Il prezzo della verità: Simone Weil

"Colui che fa sua la verità
acquista la fede" (Vangelo)

"Quando la follia d'amore ha colpito un essere umano, trasforma completamente le modalità dell'azione e del pensiero, l'imparenta con la follia di Dio..
Il criterio delle cose che derivano da Dio, è che esse presentano tutti i caratteri della follia, tranne la perdita della capacità a dichiarare la verità e ad amare la giustizia" è il commento di Simone Weil alle parole di Eschilo "E' bello amare sino a sembrarne pazzi".
Tutta la vita di questa donna meravigliosa si trova racchiusa qui. Questa follia d'amare possiede e determina non soltanto la sua esistenza, ma anche la sua morte. Simone Weil si pone oltre le nostre abituali misure, quindi non è possibile parlare di lei sul piano del nostro quotidiano "vivacchiare" di compromessi nella parola e negli atti.
"Io porto in me - diceva ad un amico - il germe di tutti i crimini o quasi. Quei delitti mi facevano orrore, ma non mi sorprendevano, ne sentivo la possibilità dentro di me e appunto perché sentivo in me questa possibilità mi facevano orrore.
Questa disposizione naturale è dolorosissima e pericolosa, ma come ogni disposizione naturale può servire al bene se si sa farne, l'uso appropriato con l'aiuto della grazia. Essa implica una vocazione, quella di restare in certo modo anonimo, adatto a mescolarsi ogni momento con la pasta della comune umanità".
Per questo suo destino all'anonimato - vocazione di una densità inimitabile che proietta su un'epoca una luce straordinaria - non gli importavano l'energia, le attitudini che erano in lei, ne aveva sempre abbastanza per scomparire: passò tra gli uomini e i diversi ambienti umani confondendosi con loro, prendendo lo stesso "colore". Scompariva tra loro perché si mostrassero realmente e non si travestissero per lei. Simone desiderava conoscerli per amarli tali quali sono: "perché se non li amo tali quali sono, non è loro che amo e il mio amore non è vero".

Consacrata alla verità
S. Weil ha consacrato la sua breve esistenza alla verità senza alcun compromesso: questo può renderla poco socievole, irritante, scomoda. Per noi che ne siamo privi è sempre insopportabile il valore, il gusto di avvilire si trova nell'impossibilità di ammettere lo straordinario. Noi siamo i soliti pipistrelli che si beffano del sole. La Weil ha vissuto senza tregua per tutta l'esistenza e continuato sino alla morte il gusto positivo e costantemente mantenuto del difficile e dell'impegno assoluto nel difficile.

Vergine rossa
Nacque a Parigi il 3 Febbraio 1909. I suoi genitori - il padre era medico - di origine ebraica, l'allevarono in un agnosticismo completo: agnosticismo che non l'ha fatta mai esitare nella scelta dell'atteggiamento cristiano come il solo possibile. "Sono per così dire nata, cresciuta, e sempre rimasta nell'ispirazione cristiana". Anche quando Dio non faceva minimamente parte dei suoi pensieri, la concezione di Simone dei problemi di questo mondo e di questa vita era esplicitamente, rigorosamente cristiana. "Quando io impiego - a proposito della mia infanzia - le parole di vocazione, obbedienza, spirito di povertà, purezza, accettazione, amore del prossimo e altre parole simili, lo faccio rigorosamente col significato che esse hanno per me in questo momento". Allieva del Liceo "Henri IV" dal 1925 al 1928, seguì i corsi di Alain che doveva esercitare sul suo pensiero una fortissima influenza. I compagni l'osservavano con una certa inquietudine. Questa ragazza che li supera e può trattare tutti gli argomenti con pertinenza, sembra loro quasi anormale; la fermezza dei suoi giudizi, la sua violenza nell'esprimerli rendono le discussioni difficili. Invece di distrarsi all'uscita dalle lezioni e di comportarsi come una ragazza di vent'anni, Simone Weil, ardente ricercatrice di idee, è sempre travagliata da qualche problema. Alla Scuola Normale e alla Sorbona nei corridoi tutti la evitavano per l'abitudine che aveva di far firmare petizioni o in favore degli anarchici Sacco e Vanzetti o per contribuire al fondo degli operai metallurgici in sciopero. Non aveva timore di presentarsi per richieste di tal genere al direttore stesso della scuola: militante per professione era soprannominata la "vergine rossa".

Insegnante e sindacalista anarchica
Laureata in filosofia dal 1531 al 1934 insegnò in diversi licei in città di provincia: la scuola non le impedisce d'interessarsi e di partecipare, rischiando di persona, alla sofferenza, alla miseria, alla disoccupazione della vita operaia.
La conoscenza storica dello sfruttamento capitalistico e della condizione operaia non la soddisfaceva. Al Sindacato minatori entrò in contatto con uomini onesti, disinteressati, fieri della loro coscienza di classe: uomini avvezzi a duri scontri con l'esistenza, alcuni dei quali erano stati nei "battaglioni disciplinari", (dove maggiore era il pericolo di lasciarci la pelle). Simone cercò di vivere fra loro. Non era facile. Non la dimenticarono. Uno di costoro, uomo semplice, le conservava un affetto fedele, un altro alla notizia della sua morte così espresse il suo dispiacere "Non poteva campare, era troppo istruita e non mangiava".
In quel tempo partecipò al gruppo di studi di Saint Etienne, non solo, ma l'aiutò a vivere impiegando nell'acquisto dei libri il suo premio di concorso. Rafforzò la cassa di solidarietà dei minatori perché aveva deciso di vivere con cinque franchi al giorno, il sussidio di disoccupazione per la regione del Puy. Al Puy si unì ad una delegazione di disoccupati; il che le valse una bella campagna di stampa e molte noie con la sua amministrazione. In un articolo del 1933 su "Rivoluzione proletaria" Simone esprime la sua idea precisa sul socialismo: cioè la sovranità economica dei lavoratori e non quella della macchina burocratica e militare dello Stato. Il problema è di sapere che, dato che l'organizzazione del lavoro è quel che è, i lavoratori vanno o no verso questa sovranità. Simone vede spuntare una nuova forma di oppressione "l'oppressione mediante la funzione". Sono forse queste ragioni per abbandonare disperati la lotta? No assolutamente, "una disfatta rischierebbe di annullare per un periodo indefinito tutto quello che fonda per noi il valore di una vita umana e quindi è chiaro che dobbiamo lottare con tutti i mezzi che ci paiono avere una qualsiasi probabilità di essere efficaci". Non era possibile parlare con maggior coraggio. In questo periodo ebbe luogo il suo viaggio in Germania dove i nazisti cominciavano a far parlare di sé e dei loro orribili procedimenti. Per lei era semplice: c'erano uomini che si battevano per difendere la loro libertà e quindi avevano diritto all'aiuto di tutti. Ritornò ferita fino in fondo all'anima per quello che aveva veduto là, coi nervi spezzati al ricordo delle crudeltà subite dai tedeschi antinazisti. Con grande lucidità essa analizzò la situazione tedesca in un articolo del 25 ottobre 1932 ed annunciò la vittoria di Hitler. Purtroppo, aveva avuto ragione.

Il marchio della schiavitù
Sindacalista anarchica, frequentare i minatori, vivere con la paga di un disoccupato, riflettere e scrivere sul movimento operaio non poteva bastare a S. Weil. Quel che pareva essenziale alla sua intelligenza e alla sua sensibilità era di penetrare intimamente i rapporti fra lavoro e lavoratori. Essa pensava di poter giungere a questa conoscenza solo se si fosse fatta essa stessa operaia, e così nel 1943 decise di diventarlo. Si fece assumere alle Officine Renault dove, senza rivelare a nessuno la propria identità, lavorò un anno come fresatrice. Aveva affittato una camera in un quartiere operaio e viveva unicamente col magro salario del suo lavoro. Allora conobbe la fame e la fatica, i rimproveri, l'oppressione del lavoro a catena, l'angoscia della disoccupazione. 1934: la data ha una grande importanza perché mostra Simone Weil agli inizi di una missione che avrà numerosi imitatori, d'altra parte spesso scherniti e incompresi. Per lei questa non fu mai un'esperienza, ma un'incarnazione reale e totale. Il suo diario dall'officina è una testimonianza commovente. La prova superò le sue forze e la sua anima fu come schiacciata da questa conoscenza della sventura. Essa ne serbò il marchio per tutta la vita. Più tardi Simone dirà: "Per avere la forza di contemplare la sventura quando si è sventurati, ci vuole il pane soprannaturale". L'anno passato alla Renault aveva ridotto il corpo e l'anima di Simone a pezzi: quel contatto con la sventura aveva distrutto i suoi venticinque anni! Fino allora non aveva toccato con mano la sventura, salvo la sua personale che "essendo mia, mi sembrava di scarsa importanza". Sapeva che nel mondo c'era la sventura, ne era ossessionata, ma non ne aveva fatto la constatazione con un contatto prolungato. La Weil scrive che "laggiù ho ricevuto, per sempre, il marchio della schiavitù come il marchio che i romani imprimevano col ferro rovente sulla fronte degli schiavi più abietti. Da allora mi sono sempre considerata una schiava.

Incontro con Cristo
In quell'epoca Simone ignorava l'esistenza del mondo soprannaturale e non lo cercava neppure, Dio non le si era manifestato ancora. Tuttavia essa presentiva che la sua anima, dopo avere esperimentato la schiavitù, avrebbe aderito un giorno a Colui che era venuto a liberare gli sventurati. Più tardi dirà "L'estrema grandezza del Cristianesimo viene dal fatto che non cerca un rimedio soprannaturale contro la sofferenza, ma un uso soprannaturale della sofferenza".
Nel luglio e agosto del 1936 è volontaria nelle file dei rossi durante la guerra civile spagnola: si preoccupò di non servirsi mai delle sue armi e fu piuttosto una animatrice che una combattente. Una disgrazia l'obbligò a ritornare in Francia.
Nella Pasqua 1937 Simone è a Assisi: "Mentre ero sola nella piccola cappella romanica di S. Maria degli Angeli, qualcosa che era più grande di me mi ha costretto, per la prima volta in vita mia, a inginocchiarmi". A Solesmes, 1938, durante la settimana santa è entrato in lei per sempre il pensiero della Passione di Cristo. Un giovane fa conoscere a Simone Weil i poeti inglesi del XVII secolo: lei vi impara la poesia "Amare" e ''proprio una volta in cui stavo recitandola", scrive la Weil, "il Cristo stesso è sceso e mi ha preso". Il suo gusto della povertà, il suo amore per gli umili, il suo desiderio di servire gli altri e di condividere i dolori altrui non sono più solitari ma si avvicinano al Cristo crocifisso.

La guerra
Poi venne la guerra. Simone lasciò Parigi soltanto dopo che la città venne dichiarata città aperta. 1940: è a Marsiglia, fa parte della resistenza al nazismo invasore. Senza paura e con amore aiuta gli esiliati, i prigionieri, i sospetti della polizia politica. Nell'agosto-ottobre 1941 soggiorna assai a Saint Marcel e vi lavora come bracciante agricola. Iniziano in Francia le nefande razzie della Gestapo contro gli ebrei. Dopo avere esitato per paura di debolezza e vinta dalle insistenze dei genitori, nel 1942 lascia la Francia e arriva negli Stati Uniti. Subito essa chiede di arruolarsi negli effettivi della resistenza. Partita per Londra nel novembre dello stesso anno vorrebbe essere inviata in Francia come agente segreto o sul fronte dell'est: la sua domanda non è accolta.
Non potendo esporsi ai pericoli che allora pesavano sui francesi, essa volle almeno condividere le loro privazioni e si costrinse rigorosamente a nutrirsi solo della quantità di cibo assegnata in Francia dalle carte annonarie. Un regime simile vinse ben presto la sua salute già vacillante. Rosa dalla fame e dalla tisi, nell'aprile 1943 dovette essere ricoverata in ospedale.
24 agosto 1943: Simone Weil muore.
Nel momento di imbarcarsi - 1942 - considerando l'eventualità di un siluramento, aveva detto come addio ad una amica: "Non credi che il mare sarebbe un bel battistero?". L'amore di Dio e dei fratelli fu il battistero di Simone Weil.


don Rolando

(da: Davy, "Simone Weil". S. Weil, "L'ombra e la Grazia", "L'attesa di Dio", "La condizione operaia".)



in Popolo di Dio: PdD anno 2° ottobre 1969, Ottobre 1969

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