Spesso, quando ci capita di leggere qualcosa (non molto a dire la verità perchè di tempo ce ne è terribilmente poco) e sentiamo di studi teologici, di esperienze liturgiche, pastorali, di dibattiti in seno alla Chiesa, di contrasti fra il clero alto e basso, di interventi pesanti della Gerarchia, di scuotimenti alla base ecc. non possiamo non domandarci con immensa amarezza fatta di pena per non dir proprio di pietà: e il popolo di Dio? Questa povera gente, sbriciolata nelle città e nelle borgate popolari, sperduta fra i campi e raggomitolata sulle colline e sulle montagne attorno al campanile, questo povero popolo che lavora e fa le spese a tutti, che nasce campa alla meglio arrangiando un po' di consolazione dove capita e sparisce come l'acqua di un fiume in mare dopo aver fatto girare la macina di tutti i mulini. Questo povero popolo di Dio che, nonostante tutto (e chi ha il coraggio di dire con sincerità cosa c'è in questo tutto?) continua ad aver Fede in Dio, a dare un qualche senso o anche una profonda e seria motivazione religiosa alla soluzione del mistero della vita...
Che posto ha il popolo di Dio in tutto questo tramenio che è il problema della Chiesa del nostro tempo?
Se facessimo interviste e cominciassimo dai vertici fino allo ultimo seminarista contestatario di prima teologia, cercherebbero di convincerci che tutto è per via di Amore al Popolo, per una liberazione e promozione del povero popolo, per la salvezza dell1integrità della Fede e l'attualizzazione della Chiesa alle nuove richieste dei tempi ecc.
Tutti si affannano a studiare nuove teologie, catechismi di chiarezze solari, liturgie appassionanti. Congressi, aggiornamenti, tavole rotonde. E studiano. Studiano, studiano. E poi i gruppi spontanei. Le nuove comunità. Le nuove pastorali d'inserimento, Di contestazione. Il dialogo. L'ecumenismo. Il terzo mondo. Il clero e i suoi problemi da quelli economici fino a quelli sentimentali. La presenza politica della Chiesa o no. La povertà o la sua stupidità. La pillola o gli uomini si mangeranno fra loro. Dio è morto oppure non ne ha affatto intenzione. I vescovi ci devono stare ancora oppure è un residuo medioevale. Il papa è un ras qualsiasi o è Cristo in terra. E studiano e studiano. Discutono e discutono. Con grande vantaggio economico dei quotidiani e tanto più dei settimanali che hanno a non finire sensazionali piccanti e novità pruriginose.
E il povero popolo di Dio?
Dall'altra parte logicamente si arroccano le difese. Si rinforzano le muraglie. Interventi pesanti che par che rimpiangano i tempi belli. Minacce che hanno tutta l'aria di nuvolosi neri, carichi di fulmini, all'orizzonte. Grossi discorsi che aprono il cuore e poi sono soltanto parole. Tante parole in questi nostri tempi così spaventosamente parolai. Impegni di rinnovamento e dopo aver studiato e studiato, e si aspettavano miracoli, il rinnovamento pare fatto apposta per mantenere le cose vecchie e al massimo rinnova quello che ormai era semplicemente orrore mantenere. Gesù direbbe quella storia degli otri vecchi e del vino nuovo, della toppa nuova sul vestito vecchio....
E intanto le trincee si scavano sempre più ogni giorno che passa: e quella povera terra di nessuno, martoriata e sbriciolata, è presa continuamente d'assalto.
Si affondano abissi di divergenze che arrivano a dividere anche dove l'unità dovrebbe essere assoluta. E si sgretola a poco a poco la casa. Non si divide più il pane. Non si beve allo stesso bicchiere.
E il povero popolo di Dio?
Mi torna davanti agli occhi quell'immensa pioppeta che avevamo dietro casa, fino all'anno scorso quando ce l'hanno rasa a terra: ora di novembre era tutta spoglia e nuda contro il cielo di pioggia. Soffiava vento di libeccio salmastroso e la scuoteva tutta a folate violente spietate. Si levava vento gelido di tramontana e la raggelava e la scheletriva rabbrividendola di freddo. Si scatenava il vento tiepido di scirocco e la sventagliava di raffiche di pioggia infradiciandola fino alle radici... E la pioppeta era senza pace, come rassegnata a piegarsi di qua e di là, passiva, abbandonata al suo destino..
Un po' di rispetto o se volete un po'di pietà per il popolo di Dio.
Vorremmo, se potessimo, chiederlo a tutti. Ugualmente. Perchè tutti hanno lo stesso comandamento d'Amore al quale obbedire: l'unico comandamento. Non ve ne sono altri e tanto meno quello di disorientare i poveri, di strappare via la fiducia nel popolo, di seminare confusione, di distruggere anche se è per rinnovare, di voler mantenere anche ciò che non significa più nulla (e chissà se ha mai significato)..
Perchè troppe contestazioni sono scontentezze personali. Tante novità sono soltanto vuoti spaventosi d'anima. Vi è troppa motivazione personale o di gruppo in tanta crisi e spinte per interessi personali, in tanta ricerca di cose e sistemazioni nuove. E tanto studiare e discutere senza fine di teologie, di liturgia, di sociologie e diavolerie del genere sono spesso miserabile alienazione a scanso dì concretezze fatte d'incarnazione, di partecipazione concreta, di comunione totale, cioè di tutto il Mistero Cristiano, calato nel nostro tempo dalla paglia della mangiatoia al legno della Croce sul Calvario.
Il popolo di Dio ha bisogno e ha diritto a quest'Amore. Ogni altro amore è quello "del ladro e dell'assassino e nel migliore dei casi è l'amore del "mercenario".
E troppa autorità è avido e assurdo autoritarismo. Certa conservazione di principi è semplicemente voglia di posizioni preminenti, di mantenimento di privilegi. C'è tanta paura di un sopravvento che sale su da basso. E nel frattempo si continua spaventosamente a non credere nell'Amore. I motivi personali determinano, la Gerarchia stringe un anello con l'altro per salvare la catena dell'autorità e non vi è respiro di libertà personale, apertura di cuore, vastità d'animo. Chi ha il coraggio di credere che l'Amore soltanto è ciò che può risolvere una responsabilità di Regno di Dio? Dov'è che si può leggere (non cerimonia liturgica, formalistica, esteriorità inutile) la pagina del Vangelo di Giovanni, fatta veramente Gerarchia della Chiesa, carne viva del Vescovo "sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che, venuto da Dio a Dio ritornava, si alza da tavola, depone la veste e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi versa della acqua nel catino e comincia a lavare i piedi ai discepoli e a rasciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.. In verità, in verità vi dico: un servo non è da più del padrone, ne un inviato è di più di chi lo ha mandato".
Il popolo di Dio ha bisogno e ha diritto a questo Amore, cioè di sapere e di credere che questo è il cristianesimo. Questa è la Chiesa. Diversamente 1'autorità non salva niente, è soltanto provocazione alla ribellione o almeno crescita di voglia di liberazione. O sistema miseramente umano di tentare di fare il Regno di Dio.
L'Amore al popolo di Dio. O se non altro un po' di rispetto. Almeno un briciolo di attenzione. Un minimo di riguardo. Un ricordarsi, se proprio di più è impossibile, che c'è anche lui.
Un po' di pudore come si ha per un bambino per non scandalizzarlo. Perché il discorso di Gesù eccolo là in tutta la sua terribilità: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che si appendesse al collo una macina da asino e venisse buttato nel profondo del mare".
Ci sentiamo, noi piccola e povera comunità che nel silenzio vive la sua Fede e nel lavoro e nella preghiera il suo Amore a Dio e agli uomini, ci sentiamo e siamo povero, paziente popolo di Dio. Possiamo allora con diritto chiedere a chi è, l'un contro l'altro armato per combattere ancora una volta una guerra santa per il bene del popolo di Dio, crediamo di poter chiedere un po' di rispetto un po' di pietà.
La Comunità
in Popolo di Dio: PdD anno 1° novembre 1968, Novembre 1968
Luigi Sonnenfeld
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