Dolore e povertà

La Pasqua è Resurrezione. Ma è dopo tanto patire, e è dopo il morire, e morire dissanguato sulla Croce. Il dolore non può sparire nel nulla e ritorna alla Vita, come il seme che non muore nel solco del campo. Il dolore non è come il piacere e la gioia sempre piena conclusione e quindi fine a se stessi, II dolore non è mai fine a se stesso, e non conclude, ma è inizio; è soltanto strada per arrivare, è soltanto mezzo per ottenere. Quindi non può sparire nel nulla; non può essere senza senso e senza preciso, autentico valore. E se nessuno lo raccoglie e lo vuole - ed è facile capire perché - Dio lo raccoglie con fedeltà e premura fatta tutta d'Amore.
E' cosa unicamente di Dio il dolore. Appartiene a Lui solo, perché Lui è felicità infinita, così tanto da poter esser Lui solo conclusione all'angoscia misteriosa del dolore. Lui solo può non averne paura.
E se l'è venuto a prendere tutto il dolore di tutta l'umanità (non ha trovato altro fra noi che significasse qualcosa per Lui), per portarselo in modo personale dentro la felicità infinita di Dio. E da allora, il dolore mio, tuo, di lui di tutti è tutt'uno con la felicità di Dio, tutt''uno con Dio, anzi Dio stesso.
Sulla terra, tutto questo Mistero è visibilmente avvenuto in Gesù, il primogenito, il primo fra tutte le creature: la Sua Resurrezione è il segno concreto e storico del concludersi del dolore e della morte nella Gloria di Dio, ed è la garanzia per noi, per il nostro doloroso morire di ogni giorno, e dell'ultimo giorno, di medesimo destino.
Il problema del dolore è alla radice del Cristianesimo. Per Gesù è tutto il Suo Mistero divino-umano, la via obbligata alla Resurrezione è la via del Calvario, e termina sui chiodi della Croce. Forse è la spaventosa povertà in cui getta il dolore che ha convinto il Cuore di Dio a sceglierlo. Non poteva farsi aiutare da ciò che gli uomini giudicano valore, per riuscire a riempire i vuoti abissali scavati dalla pazzia orgogliosa degli uomini nell'esistenza umana,
E volendo venire a raccoglierci nel nostro spaventoso vuoto, vivendo la nostra stessa esistenza, ha preso fra noi ciò che è negazione, assenza di ogni valore terreno: la povertà, e, quindi, il dolore, la via più sicura e violenta alla povertà assoluta. Tutto il dolore, senza lasciarne nel calice nemmeno una goccia. E il dolore è stato fedele: e l'ha spogliato di tutto, anche di un ultimo straccio, e di tutti gli amici, di ogni speranza e conforto, di tutto il Suo Sangue, di Sua Madre, e ha toccato il fondo del Suo Mistero di Figlio di Dio e di Figlio dell'Uomo, costringendolo a gridare al Padre il grido della più angosciata solitudine.
E !a povertà allora è stata assoluta, assai più della sconfinata povertà dell' esistenza umana. II Cielo ha dovuto rabbuirsi e la terra scuotersi perché il dolore ha fatto povero Dio, lo ha fatto noi fino in fondo, ciascuno di noi, tutti gli uomini, nella loro perdizione infinita.
Di nuovo Dio a contatto col nulla. Ma ora non coll'Onnipotenza del Creatore, ma con 1'infinito dolore della morte. E la povertà di Dio è cosi perfetta e totale che è Lui solo, come allora, al principio di tutte le cose. Lui solo nel vuoto - scavato dal male nell'esistenza del mondo - dell'esistenza umana e dell'universo per la creazione della "nuova creatura". Ricomincia la Vita. E non può essere che una Resurrezione da morte.
Il dolore nel cristianesimo ha valore di liberazione. Ci vuole riportare all'essenziale spogliandoci di tutte le difese sempre fatte di illusioni e falsità, Ci costringe alla nostra verità.
Allora tocchiamo veramente terra coi nostri piedi. La fatica incredibile di scoprire sul serio cos'è la vita. Cosa vuol dire esistere. E il camminare doloroso e sfinito in un deserto di solitudine sterminata: il vuoto dentro e intorno a noi scavato dal dolore. Perché, nonostante tutto l'Amore di chi ci ama, si soffre da soli: nessuno può entrare nel buio del nostro dolore e rischiararlo di luce. Esiste sofferenza che non può essere divisa con nessuno. E spesso le lacrime di compassione sono sale sulle nostre ferite...
Perché tentare di ribellarci? Tentare d' illuderci? Pretendere che non sia così. Non adattarci assolutamente. Rifarci le speranze a forza di medici e medicine. Confortarci anche qui con quello che offrono i quattrini. Stordirci spingendo fino all'assurdo la ricerca di qualcos'altro. Ubriacarci di pazzia di sogni impossibili... .
E basterebbe accettare almeno questa povertà del dolore. Questa dolce e serena povertà, che vuole liberarci da tutto ciò che non vale nulla, e ridarci la piena coscienza dei nostri essenziali valori, rifacendoci liberi figli di Dio.
Perché questa povertà, scavata in noi dal dolore, è forse - almeno per tanti - l'unica povertà possibile e sicuramente offerta. E, senza povertà, non vi è Cristianesimo; e, quindi, non vi è speranza di salvezza. Bisogna andare a Dio poveri, perché "solo dei poveri è il Regno dei Cieli" (Mt. 5,3 - Lc. 6,20).
Permettiamo che il dolore (tutto ciò che entra nella nostra esistenza, e nell'esistenza di tutti, e allaga di sofferenza questa povera vita umana), ci faccia poveri. Non ha certamente altro scopo. Non è per demolirci o distruggerci: è costruzione - l'unica ormai possibile - di tutto il Mistero di Dio nella nostra vita umana. E' forse l'unico nostro sincero Cristianesimo: buoni ladroni con diritto al Paradiso perché finalmente Crocifissi accanto a Lui, partecipi della Sua totale povertà, quindi, uniti al Suo stesso Destino.
E il dolore ci farà anche tutti fratelli fra noi, affratellati dalla stessa povertà. Poveri e soli tutti, ugualmente, almeno davanti al dolore e alla morte.


don Sirio Politi


pubblicato anche in: La Voce dei Poveri: Anno V VIAREGGIO - N. 4 - Aprile 1960 - Link al documento

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