La scuola nei Seminari

Abbiamo ricevuto da amici seminaristi questo progetto di scuola teologica nei Seminari.
Condividiamo in genere le idee espresse anche se giudichiamo il tono e il modo un po' eccessivamente polemico: sta di fatto che la crisi dei seminari non è certamente risolvibile con liberalizzazioni varie e trasformazioni marginali. E tanto più il gravissimo problema delle "vocazioni sacerdotali" e della loro preparazione alle responsabilità del Sacerdozio nel Regno di Dio nel nostro tempo.
LA SCUOLA DI TEOLOGIA si configura oggi come qualunque altra scuola, di lettere, matematica, medicina.. Come ogni altra scuola mira alla specializzazione. Usa gli stessi strumenti scolastici (lezioni cattedratiche, testi, esami, voti...) e unicamente questi.
Pensiamo alla scuola di teologia come ad una scuola di fede che si propone di interpretare la vita e il mondo secondo il pensiero di Dio, che vuole rendere "la fede viva rischiarandola con la dottrina" che annuncia una notizia di gioia per chi la dice e per chi l'ascolta.
IL PROFESSORE OGGI è lo specialista, l'esperto. A lui importa di avere spiegato bene, e che la maggioranza degli allievi abbia capito quello che ha detto lui.
Pensiamo al compito del professore come ad un carisma da mettere al servizio degli altri (servizio d'insegnamento per edificare la Chiesa). Pensiamo alla scuola come ad una comunità che si raduna per interpellarsi sulla Parola di Dio. E in essa c!è chi è dottore e chi è profeta..
LA FRANTUMAZIONE DELLE MATERIE, l'abnorme crescita di certe parti di pura erudizione rendono la teologia un ammasso di verità o nel migliore dei casi una cultura particolare, ma non danno il senso del messaggio di salvezza, per il quale decisiva non è l'intelligenza ma 1'opzione.
E invece una lettura lenta, attenta, comunitaria (e non solo esegetica) del Vangelo è lasciata agli individui o agli sforzi troppo brevi dei gruppi nella preghiera del mattino. Certe pagine terribili che scardinano il nostro pensare umano, sono sorvolate tranquillamente.
NEL NOSTRO TIPO DI SCUOLA non sono previsti la ricerca in comune, il confronto di idee, il lavoro di gruppo... Solo il professore può parlare. Agli allievi non resta che prendere appunti e studiarseli per proprio conto.
L'ESAME E' IL CULMINE DELL' INDIVIDUALISMO, è il momento-chiave dell'attuale struttura scolastica, ognuno deve prepararvisi da solo e ripetere poi da solo al professore tutto quello che riesce a ricordare. Da quel momento non interessa più che il compagno abbia capito o no, che abbia avuto possibilità di studiare o no, che riceva un bel voto o no..
E' francamente mistificante parlare tanto di comunità, di carità, se si lasciano sussistere strutture squisitamente individualistiche. Non bastano le parole e neppure le buone intenzioni quando la realtà delle cose è diversa. Il vivere in comunità, il porsi socialmente significa, non mirare a realizzarsi individualmente ma a promuoversi insieme.
La scuola (e quella teologica in particolare) ha senso ed utilità quando cerca e dà delle risposte vitali, quando provoca un comportamento e non un puro arricchimento intellettuale. Essa è in funzione della vita, e non viceversa. Nel nostro caso, invece, potrebbe succedere qualsiasi evento nel mondo, nella nostra cittadella Chiesa, e noi imperterriti continueremmo il nostro trattato, il nostro argomento, passando sulle teste degli uomini, perdendo tutte le occasioni di coglie re i segni di Dio nel nostro tempo.
Neppure i fatti che ci coinvolgono direttamente, i nostri problemi, le nostre azioni politiche e pastorali sono verificate insieme. La pretesa di astratta scientificità ci conduce a mantenere 1'equidistanza, 1'equilibrio, che finisce per diventare neutralismo e DISIMPEGNO.
Si dice che la scuola deve diventare pastorale. Perchè lo diventi autenticamente ci paiono necessarie due condizioni:
"L'approfondimento degli insegnamenti della rivelazione e l'intelligenza della fede non sono possibili che nella misura in cui si è generosamente impegnati a viver nella propria vita il Vangelo".
Le cose insegnate e imparate devono essere messe a confronto, non teorico, scolastico, ma concreto, politico, con le situazioni. E' una presa di giro venirci a insegnare cose che in diocesi per es. sono considerate eresie o almeno pallini, o che le strutture attuali non possono tollerare.
IN CONCRETO PERCIÒ MIRIAMO A:
L'abolizione della figura del professore:
Rifiutiamo il professore come puro espositore, come puro esperto. Deve invece rendersi responsabile di quello che dice e delle conseguenze operative che ne derivano, e della comunità scolastica in cui lavora.
Rifiutiamo il professore come detentore di potere, per cui bisogna studiare, sapere e ripetere all'esame quello che il professore dice e insegna a scuola e nella forma in cui lo insegna.
Rifiutiamo il professore per la discriminazione che opera nella comunità, per cui gli si devono dei riguardi particolari, per cui il suo programma e il suo parere sono decisivi, per cui è da evitarsi, almeno in scuola, ogni scontro e persino il confronto.
L'abolizione dell'esame:
Rifiutiamo l'esame come criterio discriminante individualistico, rivelatore di potere detenuto dal professore, da manovrarsi con accorgimenti tattici dagli allievi.
Rifiutiamo che tutto dipenda dal professore, magari anche dalla sua digestione. E non intendiamo neppure più stare al gioco: far finta di avere capito, dargli sempre ragione, studiare il suo pallino...

L'abolizione del voto:

Rifiutiamo il voto come criterio che accentua l'individualismo strutturale della scuola, e anche come criterio inutile per chi non mira alla carriera ecclesiastica.
Una forte riduzione della scuola cattedratica:
riteniamo finita l'epoca dell'imbonimento.
E' pure ora di finirla con le finte riforme che non sono altro che scopiazzature delle lezioni cattedratiche, quali le relazioni tenute dagli allievi o dai gruppi. I professori in ogni caso dovrebbero capire che persino dispense ben fatte sono molto spesso più chiare delle loro lezioni, e inoltre risparmiano notevolmente tempo e fatica.

una rottura sincera del legame tra risultati scolastici e Ordinazioni
Il prete non è un laureato, uno specialista.
Convogliare tutte le energie per istituire la facoltà teologica finisce per mistificarne ancora di più la figura.
non rifiutiamo naturalmente
di studiare, di ascoltare chi sa, la scientificità degli studi, la cultura, i libri...purché tutte queste cose non vengano assolutizzate.
PER ATTUARE QUESTI CAMBIAMENTI occorre che tutti insieme si ricerchi e si esperimenti. A questo punto la nostra proposta non può indicare che genericamente alcuni tipi di azione. Le scelte concrete dovranno essere studiate e concordate insieme, tenendo conto delle circostanze e del grado comune di coscienza e di volontà.
Si potrà dunque ricorrere ad azioni di pressione, da attuarsi nelle strutture esistenti (come assemblee, manifesti...) oppure contro di esse (come controcorsi, rifiuti collettivi a dare l'esame o a partecipare alla scuola..) E si dovranno pure esperimentare nuove forme di studio, una ristrutturazione di corsi in tempi, ritmi, ambienti, gruppi diversi (l'orario, le vacanze estive, l'edificio del seminario...non sono sacri!),nuovi tipi di valutazione (di maturità, collettivo?)...
Sono uscito di casa ed ero ancora un ragazzo. Quell'uscire di casa è voluto dire, lo ricordo bene, uscire dalla famiglia naturale. Con tutto l'affetto infinito di mio padre e specialmente di mia madre, entrando in seminario io sono diventato un orfano. E ragazzo solo, abbandonato ad estranei con mentalità così assurde, con regolamenti così aridi, in un'enorme casa anonima, sono cresciuto orfano. La Chiesa è stata un collegio spietato per demolirmi e poi ricostruirmi in meccanismi prestabiliti non so perché e non so da chi. Certo non da una Madre. Ma non sapevo nulla della Chiesa che stava per generarmi. Conoscevo il Vescovo per il terrore di quando veniva a scuola a interrogare sull'aoristo dei verbi greci e sulla metrica di quell'antipatico sciocco che era Orazio. Qualche conversazione se il mangiare era passabile. E quelle cerimonie ufficiali, e quei pontificali aridi e brulli come le prove generali su un palcoscenico, a teatro vuoto. Tutto qui.


Un gruppo di seminaristi


in Popolo di Dio: PdD anno 3° febbraio 1970, Febbraio 1970

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