notevole benessere non sa rendersi conto che la miseria e la fame costituiscono la triste realtà di tre uomini su quattro nel mondo. Uno studioso di problemi monetari, l'americano Franz Pick, ha recentemente calcolato il reddito medio pro capite degli abitanti di quasi tutti i paesi della terra: gli U.S.A. sono in testa con 2.290.360 lire annue per abitante, seguono il Canada con 1.292.800 lire, quindi la Svezia, la Svizzera, la Nuova Zelanda, l'Australia, l'Inghilterra... l'Italia ha ancora un reddito discreto: L. 530,000 per abitante. Ma che pensare dell'India dove il cittadino medio dispone di un reddito di circa 41.500 lire annue?
Noi - borghesi dei ricchi paesi occidentali - siamo minacciati dalla superalimentazione, e giungiamo all'assurdo di certa pubblicità che vanta il basso valore nutritivo di alcuni prodotti, i quali spesso vanno a ruba proprio perchè «magri» e poco sostanziosi. La «linea» è il più grave problema di molte nostre donne, e la bilancia la maggior preoccupazione di tanti.
Ma non è dappertutto così: la Cina ad esempio è comunemente indicata come «il paese delle carestie». Da duemila anni se ne sono avute due ogni anno e nel secolo scorso i morti di fame in Cina superarono i 100 milioni.
Anche nelle zone meno fortunate dell'Italia è ancora possibile incontrare uomini che sostengono duri turni di lavoro con la sola prospettiva di sopravvivere e mantenere i figli. Ma il minatore boliviano lavora dodici ore per uno stipendio corrispondente a 650 lire; i contadini del Perù vivono in una semi-schiavitù, e tutti sanno che in India e Pakistan gli spazzini delle grandi città tutte le mattine raccolgono i cadaveri di coloro che nella notte muoiono sui marciapiedi.
A volte viene denunziata la pigrizia dei popoli di colore e di quelli che vivono in climi caldi: è soprattutto la mancanza d nutrimento che indebolisce la loro capacità alla fatica. Tant'è vero che nelle scuole dove viene distribuito un bicchiere di latte al giorno i ragazzi si sviluppano più robusti, più vivi e si mostrano assai più capaci.
«Alcune nazioni soffrono di malattie perchè sono povere, s'impoveriscono ancora di più perchè sono malate, e l'aumentata povertà determina a sua volta maggiori malattie. Vi è un processo cumulativo che opera nel senso di un abbassamento continuo del tenor di vita, nel quale un fattore negativo e, in pari tempo, causa ed effetto di tutti gli altri fattori negativi».
Concludiamo col Card. Feltin «In un mondo che conta un uomo di più al secondo non si ha il diritto di essere un'ora in ritardo. La miseria non aspetta: due uomini su tre hanno fame, quasi uno su due non sa leggere, ogni anni su 60 milioni di morti, la farne e le sue conseguenze ne provocano dai 30 ai 40 milioni, ossia quanti ne causò l'ultima guerra in cinque anni, con tutto il suo arsenale di massicce distruzioni.
Ancora più grave è la fame spirituale e morale che tortura interi continenti.
A ciascuno di noi è interamente rivolta la terribile domanda: Caino, che hai fatto di tuo fratello? ».
da "Un pane per Amor di Dio,, a cura di Mons. O. Bison ed. «MANI TESE» Via Mosè Bianchi, 94 - Milano.
Ho visto il film di Pasolini «Vangelo secondo Matteo» e ne sono stato felicissimo, veramente un motivo di gran gioia.
Mi è sembrato una buona e onesta presentazione sugli schermi del cinema di quello che Gesù diceva ai discepoli di Giovanni Battista mandati da Lui, in carcere, a domandargli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?» Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni quello che voi udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri è annunziata la buona novella e beato chi non si scandalizza di me». (Mt. 11,2-6),
Perchè il Vangelo è fatto per i poveri, è vissuto da gente povera, è fatto di povertà. Mi è stato sempre difficile capire e quindi accettare che Gesù sia nato in una stalla, abbia vissuto in una casupoletta come la povera gente di Nazaret, non abbia avuto una tana dove rifugiarsi e una pietra sulla quale posare il capo, che sia morto nudo sulla croce fra due ladri... che insomma il Gesù secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni, sia stato poi costretto, nelle sue immagini e nelle ricostruzioni d'arte o anche liturgiche della sua vita, sia stato costretto a essere rappresentato in vesti sontuose, in situazioni da nababbi, fra ori e argenti, sfarzo e grandiosità, trine e merletti... senza contare i capelli biondi, inanellati, la barba tutta aggiusticchiata, tuniche e mantelli, raggi intorno alla testa, nicchie splendenti per statue irreali, assurde, disincarnate, con quei gesti sdolcinati, con davanti candele e ceri e mazzi di fiori.
Ho sentito alcuni commenti al film di Pasolini: non ha fatto vedere per niente che Gesù era Dio. D'accordo (fino a un certo punto però, perchè certe sequenze portano violentemente alla soglia del limite umano e a dare uno sguardo oltre, per chi lo vuole, non è che ci voglia gran che di impegno).
Però io mi domando se dalla quasi totalità della iconografia di Gesù, della Madonna, dei Santi in grande uso nelle nostre chiese e nei libri di devozione, appariscono, in modo da fare veramente riflettere, le realtà soprannaturali alle quali la iconografia sacra vorrebbe aiutare. A meno che il soprannaturale sia rivelato dal fatto che sono statue dorate o ben dipinte, aureolate di raggi, drappeggiate in modi sfarzosi ecc.. cioè più lontane e diverse che sia possibile dalla comune, normale esistenza umana.
Dal momento che Dio facendosi Uomo ha scelto quella povertà totale di cui è descrizione sicura e fedelissima il Vangelo nel racconto della vita di Gesù e nel riferirci le sue parole, è fuori discussione che la sua Divinità è svelata e manifestata e glorificata dalla povertà. E' la povertà, la semplicità, la libertà dai valori apprezzati e considerati dall'egoismo umano, che testimonia che Gesù, il Figlio di Maria, è il Figlio di Dio. Il "sistemarlo" (mi si perdoni questa parola) secondo il criterio umano di indicazione di valori e d'importanze, è diminuirgli o addirittura sciupargli la sua testimonianza di divinità in tutto quello che è dimostrabile da un modo di vita umana. Se lo carichiamo d'oro, Gesù, e di grandiosità secondo le mentalità umane e terrene lo rendiamo meno Dio. Forse più vicino a noi in ciò che Lui non può accettare di noi, perchè non sono puri valori umani (la ricchezza, il fasto, l'artificio, la sontuosità, l'imponenza non sono valori umani). Queste cose e simili non vanno certamente bene per Lui: chissà perchè ci ostiniamo a volere che sia come Lui non ha sicuramente voluto essere.
Mentre ha voluto essere povero. Si è circondato di poveri. Si è affidato ai poveri. Li ha difesi. Li ha esaltati. Ha voluto esserne la speranza, la gioia, la gloria. I poveri hanno il loro Dio in Lui e per essi soli, quando accettano la povertà con Amore e specialmente nel nome di Lui, Gesù è l'unico vero Dio fatto Uomo.
Mi pare che questo, in modo particolare, voglia dire Gesù quando dice: ... e il Vangelo è annunciato ai poveri e beato chi non si scandalizza di me.
Non so cosa ha pensato Pasolini e a cosa ha voluto concludere col suo film, ma da alcune sequenze ho pensato di potermi assai fidare della sua onestà, almeno da due: la prima, quella dell'inizio, di Maria e Giuseppe: una cosa meravigliosa per la sua purezza e trasparenza verginale e l'infinito rispetto (ed adorazione) verso il Mistero avvenuto nel seno verginale di Maria e verso l'angoscia onesta di Giuseppe, e l'altra, quasi al termine, a crocifissione già avvenuta, con quello spengere a buio fitto lo schermo e quella voce che dice parole (mi sembra d'Isaia) di terribile rimprovero per non avere visto e udito, pur avendo avuto occhi per vedere e orecchi per intendere.
E' chiaro che non posso pretendere da lui miracoli cinematografici e nemmeno personali, di Fede nella divinità di Gesù. Grazia Maggi (e molti la pensano così) ha scritto nel numero di novembre de «La voce dei poveri» che un regista cristiano avrebbe messo su quel volto tanti mirabili sorrisi e più dolcezza. Penso anch'io che un regista cristiano avrebbe presentato Gesù in altro modo (come del resto, che io sappia, è sempre successo). Tutto sta a vedere se questo Gesù sarebbe stato di più secondo Matteo, Marco ecc.
Un «regista cristiano» (non è evidentemente per via del Cristianesimo, sia ben chiaro, ma per via di mentalità scambiate per cristianesimo; ce ne sono tante!) certamente non avrebbe impostato così crudelmente e scopertamente il Mistero della povertà di Gesù e nemmeno avrebbe messo particolare attenzione al capitolo 23 di S. Matteo e a tanti altri episodi e discorsi di Gesù. E' veramente cosa strana e motivo di grande pena che tanta essenzialità del Vangelo e tante chiarissime posizioni di Cristo dentro la confusa e agitata realtà dell'esistenza umana e sociale, i cristiani abbia timore a trattarne, a parlarne, a scriverne, a farne ispirazione d'arte ecc. come se fossero motivi capaci di offuscare la sua divinità.
Sono stato grato a Pasolini di avermi dato di vedere sullo schermo «qualcosa» (molto poco questo qualcosa, d'accordo) di quel Gesù che trovo nelle pagine del Vangelo, che adoro, nella mia Fede, Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo, che sento vivo e vivente nel cuore dell'umanità in cerca di Verità, di Giustizia, d'Amore e quindi di Salvezza, di Redenzione, che amo così perdutamente fino a essere il mio unico Amore, la mia Gloria, la mia Gioia, la ragion d'essere della mia vita.
E spesso guardando quel film lacrime dolcissime mi hanno velato gli occhi, e forse è stato perchè riuscissi a vedere con maggiore chiarezza Chi sulla terra non ho potuto vedere, ma soltanto sognare, in attesa di poterLo vedere, come realmente è, in Cielo.
* * *
Carissimo,
dopo oltre due mesi dalla mia partenza dall'Italia mi faccio vivo. Credo che si ricorderà di me dell'incontro frettoloso di ritorno dall'Isola di Capraia. Vorrei se fosse possibile mantenere i contatti per non estraniarmi del tutto dal nostro mondo «occidentale» ed avere costantemente così un punto di riferimento per confronti utili... più... il non indifferente tesoro dell'amicizia.
Qui, all'estremo sud del Messico (costa del Pacifico e confine con Guatemala) in questa diocesi di 500.000 abitanti e venti preti, non so se si rendono conto realmente della situazione specie in rapporto all'avvenire. Scoppierà tutto? Ciò che mi impressiona di più è la quantità enorme di bambini tra 7-12 anni, cosa sarà... quando saranno cresciuti? In molti borghi della Parrocchia (la Parrocchia conta 111.000 abitanti) si arriva solo una volta all'anno, a poco a poco la situazione della presenza fisica del Prete migliora, ma il vero lavoro quando incomincerà?
Lo spirito del clero è molto buono - un Vescovo formidabile - la situazione della «Chiesa senza privilegi» per la particolare legislazione messicana (i sacerdoti non godono dei diritti civili, voto, ecc.) proibizione dell'abito talare, delle Processioni ecc. è buona cura contro la facilità al culto esagerato dei Santi.
Alla resa dei conti sarà da ringraziare il Signore di queste «persecuzioni»?
Sarà possibile il trasferimento di qualcuno dei suoi amici all'America Latina?
Grazie di tutto.
don. E. M.
Carissimo,
è qualche giorno che penso tanto a Gesù, alla Sua presenza in noi, al nostro dovere di essere abbandonati. E' giusto e bello che Lui sia sempre più ogni cosa e che riconosciamo che la Sua umanità è tanto migliore della nostra, che Lui realizza ogni pienezza e perciò Gli cediamo ogni diritto di vita. Anche perchè Dio solo è il Vivente, e ogni cosa esistente dipende da Lui ed è Sua - e se noi siamo nel Suo Pensiero, e in Gesti siamo così intimamente Suoi e tanto Amati e seguiti, non mi interessano più le altre cose e difficoltà, ma voglio solo aprirmi a raccogliere il rapporto delle cose con Dio e dargli gloria per il Suo esistere.
Credo che si sentirà sempre il bisogno di amarLo con tutto ciò che si è, ogni attimo, e nello stesso tempo il senso del nostro limite così tanto avvertito.
Ma credo che nessuna ricchezza umana di affetto e intelligenza ci sembrerebbe abbastanza per amarLo, e allora l'unica via è essere tanto piccoli, dimenticarsi completamente, fissarsi in Lui per essere dispersi in ogni luogo e donati ovunque, perchè se siamo pacificati da Lui tranquillizzati da Lui, dimentichi e gioiosi per causa Sua, potremo essere per Lui e per gli altri pace, riposo, gioia.
Un oceano di cose tutte molto belle.
M. G.
Caro don...
si deve assolutamente accettare tutto da Dio, vero? Anche se si tratta di piccole cose che però fanno stare male e mi fanno sentire tanto incapace, misera.
Vado a Lui come una mendicante: io non ho nulla, da offrirGli: non ho mai stranamente niente da dargli, è sempre Lui che dà.
Mi sembra che la mia vita sia un continuo ricevere senza dare. Desidero ora dargli tutta me stessa, amarLo ora, mentre sto comodamente stesa a letto.
Come è difficile pensare a chi non ha un letto, a chi non ha cure... e non ne soffro neanche tanto. Quando sono ammalata non riesco neppure ad afferrare bene il senso della mia vita; mi sembra così strano che io possa pensare a donarmi interamente mentre sono tranquilla in una camera calda. Ma ora Dio vuole questo da me. Forse non importa neppure molto se mi sento apatica e vigliacca. Tutto ciò che è sentire, lo dice sempre lei, è sempre un po' sospetto.
Come si può amare tanto Dio ed essere così incapaci di far qualcosa per Lui: non è tutto un contrasto? Mi ritrovo sempre una mendicante che sa porgere solo la mano: quando non so dargli nulla ritorno sempre a chiedere; credo proprio che passerò la vita a stendere la mano!
Sono felice però di sapere che posso in ogni istante contare su di Lui e amarLo. E' veramente Lui che deve essere tutto: ne ho la sicurezza, eppure è così difficile vivere nel presente questa realtà che è poi così semplice ma così determinante!
Dica a Dio di farmi essere più generosa, di amare di più.
In Cristo affettuosamente.
G.
Carissimo
la circostanza del Natale offre, con gli auguri da fare, l'occasione di parlare un poco cogli amici, con chi è fuori della propria legalità e convenienza e parlare col quale è un bisogno dello spirito anziché un dovere della propria urbanità.
Ho ricevuto da don... tue notizie. Ti trovi solo e puoi immaginare come la tua solitudine sia sentita da tutti noi. Il Natale della solitudine, del vuoto, del sentirsi aggrappato alla vita quando attorno c'è la vita nella sua intimità che viene meno, si sgretola. Ogni epoca ha il suo modo di rinnovare il Natale dì Cristo. Ogni uomo ha la sua strada che lo porta al Natale di Gesù. E Natale è soffrire il male del proprio tempo perchè ne venga un bene. Non ha forse preso il Signore la nostra carne malata, perchè nella Sua sofferenza diventasse divina in certo qual modo?
E Natale è sentire nelle proprie membra la vita divina che le fortifica, le irradia, le fa degne di corredenzione.
E Natale è deporre nella propria miseria sanguinante il Cristo di Betlemme perchè possa continuare nel mondo l'opera di redenzione: ha bisogno del nostro corpo per non spegnere il Suo corpo nel mondo.
Ti sarò tanto unito, in questi giorni, più con la preghiera a Cristo perchè ti faccia degno della sua opera divina negli uomini, perchè nella prova lacrimevole di oggi, faccia brillare il sereno, il conforto, la gioia per vivere di Lui.
Sempre tuo affezionatissimo don..
Sia lode a Dio
Sia gloria a Dio per le cose screziate,
per i cieli di vario colore come la mucche chiazzate;
per le macchie rosa punteggiate sulla trota che nuota;
per le castagne fresche cadute come brace accesa, per le ali dei fringuelli;
per i passaggi divisi e spezzati - chiuso, maggese e campo arato
tutte le arti e gli arnesi e gli strumenti e gli ordigni.
Tutte le cose a contrasto, originali, sobrie, strane:
tutto ciò che è mutevole, maculato - chi sa come? -
veloce, lento, dolce, vivido, opaco,
genera senza tregua Colui la cui bellezza è immutabile:
Lode a Lui!
(Autore ignoto)
Il prete
«Come Cristo, il prete porta all'umanità un dono senza eguali: quello dell'inquietudine. La rivolta che egli predica è l'insurrezione delle coscienze; l'ordine che egli deve sconvolgere è la calma apparente che copre le iniquità e gli odi. Come l'eroe e il santo, il prete nel mondo non è un cittadino che ubbidisce passivamente; egli non ha affatto una fisionomia comune. Essere per Lui buon cittadino, nell'ubbidienza più sincera alla legittima autorità, significa essere "l'eterno insoddisfatto", non per turbare la pace sociale, ma per prepararne, in ogni momento, l'attuazione più perfetta.
Che funzione paradossale è mai la sua! Profeta dell'Essere perfetto, egli ne riflette, nelle civiltà che passano, la pace sovrana e la stabilità. Profeta del Dio vivente egli non ammette il riposo che sarebbe la morte; sarà sempre l'artefice del divenire, del rinascere, nell'intimo delle persone come nello sviluppo della storia.
Si può dire senza contraddizione che il suo modo di seminare l'ordine è quello di metterlo in discussione: il suo modo particolare di obbedire alle leggi degli uomini è quello di appellarsi continuamente alla legge di DIO».
(card. E. Suhard)
Simone Weil
Ascoltare la Weil significa esporsi ad una provocazione spirituale, ad un bruciante contatto mistico, che non lasciano inerte alcuno, qualunque la risposta in concreto che ognuno sia poi in grado di dare.
Ogni sua parola è un invito perentorio ad "essere" cristiani il che è un'altra cosa dal dirsi tali, a camminare verso Dio, ogni momento, il che vuol dire impegnarci ad una conversione perenne: molto scomodo per la nostra accidia.
«Gridare che si ha fame e che si vuole del pane. Si griderà più o meno a lungo, ma finalmente si sarà nutriti, e allora non si crederà, si saprà che esiste veramente del pane. Quando se ne è mangiato quale prova più sicura se ne potrà valere? Finche non se ne è mangiato, non è necessario e nemmeno molto utile credere al pane.
L'essenziale è di sapere che si ha fame. Non è una credenza, è una conoscenza del tutto certa che non può essere oscurata se non dalla menzogna.
Tutti coloro i quali credono che v'è o vi sarà un giorno del nutrimento prodotto quaggiù mentono».
(S. Weil)
Luigi Sonnenfeld
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