André Bergonier, prete di pieno vento...

"Io sono sulla banchina del porto perchè Cristo deve essere là"
Mercoledì 24 novembre 1965 sono le 11 e 30 del mattino, da sette ore gli scaricatori si danno da fare con le balle di caffè brasiliano di un cargo nel porto di Marsiglia. Ultima cala e poi 1'ora della pausa di mezzogiorno. André Bergonier scaricatore occasionale, colpito dal carico staccatosi dalla gru precipita nella stiva. Sette metri di caduta, morte istantanea. Corre un nord-africano: dà 1'allarme, riconosce l'uomo dal corpo senza vita e grida "è il prete"!
Era prete da due mesi, scaricatore sconosciuto da quattro anni, per gli amici "Dedè", uno dei tanti.
"E' necessario pregare con più ardore che mai perchè la chiamata che io sento si realizzi, perchè le difficoltà umane si appianino, perchè soprattutto la volontà di Dio, qualunque essa sia, si compia. Dio esigerà di più da me? Può darsi che io abbia altre sofferenze? L'essenziale è di tutto fare e di tutto vivere nell'Amore esclusivamente nell'Amore".
Chi era questo prete scaricatore, morto sul lavoro "fratello dell'umanità" come lo chiamava un compagno mussulmano?
André nasce a Chartres il 19 gennaio 1929. Vive in una famiglia ligia all'ordine e alle tradizioni. Non avrebbe mai voluto un'esistenza monotona. Era un meditativo dalla volontà forte sino alla temerarietà. Con un fondo di indipendenza.
A dieci anni, mentre si trova nel sanatorio, perde la madre di trentadue anni: ebbe tanta forza da dominare la sua pena. Studia presso i Fratelli delle Scuole Cristiane e al liceo della "Prytané de la Flèche". Suo padre si risposa nel 1942 e André ritrova nella sua casa una presenza materna alla quale resterà sempre attaccato. Nel 1951 entra nell'Accademia Militare di Saint-Cyr: sembra la strada definitiva data la fierezza di questo giovane ufficiale "tirato a quattro spille".
"Fino a venti anni, io mi ero nutrito di libri di guerra, d'avventure, di biografie di uomini illustri, perché io volevo vibrare per qualche cosa che mi superasse". André desidera l'assoluto.

DALL 'UNIFORME ALLA TUTA .
Agosto 1952 - Febbraio 1954. Da quattro anni è tormentato dalla chiamata di Cristo: una chiamata dei primi tempi volta ora verso il mondo del lavoro. Questo giovane senza sotterfugi, dall'ardore contenuto, poco loquace, sollecito di concretizzare piuttosto che perdersi in spiegazioni senza fine. Il suo sguardo acuto, con occhi di un nero castagno, un sorriso che si espandeva con scoppi di risa nei quali egli era disinvolto e rilassato. La sua fisionomia lo rendeva simpatico sotto un'andatura un po' impacciata. Tutto confluiva a dire di lui: è un uomo. Dolce e ostinato nella sua fedeltà il contrario del "come tu mi vuoi".
Lascia l'Accademia, taglia tutti i ponti per essere cristiano in questo mondo in gestazione. Lavora in un cantiere di Nanterre. Non può avere ripensamenti perché si tratta direttamente della causa di Dio. André se ne infischia della posizione assicurata, dell'avvenire sistemato, del denaro e di tutti gli idoli riveriti. "Andare a fondo con speranza senza voltarsi indietro per domandarci se è bene". Sua unica sofferenza è l'aver dimenticato Cristo sino a venti anni; ora crede nell'amore, è immerso nel mondo del lavoro perché crede in Gesù Cristo e che tutti gli uomini sono fratelli.

UN CAMMINO ARIDO.
Dal novembre 1955 al giugno 1961 entra nel seminario della missione di Francia a Pontigny. Fa il corso normale degli studi senza mai perdere di vista il mondo degli operai e dei poveri, mondo da cui è sbocciata la sua vocazione sacerdotale.
1961: André è diacono. Rimanda il sacerdozio perché la sua situazione d'attesa sia urgenza apostolica alla chiesa per i preti al lavoro. In questi anni collabora con una comunità di preti e di cristiani a Marsiglia e lavora sul porto come scaricatore. E in pieno accordo con il suo vescovo.
7 settembre 1965 è prete "ma io mi sento uomo come gli altri". Sa che è necessario attaccarsi sempre di più a Cristo. La sua indegnità - anche se lo fa soffrire - non gli mette dubbi sulla via dove lui si è incamminato.
André non si appartiene, appartiene totalmente all'immensa famiglia di uomini alla quale ormai egli è ancora di più donato. Il suo è l'itinerario di un uomo che nella povertà e nello spogliamento totale di se ha incontrato Cristo nei suoi fratelli. "Non vi è avventura più grande del giocare la propria vita per Dio". Esistenza di un prete che vive alla sua maniera la grande tradizione di fede della chiesa con una profonda attenzione alle richieste umane del mondo operaio.
Di natura silenzioso, André non provava affatto 1'imperioso bisogno di confidare la grande passione che gli si era annodata nel più profondo del cuore. "I silenziosi, sono i soli di cui la parola conta". La sua vocazione coincide esattamente con il tempo in cui la chiesa, per un momento desiderosa che dei preti condividessero la vita degli operai, volle mettere fine, per dei lunghi anni, a quella che disgraziatamente fu chiamata "1'esperienza dei preti operai". André affermava la sua certezza d'essere chiamato al sacerdozio e di essere inseparabilmente legato al mondo operaio. Come risposta alla chiamata di Dio andò a lavorare due anni in una officina a Colombes. Per lui la chiamata del mondo operaio era tutt'uno con l'appello di Dio. "Io mi sento per principio della Chiesa e per principio legato al mondo operaio. Nella mia vita, la chiamata di Dio si è fatta attraverso la Chiesa ed il
mondo operaio. E' la Chiesa che mi dona il Vangelo, è il mondo non cristiano che lo reclama". La sua vocazione è una storia di fedeltà alla prova dei fatti.

UOMO COME GLI ALTRI
Egli crede decisamente all'impossibile con la certezza che, malgrado i colpi duri egli ha Gesù Cristo e la missione. Come diceva uno dei suoi compagni, la vocazione di André era "personificata" più che personale: in lui Dio aveva unito la chiamata al sacerdozio e ai poveri. Più volte Dedé confesserà nelle sue lettere "le mie preferenze personali non mi hanno mai spinto verso l'officina". Paradosso di questa vocazione, l'appello si fa imperioso durante gli anni che Dedé domanda di restare diacono a Marsiglia per essere richiamo vivente, nella Chiesa, di una missione che egli ha sempre considerato come urgente: "L'evangelizzazione dei più diseredati per una presenza totale nella vita operaia". Questa contestazione nella Chiesa sarà pari alla sua fede in essa. Credere a fondo alla missione della Chiesa, cercare di restare fedele alla chiamata che ha orientato la sua vita, è duro: "L'essenziale sta nel non mettere mai in discussione la Chiesa". La Chiesa dei poveri, egli non sapeva definirla altrimenti che con la sua vita semplicissima. Era sconcertato dalle grandi discussioni fra preti. Per il suo gusto dell'assoluto ha forse minimizzato le realtà che fanno parte del peso della vita: "Necessità delle organizzazioni politiche e sindacali, la vita di gruppo, le ideologie..". Eppure Dedé sempre si è rimesso in questione quando si tratta di stanare in se stesso l'incredulità del mondo.

IL SUO ARGOMENTO
Volentieri, avrebbe risposto a chi l'interrogava, come il Maestro "Venite e vedete", la vita di lavoro giorno per giorno, le pene e le gioie partecipate, l'amicizia con la gente semplice, il colpo di mano, questa era la sua via e il suo mistero di comunione con Cristo.
"Il mio argomento, è la mia vita". "Evangelizzare è prima di tutto una maniera d'essere con la gente". Sono parole di Dedé. Infatti l'evangelizzazione non consiste solamente nel leggere e spiegare il Vangelo, ma soprattutto nel viverlo. La parola deve rivelare il senso profondo di quello che è vissuto. Il "venite e vedete" è un'altra cosa che "Io so, io so" di coloro che studiano e compilano rapporti su rapporti per conoscere la realtà del mondo del lavoro. I poveri non si sono mai ingannati. Hanno riconosciuto in André uno di loro. In lui, alcuni hanno fatto conoscenza con Gesù Cristo. In presa diretta con gli uomini del suo tempo, André ha vissuto, come egli diceva, 1'Assoluto dell'Amore di Dio in mezzo agli uomini. Lunghi paragrafi delle sue lettere manifestano questo assillo di Dio come il tratto dominante di una vita nella sua intimità, insospettato agli amici. La vita di Dedé fu semplificata ed unificata intorno all'essenziale. Al di là di un cammino dentro la notte, André era un uomo fondamentalmente felice: Dio era il suo alto incontro. Aveva appreso ad essere prete dal di dentro del mondo operaio. La Chiesa dopo aver studiato le sue attitudini a vivere come prete fra i non cristiani, l'ha inviato in mezzo ad essi. Per la sua Chiesa, come per coloro che l'avvicinarono, Dedé è stato un uomo che "fa questione". "Il destino eterno dell'umanità mi ha talmente ossessionato che mi sento profondamente ingaggiato nella condizione carnale di questa umanità".
Questo lungo cammino a tastoni - 13 anni - è stata una vocazione battistrada nella Chiesa di quello che sarà domani un sacerdozio nel cuore degli uomini. Dedé deve sempre rendere conto alla chiamata che è in lui, questa per lui è l'unica maniera di essere prete, uno statuto di esistenza e non una forma particolare di ministero: non prese mai in considerazione una possibilità di essere prete senza raggiungere gli uomini là dove essi sono. Il lavoro manuale in regime di salariato ebbe nella sua vita una preferenza - altro che incompatibile con il sacerdozio! - perchè è la condizione comune degli uomini: il prete dispensato dal condividere la sorte comune degli operai è solo una eccezione per il servizio speciale del Vangelo. I preti al lavoro non sono dei preti eccezionali ma in condizioni di esistenza che li rende uguali a tutti gli uomini. Operaio fra gli operai, Dedé non fu un contemplativo nella maniera di un p. Peyriguère in Marocco o di altri, in India o altrove. Per lui tuttavia, ci fu soprattutto il tempo di Nazareth. Nuovo modo di vivere il sacerdozio e André lo comprendeva. L'avrebbe compreso ancora di più se più a lungo avesse vissuto. Non ha contestato tutte le forme di ministero parrocchiale o altre. Si è prestato con applicazione ai compiti parrocchiali o di insegnamento che non erano chiaramente congeniali alla sua vocazione. Egli è di coloro che offrono ai preti di parrocchia un altro stile di vita, un modo di esistenza che somigliava di più al suo. La sua vita e la sua morte sono un segno per coloro che s'interrogano sulle strutture stanche e sclerotiche della Chiesa, sulla loro maniera di vivere separati, sulla loro assenza dalle comunità vive degli uomini.

DEDE' UOMO DI DIO
"Vi sono è vero dei momenti in cui uno sente il bisogno di riposarsi su delle fedeltà profonde e dure, di rifiatare nella via che uno percorre, che ci impegna: ma il riposarsi, il rifiatare è rompere questa fedeltà, spezzare la propria vita. Deve essere ritrovato il senso profondo della missione: il lavoro di Cristo fra gli uomini. Noi dobbiamo prendere in braccio il corpo, e afferrare come la missione è abbarbicata nella nostra fedeltà personale". Dedé non aveva teorie né sul sacerdozio né sulla vita operaia, viveva la fede nella condizione semplice della gente ed era sempre tormentato perchè il mondo operaio era tanto più povero per la mancanza dell'annuncio di Gesù Cristo. Un gruppo di amici "non credenti" dicevano di lui: "Dei preti non ci interessa. Noi vogliamo degli uomini di Dio. Dedé era un uomo di Dio, il nostro prete."
Aveva scritto prima di morire: "Lasciamo sempre più che gli altri entrino nella nostra vita ed entriamo sempre più noi nella vita di Dio. Custodire di lassù tutto il sorriso, la gioia, la speranza. Essere di già donne e uomini della Resurrezione."
Dedé, prete e scaricatore, morto nel buio della stiva fu uomo della Resurrezione.


don Rolando

André Bergonier - L. Rétif ed Casterman



in Popolo di Dio: PdD anno 3° febbraio 1970, Febbraio 1970

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