Parlavo giorni fa con un carissimo amico e insieme a lui sua moglie visibilmente in attesa di un bambino. E il discorso veniva fuori chiaro, limpido, anche se terribilmente impegnativo. Vi sono momenti nei quali le parole nascono dalla carne e dal sangue, emergono dalla profondità dell'anima e contengono, ogni parola, verità esistenziali di tutti noi stessi.
Cosa vuol dire essere preti. Ed è giusto sbarazzare subito il problema da questa parola ormai sciocca ed inutile e quasi equivoca di "preti". Sa ormai inguaribilmente di ecclesiastico, il prete, di razza a parte, di inqualificabile umanamente (cos'è come uomo?), di non imitabile cristianamente (che cosa è in concreto il suo essere cristiano?) , di non preciso, ancora di non ben chiaro, sacerdotalmente te (che differenza c'è fra il sacerdozio del sacerdote e quello del cristiano o meglio ancora della comunità cristiana?).
E il discorso andava sempre più facendosi difficile e complesso quanto più si raccoglieva intorno alla precisazione di questa differenza.
Io poi non sono davvero uomo di cultura e nemmeno di teologia. In quella riunione di teologi, biblisti, sociologhi, storici, psichiatri, giornalisti ecc. mi sentivo come un vecchio gufo in un consesso di pavoncelle e l'unica cosa che potevo fare era di tener presente che non si era lì a trattare più o meno bellamente di raffinatezze teologiche intorno all'essenzialità del sacerdozio o di interpretazioni bibliche brillanti di novità, ma si era lì a condividere una crisi angosciosissima di fratelli che non sanno più riconoscere in se stessi validità umane né ritrovare in Dio, in Gesù Cristo, nella Chiesa, giustificazioni sufficienti al proprio essere sacerdoti, nella realtà del mondo in cui viviamo, sempre più spietata nelle sue richieste di autenticità.
Per via di questa mia sprovvedutezza di cultura, cercavo di cogliere in me i motivi del mio sacerdozio. Nel vivo della mia anima e nella consapevolezza di una adesione che è andata facendosi sempre più consenso totale di tutto me stesso al Sacerdozio.
E nello svolgersi appassionato della discussione lasciavo serenamente e umilmente cadere tutte le paure e le difese. Perché è innegabile che vi sono dei montaggi in noi, forse siamo frutto in gran parte, noi sacerdoti, di sovrapposizioni più o meno artificiose, pietistiche, devozionali. Siamo così tanto sovraccarichi di cianfrusaglie e imbellettature, che cogliere la nostra essenzialità è ormai praticamente impossibile. Tanto più che ci blocca uno strano pudore che è vera e propria paura della nudità: può scoprire le nostre vergogne, cioè il vuoto, una castrazione assurda e disumana, la mancanza di ragioni profonde, determinanti, la sfiducia di poter avere giustificazioni serie e responsabili a stare a questo mondo in una vita scopertamente impegnata nel sacerdozio.
Se tutta la fatica sprecata per darci un senso, una dignità, una sacralità, uno strano alone di divino per renderci indispensabili nel Regno di Dio fino a complicarlo in maniere e misure spaventose per essere sempre più noi, uomini di Chiesa, assolutamente determinanti di Regno di Dio nel mondo, 1'avessimo impegnata, questa fatica, nel cercare incessantemente la nostra essenzialità, la ragion d'essere decisiva, il motivo unico del Sacerdozio, liberandoci da tutto fino a liberarci di noi stessi e del nostro sentirci investiti - a seguito di chiamate celesti - di dignità pressoché divine, di missioni decisive di salvezza, di ministeri carichi d'essenzialità assolute, avremmo da tempo - e forse da sempre - la chiarezza del Mistero del Sacerdozio e la nostra giusta collocazione nel Regno di Dio.
Sono anni che mi lascio spogliare serenamente di tutti i sacri paludamenti, di tutti i privilegi, di ogni ombra di sistemazione, da qualsiasi impressione di riservatezza e dall'alone di mistero del segreto, da ogni e qualsiasi diritto fino a non saperne immaginare uno. E poi sempre più dell'essere chiamato in modo eccezionale ad una missione straordinaria, di avere dei poteri particolarissimi, una sacralità personale, una essenzialità decisiva.
Una liberazione continua, serena, E secoli e secoli fuggono via, come nuvole nere, e ti trovi all'improvviso, da farti sbattere gli occhi, tutto raccolto nel tuo momento e in piena luce, sotto un sole violento.
Montagne che ti lasciano libero all'improvviso e ti rinvieni in un deserto e guardi di qua e di là a cercare un sentiero, un indicazione qualsiasi nel giro sterminato dell'orizzonte.
Una fortificazione agguerrita di torri potenti, di muraglie merlate, di portoni di ferro e tutt'un colpo tutto svanisce e sei solo e indifeso in una strada, con un fagottino in spalla, a camminare, a gomito a gomito, con chi cammina e rischia tutto ad ogni passo.
Che differenza c'è fra il sacerdote e il Sacerdozio dei fedeli, della comunità cristiana, di tutto il popolo di Dio?
E il discorrere aggravava ancora di più una liberazione, uno spogliare, un rendere nudi di una nudità per cui risulta praticamente impossibile notare differenze.
Sì, è vero, non vi sono differenze di sacerdozio. Non vi sono pluralità di sacerdozi perché non vi sono ne vi possono essere sacerdozi diversi.
Vi è soltanto una realtà di esistenza umana. Vi è una realtà cosmica. Vi è l'unico Dio. E vi è un unico rapporto fra Dio e l'universo: Gesù Cristo.
E il mio amico, con profonda e seria penetrazione, parlava dell'esistenza dell'unico sacerdozio di Gesù Cristo. Non vi è altro Sacerdozio, nessun'altra realtà sacerdotale, che in relazione e a seguito di partecipazione dell'unico Sacerdote Gesù Cristo.
In una liberazione e purificazione totale sentivo di ritrovare l'idea essenziale chiarificatrice del mio sacerdozio, nell'incontrarmi direttamente e immediatamente con Gesù Cristo, nell'accoglienza di Lui come l'unico. L'unico Sacerdozio.
Nella Chiesa di Cristo lungo i secoli abbiamo perduto l'essenzialità di Gesù Cristo, inizio e convergenza di tutto. E la fatica dei surrogati è stata spaventosa e le complicazioni che si sono accavallate e accumulate interminabili e soffocanti.
E ora il discorrere si allargava e si stendeva sicuro, a respirazione universale.
Unico Sacerdozio Gesù Cristo, La Chiesa popolo di Dio partecipa di quest'unico sacerdozio come partecipa di Gesù Cristo. La Chiesa è sacerdozio in quanto è cristianità. Ma diversi sono i modi della partecipazione a Gesù Cristo. Diverse sono le misure.
In questa ricerca di partecipazione del popolo di Dio a Gesù Cristo, il popolo di Dio è Chiesa, è Sacerdozio in relazione a tutta l'umanità, a tutto il creato. Pugno di lievito, luce del mondo, sale della terra....
E' in questa realtà sacerdotale di tutto il popolo di Dio che trovo chiarissima e inequivocabile e inconfondibile la motivazione del mio sacerdozio di sacerdote: è nella totale, assoluta, perfetta condizione di servitù a Cristo, al Suo sacerdozio personale, unico e tutto insieme e al Suo sacerdozio comunicato e continuato nella storia, attraverso la Chiesa, popolo di Dio.
Nella purezza, casta e verginale, di questa servitù di una vita spiegabile unicamente con il Sacerdozio di Cristo e della cristianità, sta la ragion d!essere del sacerdozio cattolico. Fino a consentirgli l'essere consacrato e dedicato allo spezzar del Pane e all'offrir la Parola perché partecipe del Sacerdozio di Cristo e scelto dalla comunità dei fedeli come espressione viva, fatta carne e sangue, del proprio sacerdozio.
Un offerto dalla comunità e un eletto da Gesù Cristo per essere sacerdote unico del sacerdozio della Chiesa, popolo di Dio, fino alla partecipazione diretta e immediata, del Sacerdozio personale di Gesù Cristo, unico sacerdozio fra l'universo, umanità e cosmo, e Dio.
Una nudità e povertà assoluta fino alle misure estreme di non avere da se stessi nemmeno una ragion d'essere, un minimo di giustificazione, ma di essere una semplice e totale dipendenza nel proprio esistere e nel proprio vivere e operare.
E' il motivo di fondo che regge e chiarisce e determina una verginità, una realtà d'esistenza cioè povera di tutto perché la sua ricchezza è soltanto una: Gesù Cristo figlio di Dio e di Maria e Gesù Cristo figlio della storia, della Chiesa cioè, popolo di Dio. Qualcosa del suo unico Sacerdozio che si riversa nella cristianità e personalmente in una carne e in un'anima, in un destino, perché visibilmente e concretamente uno spezzi il suo Pane e offra la sua Parola, ma anche e perché vi siano delle vite che per la loro ragion d'essere siano in balia di Dio e possano essere mangiate dal mistero terribile dell'umanità in cerca del suo Dio.
Servitù che per essere totale richiede verginità assoluta, cioè libertà perfetta e quindi povertà evangelica.
Perché il Sacerdote è un prigioniero di Dio e dell'Uomo. E lo qualifica soltanto una verità, quella di vero Dio e di vero Uomo. Esattamente come per Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.
don Sirio
in Popolo di Dio: PdD anno 2° aprile-maggio 1969, Aprile 1969
Luigi Sonnenfeld
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