Il premio Nobel della pace 1961 fu conferito ad Albert Luthuli: veniva premiata una persona apparentemente sconfitta, un prigioniero accusato di alto tradimento, proscritto, privato di tutti i diritti civili e politici e segregato a vita in un campo di concentramento.
Il governo razzista e fascista di Johannesburg non voleva lasciar partire Luthuli per Oslo: solo dopo le pressanti insistenze dì tutto il mondo ad Albert furono concessi 10 giorni; per Oslo e ritorno senza scali intermedi. Ricevuto il premio, di nuovo la segregazione.
Quest'uomo che lottò per l'emancipazione dei negri e fu riconosciuto "portatore di pace" dal mondo intero, era uno Zulù.
Albert Luthuli nacque da una famiglia Zulù nel 1898 nella missione evangelica di Solusi nella Rodesia del Sud.
Battezzato ed educato nella Chiesa congregazionalista, venne poi confermato a Grontonville (Natal) nella Chiesa Metodista, ove poi divenne predicatore laico. Studiò all'Istituto missionario Adams College e nel 1917 vi prestò servizio come insegnante, dedicandosi all'istruzione popolare e alla rivalutazione della lingua e della cultura Zulù. Nel 1927 sposò Nokukhanya Bhengu moglie eccezionale che lo sostenne nelle campagne nonviolente e gli diede 7 figli: tre maschi (il primo e i due ultimi) e quattro femmine.
Nel 1936 lasciò l'insegnamento perchè fu eletto capo tribù nella missione Umbvoti a Groutville. Qui svolse ampia attività di riforme, dando agli Zulù una coscienza dei propri diritti.
Nel 1953 venne deposto arbitrariamente dal Governo per la sua attività troppo sovversiva. Nel 1945 entrò nell' "African National Congress" un movimento nonviolento del quale divenne poi leader dal 1952 alla morte. Dal 1953 subì vari bandi, processi, arresti, reclusioni: e rimase in permanenza relegato in un campo di concentramento in un distretto di pochi chilometri quadrati. Dal confino però diresse numerose campagne di disobbedienza civile, che dettero coraggio e dignità agli Africani.
Fu ucciso nel luglio 1967 per ordine del governo razzista.
ZULÙ
Dal popolo Zulù Luthuli è considerato un santo, un eroe leggendario: lo chiamavano ''valoroso nelle battaglie" un titolo che si dà soltanto ai grandi condottieri di un popolo. E Luthuli fu davvero un grande condottiero, che in una lotta nonviolenta condusse il suo popolo verso la libertà: "lasciate libera la mia gente" era l'ordine che Luthuli ripeteva agli schiavisti, ai torturatori dei negri diseredati del Sud Africa, privati della loro terra, segregati in grandi riserve, campi di concentramento ove lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo tocca limiti forse mai raggiunti nella storia del mondo.
Gli Zulù sono una nazione da millenni libera e civile con una lunga tradizione di nonviolenza risalente ai tempi anteriori alla conversione al cristianesimo. La conversione stessa degli Zulù al cristianesimo avvenne grazie ad una bella testimonianza di pace. Nel 1835 Allen Francis Gardiner, ex capitano di marina britannico, tentò di convertire gli Zulù. Il re Zulù gli conferì il titolo di capo tribù, ma gli disse che invece di prediche avrebbe desiderato un aiuto concreto: che egli insegnasse ai guerrieri il maneggio delle armi da fuoco. A tale richiesta Gardiner oppose un netto rifiuto: affermò che la Fede Cristiana gli vietava di insegnare ad uccidere o anche ad usare le armi.
Fu questa testimonianza, cosi rigorosa e decisa, che colpì favorevolmente il popolo; gli Zulù riconobbero, in quella fede nella nonviolenza, la pura testimonianza di un Vangelo di Pace, che da allora molti accettarono.
Da questa tradizione non violenta sorse Luthuli. La patria della nonviolenza è proprio il Sud Africa e qui la scoprì Gandhi nel periodo 1894-1914 con essa egli riuscì a conseguire importanti tappe nell'emancipazione degli indiani e soprattutto a dare ad essi coscienza di essere un popolo. Sotto gli auspici di Gandhi nel 1912 fu fondato il Congresso Nazionale Africano che perseguì coraggiosamente il suo obiettivo dì efficace resistenza 'all'arbitrio dei bianchi.
Fino a che, nel 1924, lo stato di tensione aumentò a tal punto che furono emanate dal governo leggi speciali che stroncassero ogni opposizione e bollassero come agitatore chiunque esprimesse anche la più piccola divergenza dal sistema. Venivano colpiti dalla legge anche coloro che osavano lamentarsi degli efferati eccidi compiuti dalla polizia.
RAZZISMO ASSOLUTO
Solo i bianchi godono in Sud Africa dei pieni diritti. I negri non hanno personalità giuridica, schiavi a tutti gli effetti, relegati in riserve donde i bianchi traggono il materiale umano per un lavoro senza retribuzione.
"Ogni volta che i legislatori si sono occupati di industria, terra, matrimonio, libertà di spostamento, localizzazione dei centri di abitazione, istruzione, commercio, passaporti, rappresentanze in parlamento, soldi, scioperi, servizi del culto, prostitute, trasporti o di qualsiasi altra cosa, su per giù nel loro subcosciente vi era la volontà di affermare e di ingrandire il diritto dell'uomo bianco a signoreggiare".
A sentir dire che i negri in Sud Africa sono schiavi, i razzisti bianchi fanno le meraviglie. Schiavi? Ma nessuno mette loro le catene! "E' vero - obietta Luthuli - e vero, certo, che non siamo legati coi ceppi in uso ai tempi del primitivo selvaggio. Ma i sistemi della schiavitù mutano con il mutare del tempo. Oggi il diritto di proprietà dello stato ha sostituito il diritto di proprietà individuale, in certo grado. Il sistema schiavistico è stato nazionalizzato. Ci dicono dove possiamo e dove non possiamo lavorare, dove possiamo e dove non possiamo vivere; ci privano di ogni diritto a possedere, e la legge vieta di far sciopero o di protestare contro le decisioni di un parlamento composto interamente di bianchi o contro qualsiasi forma di sfruttamento. Non c'è cosa che i nostri padroni bianchi non possano fare a danno nostro e a tale scopo basta che essi si accordino tra loro e decidano per il sì".
La situazione è veramente assurda e apparentemente senza speranza. Si aggiunga l'estremo rigore con cui le leggi sono applicate, la crudeltà dei metodi della polizia, l'odio contro i negri che viene alimentato abilmente e che impedisce ai giudici di essere clementi nell'applicazione delle leggi. La vita umana non è tenuta in nessun conto, secondo una recente indagine circa la metà di tutte le condanne a morte eseguite nel mondo intero avvengono nel Sud Africa: per impiccagione.
La morsa del più bieco razzismo si è chiusa, per i negri non rimane neppure la speranza della riscossa: "i giovani africani sanno, fin da quando diventano ragazzi - e qui bisogna dire che non sanno nient'altro - che i loro sforzi per emulare quanto vi è di valido nel mondo civile non potranno nemmeno, stando le cose come stanno, garantire loro il riconoscimento dovuto a creature nomali e responsabili.
IL SILENZIO DELLE CHIESE
Lo spettacolo più ributtante è che il regime razzista viene sostenuto con argomenti teologici da molte chiese cristiane, le quali obbligano i negri ad obbedire a leggi, sotto il vincolo di peccato mortale. Non sono strani questi silenzi delle Chiese: la collaborazione con i potenti impedisce loro di parlare liberamente e di testimoniare il Vangelo.
Solo recentemente, dopo decenni di sollecitazioni di pacifisti di tutto il mondo, i vescovi Sud Africani si sono pronunciati: il 27 luglio 1966, infatti, i vescovi cattolici hanno dichiarato in una lettera pastorale che la discriminazione razziale è contraria alla legge divina.
Fu un bel successo per Luthuli; ma questa dichiarazione generica viene dopo decenni di assoluto silenzio, anzi di connivenza con il potere. Tutte le chiese cristiane ne sono macchiate. E Luthuli, da cristiano, ne era profondamente amareggiato: "non è forse vero, tristemente vero, che queste chiese sono divenute simboli falsati e distorti? Che esse stanno aggrappate ad una morale portata i bianchi, predicata da loro, e che essi stessi si rifiutano di mettere in pratica?". Un proverbio dice: "Voi chiudete docilmente gli occhi per pregare: e quando li riaprite, i bianchi vi hanno portato via la terra e hanno importunato le vostre donne". "Oh, quanto queste chiese, trasformate in una sorta di servizio sociale, elargito come una concessione, sono lontane dallo spirito di Cristo! E molti ministri cristiani non ci guardano forse dall'alto in basso, invece di scendere fino a noi, come fece e fa tuttora Gesù Cristo? Il popolo africano sopporta tutto questo da lungo tempo con pazienza, ma ne è pienamente cosciente". Se la chiesa non adempie al suo dovere di guida morale del popolo, ha tradito la sua missione. E quante volte le chiese sudafricane, dice Luthuli, hanno abbandonato il loro gregge!
Mercenari e non pastori quei vescovi che voltavano le spalle al loro popolo: "Conosco la sete spirituale del mio popolo per una guida spirituale in questo frangente che ora, e durerà qualche tempo ancora, ci sta ponendo tanti problemi. La chiesa deve essere con noi, fra noi tutti. Se essa sta sul confine, non possiamo sperare che la nostra religione sussista e sia rispettata: manchiamo alla nostra missione, e questo equivale ad un suicidio. Troppo spesso il gregge è stato abbandonato a se stesso quando la situazione era urgente e difficile."
IL CORAGGIO
La situazione dei negri sudafricani, quale si presentava a Luthuli, sembrava senza via di uscita. Ma egli ebbe netta la visione di ciò che doveva fare per dare al suo popolo la liberta (dove non riusciva ad imporsi il diritto o la forza, avrebbe potuto supplire il coraggio): l'arma della resistenza nonviolenta ideata da Gandhi, la quale aveva bisogno soltanto di una cosa: il coraggio. Perchè ciò che rendeva schiavi milioni dì uomini non era tanto 1'oppressione bianca, quanto la condiscendenza negra.
Luthuli se ne avvide e denunciò la cosa: se i bianchi dominavano era perchè i negri lasciavano fare! Divisi tra loro, con i capi corrotti dal denaro dei bianchi, non riuscivano ad avere una coscienza di popolo.
Per cambiare le cose bastava disobbedire: astenersi dal lavoro, rifiutare le ingiuste imposizioni, violare le leggi. La scelta nonviolenta è l'unica via che dia davvero la liberazione perché crea una coscienza e dignità di popolo.
"La nostra lotta è una lotta e non un gioco: noi non possiamo permetterci di lasciarci intimidire da una durezza che andrà crescendo prima che il combattimento abbia termine. Non arriveremo a conquistare la nostra libertà se non a costo di grandi sofferenze, che dobbiamo prepararci ad affrontare. Molto sangue africano è già stato sparso, e certo molto altro ancora lo sarà. Noi non vogliamo il sangue dell'uomo bianco; quanto a noi non dovremo nutrire illusioni sul prezzo che esigerà in sangue africano prima che ci siano riconosciuti i diritti di cittadinanza nella nostra terra".
CAPO TRIBÙ
Nel 1936 fu eletto capo tribù del suo villaggio di Grountville (5.000 persone). Iniziò con due riforme che dovevano sconvolgere il sistema tribale: ammise le donne all'assemblea della tribù, trasformò il sistema processuale impedendo ogni abuso da parte dei ricchi. La riforma più importante di Luthuli fu nel campo della polizia: creò un corpo di volontari zulù dimostrando in pratica come può funzionare una comunità senza 1'intervento di superiori autorità.
In quel periodo avvenne il boicottaggio della birra, delle istituzioni benefiche: "Noi non vogliamo qualche esercizio elargito con ostentazione dai munifici bianchi a spese nostre. Noi vogliano una parte del Sud Africa, né più né meno."
Furono questi boicottaggi - cui si accompagnavano sempre azioni positive di costruzioni di servizi per gli indigeni che forgiarono gli Zulù, preparandoli alle grandi lotte nonviolente assieme agli altri negri e agli indiani.
Dopo numerose e riuscitissime manifestazioni nel 1950 e 1951 il Congresso iniziò il 26 giugno 1952 una colossale campagna di disobbedienza civile. La lotta trasformò il volto del Sud Africa. Non più negri rassegnati alla schiavitù, ma persone coscienti che sapevano lottare per una meta finora ritenuta assurda: la parificazione con i bianchi.
Luthuli venne subito mandato al confino. Alla terribile legge sull'educazione Bantu (1954) i negri risposero disertando le scuole. Nel 1955 fu promulgata la "carta della libertà" in cui sono enunciati lucidamente tutti i punti per i quali gli oppressi si battono. La Carta della libertà provocò a Luthuli e a
molti altri un lungo processo per alto tradimento (1955-1961) e il carcere a varie riprese.
Nel 1957 centomila lavoratori di Alexandra boicottarono gli autobus compiendo a piedi le decine di km. che li separavano dal lavoro. Il 15 marzo 1959 - subito dopo la conferenza panafricana di Accra - il Congresso ebbe l'audacia di celebrare il giorno dell'Africa. Da allora Luthuli conobbe soltanto il confino, ma i negri venivano a trovarlo a migliaia, percorrendo a piedi centinaia di chilometri.
Luthuli sapeva che dall'odio non può nascere un mondo nuovo. Non si può sperare la libertà altro che dall'amore. "Giudico che una resistenza di carattere prettamente razziale sia il corrispondente, errato, di un'oppressione prettamente razziale".
Alla sua morte i negri accorsero a decine di migliaia a salutarlo un'ultima volta, dopo aver attraversato numerose regioni; a salutare il valoroso nelle battaglie, il creatore di un'epopea che aveva visto protagonisti gli umili, i negri per la prima volta nella storia del mondo.
Che cosa poteva contare il carcere o la vita, pur di aver partecipato alla lotta dei poveri?
"Ignoro quello che il futuro mi riserba. Può riserbarmi il carcere, il campo dì concentramento, le sevizie, 1'esilio, persino la morte. Prego soltanto 1'Onnipotente di rafforzare la mia risoluzione in modo che nessuna di queste crudeli possibilità arrivi a distogliermi dalla lotta per il buon nome del nostro amato Paese".
"E' inevitabile, quando ci si adopera per ottenere la libertà, che qualche singolo o qualche famiglia abbia a sostenere il peso della lotta e soffra: la strada che conduce alla liberazione è quella della Croce".
Albert Luthuli ha accolto con coraggio la sua croce per il grande amore della libertà.
don Rolando
(A. Luthuli, "Africa in cammino", SEI
F. Fabbrini, "Albert Luthuli")
in Popolo di Dio: PdD anno 4° gennaio 1971, Gennaio 1971
Luigi Sonnenfeld
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