La violenza del divorzio

Volevo scrivere una pagina sulla non violenza, e riflettendo pensavo che il non violento ha risolto il problema della sua vita in modo radicale, l'ha come unificata, la vita, l'ha essenzializzata, e ha reso quasi impossibile lo sbriciolamento quotidiano in una serie di problemi che ad ogni passo ci opprimono: il benessere, il superfluo, la povertà, la castità e il numero dei figli, la famiglia o gli altri, la verginità o il matrimonio, il divorzio o no, la comunità o il messaggio da offrire al mondo. Non vi è più spazio per questi dubbi - seppure essi sussistono ~ perchè si è scelto qualcosa tanto più quando scegliere qualcosa ha voluto dire scegliere Qualcuno.
Chi è disposto a preferire la via dell'amore fino al punto di cercare un dialogo con i nemici, di volere e domandare l'incontro con ogni mezzo, di rifiutarsi di uccidere 1'avversario, è necessariamente povero, qualunque sia la somma che guadagna, è necessariamente puro nel suo entrare nella vita, nel percorrerla, nel viverne le situazioni concrete, che siano di verginità o dì matrimonio, con tutti i loro problemi.
E mi è venuto in mente, come contrasto con questa serietà di scelta, il divorzio, e l'ho rivisto in tutta una vastità di problematica, così come l'ho sempre pensato e mi è parso più che mai chiaro ed evidente in quale modo sbagliato si è quasi sempre affrontato il problema, quante volte nel valutarlo ci si è fatti fermare da problemi minori e collaterali per una mancanza di chiarezza di fondo che facesse decisamente superare il fatto immediatamente politico, sociale, giuridico.
Il divorzio o no cosi come tanti altri avvenimenti incisivi per la vita di migliaia di persone, è un po' il banco di prova, non già del connubio Chiesa e Stato, del concordato, dei partiti politici, ma della nostra posizione interiore di fronte ad alcune realtà, della chiarezza, di alcune idee di fondo che ci danno di vivere con coerenza o meno.
E' chiaro che il discorso è prima ancora che cristiano, umano. Che coinvolge lo stesso essere dell'uomo e della donna: questo meraviglioso portare dentro di noi, nascosto come un pugno di lievito, ma chiaro come la luce, scritto nei corpi nel cuore nell'anima, il nascere crescere e evolversi dell'universo, la legge che ne regola l'andamento, la spinta all'unione di tutto ciò che è molteplice e diviso, il mutarsi incessante di ciò che è statico in ciò che è dinamico, il susseguirsi della tenebra e della luce, dell'aridità e della vita per sbocciare nella coscienza e conoscenza del creato che è nel cuore dell'uomo. L'uomo e la donna, nati da tutto il creato, ne portano la voce nel cuore e nel corpo, unendosi lo pacificano, ne vivono la spinta all'ascesa, la gioia della vita, il bisogno di esprimersi. Nella stabilità della loro unione vi è qualcosa che trascende il tempo.
Vi è un altro discorso, profondamente, immediatamente, seriamente umano su cosa voglia dire affrontare la vita insieme con tutti i suoi problemi e le sue lotte, spendere insieme il tempo che si ha, mettere in comune tutto ciò che si possiede, dai valori che nel corso degli anni ci nascono e crescono dentro fino a quanto si può avere di esterno a noi in cose possedute.
Ecco che quando questo vivere in comunione con altri la propria vita e realizzato non da piccoli o grandi gruppi ma da due oersone, e specialmente da un uomo e una donna, umanità completa, viene ricostituita la coppia umana, l'integrità, la completezza dell'essere umano. E' strano pensare che si possa affrontare la vita con più uomini o più donne contemporaneamente o successivamente, e continuare a realizzare un discorso di "unione".
Si perderebbe in modo immediato una completezza unitaria, qualcosa si rompe, un dono avuto in fondo senza merito, una profondità di verità anche umana che il cristianesimo ci aveva offerto e che noi non avevamo compreso, l'unione stabile dell'uomo e delle donna, questa indicazione precisa offerta così largamente a noi occidentali, questa perla preziosa vivente nella nostra storia, questa possibilità di affrontare la vita e tutti i suoi problemi con modi cristiani di esistenza, già unificati alla base, già un tutt'uno, già infiniti piccoli nuclei di umanità completa.
E' chiaro che la visione cristiana offre considerazioni diverse da quelle semplicemente umane, viene ad arricchire all'infinito, a spiegare, a colmare i vuoti che la vita ci scava dentro, a lenire le ferite che quotidianamente riceviamo: viene a rendere tutto un'altra cosa, necessariamente un qualcosa di diverso.
Perchè ora il mistero della vita, la fatica dell'andare, la gioia del riposo, nel matrimonio o in un'altra via scelta, non lo affrontiamo più da soli. E' venuto Gesù Cristo. Ci ha tracciato una strada ed ha detto: io sono la Via. Ci ha raccolti nel Suo cuore ed ha detto, io sono la Vita, io il cibo, io la bevanda. Non dipendiamo più da noi ma da Lui.
E vivere - in questo caso i1. matrimonio - significa camminare su quella strada che è Lui, accettare le sue scelte e i suoi modi, fare riempire da Lui e da Lui solamente i vuoti creati dal dolore, dalle incomprensioni, dalla morte, dalla malattia. Accettare anche noi, perché è con Lui e su di Lui che camminiamo, la Sua profonda fedeltà all'umanità, il Suo non abbandonarci mai, la sua capacità di amare chiunque, anche i nemici, la pena immensa del Suo cuore di fronte alla malattia e alla morte - il Suo essere disposto a morire pur di donarci la vita.
Cosi anche noi nella fedeltà l'uno all'altro, pur nella difficoltà, nelle incomprensioni, nelle malattie, nel carcere, nell'inganno avuto - e non è così tutta la vita, e non vi è dappertutto questa fatica del vivere? Come posso dirmi cristiano e poi sgomentarmi perchè amare è troppa fatica, troppa pena accettare, troppa croce accogliere, troppo pesante combattere per tenere a galla certi valori nonostante tutto. Come sottrarmi io, che ho scelto in Cristo di accogliere la vita per portarla a Dio, la vita in tutto ciò che offre di buono e di cattivo, la vita mia, degli altri , del mondo - e amarla stranita e assurda come è perchè vi è nascosta in essa qualcosa di Lui - come faccio a dire sì, sono cristiano, e non amo l'umanità nel volto di mio marito o di mia moglie.
E come possiamo noi cristiani distrarci e farci confondere da argomenti di politicanti, da una presentazione che punta sulla nostra buona fede che crede nel rispetto della libertà altrui e dice: se la maggioranza lo vuole è giusto che io consenta. Come faccio a dire: non posso obbligare gli altri quando questo significa rinunciare a una preziosità nella quale si crede, che già esiste, il cui sparire anche solo su un piano giuridico ci renderebbe più poveri.
L'unica cosa buona che ne verrà se ci sarà questo povero divorzio, è che il Concordato ne avrà un gran colpo, che diminuiranno i matrimoni religiosi, e che noi cristiani avremo l'occasione pratica per capire quanto poco avevamo capito e fatta nostra la novità del modo cristiano, di affrontare la vita, e ci verrà il desiderio di ricominciare, costruendo finalmente sulla roccia.


Maria Grazia


in Popolo di Dio: PdD anno 3° febbraio 1970, Febbraio 1970

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