Questa storia del celibato o no, fra le tante miserie che tira fuori fino a creare un vero impaccio e quasi un senso di vergogna per noi preti, che, ad ogni passo ti senti raccontare dal monsignore tale (sì, certo, meglio sposarsi e fare il cerimoniere intorno ad una donna che intorno a un cardinale) e poi c'è un altro monsignore e un prete qui, un frate là, in Olanda poi non se ne parli, nell'America Latina perfino un Vescovo, mi raccontano, e insomma è tutto un fervore matrimoniale di preti e di donne,di frati e di suore, quasi che nella Chiesa non ci sia null'altro di interessante e di piccante di questo prurito matrimoniale che si è così violentemente e appassionatamente risvegliato e che sa così spaventosamente di malattia della pelle nel clero.
E va bene: "è meglio sposarsi che bruciare" diceva già S. Paolo, alcuni anni fa e speriamo - lo auguriamo davvero di cuore a tutti i sacerdoti che hanno pensato bene di sposarsi - che non si avverino le altre parole che S. Paolo subito aggiunge: "avranno però anch'essi la tribolazione della carne". Tanto più che abbiamo l'impressione davvero spiacevolissima - forse è l'impressione che più ci rattrista e ci dà il senso della vergogna - che questo cercare il matrimonio da parte del clero sia tanto per motivi personali, di tentativo di soluzione di problemi personali fino al punto di mancare spesso di considerazione seria e di rispetto verso la donna e pensare che il sacerdote dovrebbe avere una visione religiosa limpidissima e una ricchezza di valori che di più sulla terra, ad uomo, è impossibile, fino al punto che dovrebbe risultare chiarissimo che il sacerdote - è l'unico motivo che ci impressiona seriamente - dovrebbe sposarsi perché lui solo (in modo perfetto e in misura infinita perché è unicamente nell'amore di Dio) può unire a sé una donna e realizzare il sogno di Dio nell'unità perfetta Uomo-Donna per l'unificazione dell'Amore, ad immagine e somiglianza sulla terra dell'Unità e Trinità di Dio.
In ogni modo questa storia del nostro tempo, raccontata così minuziosamente dai quotidiani e tanto più dai settimanali che ormai stanno quasi raccontando le vicende sentimentali dei sacerdoti alla pari di quelle dei divi del cinema, questa triste storia ha però anche i suoi vantaggi. Tantissimi.
Per me e specialmente in questi giorni di Pasqua mi costringe a riprendere e quasi a risentire i motivi di fondo, quelli veramente determinanti, del mio essere Sacerdote.
E questi motivi sono i motivi stessi di Gesù Cristo. I suoi valori. Le sue finalità. La sua stessa ragione d'essere. E il suo stesso proporsi alla Fede e all'Amore degli uomini.
Il suo Mistero è il mio Mistero. E mistero qui - come sempre nell'usar questa parola riferendola a Dio - non è ciò che non si conosce né si può conoscere. Indica soltanto e sempre una conoscenza particolare, unica. Una conoscenza che nasce dalla contemplazione. Si precisa nella visione. E si fa cogliere - fino a colmare il cuore e la mente - attraverso l'intuizione. Dopo, la chiarezza è come sorgente di luce: si allarga e si espande fino a tutto illuminare. Assolutamente tutto. Fino a lasciare stupiti come tutto sia tanto meravigliosamente collegato, dipendente. L'unica realtà.
L'errore che noi facciamo tanto spesso - forse quasi sempre - è non partire da Dio per capire tutto o se non altro non lasciare che la sua luce (non vi è altra sorgente di luce, come non vi è altro sole che quello che sorge al mattino ad illuminare e dare vita a tutta la terra) illumini tutte le cose in modo che tutte le cose sia possibile vedere nella luce.
Perché diversamente non possiamo che illuminarle con la nostra luce e rimangono sempre spaventosamente il particolare e il momento, come quando si accende un fiammifero o le vediamo in noi e cioè, inevitabilmente, nel nostro egoismo.
E' terribile partire da noi per giudicare le cose e specialmente il loro valore: il nostro metro è spezzato dove meglio ci conviene e i nostri pesi sono spesso falsi.
Guardo a Gesù Cristo entrato così totalmente nel Mistero della vita umana e nel Mistero di Dio. E penso che la sua passione e morte di Croce - e così come si è svolto ed è storia tanto terribilmente assurda - voglia significare e significhi in misura totale, il suo uscire da se stesso e il suo entrare nella storia dell'umanità unicamente partendo - ed è determinazione assoluta fino al punto che è eseguibile soltanto attraverso un consenso assoluto della propria alla volontà di Dio - partendo unicamente dal Mistero di Dio e in Lui tutto convergendo.
Gesù è l'Uomo in cui l'umanità è tutta e in cui Dio è tutto, veramente l'assoluto. Sul serio, Lui, è vero Dio e vero Uomo.
Questo Mistero di Gesù è così unicamente Mistero di Dio che non può non essere al di là dell'importanza di sua Madre, dei suoi discepoli, dei suoi amici, della sua patria, della sua gente..di ogni razionalità e prudenza. Di qualsiasi limite e misura.
Fino al punto che da questo al di là può cominciare la logica della Croce.
Io, sacerdote e cioè cristiano fino alle misure estreme che sono quelle del sacerdozio, ho scelto d'essere, o di cercare di essere, al di là di tutto perchè Cristo non apparisca al mondo come un pazzo, ma come realtà di vita vissuta e vivibile, non un Dio fatto Uomo e poi disincarnato, ma vivente nella vita umana.
Il celibato è dentro e componente importante di questo mistero di Cristo.
Ed è vero che se il celibato è una croce è certamente qualcosa della Croce di Cristo.
don Sirio
in Popolo di Dio: PdD anno 2° marzo 1969, Marzo 1969
Luigi Sonnenfeld
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