Il lavoro manuale del prete

Qualunque prete aprendo la Bibbia e leggendone le prime pagine potrebbe convincersi di essere preservato, per la propria vocazione, dal peccato originale non portando su di se i segni della maledizione: "col sudore di tua fronte mangerai il pane".
Naturalmente si è solleciti a portare avanti motivi per giustificare il carattere di "lavoro" all'attività pastorale, specie all'amministrazione dei Sacramenti, che continua ad essere fonte prima di sostentamento per il clero. E aiuta a ciò tutta una particolare considerazione del popolo che vede nel prete un uomo disponibile per ogni servizio cultuale e punto d'incontro con il mondo politico ed economico, definendo così i criteri per giudicarne l'operato, il "lavoro".
D'altra parte il minimo accenno ad un lavoro, specie se manuale, fatto da preti crea un'atmosfera di diffidenza poiché un tale atteggiamento mantiene un sapore ereticale, di cosa strana e perciò stesso disgustosa.
Sembra paradossale che nella Chiesa nascente fosse proprio l'atteggiamento opposto fonte di scandalo. Ma non ci si può meravigliare al vedere allora il lavoro al posto d'onore: non poteva essere ritenuto motivo di degradazione dal momento che Dio aveva scelto un lavoratore manuale come padre di suo figlio e questi aveva lavorato a lungo con le proprie mani. Le tracce di Cristo erano ancora troppo fresche perchè il cristianesimo nascente potesse ricadere negli errori che Lui era venuto a combattere.
Gesù non si comportò come un prete ieratico: gettò in faccia ai farisei la loro vanità, disse di essere venuto per servire, lavò i piedi a coloro che dovevano succedergli. Era venuto per portare una liberazione anche cultuale: non vi è più un tempio, una sola casa consacrata a Dio. Dio è adorato in ogni luogo. Dio è presente ovunque ci si riunisca in suo nome. Questo spiega perché i primi ministri della Chiesa siano stati cittadini come gli altri, aventi per sola distinzione sociale quella dovuta al rispetto che ispira ogni persona consacrata a Dio con l'imposizione delle mani, ma senza distinguersi per alcuna concessione di privilegi o esenzione da compiti sociali. E questo è talmente vero che se si fa eccezione per il tempo apostolico, i nomi di questi primi ministri sono praticamente sconosciuti, allorché, di contro, la storia ci ha trasmesso quello dei grandi convertiti, dei martiri, dei benefattori della Chiesa.
Se dal punto di vista sociale non esiste, nella Chiesa dei primi secoli, alcuna differenza tra clero e popolo, non poteva esservi per la stessa ragione, alcuna differenza materiale. Il padre di famiglia che, all'inizio, presiedeva gli uffici liturgici e agiva come capo della comunità, viveva del suo lavoro, qualunque fosse.
Questo è talmente elementare da non aver bisogno di alcuna giustificazione storica.
La necessità di aiutare materialmente il clero si imporrà nella misura dello sviluppo della funzione clericale, esigendo questa tutta una disponibilità del prete. Normalmente quindi i ministri della chiesa sovvenivano alle loro necessità con il loro lavoro. Solamente nella misura in cui un dato ministro si consacrava esclusivamente alla evangelizzazione, la comunità aveva il dovere di sovvenire ai suoi bisogni allo stesso modo in cui sovveniva alle necessità dei poveri e di ogni uomo nella miseria.
Un simile quadro è così diverso da quello attuale da impegnare tutta la forza di revisione della Chiesa per riconoscersi nel suo volto giovanile. E non può non saltare agli occhi come il motivo dominante dell'amore della Chiesa al lavoro non fosse apologetico o di apostolato, e neppure segno di solidarietà con gli uomini, ma unicamente fedeltà a Cristo ed ai valori da Lui particolarmente amati.
Nello spirito di Paolo, per esempio, il lavoro fa parte dell'esistenza dell'uomo nuovo: "Spogliandovi dell'uomo vecchio che si corrompe...rivestitevi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità della verità. Così dunque...chi rubava non rubi più, ma lavori onestamente colle sue mani per avere di che dare a chi ha bisogno". Il cristiano, dice Paolo, deve lavorare per conservare la sua indipendenza. Deve essere d'esempio per i non cristiani: "Noi vi esortiamo, fratelli, ad abbandonare ancora di più e a mettervi d'impegno a vivere d'amore e d'accordo, occupandovi delle cose vostre e lavorando con le vostre mani, come vi abbiamo raccomandato; in modo da comportarvi onestamente davanti agli estranei, senza aver bisogno di nessuno".
Perchè lavorando si serve Cristo: il lavoro, per duro che possa essere resta intimamente legato al comandamento dell'Amore. Non basta quindi a Paolo di predicarlo; deve anche viverlo. Non ignora affatto che avrebbe potuto assicurarsi l'esistenza con i frutti delle sue funzioni spirituali, ma ciò che gli preme è andare fino in fondo alla sua chiamata, realizzare la sua missione. Egli vuole che il suo esempio sia limpido al punto che si rifiuta di accettare ogni diritto che gli provenga dal suo ministero che egli riconosce solo come dovere e compito da assolvere. Egli è il servo, lo schiavo di Cristo, 1'uomo di fatica, ad immagine di Colui che essendo nella condizione di Dio ha assunto per amore nostro, la condizione di schiavo.
Si comprende allora come chi non cessava di ripetere "Siate miei imitatori come io lo sono del Cristo", abbia dato 1'esempio su un punto tanto decisivo.


da "Le clergé et le travail manuel", Collectif
Desclée 1969



in Popolo di Dio: PdD anno 3° febbraio 1970, Febbraio 1970

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