POPOLO DI DIO: PdD anno 2° ottobre 1969

idee e esperienze della Comunità Parrocchiale di S. Maria

La Chiesa motivo d'ateismo

L'altra sera ci parlava un giovane francescano che sta facendo una dura vita di lavoro in una azienda di sistemazioni idrauliche.
Parlava in modo chiaro e limpido, raccontando la sua esperienza di rapporti umani e religiosi nel suo ambiente di lavoro. Senza ombra di polemica, anche se con immensa angoscia.
E' bellissimo questo affrontare i terribili problemi del mistero della Chiesa nel mondo, con cuore sgombro da ogni risentimento e sempre più puro per la purificazione della sofferenza e per la violenza di Amore. E' un miracolo che sta avvenendo nel nostro tempo che viene giudicato il tempo della contestazione amara e acida e che invece è così meravigliosamente tempo di Amore vero e cioè chiaro, aperto, appassionato.
Sarebbe gran cosa se i Vescovi accogliessero questo Amore e si decidessero ad ascoltarne le parole che somigliano tanto alla Parola, quella che, grazie a Dio, viene pronunciata dallo Spirito in ogni tempo, e in modo particolare nel nostro. Diversamente, ascoltando cioè soltanto "i collaboratori", i segretari, i teologi, gli esperti, ecc. (i complicatori di professione del "sì, sì e no, no") troveranno le parole (Dio mio, quante!) della scienza, della competenza, della saggezza, della cultura, ma forse mancheranno della Parola, quella che viene pronunciata e proclamata ogni volta che "il Verbo di Dio si fa carne e viene ad abitare fra gli uomini".
Ugualmente in ogni parrocchia e forse tanto più per l'immediato e quotidiano contatto così estremamente possibile, bastando solo aprire la porta e spalancare la finestra, fra il sacerdote e il popolo delle case, della strada, del lavoro, della scuola.
Si ha tanto l'impressione (ma è constatazione, ad essere sinceri) di una ostinata e assurda respinta all'ascolto della Parola che viene - e tanto timidamente e rispettosamente - sussurrata dall'anima del popolo, della povera gente, balbettata - e così tanto a fatica - da chi è senza cultura, da chi non sa parlare. Da chi è sempre eternamente oggetto di fiumane di parole e soffocato fino alla nausea dalle diarree verbose degli uomini di cultura, senza che mai gli sia concessa, almeno una volta tanto, la Parola.
E' questa ancora una pesante ingiustizia del nostro tempo, sia culturale che politico. E' un disamore e un orgoglio e cuore chiuso della Chiesa cosiddetta del Vaticano secondo, che, va a finire, in concreto, è uguale del Vaticano primo, cioè quella di sempre.
Un cambiamento radicale da fare e decisivo è quello di rivedere - almeno - il monopolio della Parola perché dovrebbe essere venuto il tempo che la Parola, perché possa essere libera comunione e cioè Chiesa, non debba più essere genere di contrabbando.
Dunque quel nostro amico e fratello ci raccontava e, senza avvedersene, ci raccontava cose terribili. Conosciute, esperimentate, sofferte infinite volte anche da noi, ma sempre cose nuove, come succede per piaghe vecchie che si riaprono.
Con precisione, fatta di esperienza quotidiana, di minuto in minuto, di vita a gomito a gomito e cioè quando la sincerità è tutta scoperta e viene fuori la verità nascosta anche negli angolini più segreti e ricoperti dell'anima (solo il prete operaio può arrivare a questa esperienza di sincerità assoluta con i compagni di lavoro), raccontava che nel gruppo dove lui lavorava, otto su dieci erano atei dichiarati e convinti, uno ateo nella vita pratica, uno con qualche sensibilità religiosa (ma, diceva, sarebbe stato meglio che fossero atei anche quelli). Può darsi che questa statistica non faccia impressione, perché si sa come è il mondo operaio, una gran massa di ignoranza, di materialismo, di marxismo, di diavolerie varie, e conviene non occuparsene nemmeno. Mentre forse impressiona di più quando nella cifra delle elemosine in chiesa, la domenica, nelle fedeli e puntualissime statistiche che sono i registri cassa, si manifesta un certo calo, indice evidente di un rilassamento di fervore religioso. E non sappiamo bene nemmeno se impressiona, e tanto meno se in qualche modo sgomenta fino alla disperazione (che qui sarebbe sacrosanta disperazione), quello che il nostro fratello operaio raccontava. Che l'argomentazione più seria e convincente per il loro ateismo, gli operai la trovavano nella Chiesa. Nella storia della Chiesa che conoscono seriamente. Nella Chiesa nella sua realtà attuale. Nel contrasto fra la Chiesa e il Cristianesimo. Nella potenza politica, economica. Nel privilegio del clero. Nella assurdità del come si presenta la religione nel nostro tempo. Nell'ecclesiasticismo e nel clericalismo così scoperto e così esclusivista, monopolizzante della religione. Nella Chiesa che rende assurdità storica l'essere religiosi. Nella Chiesa che mentre vuole essere affermazione di Dio, è invece, così come si presenta e è, un dimostrare che un Dio fatto così è impossibile che possa esistere...

Vengono in mente i libri della "morte di Dio", i teologi, i filosofi, gli studiosi dei cataclismi religiosi.
Sono i frutti di propagande abili e astute. E' questo mondaccio laico e laicizzante. Ecco a che cosa portano gli edonismi del mondo moderno. E' tutto un problema di una stampa pornografica e blasfema. Sono le conseguenze drammatiche di una crassa ignoranza religiosa a seguito di una mancata, appropriata catechetica.
Si tratta anche di un problema (e mentre si dice questo si guarda di qua e di là perché nessuno senta) di mancanza, di vuoto d'autorità. E' un liberismo eccessivo che dà i suoi frutti: abbiamo seminato vento anche politicamente in questi decenni del dopoguerra, ora raccogliamo tempesta.
E in raduni di aggiornamento pastorale, in consessi di studio per la disamina dei problemi religiosi attuali, nelle innumerevoli commissioni specificate per l'approfondimento di qualsiasi problematica religiosa e pastorale fino alle commissioni episcopali e alle conferenze nazionali dei Vescovi ecc., chi ne dice una e chi un'altra, chi spiega e giustifica in un modo e chi in un altro, questo atteggiamento, o meglio ancora, questo rapporto, fra non un gruppo di operai, ma la classe operaia, il mondo della cultura e tanto più quello studentesco e giovanile ecc., e la Chiesa: ma nessuno, almeno con confessione pubblica e con un "mea culpa" visibile, dice che può anche darsi che in quella argomentazione d'ateismo di quel gruppetto di operai - riflesso di tutto un mondo ateo o ateista - ci sia molto di verità. E che cioè la Chiesa, per tutto un insieme disgraziatissimo di cose (antiche e attuali), anche se evidentemente senza cattiva volontà di nessuno, possa risultare argomentazione e riprova di ateismo.
Una terribile apologetica a rovescio. Nemmeno una luce che si è spenta, ma qualcosa che fa buio. Non si tratta più di una trasparenza velata, nebbiosa, opaca ma di un muro, di una montagna insuperabile, di un ostacolo che costringe a rinunciare. Non di qualcosa che non avvicina, che non converge, ma che allontana, diverge, come di violenze centrifughe che spingono lontano.
La testimonianza all'opposto. L'indicazione che manda da un'altra parte. Un messaggio che allontana. Una verità che inganna. Un Amore che tradisce..
E' l'ora in cui è urgente e dovere di fondo per la Chiesa prendere sul serio quella pagina del Vangelo che parla di troncare anche un piede o una mano e strappare perfino un occhio, pur di evitare lo scandalo.
Diversamente, la macina del mulino sarà legata al collo e tutto sarà gettato nel profondo del mare.
Perché di scandalo si tratta quando non si è, come si dovrebbe, motivo di bene, di verità e cioè di Dio, ma argomentazione invece che si risolve a danno di Lui.
Può darsi che questo ragionare sia giudicato eccessivo, estremista, pessimistico.
Può anche darsi però che un prendere alla buona certa spaventosa responsabilità davanti a Dio e agli uomini, possa anche essere ottima pigrizia giustificata con la fedeltà alla tradizioni, pacifismo sciocco scambiato per saggezza, mentalità ottimistiche fatto di vuoti di coscienza. Può anche darsi che sia a seguito di un parlare soltanto col sagrestano, i tre o quattro uomini cattolici in pensione, le buone donne che vengono a spazzare la chiesa.. O con il commendatore e il cavaliere. La buona famiglia borghese. La madre superiora delle suore ecc.
Ma forse le opinioni cambierebbero se i Vescovi e i preti uscissero per la strada, senza troppe insegne e segretari i primi, e nemmeno quel pezzo di colletto i secondi, a parlare con chiunque si incontra. Gettar là il discorso di Dio in un bar affollato di uomini. Davanti ai cancelli di uno stabilimento. Nelle lunghe file agli sportelli delle Mutue e nelle stanze d'attesa degli infortuni. Dovunque si affolla e si ammassa il terribile problema del vivere di ogni giorno. Si ammucchia la stanchezza dell'oggi e l'angoscia del domani. E cresce la marea del risentimento e dell'odio, anche se impotente e rassegnato in sopportazioni e pazienze senza fine.
A gettar là il discorso di Dio, esperimenterebbero - e con sofferenza infinita - come immediatamente viene fuori il problema della Chiesa e della Chiesa papa, cardinali, vaticano, vescovi, preti, frati, suore. E quanto diventa impossibile sostenere il discorso di Dio, di Gesù Cristo..
Fenomeno spiegabile, lo sappiamo bene (e per molto tempo vi abbiamo creduto a queste spiegazioni e vi ci siamo aggrappati più o meno disperatamente, come arrampicarsi sugli specchi) spiegabile per la cultura raffinata, per 1'apologetica a botta e risposta, come i battibecchi sulle piazze di miserabile memoria, per il tomistico mai concedere, più che si può negare e distinguere sempre...
E va bene, mettetevi pure l'anima in pace, quanto volete, noi ci soffriamo su con amarezze indicibili. E non vogliamo farci coraggio con acquietamenti fatti di compromessi di coscienza.
Non andiamo in crisi di Fede o di Sacerdozio perché la Chiesa è questa enorme e quasi insuperabile difficoltà, fra gli uomini e Dio. Nemmeno per ombra. Soltanto non ci arrendiamo ad adattarci ad una Chiesa che sia difficoltà alla Fede.
E intendiamo lottare con tutte le nostre forze perché prima di tutto noi, per tutto quello che noi siamo Chiesa, e poi perché tutta la Chiesa, sempre più diventiamo e siamo argomentazione di Dio e testimonianza positiva, indicativa e cioè evangelica di Cristo. Una Chiesa che faccia luce e non buio nel Mistero di Dio, davanti ad ogni uomo e fino ai confini della terra.
E' una montagna da gettare in mare. E ci viene in mente una montagna di rifiuti vista una volta alla periferia di una grande città.

E' terribile pena dover riconoscere di non avere la Fede quanto un granello, di senapa, perché si direbbe a questa montagna, gettati in mare, e lo farebbe.
Una volta un santo ordinò ad una montagna di gettarsi in mare per lasciare il posto libero ad una Chiesa da costruire.

La Comunità

Nel cuore del mondo

La storia degli uomini, quale la impariamo sui libri di scuola o come la immaginiamo leggendo la cronaca dei giornali, ci appare sempre più come un doloroso intrecciarsi di egoismi, di interessi personali, di lotte sanguinose per il trionfo, l'esaltazione del diritto del proprio io; sia pure un io allargato oltre i limiti dell'individuo, fino alla realtà di famiglia, popolo, razza o nazione. Groviglio inestricabile di possessi che non indietreggiano di fronte all'oppressione dell'altro. Un andar dietro a quell'istinto che si appaga solo quando può dire: questo è mio; e per quel mio è capace di sacrifici e di abnegazioni tanto grandi da ingannare e dare l'apparenza della generosità e dell'altruismo.
Eppure tutta questa realtà tanto miserabile, non è che un aspetto della realtà umana, un po' di zizzania che non riesce a soffocare, anche se a volte lo nasconde alla nostra vista, il grano buono, quel grano seminato a piene mani da Dio in un campo diventato, per sempre, terra buona perchè frutto della redenzione. Allora non possiamo più guardare alla storia, alla realtà umana, con angoscia e pessimismo; possiamo vivere con la fiducia che l'uomo è capace di vivere nella purezza, nella generosità e nell'amore, così come Dio lo aveva segnato all'inizio della creazione.
E così il rapporto fra gli uomini, quel rapporto che trova la sua massima espressione nel rapporto uomo-donna è nella sua radice stessa un rapporto in cui splende la purezza dell'amore, un uscire da se per dare all'altro il primo posto, un ignorare ogni ripiegamento e ogni istinto possessivo.
"Donna, ecco tuo figlio" con questa frase, parola del Verbo di Dio e quindi parola che ha potenza creatrice e che vivifica e realizza ciò che esprime, Gesù in Maria restituisce la donna, ogni donna, al suo essere madre, accoglienza, dono, capacità immensa di ricevere per essere solo mistero di vita che continua e si rinnova. La Madre dei viventi, perchè generati a vera vita dal sangue di quell'Unico Figlio, che è Dio e che è il solo uomo capace di rendere madre la Vergine, la creatura che non conosce e non conoscerà uomo. Da allora e per sempre donna vuol dire madre, e ogni donna lo è nella misura in cui è accoglienza di quell'unico Figlio, in un mistero senza fine di maternità e di amore, e in quel generare di una generazione misteriosa, non secondo la carne, ma autentica e reale, il Figlio di Dio, ogni donna diventa la madre di tutti gli uomini.
"Ecco tua madre", l'indicazione di Gesù vale per ogni uomo. In Giovanni tutti hanno accettato di prendere con sé come propria madre, la Madre di Dio, e ogni uomo che vuol essere il discepolo amato da Gesù deve guardare a ogni donna come la Madre di Lui.
Questo è il nuovo rapporto uomo - donna quale nato dalla redenzione di Cristo.
Questa è la realtà per chi vive, anticipazione del Regno di Dio, una realtà in cui non esiste né maschio né femmina.
E nell'amore umile, rispettoso eppure tanto concreto di ogni uomo di Dio per la donna, si compie il Mistero della creazione, quel Mistero che sulla Croce Gesù ha riportato alla sua purezza, alla sua luce e alla bellezza del suo essere sogno di Dio, così tanto amato da Lui, fino al punto di essere immagine stessa dell'Amore che è Dio.
Sempre più mi capita di pensare a questa realtà così vera, così concreta anche se illuminata solo dalla Fede. Soprattutto quando sento in me il peso di questo allargare il mio cuore a una nuova maternità, perchè un altro uomo, una creatura di Dio, un discepolo da Lui amato possa prenderli con se e amarli come madre, prendendo come ogni figlio la vita da me.
Come per Maria accettare tutti gli uomini come figli significa rinunciare ad avere come Unico figlio colui che si vorrebbe avere fra le braccia e poi stringerle perchè gli si possa ripetere senza stanchezza: "Tu sei il mio figlio" tu solo perchè ti ho generato, perchè ho amato te che sei il Figlio di Dio che solo amo, che ho amato fino a sentirti crescere nella mia anima, ti ho dato tutta me stessa perchè tu potessi nutrirti del mio cuore e per vederti nascere nell'anima di tutti. Per questo posso dire di esserti madre. Anche per me la verginità si è aperta a una generazione, opera della grandezza di Dio. Tu sei mio figlio, perchè nel momento in cui sceglievo Dio come unico motivo della mia esistenza, mi è stato promesso che avrei avuto un figlio da chiamare Gesù.
Ma ora tu mi guardi e mi dici: "ecco tuo Figlio" e mi costringi a levare il mio sguardo dalla Croce su cui offrendoci in modo completo e totale a tutti ti sottrai a me come possesso mio; e vuoi che il mio sguardo si posi con eguale intenso amore su ogni discepolo da te prediletto.
Ogni volta c'è tanta sofferenza, tanta fatica nell'accettare una nuova maternità, un nuovo figlio che viene a prendere il posto lasciato libero dal Figlio tanto amato, ma questo è il solo modo di continuare a essere sua Madre.
E sempre più si sente scomparire il proprio essere, ogni volta una parte di se che si distacca e cresce con prepotenza e con violenza l'essere vita di Dio che si dona agli uomini.
Nulla più mi appartiene, neanche ciò che più mi è vicino, che mi è più intimo, neanche più il mio corpo, che con tutto il suo istinto possessivo, con tutta la sua capacità di essere espressione della mia anima, diventa quasi mio malgrado espressione solo dell'amore di Dio, segno dell'accoglienza di Lui; diventa capacità di generare non secondo la carne, ma secondo lo spirito.

Mirella

Il prezzo della verità: Simone Weil

"Colui che fa sua la verità
acquista la fede" (Vangelo)

"Quando la follia d'amore ha colpito un essere umano, trasforma completamente le modalità dell'azione e del pensiero, l'imparenta con la follia di Dio..
Il criterio delle cose che derivano da Dio, è che esse presentano tutti i caratteri della follia, tranne la perdita della capacità a dichiarare la verità e ad amare la giustizia" è il commento di Simone Weil alle parole di Eschilo "E' bello amare sino a sembrarne pazzi".
Tutta la vita di questa donna meravigliosa si trova racchiusa qui. Questa follia d'amare possiede e determina non soltanto la sua esistenza, ma anche la sua morte. Simone Weil si pone oltre le nostre abituali misure, quindi non è possibile parlare di lei sul piano del nostro quotidiano "vivacchiare" di compromessi nella parola e negli atti.
"Io porto in me - diceva ad un amico - il germe di tutti i crimini o quasi. Quei delitti mi facevano orrore, ma non mi sorprendevano, ne sentivo la possibilità dentro di me e appunto perché sentivo in me questa possibilità mi facevano orrore.
Questa disposizione naturale è dolorosissima e pericolosa, ma come ogni disposizione naturale può servire al bene se si sa farne, l'uso appropriato con l'aiuto della grazia. Essa implica una vocazione, quella di restare in certo modo anonimo, adatto a mescolarsi ogni momento con la pasta della comune umanità".
Per questo suo destino all'anonimato - vocazione di una densità inimitabile che proietta su un'epoca una luce straordinaria - non gli importavano l'energia, le attitudini che erano in lei, ne aveva sempre abbastanza per scomparire: passò tra gli uomini e i diversi ambienti umani confondendosi con loro, prendendo lo stesso "colore". Scompariva tra loro perché si mostrassero realmente e non si travestissero per lei. Simone desiderava conoscerli per amarli tali quali sono: "perché se non li amo tali quali sono, non è loro che amo e il mio amore non è vero".

Consacrata alla verità
S. Weil ha consacrato la sua breve esistenza alla verità senza alcun compromesso: questo può renderla poco socievole, irritante, scomoda. Per noi che ne siamo privi è sempre insopportabile il valore, il gusto di avvilire si trova nell'impossibilità di ammettere lo straordinario. Noi siamo i soliti pipistrelli che si beffano del sole. La Weil ha vissuto senza tregua per tutta l'esistenza e continuato sino alla morte il gusto positivo e costantemente mantenuto del difficile e dell'impegno assoluto nel difficile.

Vergine rossa
Nacque a Parigi il 3 Febbraio 1909. I suoi genitori - il padre era medico - di origine ebraica, l'allevarono in un agnosticismo completo: agnosticismo che non l'ha fatta mai esitare nella scelta dell'atteggiamento cristiano come il solo possibile. "Sono per così dire nata, cresciuta, e sempre rimasta nell'ispirazione cristiana". Anche quando Dio non faceva minimamente parte dei suoi pensieri, la concezione di Simone dei problemi di questo mondo e di questa vita era esplicitamente, rigorosamente cristiana. "Quando io impiego - a proposito della mia infanzia - le parole di vocazione, obbedienza, spirito di povertà, purezza, accettazione, amore del prossimo e altre parole simili, lo faccio rigorosamente col significato che esse hanno per me in questo momento". Allieva del Liceo "Henri IV" dal 1925 al 1928, seguì i corsi di Alain che doveva esercitare sul suo pensiero una fortissima influenza. I compagni l'osservavano con una certa inquietudine. Questa ragazza che li supera e può trattare tutti gli argomenti con pertinenza, sembra loro quasi anormale; la fermezza dei suoi giudizi, la sua violenza nell'esprimerli rendono le discussioni difficili. Invece di distrarsi all'uscita dalle lezioni e di comportarsi come una ragazza di vent'anni, Simone Weil, ardente ricercatrice di idee, è sempre travagliata da qualche problema. Alla Scuola Normale e alla Sorbona nei corridoi tutti la evitavano per l'abitudine che aveva di far firmare petizioni o in favore degli anarchici Sacco e Vanzetti o per contribuire al fondo degli operai metallurgici in sciopero. Non aveva timore di presentarsi per richieste di tal genere al direttore stesso della scuola: militante per professione era soprannominata la "vergine rossa".

Insegnante e sindacalista anarchica
Laureata in filosofia dal 1531 al 1934 insegnò in diversi licei in città di provincia: la scuola non le impedisce d'interessarsi e di partecipare, rischiando di persona, alla sofferenza, alla miseria, alla disoccupazione della vita operaia.
La conoscenza storica dello sfruttamento capitalistico e della condizione operaia non la soddisfaceva. Al Sindacato minatori entrò in contatto con uomini onesti, disinteressati, fieri della loro coscienza di classe: uomini avvezzi a duri scontri con l'esistenza, alcuni dei quali erano stati nei "battaglioni disciplinari", (dove maggiore era il pericolo di lasciarci la pelle). Simone cercò di vivere fra loro. Non era facile. Non la dimenticarono. Uno di costoro, uomo semplice, le conservava un affetto fedele, un altro alla notizia della sua morte così espresse il suo dispiacere "Non poteva campare, era troppo istruita e non mangiava".
In quel tempo partecipò al gruppo di studi di Saint Etienne, non solo, ma l'aiutò a vivere impiegando nell'acquisto dei libri il suo premio di concorso. Rafforzò la cassa di solidarietà dei minatori perché aveva deciso di vivere con cinque franchi al giorno, il sussidio di disoccupazione per la regione del Puy. Al Puy si unì ad una delegazione di disoccupati; il che le valse una bella campagna di stampa e molte noie con la sua amministrazione. In un articolo del 1933 su "Rivoluzione proletaria" Simone esprime la sua idea precisa sul socialismo: cioè la sovranità economica dei lavoratori e non quella della macchina burocratica e militare dello Stato. Il problema è di sapere che, dato che l'organizzazione del lavoro è quel che è, i lavoratori vanno o no verso questa sovranità. Simone vede spuntare una nuova forma di oppressione "l'oppressione mediante la funzione". Sono forse queste ragioni per abbandonare disperati la lotta? No assolutamente, "una disfatta rischierebbe di annullare per un periodo indefinito tutto quello che fonda per noi il valore di una vita umana e quindi è chiaro che dobbiamo lottare con tutti i mezzi che ci paiono avere una qualsiasi probabilità di essere efficaci". Non era possibile parlare con maggior coraggio. In questo periodo ebbe luogo il suo viaggio in Germania dove i nazisti cominciavano a far parlare di sé e dei loro orribili procedimenti. Per lei era semplice: c'erano uomini che si battevano per difendere la loro libertà e quindi avevano diritto all'aiuto di tutti. Ritornò ferita fino in fondo all'anima per quello che aveva veduto là, coi nervi spezzati al ricordo delle crudeltà subite dai tedeschi antinazisti. Con grande lucidità essa analizzò la situazione tedesca in un articolo del 25 ottobre 1932 ed annunciò la vittoria di Hitler. Purtroppo, aveva avuto ragione.

Il marchio della schiavitù
Sindacalista anarchica, frequentare i minatori, vivere con la paga di un disoccupato, riflettere e scrivere sul movimento operaio non poteva bastare a S. Weil. Quel che pareva essenziale alla sua intelligenza e alla sua sensibilità era di penetrare intimamente i rapporti fra lavoro e lavoratori. Essa pensava di poter giungere a questa conoscenza solo se si fosse fatta essa stessa operaia, e così nel 1943 decise di diventarlo. Si fece assumere alle Officine Renault dove, senza rivelare a nessuno la propria identità, lavorò un anno come fresatrice. Aveva affittato una camera in un quartiere operaio e viveva unicamente col magro salario del suo lavoro. Allora conobbe la fame e la fatica, i rimproveri, l'oppressione del lavoro a catena, l'angoscia della disoccupazione. 1934: la data ha una grande importanza perché mostra Simone Weil agli inizi di una missione che avrà numerosi imitatori, d'altra parte spesso scherniti e incompresi. Per lei questa non fu mai un'esperienza, ma un'incarnazione reale e totale. Il suo diario dall'officina è una testimonianza commovente. La prova superò le sue forze e la sua anima fu come schiacciata da questa conoscenza della sventura. Essa ne serbò il marchio per tutta la vita. Più tardi Simone dirà: "Per avere la forza di contemplare la sventura quando si è sventurati, ci vuole il pane soprannaturale". L'anno passato alla Renault aveva ridotto il corpo e l'anima di Simone a pezzi: quel contatto con la sventura aveva distrutto i suoi venticinque anni! Fino allora non aveva toccato con mano la sventura, salvo la sua personale che "essendo mia, mi sembrava di scarsa importanza". Sapeva che nel mondo c'era la sventura, ne era ossessionata, ma non ne aveva fatto la constatazione con un contatto prolungato. La Weil scrive che "laggiù ho ricevuto, per sempre, il marchio della schiavitù come il marchio che i romani imprimevano col ferro rovente sulla fronte degli schiavi più abietti. Da allora mi sono sempre considerata una schiava.

Incontro con Cristo
In quell'epoca Simone ignorava l'esistenza del mondo soprannaturale e non lo cercava neppure, Dio non le si era manifestato ancora. Tuttavia essa presentiva che la sua anima, dopo avere esperimentato la schiavitù, avrebbe aderito un giorno a Colui che era venuto a liberare gli sventurati. Più tardi dirà "L'estrema grandezza del Cristianesimo viene dal fatto che non cerca un rimedio soprannaturale contro la sofferenza, ma un uso soprannaturale della sofferenza".
Nel luglio e agosto del 1936 è volontaria nelle file dei rossi durante la guerra civile spagnola: si preoccupò di non servirsi mai delle sue armi e fu piuttosto una animatrice che una combattente. Una disgrazia l'obbligò a ritornare in Francia.
Nella Pasqua 1937 Simone è a Assisi: "Mentre ero sola nella piccola cappella romanica di S. Maria degli Angeli, qualcosa che era più grande di me mi ha costretto, per la prima volta in vita mia, a inginocchiarmi". A Solesmes, 1938, durante la settimana santa è entrato in lei per sempre il pensiero della Passione di Cristo. Un giovane fa conoscere a Simone Weil i poeti inglesi del XVII secolo: lei vi impara la poesia "Amare" e ''proprio una volta in cui stavo recitandola", scrive la Weil, "il Cristo stesso è sceso e mi ha preso". Il suo gusto della povertà, il suo amore per gli umili, il suo desiderio di servire gli altri e di condividere i dolori altrui non sono più solitari ma si avvicinano al Cristo crocifisso.

La guerra
Poi venne la guerra. Simone lasciò Parigi soltanto dopo che la città venne dichiarata città aperta. 1940: è a Marsiglia, fa parte della resistenza al nazismo invasore. Senza paura e con amore aiuta gli esiliati, i prigionieri, i sospetti della polizia politica. Nell'agosto-ottobre 1941 soggiorna assai a Saint Marcel e vi lavora come bracciante agricola. Iniziano in Francia le nefande razzie della Gestapo contro gli ebrei. Dopo avere esitato per paura di debolezza e vinta dalle insistenze dei genitori, nel 1942 lascia la Francia e arriva negli Stati Uniti. Subito essa chiede di arruolarsi negli effettivi della resistenza. Partita per Londra nel novembre dello stesso anno vorrebbe essere inviata in Francia come agente segreto o sul fronte dell'est: la sua domanda non è accolta.
Non potendo esporsi ai pericoli che allora pesavano sui francesi, essa volle almeno condividere le loro privazioni e si costrinse rigorosamente a nutrirsi solo della quantità di cibo assegnata in Francia dalle carte annonarie. Un regime simile vinse ben presto la sua salute già vacillante. Rosa dalla fame e dalla tisi, nell'aprile 1943 dovette essere ricoverata in ospedale.
24 agosto 1943: Simone Weil muore.
Nel momento di imbarcarsi - 1942 - considerando l'eventualità di un siluramento, aveva detto come addio ad una amica: "Non credi che il mare sarebbe un bel battistero?". L'amore di Dio e dei fratelli fu il battistero di Simone Weil.


don Rolando

(da: Davy, "Simone Weil". S. Weil, "L'ombra e la Grazia", "L'attesa di Dio", "La condizione operaia".)


Seguire Gesù

Quante volte, non solo col desiderio, e col pensiero, ma anche con l'espressione, lo dico: voglio seguire Gesù! Penso che per seguirlo, non avrò più dove posare il capo, dove potermi fermare.
Ho nel cuore ancora tanto vivo il desiderio del monastero, potermi dare con tutta me stessa all'amore, alla gloria di Dio, senza essere distratta da altre cose.
La risposta che Gesù dà allo scriba, mi fa pensare che forse assieme a questo desiderio di donazione vi sia anche la ricerca della tana o del nido.
Camminare sulla sua orma vuol dire non sapere dove si va a finire, dove e quando ci si potrà riposare, seguire Lui vuol dire non avere nulla alle spalle, essere totalmente allo scoperto, e quindi preciso bersaglio per chi vuol colpire, esposti a tutti i giudizi, a tutte le critiche, con il rischio di inciampare ad ogni ostacolo perché nulla ti aiuta, nulla ti fa da paravento..
Ma Gesù ha percorso questa strada, ce la indica, non ci comanda nulla, ma ci preannuncia i pericoli, le difficoltà, la fatica, il peso.
Lui ha percorso questa strada e l'ha fatta per amore nostro.
Lui è stato bersaglio e motivo di critica, con la sua vita ha sconcertato, ma è andato fino in fondo.
Ha sentito il peso, la nausea, la fatica, ha avuto paura, ma ha continuato.
Ecco cosa dice a chi vuole seguirlo: preparati a camminare senza sapere dove andrai, e quando ti fermerai.
Solo una grande carica di fede, di amore, di speranza potrà permettere di intraprendere questo cammino, questa stupenda avventura!..
Un'altra risposta sconcertante al discepolo che domanda "Signore, prima permetti che vada a seppellire mio padre" (Mt. 8,21 ): "Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti"...
La risposta allo scriba mette in guardia, sembra quasi voglia frenare il desiderio di seguirlo. Al discepolo "ordina" lascia tutto! Anche questo "dovere" (diremo noi) di dare sepoltura a una delle persone più care.. ma Gesù è chiaro "lascia che i morti seppelliscano i morti!".
Lui è la vita!, e quindi solo in Lui troveremo tutta la vita, anche ciò che si lascia.
Quante volte vorremmo che Lui ci desse un po' di tempo per sistemare le nostre cose, per fare magari un'esperienza che ci dovrebbe (secondo noi!) portare più vicino a Lui, anzi che dovrebbe insegnarci a servirlo meglio; intanto lasciamo che Lui cammini senza di noi.
Siamo sicuri di raggiungerlo ancora, siamo certi che Lui ci aspetti, che la nostra esperienza a Lui interessi?
Che il seguire Lui non sia piuttosto vivere ogni attimo della nostra giornata nell'amore e nella donazione più totale con tutta l'attenzione anche alle cose più insignificanti, magari col rischio di sentirci dire che perdiamo tempo, e che sono le cose più grandi, le lotte, le prese di posizione, ecc., che contano.. ma: la santità è fatta di piccole cose ed è una grande cosa.


Domenica

La povertà di Dio

E' impossibile avvicinare il pensiero, ma specialmente l'attenzione interiore, a Dio, e immediatamente non percepire la povertà di Dio. E cioè la solitudine. La semplicità. L'assoluto di Dio.
Dio è unicamente Dio. L'essere Dio nasce da Dio, vive di Dio, si conclude in Dio. La Trinità esprime in maniera perfetta e adorabile questa unicità di Dio e la sua vita che è espressa nelle Tre Persone; non moltiplica Dio, non soltanto, ma chiude la Divinità in una completezza assoluta di totale perfezione.
La povertà è la pura realtà dell'essere che trova la pienezza del suo esistere, e cioè del suo valore, in se stesso e in ciò che è costitutivo di se stesso, nell'esclusione totale di qualsiasi altro componente esterno.
Questa povertà è perfetta in Dio. E è a seguito di questa povertà che Dio, pur essendo Dio, è povero.
E' da questa povertà di Dio che proviene a tutta la ricerca religiosa - cioè ad ogni ricerca di rapporto vero con Dio - l'inevitabilità di un condizionamento alla povertà: ogni fatto religioso, se non altro nel suo concludersi, è fra la nudità del proprio io e l'assoluto di Dio.
Anche qui, come in tutto, Gesù è l'indicazione ideale e concreta, perfetta.
La creazione stessa (che per l'uomo, per il suo istinto di proprietà, diventa realtà di ricchezza) la creazione considerata religiosamente, e cioè in Dio e in rapporto a Lui, è il segno concreto, visibile, della povertà di Dio.
E' realtà di esistenza che nasce dall'onnipotenza di Dio e dalla fecondità del suo Amore, ma rimane oggettivata, staccata dall'essere proprio di Dio.
E' una espansione d'Amore, ma senza ritorno in Dio in quanto Dio. E non riveste Dio di qualcosa, la creazione, non lo modifica, non l'accresce.
Tutto il mutamento è da parte della creazione che tutto riceve e alla quale tutto è offerto. Dio è lo stesso Dio prima e dopo la creazione.
E tutto l'interesse di Dio per la creazione (l'uomo che tutta la riassume e la contiene) che noi attraverso la Rivelazione ben conosciamo, è tutta attività (lavoro, mi verrebbe da dire) compiuta da Dio per l'arricchimento della creazione, non di se stesso.
(continua)

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