"Le nostre cose..."

Siamo quattro povere vite che Dio ha scelto per farne segno della Sua realtà, legate allo stesso destino di tutti coloro che sono stati prescelti dall'eternità e un giorno chiamati. Camminiamo insieme nella ricerca del Suo Regno e quando Lui lo vorrà i nostri sentieri si separeranno così come un giorno si sono uniti. Abbiamo messo Dio fra noi e perciò nel Suo nome ci offriamo la nostra vita mettendo in comune tutto ciò che può fare il Regno di Dio: siamo due ragazze e due sacerdoti, insieme abbiamo creato questa piccola famiglia, questa povera casa. Non c'è che un ideale che ci unisce: servire Dio, amarLo con tutto il cuore e tutte le forze fino al impossibile, cercarLo senza fine, vederLo in ogni realtà.
Non abbiamo vincoli particolari, non ci legano promesse ne voti, tutto è nella libertà dei figli di Dio, nella serietà di chi ha scelto come unico esempio il Figlio dell'Uomo, nella purezza di chi crede che nel Regno di Dio non vi sarà più ne uomo né donna perchè in Dio sarà finalmente ricomposta l'unione perfetta.
Ci muove - diverso in modi, esperienze, maniere, espressioni, ma soprattutto diverso per quel rapporto particolare di Grazia che Dio genera unico e irrepetibile con le singole persone - ma identico come motivo dominante l'amore immenso adorante appassionato serissimo per il nostro Dio. Per Lui tutto accettiamo, il Lui tutto mettiamo in comune; ogni diritto lasciamo cadere e non raccogliamo più i motivi immediati. Non vi sono privilegi se non quello di offrire ciò che si ha, e chi più ha ricevuto più deve dare e maggiore è la sua responsabilità di servizio.
Viviamo insieme ormai da tempo; ci eravamo conosciuti, avevamo messo in comune le nostre ricerche e il nostro amore e il nostro Dio: è nata la casa, famiglia di tre persone, a noi ora si è aggiunta la quarta. E poi forse qualche altro, non sappiamo, il futuro non ci deve preoccupare.
Ci preoccupa realizzare ora, immediato, il Segno di Dio, di offrirlo agli altri, di viverlo nella Chiesa, di amare questa povera Chiesa, piccolo gregge, luce del mondo alla quale è legato con responsabilità così pesanti il destino degli uomini. La Chiesa è il nostro secondo amore, nella strada di quello che porta a Dio: amiamo il suo mistero così chiaramente svelato in tutto il piano di Dio che sceglie sempre pochi per annunciare al mondo le meraviglie del Suo Essere; mistero che è stato già tutto vissuto nella persona di Gesù, mistero che deve ripetere la vita del Figlio di Dio, incarnazione del Suo amore lungo i secoli, via che congiunge gli uomini al Padre - cuore fatto unicamente di Bontà, di comprensione, di pazienza, di speranza, di fede e di Verità.
I nostri ideali, le speranze, la sofferenza, lo svolgersi dei giorni, il nostro amore che forse è come un sogno di chi non si vuole svegliare, viviamo tutto in un posto, un luogo preciso, una parrocchia, una casa: la nostra casa.
Viviamo alla periferia di Viareggio, una zona pianeggiante fra il mare e l'Aurelia, campagna coltivata in modo intensivo con serre, a verdura e a fiori. La parrocchia è grande, compresa fra Viareggio e Torre del Lago, gli altri due confini sono il "padule" - l'insieme di canali che nascono dal lago di Massaciuccoli - e il mare.
Gli abitanti sono relativamente pochi, data l'ampiezza dell'area, ma in campagna non esistono abitati intensivi. E' gente, la nostra, buona e tranquilla, senza problemi particolari; famiglie unite, non numerose, gente abituata al lavoro che cerca di fare studiare i giovani perchè non debbano anche loro coltivare i campi od essere schiavi di un lavoro che non conosce orari.
Noi abitiamo in una vecchia casa, forse una delle più antiche del luogo, che si trova - per caso - quasi al centro della parrocchia. Tre anni fa quando il Vescovo ci diede la parrocchia, nominando uno dei due sacerdoti parroco e permettendo che presso di loro vivesse una piccola comunità, cominciammo a cercare la nostra casa. Non volevamo vivere in una canonica, preferivamo essere come gli altri, confondendoci fra le famiglie, vivere accanto a loro ed offrire a tutti la possibilità di venire da noi senza quel timoroso ossequio che ha sempre chi entra in canonica. E:poi era bello andare ogni mattina alla chiesa con chi voleva venire, facendo anche noi quel piccolo sacrificio.
Abbiamo trovato e preso in affitto questa abitazione, tipica del luogo, lunga e stretta, a un piano, sei camere da letto di sopra e sotto la cucina e un'altra stanza, la sala; due cantine, il fienile e la stalla. Davanti alla casa c'è una piccola vigna che serve per il vino durante l'anno, accanto un orto, un fazzoletto di terra renosa che ci è utile per tirare avanti. Come in ogni casa di campagna dietro c'è la corte, il pollaio con le anatre e le galline, gli stabbioli per i conigli, e poi i piccioni, tortore, due caprettine, perfino uno scoiattolo: un po' di tutto più per spirito di poesia che per convenienza.
Sempre dietro, un po' scostato c'è il fienile con sotto la stalla, ma il progetto di mettere su qualche vitello è stato abbandonato da tempo per mancanza di terreno da erbaio, di soldi e per inesperienza. Abbiamo trasformato il fienile in cappella, povera, semplice abitazione del nostro Signore, umile stanza che da quando è abitata da Lui è diventata il centro della nostra casa; il Suo stare fra di noi, la Sua bontà nell'abitarci accanto, racchiuso nel ceppo di una quercia - la base della croce - ha cambiato la nostra vita. Il Figlio di Dio è venuto ad abitare fra di noi, perchè temere? La Sua pace è con noi, in Lui la nostra sicurezza, la nostra ricchezza, dov'è il vostro tesoro lì è il vostro cuore.
Da quando è abitato da Gesù, il fienile non è più quello, è un po' il nostro simbolo, semplice e umile contenenza di Dio, diverso, rinnovato, dilatato all'infinito, reso più ampio dal grande vetro che sostituisce la parete di fondo e che ci dà di guardare i campi e le case, obbligando la nostra preghiera ad essere tutta per gli altri, per il mondo intero, la cui sagoma è dipinta di rosso sul vetro, trasparente contro i pochi alberi e il cielo, Guardiamo il sole la mattina durante la messa e l'aria che si spenge all'imbrunire dalla nostra finestra aperta sul mondo contro la quale si staglia la croce col tabernacolo - le sere d'inverno quando si prega silenziosi e si vede la nebbia salire e circondare la cappella stemperando e confondendo i contorni delle cose - pare di lasciare il tempo e immergerci nell'eterno col nostro Dio.
E' tutta qui la nostra cappella, la croce di quercia - una quercia trovata per caso nella pineta vicino al mare, con il ceppo allargato quasi a forma di cuore - e inchiodato sulla croce un Cristo fatto di tralci di vite; il ceppo della quercia è stato scavato e dentro è il tabernacolo, chiuso da una porticina di ferro che ha una grossa chiave: Gesù apre il mistero di Dio e dell'uomo, in Lui il buio diventa chiarezza. La mensa dell'altare, una grossa tavola di legno, poggia sul tino, le panche sono tronchi di albero tagliati a metà, qualche sedia, un leggio, un inginocchiatoio, niente altro.
Sotto il fienile, la stalla è stata trasformata in officina del ferro battuto: la forgia, il trapano, il banco di montaggio con le morse e la saldatrice obbligano ogni giorno don Sirio e don Rolando al lavoro che aiuta l'economia della famiglia. Dal soffitto e sulle pareti annerite dal fumo del carbone bruciato, i pezzi forgiati: presso la cappa della forgia il Crocifisso che sorregge la fatica di un uomo chino sull'incudine; lì vicino, a grandi caratteri, una frase di San Luca: "Non è costui il figlio del fabbro?".

in Popolo di Dio: PdD anno 2° aprile-maggio 1969, Aprile 1969

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