POPOLO DI DIO: PdD anno 4° gennaio 1971

lettera aperta agli amici della Comunità di S. Maria

La nostra Comunità

Sono passati molti mesi, quasi un anno, dall'ultimo numero di questo nostro ciclostilato. Da un mese all'altro il tempo passa sempre più con una fretta impressionante e pur ripromettendoci ogni tanto di riprendere questa semplice e povera comunione con gli amici, è venuto fuori quasi un anno di silenzio.
Ma come sempre, il silenzio, cioè il raccoglierci, 1'approfondire, 1'interiorizzare le cose, non pensiamo che sia un vivere a vuoto e tanto meno irresponsabilizzare i nostri impegni per un tirarci da parte, pensare ai propri problemi e fregarcene di tutto il resto. Può darsi semmai che ci abbia giocato la pigrizia: la pigrizia materiale, quella che capita quando si ha l'impressione di aver già fatto, di aver già lavorato anche troppo fino a sentirsi giustificati a dichiararsi stanchi e riposare in pace la propria stanchezza. Ma assai più probabilmente ci ha giocati quella pigrizia che ci impedisce di uscire dall'insieme dei nostri problemi, dei nostri doveri, quelli immediati, quelli quotidiani, capaci di assorbirci totalmente, fino al punto da darci l'impressione e forse il convincimento di non essere tenuti ad altro: a guardare cioè al di là del proprio quotidiano, del giro (che è sempre terribilmente breve anche se fosse come 1'equatore) delle nostre responsabilità personali, delle spicciole richieste di ogni momento, anche e nonostante che ci mangino tutto il tempo.
Al di fuori di questi motivi (che possono essere precisati con una ricerca di maggiore impegno comunitario, di un lavoro pastorale che si sta facendo più intenso nella parrocchia, di un giro di amici sempre più pressante in casa nostra e specialmente di un lavoro manuale nella nostra officina concretamente molto più impegnativo e logorante...) oltre a questi motivi, non ve ne sono stati assolutamente altri che abbiano ostacolato questa nostra lettera agli amici fino ad un vuoto di quasi un anno.
Abbiamo tutta l'intenzione di riprendere l'invio di questi nostri fogli, più o meno periodicamente, ma certamente con buona fedeltà.
E' una comunione con tutti gli amici che stanno crescendo di anno in anno intorno alla nostra comunità, alla quale dobbiamo essere fedeli, non perchè queste nostre pagine possano significare qualcosa di importante in se stesse per il loro contenuto o per la loro testimonianza: significano soltanto un po' di amicizia, un incontrarci umile ed aperto, come arrivare a casa all'improvviso e dire eccomi qui. E starcene cinque minuti insieme, a parlare delle nostre cose.
E specialmente un modo di ricordarci, di essere vicini, a chi a noi pensa con affetto, a chi di noi ha la bontà di sentirci motivo di consolazione, di coraggio, a chi in noi (e è responsabilità terribile per la nostra comunità e gioia grandissima) trova un aiuto alla speranza, alla fiducia, una Testimonianza alla Fede.
E perchè no? Non ci dispiace affatto anche se può capitare che questi nostri fogli, espressione viva e sincera, del nostro pensiero e della nostra vita concreta, possano essere motivo di inquietudine e di preoccupazione per chi vorrebbe eccessivamente che tutto fosse liscio come le acque stagnanti, deferenza ed ossequio, come le cerimonie in cattedrale.
La cosa più importante da comunicare ai nostri amici è che la nostra comunità è andata crescendo durante questo anno. Attualmente siamo in otto: le due ragazze e sei preti.
E sempre ma specialmente ne sentiamo tutta l'infinita grazia di Dio nel ritrovarci comunità così numerosa e così unicamente animata da una ricerca di sincerità cristiana e di Regno di Dio, la sera, quando nella Cappella della nostra casa, celebriamo la Messa della comunità.
A poco a poco ci stiamo precisando in impegni personali capaci di realizzare la comunità, più a largo raggio che sia possibile, di Regno di Dio: dalla vita di comunità a quella parrocchiale e sempre più ad una partecipazione della vita operaia. Ci nasce tutto su dal cuore, quasi come da un'improvvisazione mossa e spinta dal bisogno di uscire dalla nebbiosità di una vita ecclesiale ormai troppo consunta e morta e dal desiderio di respirare a cuore aperto l'inesauribile novità del Mistero di Cristo, sicuramente capace, appena che ci trovi disponibili e pronti, di una pienezza di vita umana e cristiana, fino alle misure della sovrabbondanza.
Non sappiamo bene dove la strada sulla quale siamo incamminati ci porterà: intanto ci interessa di camminare insieme per essere argomento di speranza di Regno di Dio nel mondo, in questo nostro tempo.
Trovare come questa volontà di vivere il mistero di Cristo nel mondo, si attualizzi e si concretizzi, sarà la pena e la gioia di ogni giorno perchè è in questa ricerca, lo sappiamo bene, che può verificarsi e misurarsi la nostra sincerità personale e la validità della nostra comunità.
Sta il fatto che i tempi che stiamo vivendo e lo circostanze storiche che ci condizionano, respirano un'atmosfera narcotizzante di acquiescenza e di assuefazione, alla quale è terribilmente difficile resistere: una vita di comunità cristiana seria ed intensa spesso, vuol dire rompere in continuazione con l'esterno per ritrovare nella propria interiorità le spinte necessarie e le violenze insostituibili, ad un rinnovarsi incessante e appassionato di quei valori che trovano la loro spiegazione e giustificazione soltanto in Gesù Cristo. Tutto il resto non ha senso e Dio ci scampi dalla responsabilità di prospettarlo come Cristianesimo.
Offriamo questa nostra comunità alla Chiesa, agli amici e vorremmo al mondo intero, ma specialmente la offriamo a Gesù Cristo perchè il suo Amore ne faccia un segno, piccolo quanto si vuole, ma un segno vivo, della Sua Presenza nel mondo.


La Comunità

... Seguimi!

Ho ripensato intensamente - in questo tempo - a tutta la trama della mia vita: trama umilissima, ma abitata dal soffio misterioso dello Spirito di Dio che l'ha presa nel suo vortice e l'ha costretta a un cammino che è scritto solo nel cuore di Dio.
Destino realmente misterioso, legato ad un incontro, ad uno sguardo che è sceso nell'anima, ad una parola che è risuonata nel segreto ed ha generato esigenze di donazione, di offerta, di impegno totale.
Mi ha fatto tanta impressione rileggere nel Vangelo di Giovanni la storia dell'incontro di Gesù e il primo gruppetto di uomini che poi sarebbero diventati i "suoi"; soprattutto il mistero racchiuso in quell'unica parola, che è tutto un destino e segna la vicenda di un'intera esistenza: "seguimi". Mi sembra che questa parola raccolta sulle labbra del Figlio di Dio e scesa nell'intimo del cuore fino a scavarvi esigenze di risposta e di fruttificazioni fedeli, sia la mia vita stessa.
Il senso, la ragione, il motivo della mia vita. Quello che io sono e, molto di più, quello che dovrei essere. Il mio destino è racchiuso in essa e da lei è stato generato. So molto bene che dipendo da quella parola come un bimbo dipende, quando ancora è chiuso nel suo seno, dalla propria madre; e l'autenticità della mia vita consiste unicamente nella fedeltà totale ad essa, nelle misure estreme di Amore a Dio e agli uomini che essa esige e vuole realizzare.
E' come essere stati presi per mano, all'inizio di una strada che uno pensava di costruire da se, con le proprie mani e col proprio cuore, ed essere incamminati per un sentiero nuovo, non fatto dall'uomo anche se tracciato in questo mondo, ma segnato unicamente dall'infinito mistero di Dio.
Gesù è questo mistero fatto visibile e palpabile, fatto pane per la nostra fame e luce per la nostra notte: l'incontro con Lui ha segnato irrimediabilmente la mia vita, che non mi è più possibile sottrarmi alla sua voce che mi ripete incessantemente l'invito dolce e tagliente.
Come vorrei seguirlo seriamente, con slancio e con passione, con piena coscienza di uomo maturo e fino alle misure estreme. Come vorrei essere determinato unicamente dal suo comando, totalmente libero e costringente, "Seguimi" . So bene che i vuoti della mia vita, le infedeltà, le immaturità sono dovute unicamente alla mancata risposta a questa parola; sono proporzionati a quanto mi sono lasciato portare da Lui, sulle sue strade, con la pioggia o il sole, nel vento o nella bufera o nella bonaccia.
A quanto non mi sono fidato di Lui, della sua follia, del suo non-senso, delle Sue misure.
Quel poco di strada buona che ho fatto, quel piccolo bagliore di luce che mi si è acceso nell'anima, quel tozzo di pane vero che mi è riuscito spezzare ai fratelli, tutto è frutto della fecondità infinita raccolta in questa parola, così carica della creatività di Dio.
La mia gioia di oggi è tutta qui in questa consapevolezza di dover dipendere sempre più unicamente da Lui, da ciò che Lui una volta per sempre ha pronunciato sopra di me. Questo è il senso preciso del mio cristianesimo e del mio sacerdozio; questo è il valore a cui precisamente devo dar seguito e il tesoro enorme di cui sono responsabile. Se non rispondo interamente alla parola che mi è stata offerta e non ne faccio tutto il mio destino e il senso del mio vivere, io so che il mio fallimento sarà completo.
Sono infinitamente riconoscente al Signore perchè mi ha dato questa chiarezza, che anche se non può bastarmi a salvarmi mi mette a nudo davanti a Lui. Il cammino che fin qui ho percorso con i suoi slanci e le sue stanchezze, sento molto bene che è Lui che lo ha guidato passo per passo.
Oggi, con molta più forza e urgenza, sento risuonare l'invito come per la prima volta. E il risentirlo insieme ai fratelli e alle sorelle che Dio mi ha dato e con i quali mi trovo profondamente unito da Lui soltanto, aumenta di tanto la gioia e la fiducia.
Fiducia soprattutto di riuscire a dimenticarmi di più, a non guardare più indietro, a non raccogliere i problemi personali, ma a gettarmi interamente nella avventura segnata da questa parola. Il senso della nostra comunità, la sua giustificazione ad esistere credo proprio che sia questa: destini diversi che diventano un solo destino determinato e tessuto dalla fedeltà assoluta all'incontro personale con Gesù. Dio ci si è fatto incontro in Lui e in Lui ci ha guardato e ci ha chiamato.
Siamo interamente Suoi e non possiamo sottrarci a ciò che per noi è "giogo soave" e "peso leggero", ma anche "fuoco che brucia sulla terra".
La comunità che Dio ci ha dato di realizzare la sento come il crogiolo dove tutte le scorie dell'umano devono sparire e le nostre vite fondersi per dare volto soltanto alla realtà dì Dio.
La riconoscenza per Gesù è infinita, perchè Lui ha voluto condurmi sulla sua strada, nella sua piena libertà, nel suo imprevedibile Amore e certamente perchè io fossi unicamente costruito a seguito di Lui.
"Seguimi": mi devo abbandonare totalmente a questo invito, lasciarmi condurre, portar via, disperdere dentro la vita. Mi devo lasciar spargere come seme al vento, senza difendermi né far resistenza. Devo camminare senza chiedere né dove si va né quando si arriverà; devo essere pronto "ad andare fin dove Dio vuole, ad essere usato e consumato quanto Dio ritiene necessario, a lasciar libero tanto spazio quanto Dio vuole esigere".
L'essenziale è che il mio "si" sia incondizionato e irrevocabile.


don Beppino

Lasciate libera la mia gente!

Il premio Nobel della pace 1961 fu conferito ad Albert Luthuli: veniva premiata una persona apparentemente sconfitta, un prigioniero accusato di alto tradimento, proscritto, privato di tutti i diritti civili e politici e segregato a vita in un campo di concentramento.
Il governo razzista e fascista di Johannesburg non voleva lasciar partire Luthuli per Oslo: solo dopo le pressanti insistenze dì tutto il mondo ad Albert furono concessi 10 giorni; per Oslo e ritorno senza scali intermedi. Ricevuto il premio, di nuovo la segregazione.
Quest'uomo che lottò per l'emancipazione dei negri e fu riconosciuto "portatore di pace" dal mondo intero, era uno Zulù.
Albert Luthuli nacque da una famiglia Zulù nel 1898 nella missione evangelica di Solusi nella Rodesia del Sud.
Battezzato ed educato nella Chiesa congregazionalista, venne poi confermato a Grontonville (Natal) nella Chiesa Metodista, ove poi divenne predicatore laico. Studiò all'Istituto missionario Adams College e nel 1917 vi prestò servizio come insegnante, dedicandosi all'istruzione popolare e alla rivalutazione della lingua e della cultura Zulù. Nel 1927 sposò Nokukhanya Bhengu moglie eccezionale che lo sostenne nelle campagne nonviolente e gli diede 7 figli: tre maschi (il primo e i due ultimi) e quattro femmine.
Nel 1936 lasciò l'insegnamento perchè fu eletto capo tribù nella missione Umbvoti a Groutville. Qui svolse ampia attività di riforme, dando agli Zulù una coscienza dei propri diritti.
Nel 1953 venne deposto arbitrariamente dal Governo per la sua attività troppo sovversiva. Nel 1945 entrò nell' "African National Congress" un movimento nonviolento del quale divenne poi leader dal 1952 alla morte. Dal 1953 subì vari bandi, processi, arresti, reclusioni: e rimase in permanenza relegato in un campo di concentramento in un distretto di pochi chilometri quadrati. Dal confino però diresse numerose campagne di disobbedienza civile, che dettero coraggio e dignità agli Africani.
Fu ucciso nel luglio 1967 per ordine del governo razzista.

ZULÙ
Dal popolo Zulù Luthuli è considerato un santo, un eroe leggendario: lo chiamavano ''valoroso nelle battaglie" un titolo che si dà soltanto ai grandi condottieri di un popolo. E Luthuli fu davvero un grande condottiero, che in una lotta nonviolenta condusse il suo popolo verso la libertà: "lasciate libera la mia gente" era l'ordine che Luthuli ripeteva agli schiavisti, ai torturatori dei negri diseredati del Sud Africa, privati della loro terra, segregati in grandi riserve, campi di concentramento ove lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo tocca limiti forse mai raggiunti nella storia del mondo.
Gli Zulù sono una nazione da millenni libera e civile con una lunga tradizione di nonviolenza risalente ai tempi anteriori alla conversione al cristianesimo. La conversione stessa degli Zulù al cristianesimo avvenne grazie ad una bella testimonianza di pace. Nel 1835 Allen Francis Gardiner, ex capitano di marina britannico, tentò di convertire gli Zulù. Il re Zulù gli conferì il titolo di capo tribù, ma gli disse che invece di prediche avrebbe desiderato un aiuto concreto: che egli insegnasse ai guerrieri il maneggio delle armi da fuoco. A tale richiesta Gardiner oppose un netto rifiuto: affermò che la Fede Cristiana gli vietava di insegnare ad uccidere o anche ad usare le armi.
Fu questa testimonianza, cosi rigorosa e decisa, che colpì favorevolmente il popolo; gli Zulù riconobbero, in quella fede nella nonviolenza, la pura testimonianza di un Vangelo di Pace, che da allora molti accettarono.
Da questa tradizione non violenta sorse Luthuli. La patria della nonviolenza è proprio il Sud Africa e qui la scoprì Gandhi nel periodo 1894-1914 con essa egli riuscì a conseguire importanti tappe nell'emancipazione degli indiani e soprattutto a dare ad essi coscienza di essere un popolo. Sotto gli auspici di Gandhi nel 1912 fu fondato il Congresso Nazionale Africano che perseguì coraggiosamente il suo obiettivo dì efficace resistenza 'all'arbitrio dei bianchi.
Fino a che, nel 1924, lo stato di tensione aumentò a tal punto che furono emanate dal governo leggi speciali che stroncassero ogni opposizione e bollassero come agitatore chiunque esprimesse anche la più piccola divergenza dal sistema. Venivano colpiti dalla legge anche coloro che osavano lamentarsi degli efferati eccidi compiuti dalla polizia.

RAZZISMO ASSOLUTO
Solo i bianchi godono in Sud Africa dei pieni diritti. I negri non hanno personalità giuridica, schiavi a tutti gli effetti, relegati in riserve donde i bianchi traggono il materiale umano per un lavoro senza retribuzione.
"Ogni volta che i legislatori si sono occupati di industria, terra, matrimonio, libertà di spostamento, localizzazione dei centri di abitazione, istruzione, commercio, passaporti, rappresentanze in parlamento, soldi, scioperi, servizi del culto, prostitute, trasporti o di qualsiasi altra cosa, su per giù nel loro subcosciente vi era la volontà di affermare e di ingrandire il diritto dell'uomo bianco a signoreggiare".
A sentir dire che i negri in Sud Africa sono schiavi, i razzisti bianchi fanno le meraviglie. Schiavi? Ma nessuno mette loro le catene! "E' vero - obietta Luthuli - e vero, certo, che non siamo legati coi ceppi in uso ai tempi del primitivo selvaggio. Ma i sistemi della schiavitù mutano con il mutare del tempo. Oggi il diritto di proprietà dello stato ha sostituito il diritto di proprietà individuale, in certo grado. Il sistema schiavistico è stato nazionalizzato. Ci dicono dove possiamo e dove non possiamo lavorare, dove possiamo e dove non possiamo vivere; ci privano di ogni diritto a possedere, e la legge vieta di far sciopero o di protestare contro le decisioni di un parlamento composto interamente di bianchi o contro qualsiasi forma di sfruttamento. Non c'è cosa che i nostri padroni bianchi non possano fare a danno nostro e a tale scopo basta che essi si accordino tra loro e decidano per il sì".
La situazione è veramente assurda e apparentemente senza speranza. Si aggiunga l'estremo rigore con cui le leggi sono applicate, la crudeltà dei metodi della polizia, l'odio contro i negri che viene alimentato abilmente e che impedisce ai giudici di essere clementi nell'applicazione delle leggi. La vita umana non è tenuta in nessun conto, secondo una recente indagine circa la metà di tutte le condanne a morte eseguite nel mondo intero avvengono nel Sud Africa: per impiccagione.
La morsa del più bieco razzismo si è chiusa, per i negri non rimane neppure la speranza della riscossa: "i giovani africani sanno, fin da quando diventano ragazzi - e qui bisogna dire che non sanno nient'altro - che i loro sforzi per emulare quanto vi è di valido nel mondo civile non potranno nemmeno, stando le cose come stanno, garantire loro il riconoscimento dovuto a creature nomali e responsabili.

IL SILENZIO DELLE CHIESE
Lo spettacolo più ributtante è che il regime razzista viene sostenuto con argomenti teologici da molte chiese cristiane, le quali obbligano i negri ad obbedire a leggi, sotto il vincolo di peccato mortale. Non sono strani questi silenzi delle Chiese: la collaborazione con i potenti impedisce loro di parlare liberamente e di testimoniare il Vangelo.
Solo recentemente, dopo decenni di sollecitazioni di pacifisti di tutto il mondo, i vescovi Sud Africani si sono pronunciati: il 27 luglio 1966, infatti, i vescovi cattolici hanno dichiarato in una lettera pastorale che la discriminazione razziale è contraria alla legge divina.
Fu un bel successo per Luthuli; ma questa dichiarazione generica viene dopo decenni di assoluto silenzio, anzi di connivenza con il potere. Tutte le chiese cristiane ne sono macchiate. E Luthuli, da cristiano, ne era profondamente amareggiato: "non è forse vero, tristemente vero, che queste chiese sono divenute simboli falsati e distorti? Che esse stanno aggrappate ad una morale portata i bianchi, predicata da loro, e che essi stessi si rifiutano di mettere in pratica?". Un proverbio dice: "Voi chiudete docilmente gli occhi per pregare: e quando li riaprite, i bianchi vi hanno portato via la terra e hanno importunato le vostre donne". "Oh, quanto queste chiese, trasformate in una sorta di servizio sociale, elargito come una concessione, sono lontane dallo spirito di Cristo! E molti ministri cristiani non ci guardano forse dall'alto in basso, invece di scendere fino a noi, come fece e fa tuttora Gesù Cristo? Il popolo africano sopporta tutto questo da lungo tempo con pazienza, ma ne è pienamente cosciente". Se la chiesa non adempie al suo dovere di guida morale del popolo, ha tradito la sua missione. E quante volte le chiese sudafricane, dice Luthuli, hanno abbandonato il loro gregge!
Mercenari e non pastori quei vescovi che voltavano le spalle al loro popolo: "Conosco la sete spirituale del mio popolo per una guida spirituale in questo frangente che ora, e durerà qualche tempo ancora, ci sta ponendo tanti problemi. La chiesa deve essere con noi, fra noi tutti. Se essa sta sul confine, non possiamo sperare che la nostra religione sussista e sia rispettata: manchiamo alla nostra missione, e questo equivale ad un suicidio. Troppo spesso il gregge è stato abbandonato a se stesso quando la situazione era urgente e difficile."

IL CORAGGIO
La situazione dei negri sudafricani, quale si presentava a Luthuli, sembrava senza via di uscita. Ma egli ebbe netta la visione di ciò che doveva fare per dare al suo popolo la liberta (dove non riusciva ad imporsi il diritto o la forza, avrebbe potuto supplire il coraggio): l'arma della resistenza nonviolenta ideata da Gandhi, la quale aveva bisogno soltanto di una cosa: il coraggio. Perchè ciò che rendeva schiavi milioni dì uomini non era tanto 1'oppressione bianca, quanto la condiscendenza negra.
Luthuli se ne avvide e denunciò la cosa: se i bianchi dominavano era perchè i negri lasciavano fare! Divisi tra loro, con i capi corrotti dal denaro dei bianchi, non riuscivano ad avere una coscienza di popolo.
Per cambiare le cose bastava disobbedire: astenersi dal lavoro, rifiutare le ingiuste imposizioni, violare le leggi. La scelta nonviolenta è l'unica via che dia davvero la liberazione perché crea una coscienza e dignità di popolo.
"La nostra lotta è una lotta e non un gioco: noi non possiamo permetterci di lasciarci intimidire da una durezza che andrà crescendo prima che il combattimento abbia termine. Non arriveremo a conquistare la nostra libertà se non a costo di grandi sofferenze, che dobbiamo prepararci ad affrontare. Molto sangue africano è già stato sparso, e certo molto altro ancora lo sarà. Noi non vogliamo il sangue dell'uomo bianco; quanto a noi non dovremo nutrire illusioni sul prezzo che esigerà in sangue africano prima che ci siano riconosciuti i diritti di cittadinanza nella nostra terra".

CAPO TRIBÙ
Nel 1936 fu eletto capo tribù del suo villaggio di Grountville (5.000 persone). Iniziò con due riforme che dovevano sconvolgere il sistema tribale: ammise le donne all'assemblea della tribù, trasformò il sistema processuale impedendo ogni abuso da parte dei ricchi. La riforma più importante di Luthuli fu nel campo della polizia: creò un corpo di volontari zulù dimostrando in pratica come può funzionare una comunità senza 1'intervento di superiori autorità.
In quel periodo avvenne il boicottaggio della birra, delle istituzioni benefiche: "Noi non vogliamo qualche esercizio elargito con ostentazione dai munifici bianchi a spese nostre. Noi vogliano una parte del Sud Africa, né più né meno."
Furono questi boicottaggi - cui si accompagnavano sempre azioni positive di costruzioni di servizi per gli indigeni che forgiarono gli Zulù, preparandoli alle grandi lotte nonviolente assieme agli altri negri e agli indiani.
Dopo numerose e riuscitissime manifestazioni nel 1950 e 1951 il Congresso iniziò il 26 giugno 1952 una colossale campagna di disobbedienza civile. La lotta trasformò il volto del Sud Africa. Non più negri rassegnati alla schiavitù, ma persone coscienti che sapevano lottare per una meta finora ritenuta assurda: la parificazione con i bianchi.

Luthuli venne subito mandato al confino. Alla terribile legge sull'educazione Bantu (1954) i negri risposero disertando le scuole. Nel 1955 fu promulgata la "carta della libertà" in cui sono enunciati lucidamente tutti i punti per i quali gli oppressi si battono. La Carta della libertà provocò a Luthuli e a
molti altri un lungo processo per alto tradimento (1955-1961) e il carcere a varie riprese.
Nel 1957 centomila lavoratori di Alexandra boicottarono gli autobus compiendo a piedi le decine di km. che li separavano dal lavoro. Il 15 marzo 1959 - subito dopo la conferenza panafricana di Accra - il Congresso ebbe l'audacia di celebrare il giorno dell'Africa. Da allora Luthuli conobbe soltanto il confino, ma i negri venivano a trovarlo a migliaia, percorrendo a piedi centinaia di chilometri.
Luthuli sapeva che dall'odio non può nascere un mondo nuovo. Non si può sperare la libertà altro che dall'amore. "Giudico che una resistenza di carattere prettamente razziale sia il corrispondente, errato, di un'oppressione prettamente razziale".
Alla sua morte i negri accorsero a decine di migliaia a salutarlo un'ultima volta, dopo aver attraversato numerose regioni; a salutare il valoroso nelle battaglie, il creatore di un'epopea che aveva visto protagonisti gli umili, i negri per la prima volta nella storia del mondo.
Che cosa poteva contare il carcere o la vita, pur di aver partecipato alla lotta dei poveri?
"Ignoro quello che il futuro mi riserba. Può riserbarmi il carcere, il campo dì concentramento, le sevizie, 1'esilio, persino la morte. Prego soltanto 1'Onnipotente di rafforzare la mia risoluzione in modo che nessuna di queste crudeli possibilità arrivi a distogliermi dalla lotta per il buon nome del nostro amato Paese".
"E' inevitabile, quando ci si adopera per ottenere la libertà, che qualche singolo o qualche famiglia abbia a sostenere il peso della lotta e soffra: la strada che conduce alla liberazione è quella della Croce".
Albert Luthuli ha accolto con coraggio la sua croce per il grande amore della libertà.


don Rolando

(A. Luthuli, "Africa in cammino", SEI
F. Fabbrini, "Albert Luthuli")


Tutto è sempre nulla

E' come camminare lungo una strada: se ne sente a un certo punto tutta la stanchezza ma specialmente la strana impressione, che è quasi sofferenza, che qualcosa è come finito, concluso. Come arrivare sulla cima di una montagna e non rimane che guardare all'intorno, godersi la gioia di essere arrivati fin lassù, ma poi non rimane altro da fare che riprendere la discesa. Qualcosa di lungamente sognato, cercato, sofferto e poi la penosa costatazione che non è tutto. Perchè arrivare è semplicemente porre la condizione por camminare ancora. Ottenere è semplicemente costrìngerci a cercare ancora. Avere qualcosa comporta inevitabilmente lo spendere tutto. Il dare tutto esige necessariamente che questo tutto sia ancora di più..
Una visione cristiana della vita toglie via qualsiasi possibilità di misura. E'di qui, soltanto di qui, che nasce, e ad abbandonarcisi cresce sempre più, quell'inquietudine che sconvolge e agita fin nel profondo, si mangia ogni possibilità di pace e di riposo, fino a spingere sempre sull'orlo al di là del quale comincia l'infinito e si allarga a perdita d'occhio, senza orizzonti.
Gesù, in una Fede chiara e semplice, sgombra di ogni prudenza umana e terrena, in Lui, vuol dire questo spingere sempre al di là, il gettare sempre più avanti i propri motivi, guardare sempre oltre, il bruciare ogni possibilità di qualsiasi misura.
E' l'inquietudine dì un desiderio, che è bisogno vitale, di fare un passo avanti, di muoversi finalmente, di uscire da una passività avvilente e di iniziare a vivere in maniera passabile, perchè fin qui, a pensarci bene, nonostante tutta una storia di chissà quali avventure è tutta una terribile vergogna di nullità, di vigliaccheria.
E' un sentirsi chiamare, nel più profondo dell'anima, nella ragione stessa della propria vita, ad alzarsi e andare, andare non si sa bene dove o a fare che cosa, ma non ha importanza: il rispondere è già il muoversi di dentro, il battere più acceso del cuore, qualcosa che si illumina e una violenza che comincia a prendere irresistibile.
Tutta la presenza del Mistero di Dio fra gli uomini, è raccontata da questa violenza che chiama, che trascina, che porta via.
Da Abramo fino a me, a te, nel destino di innumerevoli donne e uomini, nella storia di popoli e di generazioni.
Subito dopo la creazione è calato nel Mistero dell'umanità questo imperversare di Dio, questo scuotere sempre tutto dalle radici, questo rovesciarsi del Cielo sulla terra in un diluvio incessante di sopraffazione.
Ne portiamo tutti qualcosa di questa violenza di Dio, nella nostra vita. Chi non ha avvertito e sofferto questa dolce onnipotenza (a volte la giudichiamo letteralmente prepotenza e ci ribelliamo) non sa cosa è la vita, la forza universale che ci percorre dentro, il mistero di un infinito che ci vuole travolgere, Dio chiuso dentro il povero guscio di un esistere umano.
Il peccato più grosso (perchè è respingere Dio dal nostro di dentro o perchè è ridurre Dio come fuoco che non brucia o a luce che non illumina, un'onnipotenza buona a nulla) il peccato più grosso è costruire la pace secondo i nostri criteri e le nostre misure e cullarcisi beatamente. La pace come ordine e 1'ordine tutto al suo posto. Cominciando a mettere anche Dio al suo posto...
Gesù è venuto a rompere tutto questo ordinamento, a mettere tutto sotto sopra e anche tutto contro tutto, perchè in questo agitarci e cercare, appassionato e impossibile a placarsi sgorghi dall'anima e dalla vita la voglia di Lui, come 1'acqua dalla roccia spaccata.
Vorrei tanto raccogliere con Amore e adorazione questa inquietudine. E che nessuno mi dicesse parole di pace. Ma che anche le pietre mi spingessero e costringessero. Come un filo d'erba e le stelle del cielo. E ogni uomo e donna. E ogni momento di vita che mi viene concesso.
Ma specialmente vorrei che 1'Amore a Gesù Cristo mi costringesse ad accogliere la sua violenza, la sua forza di rottura, la sua potenza di libertà e di verità, il suo essere portato totalmente dallo Spirito. Anche se questo essere portato dallo Spirito si concludesse sulla Croce.
Perchè diversamente non so cosa voglia dire essere cristiano.


don Sirio

La nostra scelta

E' difficile esprimere a parole i motivi profondi che muovono la vita e impongono le scelte decisive: soprattutto quando si tratta dei motivi di Dio, che non sono confrontabili sul piano delle misure e delle ragioni umane. Sono appunto questi motivi e solo questi che hanno guidato il nostro cammino sacerdotale e ci hanno condotto qui nella Comunità di S. Maria: siamo venuti unicamente a seguito del maturare e del crescere in noi delle urgenze del Vangelo, dei Valori di Gesù Cristo, delle esigenze del suo Regno.
Ci è parso ancora una volta di udire la voce dell'Unico Maestro e Signore che ci spingeva sulla strada, chiedeva nuovi impegni di offerta e di immersione nella vita, per testimoniare e realizzare la Sua Presenza nel tessuto dell'esistenza della storia umana.
Abbiamo lasciato i campi, la casa, la piccola famiglia parrocchiale in cui abbiamo vissuto per due anni la fede e il sacerdozio, gli amici che si erano stretti intorno a noi e ci siamo incamminati nuovamente. Non è stato facile mettersi ancora una volta in cammino, interrompere dei legami e degli affetti, accettare la condizione di chi deve continuamente ricominciare da capo: tutto si è svolto come per miracolo, sospinto certamente dall'Amore di Dio, portato avanti giorno per giorno dal soffio del suo Spirito, frutto della bontà del Padre che sa Lui come guidare i suoi figli.
Se siamo qui non è certamente per motivi nostri personali, ma in forza della logica misteriosa della "Carità di Cristo" che preme ed urge nell'anima e conduce su strade che a volte sembrerebbe impossibile poter percorrere.
Il nostro essere insieme, perciò, significa dono grandissimo di Dio e di conseguenza responsabilità e impegno assoluti.
Sappiamo con chiara certezza di Fede che Dio ci ha condotti fin qui non per salvare la nostra vita, ma per perderla: non per acquietarci nella sazietà di ciò che ci è stato dato, ma per bruciare le nostre vite nell'inquietudine di un Amore mai stanco di donarsi e di spendersi.
Siamo qui per amore alla Chiesa: vorremmo essere davanti a Dio e agli uomini immagine di lei, esistenze umane così tanto offerte e disponibili all'Amore da poter generare la Presenza di Gesù Cristo nel mondo.
Sentiamo pesarci sul cuore l'enorme responsabilità di poter dire con franchezza a chiunque ci chieda cos'è la Chiesa di Cristo: "venite e vedete". Vorremmo essere questo spazio sacro - abitato unicamente da Dio - dove gli uomini possano scoprire la loro origine e il loro destino.
E siamo qui per amore al mondo operaio: è un amore di "predilezione" che non esclude nessuno, che non significa una scelta di "classe", ma unicamente la volontà di assumere nel nostro sacerdozio la condizione della vita operaia per inserirla, attraverso la nostra vita, nel Mistero di Cristo.
Vorremmo essere davanti a Dio i "rappresentanti" dei nostri fratelli, perchè siamo di loro, apparteniamo a loro per la nostra situazione umana, così come apparteniamo a Dio per la realtà del nostro sacerdozio.
Vorremmo perciò poter essere davanti a loro i messaggeri che preparano la via al Signore, gli amici che dispongono tutto per l'arrivo dello Sposo e sono felici di "diminuire perchè Lui cresca".
Vorremmo essere solo una voce che grida nel deserto della vita operaia, nella povertà, nella stanchezza, nella debolezza, nelle delusioni e nelle lotte dei nostri fratelli e annuncia il messaggio della liberazione e della Salvezza.
Vorremmo essere una condanna vivente per tutto ciò che appartiene al regno del denaro e indicazione concreta di ciò che significano le Beatitudini di Gesù.
Questa è la nostra scelta, o meglio la scelta di Dio in noi: sappiamo che l'impegno è serio e la responsabilità gravissima.
Speriamo solo che Dio ci conceda la grazia di mettere mano all'aratro e di non voltarci più indietro.


I due don Beppe

Desiderio di Avvento

A volte è tanta fatica offrirsi alla vita senza difendersene, e lasciar cadere tutto ciò che di istintivo è in noi, tentando di non determinare gli eventi, di non darvi un'impronta che segni almeno un poco il nostro passare - di essere solo costruiti.
Mi viene a volte in mente che il mio è uno strano amore alla vita (e vita per me è sempre Dio che si manifesta nelle cose). Perchè vi obbedisco, la seguo, la amo, non me ne difendo, nemmeno la sofferenza e il senso del nulla riescono a farmene stancare - eppure la considero cosa difficile, pesante, una fatica alla quale sottomettersi.
E' il peso dell'incarnazione, il limite dell'incarnazione - la necessità di scegliere un luogo e un tempo, il particolare attraverso il quale necessariamente esprimersi, il troppo poco di noi per che ti domanda amore, la sensazione umiliante di dare pietre ai figli che ti domandano del pane, il timore di frenare invece di accendere.
Eppure per Dio quale amore senza fine è stato 1'incarnarsi, questo donarsi mai stanco, diffuso fino ai confini del mondo, questa creatura nuova nella quale era tutt'uno l'uomo e Dio, questa capacità di rendere il tempo eternità perchè il presente era esaurito nell'amore. L'incarnazione era il luogo in cui l'amore prendeva vita e si esprimeva.
Che nostalgia di quel sapersi donare, di una verginità che assumeva il particolare solo perchè era il mondo intero, quando gli uomini incontrati e il creato veduto non erano segno di altre realtà, ma così amati da essere costretti a svelare la loro origine, la Somiglianza antichissima impressa in loro da sempre.
Il saper guardare il mondo con occhi verginali senza nulla respingere, senza venirne schiacciati ed oppressi, entrandovi dentro in pura libertà d'amore... e permettergli di essere Dio mentre noi solo creature, noi incerti Lui sicuri, noi incapaci, lui pienezza, noi impotenti, Lui roccia, Lui pietra angolare, Lui luce, cibo e fuoco e respiro infinito e totalità di esistenza e unione di cielo e di terra, come la linea sottile dell'orizzonte, punto di incontro, novità di vita.
Cosa importa tutto il resto, e cosa la monotonia dei giorni se sono abitati da Dio, cosa la sofferenza se ci spinge a più amore, cosa l'agonia del nostro essere che si ribella e non vuole morire, se Lui viene da padrone e rompe gli indugi e ci conquista dal più profondo.
Dobbiamo offrirci perchè qualcuno nel mondo ami questa vita così com'è povera, frantumata, stancante, eppure redenta, unificata, riscattata e si abbandoni all'andar del tempo, e offra amore senza fine, perchè altri trovino la via, il coraggio, la forza.
E' il nostro avvento, il desiderio di metterci con Lui sulla strada, di aspettarlo per tutti, consapevoli che Lui solo ha parole di vita eterna.
E' sul suo esempio che il nostro avvento vuol dire entrare nella vita per essere unicamente amore.


Maria Grazia

Epifania

"Dov'è il nato re dei Giudei?".
Ci sono dei momenti nella nostra storia personale in cui la domanda dei Magi diventa la nostra domanda, quasi un'implorazione che ci nasce dal cuore, un grido che esige risposta.
E crediamo di aver diritto a sapere; non chiediamo la condiscendenza o l'elemosina di chi sa, ma gli urliamo in faccia: dov'è?
Di Lui che ci ha fatto intraprendere un lungo viaggio, abbiamo perso ogni traccia, eppure in un giorno non tanto lontano la Sua luce vivissima, la sua stella aveva brillato per noi in tutta la sua inconfondibile lucentezza, con tutto il suo abbagliante splendore.
Abbiamo visto la sua luce, la sua stella e dietro di essa ci siano incamminati fiduciosi; avevamo un segno sicuro per riconoscere la sua casa, il luogo dove era nato, lì dove si sarebbe fermata la luce avremmo trovato Lui, perchè Lui è l'origine, la fonte di ogni luce.
E così dietro la luce siano arrivati alla città santa, ci siano fermati un attimo, come per riprendere fiato, sicuri di essere ormai alla fine del viaggio, e lì nella città santa abbiano trovato uno sfolgorare strano di lanterne che ci hanno confuso.
E città santa è tutto quello che gli uomini hanno costruito chiamandolo valore, una quantità di piccole luci che possono confondere gli occhi, grandi sovrastrutture, indorature strane, che nascondono la vera luce, grandi paraventi dietro i quali c'è solo un gran buio. Troppo spesso gli uomini chiamano tutto questo: religione
Tutto quel luccichio (ne sono immagine le strade piene di addobbi per un Natale diventato Festa dei consumi) tutto un insieme di cose ci ha frastornato e ci è sembrato giusto fermarci per cercare fra tante luci anche la Luce che ci aveva fatto uscire dalla nostra casa, che ci aveva spinto a un viaggio tanto lungo.
Dio non può essere lontano da questo sfavillar di lanterne, il Padrone del Creato non può non essere fra lo splendore, le ricchezze, tutta la potenza e la grandezza della città santa, degli uomini. Dove c'è un po' di luce ci deve essere Dio, ci siamo detti..
Ma la nostra ricerca baldanzosa, sicura, diventata quasi scontata, è rimasta infruttuosa, sterile.
E allora? Allora ecco che ci rivolgiamo a quelli che devono sapere, quelli che hanno in mano i Libri che parlano di Lui, quelli che sono i custodi della Sua Parola, e poi anche agli altri, chiunque altro abbia la pazienza di ascoltarci.
Dov'è il nato re dei Giudei? Diteci dov'è che possiamo adorarlo? Ma la risposta che ci viene dal Vangelo è sconcertante.
Il re dei Giudei,il padrone della luce, il figlio di Dio non è nella città santa, non è tra la luce e i bagliori, non è nelle strade illuminate, non è nelle chiese piene di splendore, non è nelle case ricche ben sistemate.
Lui abita in una povera capanna, è lì dove c'è tanta fame, tanta da morirne, è dove si soffre per la guerra o per le malattie.
Per trovarlo e adorarlo bisogna rinunciare alle lanterne, alle piccole luci sfavillanti, cercarlo nel buio della povertà là dove solo può risplendere la Sua Luce, la Sua Stella.
E allora il cammino riprende, con un po' meno di entusiasmo forse, ma con maggior decisione, con una volontà più ferma.
E' la strada che conduce a Betlemme quella che dobbiamo percorrere anche se oggi Betlemme ha un altro nome, un nome che è quello di una qualunque periferia di grande città, quello di paesi interi stretti sotto l'incubo della fame o semplicemente il nome di casa nostra, il nome dei nostri vicini, il nome di una fabbrica o una miniera dove si lavora in condizioni disumane, o il none di un carcere in cui ingiustamente sono detenuti uomini che hanno il solo torto di aver lottato e continuare a lottare per la giustizia.
La risposta alla nostra domanda non può che arrivarci da questa strada perchè "tu Betlemme terra di Giuda".
Solo lì può avvenire che si manifesti a noi ogni giorno il nato re dei Giudei.
Solo lì dopo esserci prostrati e averlo adorato, troveremo il coraggio di offrirgli i nostri poveri doni, quell'oro, quell'incenso e quella mirra, tutte quelle cose che credevamo belle, finché eravamo in viaggio e che ora di fronte alla semplicità e povertà di Lui, hanno valore solo in quanto dono preparato
con tanto amore.


Mirella

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