Celibato o no

In questi giorni si sta aggravando sempre più la contesa, in seno alla chiesa, celibato o matrimonio per i preti.
E l'andamento della lotta sta acquistando modi e misure tali che ad essere prete ne viene quasi come un'umiliazione, come una strana vergogna ad andare per le strade e a parlare con la gente. Si ha l'impressione come di un pudore offeso un'intimità sotto gli occhi e la curiosità di tutti, un qualcosa di così strettamente e gelosamente personale che tutti strapazzano e sistemano a loro piacimento.
Un problema di matrimonio o no con tutto quello che il matrimonio è e significa e comporta, alla mercé del pubblico, di esplosioni a favore, qua e là, di resistenze e conservazioni arroccate in posizioni tradizionalmente strategiche.
Ti sposerai o no, secondo chi vincerà in questo "braccio di ferro" (come oggi scrive un quotidiano) fra il papa e il clero olandese e le forze che si stanno piano piano allineando.
Si sta diffondendo sempre di più (e non soltanto nel clero) una strana ed assurda psicosi circa il problema. E non può non angosciare profondamente la misura di sopraffazione nel momento così carico di responsabilità che la chiesa sta attraversando che questo problema del celibato o matrimonio del clero ha raggiunto. Il dar moglie ai preti è ormai un impegno di partecipazione al progresso della chiesa da parte di larghi strati dell'opinione pubblica, della stampa, del progressismo cattolico. E naturalmente di tutto un clero che nel matrimonio intravede la via giusta per attualizzarsi col mondo moderno e risolvere così i propri complessi.
Lasciamo pure da parte le motivazioni strettamente teologiche, che però dovrebbero avere il loro giusto peso nel trattare il problema. Gli approfondimenti indispensabili di lettura del vangelo per cogliere il pensiero di Cristo, perché anche la sua opinione non può non avere il suo peso, evidentemente. Il rispetto in qualche modo dovuto al pensiero della chiesa lungo i secoli anche se disgraziatamente manifestato e affermato nei termini di una legge. La problematica di una pastorale e cioè della presenza del prete come l'uomo in una logica di totale disponibilità al regno di Dio fino ad essere l'uomo della scelta di Dio come l'unica motivazione di una vita.
Ma nel come si sono impostati i problemi, e nel modo in cui viene condotta la lotta, l'accentuazione così estrema del problema fino a renderlo così pressante e urgente da antecedenza e preminenza assoluta, questo non può che sgomentare e affliggere profondamente. Come se nella chiesa non bollissero altri e più terribili problemi. Come se intorno alla chiesa non bruciassero momenti di storia carichi di richieste infinite e di partecipazione e di incarnazione fino a giustificatamente pretendere quasi una esclusività di attenzione e una convergenza di energie proprie dell'Amore cristiano.
Ancora una volta i problemi all'interno della chiesa e agitati furbescamente dalla gerarchia o sollecitati dalla base, ma sempre tipicamente e miseramente ecclesiastici, come sempre, divorano il pugno di lievito e abbandonano a se stessa la massa della storia in una disincarnazione che non può essere che tradimento davanti a Cristo e davanti al popolo.
E' un discorso evidentemente molto lungo e terribilmente scabroso, ma di fronte all'attuale battaglia per il matrimonio dei preti non può non venir su come pena angosciante il rimpianto di altre battaglie molto più serie per una identificazione del mistero cristiano e una partecipazione onesta e generosa all'andamento della storia, non combattuta e nemmeno impostata se non da gruppi sparuti, spinti sempre ai margini dall'alto e dal basso clero, a morire d'inedia.
E gli esempi sono quante sono le pagine della storia della Chiesa. Non è possibile non pensare all'imborghesimento progressivo del clero, mai combattuto seriamente ma sempre favorito dalla comune reazione del clero. Ai patti lateranensi come spinta irresistibile verso un professionismo ecclesiastico. Al connubio Chiesa e Stato del dopoguerra, fino alle epiche imprese dell'Azione Cattolica. Fino al fiume di milioni che hanno fatto del clero un detentore di privilegi e di potere fino alla nausea. Fino alla sistemazione a funzionario statale e parastatale della vecchiaia e delle malattie del clero, attraverso la "provvidenza" dell'INPS. Senza contare, perché il conto è impossibile, di quello che ha comportato d'imborghesimento nel clero, la scuola e gli stipendi dell'insegnante di religione.
E' umiliante come la gerarchia abbia proposto, seguendo l'andamento accomodante dei tempi, sistemazioni così tipicamente professionistiche, amministrative, anche se velate di apostolato e di pastorale, e il clero non abbia reagito e non abbia lottato per rivendicare la sua libertà di ministro unicamente di Cristo e di annunciatore del Vangelo fino ad esserne indicazione vivente. E' venuta fuori soltanto la lotta quando una lotta si è cominciata a fare, per il matrimonio, per la famiglietta cristiana all'ombra del campanile, per completare lo sfruttamento in atto da secoli, di Dio e dei santi. Perché la conversione al borghesismo della chiesa sia totale, definitiva, irrimediabile.
Mi avrebbe molto favorevolmente impressionate per il rivelarsi come motivazione seria di partecipazione totale del sacerdote alla vita, alla durezza quotidiana dell'esistenza, il suscitare il problema della famiglia per il clero, se prima fossero avvenute altre lotte.
Quella per esempio del rifiuto dei benefici. Fino alla lotta contro il capitalismo delle Curie, cominciando da quella romana. La lotta contro ogni ombra di privilegio. Contro gli stipendi delle prestazioni religiose di qualsiasi genere. Contro lo sfruttamento economico della fede popolare. Contro gli intrallazzi politico-religiosi. Contro l'autoritarismo della gerarchia e lo sbriciolamento del clero in interessi individualistici e campanilistici e carrieristici..
La lotta per rivendicare i diritti e la capacità di guadagnarsi con le proprie braccia il pezzo di pane. Di poter vivere in una casa d'affitto. Di realizzare una pastorale di offerta e non di pressione. Una partecipazione operaia alla classe operaia. Un assumersi il problema dei poveri a tutti i livelli e al di là di ogni prudenza e saggezza tipicamente ecclesiastica. Di pagare di persona la parola che si annuncia. Un essere in qualche modo quel pane che si dà da mangiare alla Messa.
In una riunione di clero, racimolato in tutta Italia, raccogliendo tutti quelli, a nostra conoscenza, che vivono di lavoro manuale, nel dicembre scorso, non siamo riusciti a superare il numero di venti. Venti che vivono di lavoro manuale contro i cinquantamila sacerdoti in Italia che vivono sfruttando la religione o al massimo i valori della cultura. Questa battaglia del lavoro non ha trovato né trova consensi, né nella gerarchia (e si capisce perché dolorosamente) e tanto meno nel clero ( ed è difficile capirne il perché, dato il progressismo del clero e tutto l'insieme delle problematiche neuro-psichiche, socio-fisiche di cui dicono che il clero è complessato e di cui è in affannosa ricerca di soluzione e di liberazione).
Erano e sono queste le lotte da fare anche, se volete, per acquistare il diritto e la dignità a impostare il problema della famiglia per il clero: perché al sacerdote non mancasse questa partecipazione alla vita e questi doveri verso l'esistenza che sono i figli, realizzata soprannaturalmente attraverso la chiesa e naturalmente con la donna.
E' molto difficile e doloroso accettare e sopportare senza rossore che questi nostri terribili tempi moderni abbiano offerto al clero segni e occasioni soltanto o quasi ( almeno a quanto sembra) per acutizzare e portare ai limiti del patologico la sessualità del clero da risolversi inevitabilmente col prendere moglie.
Non so quanto sia onesto credere che il matrimonio sia il toccasana dei problemi del clero. E tanto più ci vuole coraggio a immaginare che il matrimonio comporti una crescita di Regno di Dio del sacerdote in quanto sacerdote.
Tanto più poi che si scopre, così come si stanno proponendo le cose alla lettura della stampa, delle inchieste, delle indagini, della cronaca, ecc., un giudicare e sentire la donna (e quindi il matrimonio e la famiglia) come una risorsa risolutiva dei propri problemi, in una strumentalizzazione irrispettosa e disonesta, scoprendo vuoti paurosi di visione religiosa nei confronti della donna, dei valori cristiani del matrimonio, di sensibilità seriamente cristiana nei confronti della famiglia e offrendo quindi spettacolo poco edificante di impreparazione al matrimonio che pare quasi invocato e preteso non molto di più che come una legittimazione di bisogni irrimandabili e irrinunciabili, pare quasi, secondo tutta un'impressione, alla stessa maniera dei militari che rivendicano il diritto di avere le case di tolleranza. O, per non dimenticare motivazioni più scoperte, più frequenti e più pulite, alla maniera degli scapoloni, dei vedovi che guardano alla donna per risolvere il problema della perpetua ormai introvabile e sempre più troppo costosa, incapace poi, nonostante il lavare, lo stirare e l'accudire alla cucina, di risolvere la solitudine del prete e della sua casa canonica.
Non rimane (sembra ormai che disgraziatamente non ci sia altro da fare ed è cosa da disperazione che non ci sia altro da fare) che aspettare come va a finire la lotta "a braccio di ferro" fra gli olandesi, ormai diventati lo spirito santo della chiesa e il Papa, il povero Papa oppresso dai problemi delle famiglie cristiane perché non dà loro di poter fare liberamente meno figli che sia possibile e dai problemi dei preti che aspettano da lui il permesso di poter mettersi liberamente a fare dei figli. Una Chiesa che è obbligata a convergere tutto il suo impegno di regno di Dio nel breve giro delle camere da letto.
La reazione può dormire sogni tranquilli. Una volta si sarebbe detto: il diavolo può ben dormire tra due guanciali.
E al Regno di Dio non rimane che fare assegnamento soltanto sul valore della attesa di tempi migliori.


don Sirio


in Popolo di Dio: PdD anno 3° febbraio 1970, Febbraio 1970

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