POPOLO DI DIO: PdD anno 2° marzo 1969

idee e esperienze della Comunità Parrocchiale di S. Maria

Passione di Cristo e della Chiesa

Ciò che ci turba profondamente fino spesso a toglierci o almeno intorbidarci la gioia d'intravedere un risveglio chiaro e limpidissimo, sicuro di una giornata serena, luminosa di cielo azzurro e di sole stupendo, nel tempo nebbioso e tempestoso della Chiesa della nostra stagione, è l'accorgerci che spesso la novità è novità fino ad un certo punto, che il rinnovamento è soltanto epidermico e che in fondo tutto continua a essere terra terra, di una piatteria impressionante, di una cultura libresca, di un esperimentarismo penoso e in ogni caso di una verbosità senza fine, parolaia fino all'insopportabile.
Lamentandoci di tutta questa angoscia che spesso prende il cuore fino alla soffocazione, in questo momento non intendiamo riferirci ad un tipo di Chiesa fatta di uomini di Chiesa che con tutte le loro riforme fanno venire in mente, ancora una volta (è una orribile storia che sembra proprio che non accenni a diventare soltanto un doloroso ricordo) quelle impressionanti parole di Gesù che bollavano, con tutta una appassionata violenza, gli scribi e i farisei: "Fate ed osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesi gravi e insopportabili e li caricano sulle spalle degli uomini, ma essi non li vogliono muovere nemmeno con un dito" (Mt. 23,3).
C'è una responsabilità terribile che pesa sulle spalle degli Uomini della Chiesa del nostro tempo: che hanno legato insieme un rinnovamento (il Concilio Vaticano II) e hanno deposto tutto il terribile peso di questo rinnovamento sulle spalle degli uomini, ma ancora non è apparso con chiarezza e in modo concreto che loro stiano cercando di smuoverlo, questo rinnovamento, con un dito.
Ma ora vogliamo dire di altre cose. Vogliamo guardarci fra noi, uomini di Chiesa, sacerdoti e cristiani, che abitiamo e ci agitiamo in questa Chiesa periferica, a case popolari, a strade sterrate, a chiese nelle baracche, con una vita alla giornata, mangiati dai problemi della povera gente, della classe operaia, visti con sospetto dai Vescovi, maltrattati dai buoni cattolici e logorati nel frattempo dalla voglia infinita - quella che non perdona come il mal sottile - di sognare la Chiesa come Popolo di Dio, Amore di fratelli, corpo e sangue e divinità di Cristo fra gli uomini.
La Chiesa, è chiaro, non ci aiuta altro che offrendoci possibilità di forme liturgiche un po' meno burocratiche o al massimo tagliando via ciò che il tempo aveva implacabilmente ridicolizzato, ma in fondo continua ad offrire parole, parole, parole.
Non ci incoraggia e tanto meno ci spinge. Tant'è vero che quando non possiamo fare a meno di tentare qualcosa di nuovo - che spesso è soltanto miseramente qualcosa di appena diverso dal logorato dai secoli - non è possibile evitare crisi profonde di coscienza, un sentire di camminare sull'orlo - e sappiamo bene che sarebbe strada maestra - e non rabbrividire per la tentazione di non farcela più a sopportare. E' triste: la paura di non farcela più a sopportare di essere sentiti dalla Chiesa una preoccupazione, un pericolo. E di convincerti sempre più che tutto quello che la Chiesa fa è di spingerti e di costringerti a rientrare nelle file, a rassegnarti ad una buona e onesta sistemazione ecclesiastica e sociale, spirituale ed economica, contenta di vederti un buon professionista ecclesiastico, un burocrate fedele, un saggio e diplomatico obbediente, il tutto perfetto se sacerdote convinto buon celibe scapolone, anche se dalla tavola al sicuro, dalla casa da rispettabile borghese, buon costruttore di opere murarie, aperto e furbo intellettuale, colto di Sacra Scrittura e ferrato nella teologia tradizionale e chiaro discernitore di quella attuale e avvenieristica.
Il giorno in cui gli Uomini di Chiesa di cui è fatta la Chiesa della quale diceva Paolo VI agli operai di Taranto nella notte di Natale, capiranno che una Chiesa fatta così ci aiuta noi poveracci della periferia come lo spegnimoccolo aiuta la candela ad accendersi o i pompieri l'incendio che i tempi (lo Spirito Santo, lo crediamo a cuore aperto) hanno acceso dentro e fuori la Chiesa, allora quello sarà un gran giorno. Il giorno somiglierà di più alla Pentecoste, in cui il Fuoco discese dal Cielo, divampò nel Cenacolo scardinandone la porta e sbattendo sulla piazza, dove l'umanità si raduna, quel gruppetto di uomini sgomenti e paurosi, ma ormai carboni ardenti di Fuoco vivo.
Ma quel giorno è ancora lontano, a quel che sembra. E se pareva che ormai era imminente, come eccolo un giorno, quando l'orizzonte a oriente si indora e si arrossa e schiarisce il buio della notte, a volte ora si ha l'impressione nel cuore, che sia ancora lontano quel giorno, anche se proprio non si allontana sempre di più.
E' tempo ancora di solitudine, di lotta silenziosa, di cuore forte, paziente e fiducioso. Ma specialmente di Fede, soltanto di Fede, ma di Fede che vede Dio nell'universo, che avverte il maestralino dolce e la libecciata violenta dello Spirito Santo nella storia, che vive Gesù Cristo appassionatamente nel cuore dell'umanità. Uomini di Dio come dei fissati nel giocarsi in tutto, fino "a vendere tutto" per il Regno di Dio, come degli spietati per il troppo
Amore nel dono di se stessi, come degli incaponiti nel sì, sì e no, no, fino a pagare di persona come se fosse gioco da ragazzi.
Anche perché se è vero che gli uomini della Chiesa non aiutano e non spingono e costringono ad una uniformità piatta e sistemata, ad una mediocrità di livellamento borghese, il mondo, la gente fra la quale viviamo, dove la nostra fatica si esaurisce, le nostre speranze si allargano,e i nostri sogni si sognano, spesso è terra riarsa, sassosa, fatta di rovi e spine.
Noi poveri preti e cristiani della periferia della Chiesa rischiamo di somigliare - e non è cosa molto allegra -"a quei ragazzi, seduti sulla piazza, di cui racconta Gesù, che gridano: vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato lamenti e non avete pianto".
Non possiamo non provare spesso l'angoscia di gridare nel deserto, di offrire ciò che a nessuno interessa di ricevere, di indicare strade sulle quali a nessuno piace camminare. Un rischio che nessuno vuole correre, una battaglia di una guerra assurda. Una rivoluzione a chi non domanda altro che di essere lasciati in pace.
E' dura allora la vita del guerrigliero, solo col suo coraggio. Del profeta gonfio di Spirito che somiglia tanto alla pazzia. Del sognatore scosso continuamente a pietrate. Del povero preso da tutti a pedate. Con un ritornello, in una canzone cantata ad ogni angolo, che da secoli ci martella negli orecchi: ma chi te lo fa fare?".
C'è una storia di martirio che si ripete, per chi è stato chiamato al Regno dei Cieli e vi vuole essere fedele, ad ogni giorno: quella dei quaranta martiri gettati in pieno inverno, nudi, su un lago ghiacciato e continuamente invitati ai bagni tiepidi, scaldati sulla sponda del lago.
Ma questo è perché c'era stata una storia che raccontava del Figlio di Dio appeso con quattro chiodi ad una croce e un gruppo di gente perbene, rispettabile, tronfia, eppure disastrosa come nessun'altra al mondo, che gli sogghignava: "salvava gli altri.. sfaceva il tempio e lo rifaceva migliore in tre giorni..diceva di essere il Figlio di Dio.." e lo invitava a scendere dalla Croce. A uscire dal lago ghiacciato e avere acqua tiepida e un letto caldo. A non camminare sull'orlo dei precipizi, ma sulle autostrade. A smettere una guerriglia stupida e tentare di persuadere a far domanda per entrare nella polizia. A uscire da una baracca e a costruirsi una bella casa. Insomma a piantarla con l'essere - sempre un crocifisso cioè un povero sciocco e a passare furbescamente fra i crocefissori cioè fra i benpensanti, i sistemati, i prudenti. Quelli che stanno sotto la croce e invitano a scendere giù..
E' tempo di passione, di settimana santa, di racconto di Orto degli Ulivi, di sinedrio di Sommi Sacerdoti, di pretori di Pilati , di Erodi, di croci e di chiodi, di folle passionali o conniventi, di povero gruppo che scappa, di traditori,; di rinnegati , di uno solo che è fedele ( forse perchè era giovane e quindi tutto cuore e nessuna prudenza) e tre o quattro donne, a piangere abbracciate ad una povera Madre.
E' una storia che ancora raccontiamo perchè è vera anche oggi e non soltanto è vera perchè non è stata dimostrata falsa in duemila anni, ma è vera perché essendo storia di Dio fra gli uomini è attuale, di ogni giorno, come tutto ciò che è di Dio.
Ogni tempo deve avere il suo Gesù che storicamente offre le mani e i piedi ai chiodi e alla Croce. La liturgia che rivive - e quanto questo Mistero, più chiaro della luce del giorno, avviene nella Messa - ogni giorno Gesù Cristo passione e morte e risurrezione, non è liturgia di ricordo, di commemorazione, di pietismo più o meno sentimentale, ma è rendere Gesù Cristo presente, dentro, fino a comunicargli tutta la misura di onnipotenza del Suo Sacrificio, fino a farne una realtà sola con Se stesso, nell'uomo o negli uomini o in quella realtà umana che in ogni giorno della storia, offre le mani e ì piedi ai chiodi e alla croce.
Tutto questo è terribile, è vero, ma è così, perchè ciò che di Cristo è, e appartiene alla continuità della Sua storia
e del Suo Mistero nella vita del mondo in ogni tempo, fino al punto che anche le circostanze particolari, in qualche modo si rinnovano nel rinnovarsi incessante di Cristo fra gli uomini.
Non possiamo non raccontare, e vogliamo sia vera narrazione del Mistero dì Cristo nel nostro tempo, di Sinedrio, di Sommi Sacerdoti , di Pilato, di Erode, di folle di moltitudini, di classi sociali e di civiltà ecc. che martellano i chiodi a crocifiggere mani e piedi, senza domandarci di chi sono queste mani e questi piedi.
Chi sono i crocifissi del nostro tempo?
E chi è che nel nostro tempo crocifigge l'eterno Gesù Cristo, figlio di Dio e figlio di Maria?
Se non facciamo questa scoperta e non la riveliamo, l'annuncio del Vangelo è di altri tempi e per altri uomini e la Chiesa è come una morta liturgia sacra quanto si vuole, e ben organizzata, è vuota di vita vivente perchè disincarnata e disincarnante.
Parliamo fra noi, poveracci della periferia perchè qui vi è più grande libertà, e più aperta possibilità che la Fede sia tutto.
E cerchiamo in un forte e serio Amore a Gesù Cristo il coraggio della lotta, non contro qualcuno o qualcosa, ma per qualcosa e, nel nostro caso, per la dolcissima Grazia di Dio, nientemeno che perchè Gesù Cristo del nostro tempo continui ad affrontare la sua passione, a dare mani e piedi alla Croce a morirvi perchè "tutto è compiuto".
Sono le uniche premesse che segnano, lo sappiamo bene e lo crediamo fermamente, la sicurezza della Resurrezione per noi, per la Chiesa, per tutto il Popolo di Dio.
Su noi poveri della periferia della Chiesa grava la responsabilità di questa Resurrezione: che però e Dio ci conceda di non dimenticarlo, rimane condizionata alle misure della nostra dedizione alla passione e alla morte, alla fedeltà delle nostre mani e dei nostri piedi ai quattro chiodi della Croce.


La Comunità

Nella Croce la sua gioia: Bonhoeffer

"Fu uno dei rarissimi veri uomini che io abbia mai incontrato, per il quale Dio fosse una realtà, e sempre presente" (un compagno di prigione)

Pentecoste 1943
Separato e lontano dai suoi amici - è in carcere perché uomo e cristiano libero dal nazismo - in questa meravigliosa festa della comunità dei fedeli, D. Bonhoeffer, professore e teologo evangelico della chiesa confessante, al suono delle campane sente acutissimo il desiderio di una bella cerimonia comune - ma deve celebrare - "solo, soletto un servizio così bello, che non ho sentito minimamente la solitudine, tanto è stata viva la presenza di voi tutti, nonché delle comunità parrocchiali in mezzo alle quali festeggiai altre volte la ricorrenza della Pentecoste".
Quest'uomo di Dio, in attesa della morte "si perdeva nella Gioia" al pensiero e alla speranza che la confusione babelica delle lingue, causata dalla mancanza di Dio e dal non amore "debba avere una fine e debba essere superata dalla lingua di Dio, che ogni uomo è in grado di comprendere e con la quale soltanto gli uomini possono tornare a comprendersi, e che la Chiesa debba essere il luogo in cui tutto ciò s'avveri".

Lo Spirito di gioia e di vigore
Nel silenzio del triste edificio, sente pesare sul suo cuore i passi dei compagni di martirio vaganti nelle loro celle: uomini stanchi e sconsolati, senza coscienza della Pentecoste. Quest'uomo che vive di Colui che è lo spirito della gioia, che ha in sé la sua giocondità e il suo vigore - anche se l'ora della tentazione ha bussato alla sua fede - desidererebbe tanto essere il cappellano del carcere: "in giorni come questo non farei altro che passare di cella in cella, dall'alba fino a tarda sera: ne accadrebbero certo delle cose...."
Per questa certezza di far accadere delle cose in cui assolutamente credeva come cristiano, aveva rischiato tutto della sua giovane esistenza.

Carattere nobile
Suo padre era un grande medico, psichiatra e neurologo, la madre, Paula Von Hase, era figlia di un cappellano di corte dell'imperatore. B. è un aristocratico molto più per il suo carattere che per la sua origine sociale. Si oppose al nazismo perché provava un senso di profondo disgusto per un regime nel quale la mediocrità trionfa impunemente e nel quale la volgarità non riesce a dissimularsi dietro 1'orpello delle pseudo virtù. Il male e la tentazione più grave sta nel lasciarsi trascinare al disprezzo dell'uomo: "il solo atteggiamento utile nei confronti degli uomini - dei deboli specialmente - è l'Amore, la volontà cioè di essere con loro una sola comunità, Dio stesso non ha disprezzato gli uomini, ma si è fatto uomo per gli uomini.
In prigione non vuole riguardi dai suoi guardiani venuti a conoscenza delle sue nobili origini familiari. La nobiltà che B. difende è una qualità dell'anima e non del nome e della razza: "la qualità è l'avversario più potente di ogni tentativo mirante a costruire un'esistenza di massa".

Lotta per la 1ibertà
La lotta che B. affronta per un nuovo umanesimo ("nuova nobiltà") - per il quale aveva deciso di giocare la propria vita - si confonde con una lotta per la libertà; la sola aristocrazia che egli conosce e quella che si basa sui più fondamentali valori personali. Sensibile e attento alla bellezza e ai beni della natura, sapeva che solo colui che è pronto a sacrificarla può godere la bellezza di questo mondo.
Dal carcere - giugno 1944 - esalta nelle sue lettere la forza e la potenza meravigliosa del sole o rievoca i meravigliosi ricordi giovanili delle escursioni in montagna..
Il suo cristianesimo non è mai stato un evangelismo "etereo", e non ha mai pensato che la gioia di Dio potesse risplendere solamente sulla rovina della creazione. Apprezzava l'Amore ardente da Cantico dei Cantici: "E' veramente bello - scriveva - che esso s'incontri nella Bibbia, di fronte a tutti coloro per i quali il Cristo significa la mortificazione delle passioni".
Non certo per timore o per disprezzo del mondo B. a 16 anni decide di diventare Pastore.

Uomo completo
B. è un uomo che manifesta, nella libertà della fede, tutta la pienezza della vita cristiana.
In una esistenza molto breve gli è stato concesso di essere un uomo completo sotto la signoria del Cristo. L'intellettuale è un uomo religioso e questi si serve della sua intelligenza, il dotto nella scrittura è un uomo audace nell'azione. L'uomo di rottura e cospiratore è timido e delicato, e quest'uomo timido trasforma il suo ambiente ed è l'animatore della resistenza religiosa e politica al nazismo.

La preparazione
1923: studia a Tubinga Sacra Scrittura, dogmatica e filosofia moderna.
1927: si laurea in teologia con la tesi "Sanctorum communio" dove si vede come la sua attenzione rimane fissa alla chiesa concreta, della quale analizza i condizionamenti umani e al tempo stesso il significato misterioso.
Subito assume un ministero pastorale dove prende conoscenza dei problemi sociali e delle questioni concrete di economia.
1930: è in America del nord per un anno di studi supplementari. Frequenta con assiduità il quartiere di Harem per conoscere la realtà negra. Il cristianesimo dell'America lo apre sempre più a prospettive ecumeniche, fa parte di vari organismi del movimento ecumenico. B. aiuta efficacemente la chiesa confessante tedesca a sfuggire ad un isolamento completo nel momento in cui il nazionalsocialismo farà sì che il Paese si ripieghi sempre più su se stesso.
1931: Hitler conquista il potere, B. inizia a Berlino l'insegnamento universitario.
1933: critica alla radio l'aspirazione del popolo a trovare un suo Fuhrer che rischia di diventare un seduttore, un idolo.

Ora della tentazione. *
B. prende chiaramente posizione contro il famigerato paragrafo relativo agli Ariani: questo paragrafo in realtà non soltanto colpisce tutti gli Ebrei, ma spezza la fraternità cristiana. E' "consapevole che la resistenza esigerà dei gravi sacrifici, dell'eroismo; la lotta impegnata sarà causa di cadute, ma... "non è possibile fare della legge dei deboli la legge della Chiesa".
1933: B. e a Londra, in Germania gli avvenimenti precipitano: è tentato di non tornare nella sua patria. Karl Barth, amico di B. dal 1931, interpellato, considera la sua decisione un tradimento: "Devi ritornare al tuo posto con la prima nave e, diciamo, con quella immediatamente seguente". B. rimane incerto sino al 1935.
1937: è di nuovo in Germania come insegnante in un seminario pastorale: prepara se stesso e gli altri a conformarsi, nella preghiera e nella meditazione della Parola, alla volontà di Dio per essere pronti nell'ora della tentazione accettando la misura di pericolo e di prova, ogni giorno, umilmente e fedelmente.
1939: B. si trova negli Stati Uniti per un giro di conferenze; la tormenta sta abbattendosi sulla Germania e sull'Europa. Sei settimane dopo la sua partenza, 27 luglio 1939, B. è di nuovo a Berlino e continua il suo lavoro di pastore e di studioso e s'impegna sempre più nel movimento di resistenza attiva contro Hitler.

L'inizio della vita
5 aprile 1943: è arrestato dalla Gestapo e rinchiuso in un carcere militare. Ha possibilità di scrivere ai genitori, alla fidanzata, ad un fedele amico. Nonostante le difficili condizioni materiali continua ad alimentare un'intensa vita intellettuale. La pienezza di vita che gli è sempre stata caratteristica non è per nulla soffocata da una situazione adatta per spezzarla. Interrogato e torturato non ha paura e non cede: amabile verso tutti, persino i guardiani rimangono presi dal fascino della sua personalità. Non si stanca di ripetere che il combattimento è perduto solo quando si ammette la disfatta.
Domenica in Albis 1945 (Flossemburg)s un prigioniero chiede a B. di celebrare un servizio liturgico mattutino. Il pastore rifiuta: vuole rispettare la maggior parte dei suoi compagni cattolici, alle loro insistenze B. accetta ed esercita il Ministero della Parola. La porta si apre e due civili gridano: "Prigioniero Bonhaeffer, si prepari e venga con noi". Raccolte le sue robe, scrive il suo nome e il luogo del suo dramma su un pezzo di carta; prima di andarsene dice: "E' la fine. Per me, è 1'inizio della vita". Fu impiccato il 9 aprile 1945: aveva
39 anni. Attraverso le gioie e le sofferenze della sua vita e le incoltezze della sua ricerca, B. ha fissato sempre il suo sguardo su Gesù Cristo. Di Lui solo questo cristiano e pastore meraviglioso ha voluto essere il testimone fra i suoi fratelli.



don Rolando

(da D. Bonhaeffer di René Marie - Morcelliana)


Il sogno di Dio

Abbiamo scelto la verginità, vita di fede pura; eternità calata nel tempo, corpo cuore e intelligenza offerti all'infinito, abitati solo da Lui.
Si lasciano cadere alcuni valori non perché non li sentiamo o consideriamo cosa meravigliosamente buona, o perché non avvertiamo il richiamo all'unione e alla generazione, ma perché un'altra è stata la nostra scelta, altri i valori voluti, quelli che non si vedono e non si toccano, quelli che chiedono di nulla possedere, di offrire la nostra vita rimettendola nelle mani di Chi ci ha creati perché la usi dove vuole entrando nel tempo attraverso noi. Prestiamo il nostro povero e meraviglioso corpo a Dio perché Suo figlio possa tornare a vivere sulla terra.
Non lo prestiamo a un uomo o a una donna, non avremo mai una continuazione nei figli, finiti noi il germe di vita, che ci era stato donato si spengerà così come si è andato lentamente spengendo negli anni, tesori infiniti che non usiamo.
Abbiamo scelto un altro tesoro e là deve essere il nostro cuore.
Non è difficile capire il perché di tutto questo, non sono strane e terribili richieste di un Dio assoluto, i motivi, le spiegazioni, i perché non sono da cercarsi tanto lontano; sono in noi, alla radice stessa della nostra vita, scopertamente e dolcemente scritti nei nostri corpi, tempio del Dio Vivente - sono chiaramente raccontati nell'universo; nel tempo e nella materia guardati secondo la Rivelazione: questo insegnarci di Dio, questo lento condurci per mano fino a farci conoscere il Suo cuore, svelandone i misteri attraverso Suo Figlio. E' mistero, quello di Dio, e perciò della verginità come modo di vita divina, che Egli cominciò a raccontarci un giorno, all'inizio della creazione e che ci offerse poi completo in Suo Figlio Gesù.
Nell'essere umano uomo-donna, nella meraviglia di questa nuova creatura nata quando tutto per lei era compiuto, è nascosta e chiarissima l'anima stessa di Dio, il Suo Essere, il Suo volere, i Suoi modi, i Suoi pensieri. Appena adombrati, appena accennati ma già svelati nella creatura che non contiene ma indica il Suo Creatore.
Creatura particolare che sintetizza e esaurisce, superandola, la ricchezza che già esisteva nell'universo: la vita, la molteplicità, la diversità che crescevano in un istintivo cercarci e fondersi per poi moltiplicarsi.
L'essere umano venne diviso perché il bisogno di cercarsi e di volersi vivesse sempre; perché esistesse nel mondo consapevole e profondo il richiamo all'unità. Da quel giorno l'uomo ha cercato la donna per bisogno incontenibile di qualcuno che lo riconducesse agli uomini, a Dio, alla vita, e la donna si è offerta e donata, lo ha atteso e desiderato per accogliere chi desse un senso al suo essere accendendovi la vita.
Nella pienezza dei tempi la venuta di Gesù ha rivoluzionato questo rapporto come tutti gli altri aspetti della vita.
Vi è ora un senso preciso a questo nostro cercarci, un senso diverso, libero dai nostri motivi che solo indicavano, acceso da altre ragioni: quelle di Dio, unicamente e solamente le Sue. Il nostro cercarci e volerci, il bisogno di generare e di vivere sono diventati troppo poco, contenenze velatissime che indicano appena. Non abbiamo più bisogno di simboli, né di apparenze che ci spingono a cercare, di segni che ci portano a Dio.
E' nato un Uomo, figlio di Dio, vedendo Lui vediamo il Padre; conoscendolo ogni mistero è svelato, guardandolo si spiega il perché della nostra esistenza. La fame e la sete che ci tormentavano sono saziati, il mistero umano, svelato, chiaro, limpido, aperto, è solo carne e sangue nel quale può vivere il divino, realtà umana che cerca e accoglie il suo Dio.
In Gesù e in Maria la creatura umana si è ricomposta, dopo loro possiamo smettere, se vogliamo, di ricercarsi per scoprire il perché della nostra vita, e vivere direttamente nell'eterno.
Dopo di loro si può scegliere la via della verginità perchè crediamo che il mistero in noi è già compiuto e ci apriamo ad accogliere tutto quello di Dio.
La differenza fra l'uomo e la donna si è colmata per chi li guarda contro l'eterno e sono tutti e due accoglienza e tutti e due generazione, ambedue nella pienezza dell'essere e dell'agire, paternità e maternità riunita, strada verso gli altri e viandante, sintesi dell'universo e abitante di esso.
Chi accoglie la via della verginità è perchè crede che il suo mistero di uomo e di donna sia già compiuto in Dio e vuole viverlo fin da ora, nel tempo, come lo vivono nella Trinità Gesù e Maria, là dove non vi è più né uomo né donna perché vi è l'umanità che ama il suo Dio.


Maria Grazia

Il 25 marzo di sempre

Nel silenzio e nella semplicità Dio ha cominciato ad essere uomo; Egli ha unito il Suo Essere alla nostra esistenza, superando con la totalità del Suo Amore ogni umana ragione.
E' tanta dolcezza pensare a Dio che ama con pienezza assoluta l'umanità, in Maria ne fa la Sua sposa e desidera generare per lei e in lei un figlio, o, con ansia e trepidazione di innamorato, attende la risposta della Sua creatura più bella; in lei trova la Sua gioia e si compiace di farne la madre di Gesù, il Figlio di Dio.
Il Mistero dell'Incarnazione è qualcosa che mi appartiene in modo tutto particolare, un Mistero tutta dolcezza che mi prende, mi possiede e mi commuove oltre ogni misura. E' tanta gioia pensare all'infinita potenza di Dio che accetta di restare per nove mesi nel grembo di una donna, ricevendo da lei la vita, in dipendenza totale da lei e già sopravanzandola tanto da farne la "piena di grazia" "la benedetta fra le donne", la fonte di allegrezza, al cui saluto il bimbo Giovanni esulta di gioia nel seno della madre sua.
Ogni giorno vivo la Messa nella realtà di questo Mistero e credo che la sera dell'Ultima Cena Gesù nel prendere il pane e il vino abbia ripetuto le parole che nessun orecchio umano aveva ascoltato, ma che un cuore di donna aveva intuito e vissuto intimamente - quelle parole che, essendo del Verbo di Dio, avevano potenza creatrice e avevano reso fecondo il seno della Vergine Maria: questo è il mio corpo e questo è il mio sangue. Nell'umanità di Maria per un Mistero di Amore il Verbo si specchiava e riconosceva nel corpo di lei il proprio corpo e sangue e come ora nel pane e nel vino egli assume e trasforma nella Sua realtà di Uomo Dio tutta la realtà umana, così nel corpo di Maria c'è tutta la realtà della donna in quanto madre dei viventi ed è quindi presente ogni uomo; in lei ogni maternità e ogni verginità è trasformata nel corpo di Cristo, offerto in sacrificio per la salvezza di tutti.
E la realtà fisica dell'uomo e della donna e il loro reciproco amore è diventato sostanza, materia sacramentale perché quel giorno una donna per opera dello Spirito Santo, ha concepito un figlio che è figlio di Dio. Dal giorno in cui Dio è entrato nella storia dell'uomo ogni donna è chiamata a concepire un figlio che Dio accoglie e adotta figlio Suo, riconoscendo in esso il corpo e il sangue di Gesù. Per questo l'amore e il dono reciproco dell'uomo e della donna, quell'amore che genera una nuova vita, diventa il segno concreto, visibile, di una realtà divina, dell'amore infinito di Dio che ha unito per sempre la Sua esistenza al destino degli uomini, fino a essere una sola cosa con 1'uomo: Gesù Uomo-Dio.
E mentre sono presso l'altare, mi pare che ogni cosa si trasformi e mi pare di essere a Nazareth, in quella grotta tanto povera, tanto semplice e simile a tante altre, eppure così diversa nel suo essere unica e grande agli occhi di chi crede.
E vorrei non staccarmi mai di lì, non stancarmi mai di essere lì, e lentamente consumare i miei giorni contemplando e accogliendo in me il Mistero, pure sento l'esigenza proprio mentre sto lì in unione con Lui, di far continuare la sua incarnazione, di mischiarmi a tutta l'esistenza umana, in tutta la sua realtà di sofferenza e di dolore, in tutta la sua realtà di gioia e di amore, perchè Lui possa ancora essere Presenza divina fra gli uomini, Verbo fatto Carne, per non tradire il sogno di Dio che vuole essere uomo.
E l'umanità tutta diventa cosa di Dio, a Lui appartiene in modo totale ed assoluto e in questa misura è oggetto del mio amore. Non ho motivo per sottrarmi all'amore dell'uomo, di tutti gli uomini, non posso aver alcun timore di. essere per questo meno fedele all'Amore di Dio, perchè so che loro in me e io in loro amiamo ciò che appartiene a Dio senza riserva alcuna.
E l'amore per e di tutti gli uomini diventa preghiera ed offerta, immolazione e consacrazione, nella serenità e nella gioia, nella semplicità e nel silenzio di ogni sua manifestazione.


Mirella

La Croce del Celibato

Questa storia del celibato o no, fra le tante miserie che tira fuori fino a creare un vero impaccio e quasi un senso di vergogna per noi preti, che, ad ogni passo ti senti raccontare dal monsignore tale (sì, certo, meglio sposarsi e fare il cerimoniere intorno ad una donna che intorno a un cardinale) e poi c'è un altro monsignore e un prete qui, un frate là, in Olanda poi non se ne parli, nell'America Latina perfino un Vescovo, mi raccontano, e insomma è tutto un fervore matrimoniale di preti e di donne,di frati e di suore, quasi che nella Chiesa non ci sia null'altro di interessante e di piccante di questo prurito matrimoniale che si è così violentemente e appassionatamente risvegliato e che sa così spaventosamente di malattia della pelle nel clero.
E va bene: "è meglio sposarsi che bruciare" diceva già S. Paolo, alcuni anni fa e speriamo - lo auguriamo davvero di cuore a tutti i sacerdoti che hanno pensato bene di sposarsi - che non si avverino le altre parole che S. Paolo subito aggiunge: "avranno però anch'essi la tribolazione della carne". Tanto più che abbiamo l'impressione davvero spiacevolissima - forse è l'impressione che più ci rattrista e ci dà il senso della vergogna - che questo cercare il matrimonio da parte del clero sia tanto per motivi personali, di tentativo di soluzione di problemi personali fino al punto di mancare spesso di considerazione seria e di rispetto verso la donna e pensare che il sacerdote dovrebbe avere una visione religiosa limpidissima e una ricchezza di valori che di più sulla terra, ad uomo, è impossibile, fino al punto che dovrebbe risultare chiarissimo che il sacerdote - è l'unico motivo che ci impressiona seriamente - dovrebbe sposarsi perché lui solo (in modo perfetto e in misura infinita perché è unicamente nell'amore di Dio) può unire a sé una donna e realizzare il sogno di Dio nell'unità perfetta Uomo-Donna per l'unificazione dell'Amore, ad immagine e somiglianza sulla terra dell'Unità e Trinità di Dio.
In ogni modo questa storia del nostro tempo, raccontata così minuziosamente dai quotidiani e tanto più dai settimanali che ormai stanno quasi raccontando le vicende sentimentali dei sacerdoti alla pari di quelle dei divi del cinema, questa triste storia ha però anche i suoi vantaggi. Tantissimi.
Per me e specialmente in questi giorni di Pasqua mi costringe a riprendere e quasi a risentire i motivi di fondo, quelli veramente determinanti, del mio essere Sacerdote.
E questi motivi sono i motivi stessi di Gesù Cristo. I suoi valori. Le sue finalità. La sua stessa ragione d'essere. E il suo stesso proporsi alla Fede e all'Amore degli uomini.
Il suo Mistero è il mio Mistero. E mistero qui - come sempre nell'usar questa parola riferendola a Dio - non è ciò che non si conosce né si può conoscere. Indica soltanto e sempre una conoscenza particolare, unica. Una conoscenza che nasce dalla contemplazione. Si precisa nella visione. E si fa cogliere - fino a colmare il cuore e la mente - attraverso l'intuizione. Dopo, la chiarezza è come sorgente di luce: si allarga e si espande fino a tutto illuminare. Assolutamente tutto. Fino a lasciare stupiti come tutto sia tanto meravigliosamente collegato, dipendente. L'unica realtà.
L'errore che noi facciamo tanto spesso - forse quasi sempre - è non partire da Dio per capire tutto o se non altro non lasciare che la sua luce (non vi è altra sorgente di luce, come non vi è altro sole che quello che sorge al mattino ad illuminare e dare vita a tutta la terra) illumini tutte le cose in modo che tutte le cose sia possibile vedere nella luce.
Perché diversamente non possiamo che illuminarle con la nostra luce e rimangono sempre spaventosamente il particolare e il momento, come quando si accende un fiammifero o le vediamo in noi e cioè, inevitabilmente, nel nostro egoismo.
E' terribile partire da noi per giudicare le cose e specialmente il loro valore: il nostro metro è spezzato dove meglio ci conviene e i nostri pesi sono spesso falsi.
Guardo a Gesù Cristo entrato così totalmente nel Mistero della vita umana e nel Mistero di Dio. E penso che la sua passione e morte di Croce - e così come si è svolto ed è storia tanto terribilmente assurda - voglia significare e significhi in misura totale, il suo uscire da se stesso e il suo entrare nella storia dell'umanità unicamente partendo - ed è determinazione assoluta fino al punto che è eseguibile soltanto attraverso un consenso assoluto della propria alla volontà di Dio - partendo unicamente dal Mistero di Dio e in Lui tutto convergendo.
Gesù è l'Uomo in cui l'umanità è tutta e in cui Dio è tutto, veramente l'assoluto. Sul serio, Lui, è vero Dio e vero Uomo.
Questo Mistero di Gesù è così unicamente Mistero di Dio che non può non essere al di là dell'importanza di sua Madre, dei suoi discepoli, dei suoi amici, della sua patria, della sua gente..di ogni razionalità e prudenza. Di qualsiasi limite e misura.
Fino al punto che da questo al di là può cominciare la logica della Croce.
Io, sacerdote e cioè cristiano fino alle misure estreme che sono quelle del sacerdozio, ho scelto d'essere, o di cercare di essere, al di là di tutto perchè Cristo non apparisca al mondo come un pazzo, ma come realtà di vita vissuta e vivibile, non un Dio fatto Uomo e poi disincarnato, ma vivente nella vita umana.
Il celibato è dentro e componente importante di questo mistero di Cristo.
Ed è vero che se il celibato è una croce è certamente qualcosa della Croce di Cristo.


don Sirio

La pagina della Parrocchia

Buona Pasqua

Cari fratelli e sorelle della Comunità parrocchiale,
La Pasqua porti tutto il Mistero di Gesù Cristo, della sua Passione, della sua Croce e della sua Resurrezione, nelle nostre anime, come purificazione dai peccati che sono sempre ricerca egoistica e quindi realtà di morte e come rinnovamento di vita, la gloria di una vita nuova, quella di figli di Dio, fratelli veri fra tutti noi.
Anche nella nostra comunità parrocchiale c'è tanto bisogno di vita nuova.
Sono già anni che noi sacerdoti siamo qui fra voi. Mescolati nella vostra vita, come tutti voi a guadagnarci il pezzo di pane e offrendo nel frattempo tutta la nostra Fede e tutto il nostro Ministero Sacerdotale per realizzare una comunità di famiglie, legate insieme dalla Fede in Gesù Cristo e in ricerca di una sincerità cristiana e cioè di un modo di vita nella quale Gesù Cristo conti veramente qualcosa e decida e determini tutto un modo di pensare e di vivere.
Dobbiamo pero riconoscere, anche se con profonda sofferenza che il nostro modo di vita sacerdotale per alcuni di voi, forse molto legati alle tradizioni e al come si è sempre fatto, dato che è così particolare e diverso dal come sono sistemate e dal come vanno avanti le altre parrocchie, non ha incontrato molto favore o se non altro particolare comprensione e simpatia. E quindi la collaborazione è molto limitata, visto che noi non siamo i soliti preti.
Per altri - e pensiamo che sono i più - può darsi che questo nostro modo di essere sacerdoti e di tirare avanti una parrocchia, sia stato motivo dì simpatia, anche di riavvicinamento alle cose religiose, ma tutto non è andato più avanti.
Non abbiamo con noi, dalla nostra parte sul serio, nemmeno un gruppetto di uomini o di giovani. Non riusciamo a trovare qualcuno che condivida seriamente la nostra ricerca di vita cristiana. Un accogliere Gesù Cristo nella propria vita e farne motivo di indicazione di modo di vivere e impegno generoso di darne testimonianza intorno a se.
Ognuno nella nostra comunità parrocchiale, che pure dovrebbe essere cristiana, nei propri interessi non va al di là di un benessere materiale, delle serre, dei campi e delle vigne e dei propri problemi soltanto materiali.
Pochissimi si fanno un dovere serio per se e la propria famiglia della Messa la domenica. Altri quando hanno tempo, come se Dio fosse il cenciaio che raccoglie ciò che non serve, piuttosto che buttarlo via. Sono tanti, uomini e donne, giovani e ragazze che lasciano come se niente fosse questo minimo di ricordo di Dio e della propria anima, una volta la settimana e per un'ora di tempo.
E pensare che noi siamo di quei sacerdoti che pensano - e giustamente - che la pratica religiosa non è certamente ciò che fa cristiani sul serio. E' soltanto un cercare l'aiuto di Dio per una realtà e sincerità, di vita cristiana.
Cerchiamo degli amici che ci chiedano di voler darsi da fare insieme a noi per una autenticità di Fede cristiana nella propria vita personale, nella famiglia, in questo nostro mondo e specialmente nella Chiesa per riuscire ad offrire una testimonianza cristiana che faccia onore a Cristo e non vergogna.
Cerchiamo di questi amici fra la nostra gente. E trovarli è importante per noi oltre a tutto, anche per poter continuare in questa fatica di esperienza nuova, sacerdotale e parrocchiale, da offrire alla pastorale della Chiesa così tanto stanca, logora e vuota e anche per trovare, vivi e convincenti, i motivi per continuare a rimanere fra voi ancora senza sentirci a disagio e in pena, come quando si tende la mano per una calorosa stretta d'intesa e di amicizia e rimane tesa a vuoto perchè nessuno la stringe.
La Pasqua ci porti tutti a una vera e seria novità di vita perché la resurrezione di Gesù è inizio per i cristiani - e dovrebbe esserlo per il mondo intero - di una storia nuova e diversa, quella dei figli di Dio.
Sono i nostri auguri e la nostra preghiera per tutta la comunità parrocchiale.


Noi giovani

lettera aperta ai giovani della Parrocchia

Caro amico,
è difficile camminare per le strade, incontrare una folla muta, indaffarata e non sentirsi solo e smarrito, se non si ha la possibilità di conoscerla con tutti i suoi problemi, se non si riesce a comunicare con essa.
Questo capita soprattutto ai giovani perchè più liberi e sensibili ai problemi generali dell'esistenza. E' proprio per questo che noi giovani del nostro tempo sentiamo il bisogno di interessarci, di sentirci vicino l'uno all'altro, di protestare contro ogni forma di isolamento che annulla e disumanizza l'uomo che è solo con se stesso.
Ci si mette insieme per urlare questo nostro bisogno di conoscenza e di comunicare spesso con modi e mezzi dispersivi e avvilenti come la stessa solitudine. Molte cose ci impediscono di conoscerci ed amarci come vorremmo, spesso viviamo porta a porta ignorando tutto o quasi tutto della condizione umana del nostro vicino, le sue preoccupazioni, i suoi affetti, il suo lavoro, la sua formazione spirituale, morale, politica. E' un essere incontrato al bar o dalla parrucchiera, solo per fare la partita, o parlare dell'ultimo pettegolezzo della moda, ma nei nostri rapporti difficilmente approdiamo alla solidarietà e alla simpatia.
E' difficile trovare in una dimensione così limitativa di noi stessi un'autentica esperienza di vita, è impossibile contestare ciò che non si è sofferto e quindi non si è conosciuto.
Per questo con molta umiltà ma con serenità di intenti, noi vorremmo creare la condizione per un dialogo più aperto che renda possibile la premessa di una vita comunitaria fra di noi. Una vita comunitaria non fondata su qualcosa di astratto ma sul rapporto delle nostre reciproche esperienze.
Per questo se tu vuoi camminare sulla strada e non vedere più una folla, ma delle creature, ti invitiamo a fare parte di noi.


Un gruppo di giovani

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