Le nostre cose...

Che cosa ci spinge su questa strada di accoglienza verso chiunque bussa alla porta e ci urge dentro, a dialogare con chi si incontra e entra nel nostro cammino, tanto che quasi più non usciamo per essere pronti ad attendere chiunque bussi da noi. Vi è un perché profondo, un dono preciso che vogliamo offrire agli uomini che oggi più che mai sono malati di solitudine.
E' il dono dell'attesa, la gioia di sapere che c!è qualcuno che ti aspetta, che ti ha nel cuore anche quando non ti vede, che ti ama anche se non ti conosce - così che tu possa almeno un poco scoprire, se vuoi - nonostante il velo di noi - il volto paterno e materno di Dio. E! forse la sicurezza più profonda sulla quale poggia la vita cristiana quella di sapere che Dio ci è fedele, ci aspetta, ci attende con pazienza infinita, con amore mai stanco, pago solo di colmarci quando noi acconsentiremo.
E' poca cosa la nostra, povera la casa in cui viviamo, nulla la nostra capacità di amore, ma donando agli altri il tempo - che è tutta la vita - doniamo noi stessi: condividiamo con chi viene il cibo, il lavoro, i pensieri, la preghiera. E cosa altro potremmo offrire.
Abbiamo scoperto e attuato questa povertà, non ci apparteniamo, offriamo agli altri la gioia di sentirsi lungamente attesi, facendoli entrare immediatamente nel cuore della casa, accogliendoli come di famiglia, cercando di non tenere nessuna cosa come "nostra". Vi è un'altra grande povertà che viviamo, quella di seminare il nostro seme ad ogni istante in chiunque venga e non sapere mai dove e quando fiorirà. Non avere la gioia dei frutti, solo la pace profonda di chi vive di fede.
Pace pagata con la fatica quotidiana, con la stanchezza di una vita che per gli altri è serenità, per noi spesso caos, per chi viene stabilità, per noi senso del provvisorio, quando non sai mai cosa farai oggi, né quanti sarete, né chi verrà. E quante volte ci siamo chiesti se è bene continuare così o se è meglio anche andare agli altri, agire in qualche modo più preciso, vivere una vita più scopertamente povera, operare scelte più chiaramente cristiane. E la pena di un cuore che cresce e urge e non può esprimersi abbastanza per una scelta voluta di non "azione", di non "dinamicità".
Non abbiamo voluto fare ma essere, non donare esempi né modelli, né cose, ma amore fino al punto di essere solo e unicamente amore, vita che vive nell'ampio vivere umano, presenza di luce in un mondo di solitudine, casa viva dove non più esiste la famiglia, significato profondo in una società che ha perduto il sapore.
Questa la nostra vita "indescrivibile" perché non ha stile, se non quello di non volerlo avere. Di non essere chiusa in metodi o modi, ma aperta e pronta come la terra buona che attende il seme, vita faticosa e penosa per un cercare continuo, per un andare avanti paghi dell'oggi, fiduciosi che Dio ci guida per mano e ci insegnerà la strada.

in Popolo di Dio: PdD anno 2° dicembre 1969, Dicembre 1969

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