idee ed esperienze della Comunità Parrocchiale di S. Maria
Spesso, quando ci capita di leggere qualcosa (non molto a dire la verità perchè di tempo ce ne è terribilmente poco) e sentiamo di studi teologici, di esperienze liturgiche, pastorali, di dibattiti in seno alla Chiesa, di contrasti fra il clero alto e basso, di interventi pesanti della Gerarchia, di scuotimenti alla base ecc. non possiamo non domandarci con immensa amarezza fatta di pena per non dir proprio di pietà: e il popolo di Dio? Questa povera gente, sbriciolata nelle città e nelle borgate popolari, sperduta fra i campi e raggomitolata sulle colline e sulle montagne attorno al campanile, questo povero popolo che lavora e fa le spese a tutti, che nasce campa alla meglio arrangiando un po' di consolazione dove capita e sparisce come l'acqua di un fiume in mare dopo aver fatto girare la macina di tutti i mulini. Questo povero popolo di Dio che, nonostante tutto (e chi ha il coraggio di dire con sincerità cosa c'è in questo tutto?) continua ad aver Fede in Dio, a dare un qualche senso o anche una profonda e seria motivazione religiosa alla soluzione del mistero della vita...
Che posto ha il popolo di Dio in tutto questo tramenio che è il problema della Chiesa del nostro tempo?
Se facessimo interviste e cominciassimo dai vertici fino allo ultimo seminarista contestatario di prima teologia, cercherebbero di convincerci che tutto è per via di Amore al Popolo, per una liberazione e promozione del povero popolo, per la salvezza dell1integrità della Fede e l'attualizzazione della Chiesa alle nuove richieste dei tempi ecc.
Tutti si affannano a studiare nuove teologie, catechismi di chiarezze solari, liturgie appassionanti. Congressi, aggiornamenti, tavole rotonde. E studiano. Studiano, studiano. E poi i gruppi spontanei. Le nuove comunità. Le nuove pastorali d'inserimento, Di contestazione. Il dialogo. L'ecumenismo. Il terzo mondo. Il clero e i suoi problemi da quelli economici fino a quelli sentimentali. La presenza politica della Chiesa o no. La povertà o la sua stupidità. La pillola o gli uomini si mangeranno fra loro. Dio è morto oppure non ne ha affatto intenzione. I vescovi ci devono stare ancora oppure è un residuo medioevale. Il papa è un ras qualsiasi o è Cristo in terra. E studiano e studiano. Discutono e discutono. Con grande vantaggio economico dei quotidiani e tanto più dei settimanali che hanno a non finire sensazionali piccanti e novità pruriginose.
E il povero popolo di Dio?
Dall'altra parte logicamente si arroccano le difese. Si rinforzano le muraglie. Interventi pesanti che par che rimpiangano i tempi belli. Minacce che hanno tutta l'aria di nuvolosi neri, carichi di fulmini, all'orizzonte. Grossi discorsi che aprono il cuore e poi sono soltanto parole. Tante parole in questi nostri tempi così spaventosamente parolai. Impegni di rinnovamento e dopo aver studiato e studiato, e si aspettavano miracoli, il rinnovamento pare fatto apposta per mantenere le cose vecchie e al massimo rinnova quello che ormai era semplicemente orrore mantenere. Gesù direbbe quella storia degli otri vecchi e del vino nuovo, della toppa nuova sul vestito vecchio....
E intanto le trincee si scavano sempre più ogni giorno che passa: e quella povera terra di nessuno, martoriata e sbriciolata, è presa continuamente d'assalto.
Si affondano abissi di divergenze che arrivano a dividere anche dove l'unità dovrebbe essere assoluta. E si sgretola a poco a poco la casa. Non si divide più il pane. Non si beve allo stesso bicchiere.
E il povero popolo di Dio?
Mi torna davanti agli occhi quell'immensa pioppeta che avevamo dietro casa, fino all'anno scorso quando ce l'hanno rasa a terra: ora di novembre era tutta spoglia e nuda contro il cielo di pioggia. Soffiava vento di libeccio salmastroso e la scuoteva tutta a folate violente spietate. Si levava vento gelido di tramontana e la raggelava e la scheletriva rabbrividendola di freddo. Si scatenava il vento tiepido di scirocco e la sventagliava di raffiche di pioggia infradiciandola fino alle radici... E la pioppeta era senza pace, come rassegnata a piegarsi di qua e di là, passiva, abbandonata al suo destino..
Un po' di rispetto o se volete un po'di pietà per il popolo di Dio.
Vorremmo, se potessimo, chiederlo a tutti. Ugualmente. Perchè tutti hanno lo stesso comandamento d'Amore al quale obbedire: l'unico comandamento. Non ve ne sono altri e tanto meno quello di disorientare i poveri, di strappare via la fiducia nel popolo, di seminare confusione, di distruggere anche se è per rinnovare, di voler mantenere anche ciò che non significa più nulla (e chissà se ha mai significato)..
Perchè troppe contestazioni sono scontentezze personali. Tante novità sono soltanto vuoti spaventosi d'anima. Vi è troppa motivazione personale o di gruppo in tanta crisi e spinte per interessi personali, in tanta ricerca di cose e sistemazioni nuove. E tanto studiare e discutere senza fine di teologie, di liturgia, di sociologie e diavolerie del genere sono spesso miserabile alienazione a scanso dì concretezze fatte d'incarnazione, di partecipazione concreta, di comunione totale, cioè di tutto il Mistero Cristiano, calato nel nostro tempo dalla paglia della mangiatoia al legno della Croce sul Calvario.
Il popolo di Dio ha bisogno e ha diritto a quest'Amore. Ogni altro amore è quello "del ladro e dell'assassino e nel migliore dei casi è l'amore del "mercenario".
E troppa autorità è avido e assurdo autoritarismo. Certa conservazione di principi è semplicemente voglia di posizioni preminenti, di mantenimento di privilegi. C'è tanta paura di un sopravvento che sale su da basso. E nel frattempo si continua spaventosamente a non credere nell'Amore. I motivi personali determinano, la Gerarchia stringe un anello con l'altro per salvare la catena dell'autorità e non vi è respiro di libertà personale, apertura di cuore, vastità d'animo. Chi ha il coraggio di credere che l'Amore soltanto è ciò che può risolvere una responsabilità di Regno di Dio? Dov'è che si può leggere (non cerimonia liturgica, formalistica, esteriorità inutile) la pagina del Vangelo di Giovanni, fatta veramente Gerarchia della Chiesa, carne viva del Vescovo "sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che, venuto da Dio a Dio ritornava, si alza da tavola, depone la veste e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi versa della acqua nel catino e comincia a lavare i piedi ai discepoli e a rasciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.. In verità, in verità vi dico: un servo non è da più del padrone, ne un inviato è di più di chi lo ha mandato".
Il popolo di Dio ha bisogno e ha diritto a questo Amore, cioè di sapere e di credere che questo è il cristianesimo. Questa è la Chiesa. Diversamente 1'autorità non salva niente, è soltanto provocazione alla ribellione o almeno crescita di voglia di liberazione. O sistema miseramente umano di tentare di fare il Regno di Dio.
L'Amore al popolo di Dio. O se non altro un po' di rispetto. Almeno un briciolo di attenzione. Un minimo di riguardo. Un ricordarsi, se proprio di più è impossibile, che c'è anche lui.
Un po' di pudore come si ha per un bambino per non scandalizzarlo. Perché il discorso di Gesù eccolo là in tutta la sua terribilità: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che si appendesse al collo una macina da asino e venisse buttato nel profondo del mare".
Ci sentiamo, noi piccola e povera comunità che nel silenzio vive la sua Fede e nel lavoro e nella preghiera il suo Amore a Dio e agli uomini, ci sentiamo e siamo povero, paziente popolo di Dio. Possiamo allora con diritto chiedere a chi è, l'un contro l'altro armato per combattere ancora una volta una guerra santa per il bene del popolo di Dio, crediamo di poter chiedere un po' di rispetto un po' di pietà.
La Comunità
"ho pietà della folla perchè da tre giorni sta con me, e non ha da mangiare" (Mc. 8,2)
Si fa sempre più vivo ed esigènte in me sacerdote l'impegno e la responsabilità di vivere nella semplicità del quotidiano una vita conforme al Signore Gesù donatoci dalla Chiesa ed accolto in noi con consapevole amore, sicuro della sua verità umana e divina.
E' normale che uno a 40 anni confessi candidamente che Gesù Cristo non lo ha mai - dico mai - deluso e che non vi sono state difficoltà nell'accoglierlo per un'amicizia sincera, totale, seria per cui uno - di persona - ha potuto toccare con mano (palpare direbbe Giovanni) che solo da Lui è venuta una pienezza di valori umani che con altri non era assolutamente possibile. Non mi sono bastati - anche se tutti li ho accolti ed amati con gratitudine ed amore - coloro che come me vengono dalla terra e parlano secondo la terra, ma Gesù di Nazareth ha tutto per me perchè viene dall'alto ed è al di sopra di tutti e nella sua vita e nelle sue parole ci dona tutto quello che ha veduto e udito dal Padre.
Per me sacerdote sono tanti i momenti di gioia piena, una gioia che è continua esigenza, dove Lui, "sono io che ti parlo", rivelandoci ogni cosa condiziona una vita, la consacra e la pone a totale servizio della verità, dell'amore della giustizia.
La scelta è esclusivamente Sua: quel "vieni e vedi" ti ha totalmente preso ne ricordi i particolari di quell'incontro, 1'ora: il tuo cuore non ardeva invano. Così uno si è arreso alla sua amicizia, lo ha accolto e solo di Lui vuol vivere: un'esistenza determinata esclusivamente da Gesù.
Per un sacerdote la vita di Gesù - uomo e Dio - è la "vita" che sola corrisponde alla volontà e all'amore del Padre: non vi sono altri modi per affrontare l'esistenza. Ogni problema deve essere risolto in Lui: la gioia, il dolore, l'amore, la disperazione, l'angoscia trovano in Lui la pienezza, la chiarificazione, la speranza.
Ogni giorno l'incontro si rinnova e non ha importanza il tuo diminuire, il "tuo" infatti è solo miseria ed egoismo.
Mi ha scelto per stare con Lui, ecco la necessità di un tempo da dedicare soltanto alla preghiera - è vero che tutta la giornata, vita di ministero, ascoltare, parlare, il lavoro sono atti di fedeltà e di amore, ma non bastano - questo stare con Lui in una disponibilità di tutto te stesso consacra nell'amore, quello che fruttifica in redenzione, in apertura universale.
E' un atto di fede: sappiamo che Gesù è venuto dal Padre e nel nostro amore a Lui troviamo l'amore del Padre, senti di doverlo ammettere - senza di Lui non avrebbe più senso la tua vita - sino in fondo, in tutta la sua pienezza e per tutto quello che ti chiede. Sai che la Sua vita, - la Chiesa te la offre nel Vangelo, nella Messa di ogni mattina - è coerenza perfetta all'Amore del Padre, è donazione totale ai fratelli. Tutto di Gesù ha oggi (come ieri e sempre) valore pienezza e forza: di comunione vera con il Padre e con gli uomini per me sacerdote nel mio tempo.
Serenamente posso dire che la mia certezza, la giustificazione a vivere, il mio amore è Gesù Cristo e sono contento di avergli donato la mia povera vita: quel poco che sono e le briciole che posso dare nascono da questo personale e completo abbandono in Gesù Cristo.
E giorno per giorno rispondo alla Sua dedizione scoprendolo, amandolo e rispettandolo nel Suo Popolo, contento di far parte di questo Popolo, uno di quanti tutta questa realtà umana nella sua storia meravigliosa e terribile lottano e sperano, soffrendo, che sia veramente, totalmente, integralmente Regno di Dio.
Uno che fra i fratelli per un'accoglienza di Gesù non ha rossore a divenire povero popolo e sostenere il peso dell'Amore di Dio, seguirlo, patire la fame, quasi venir meno lungo il cammino.
Chi mi ha vinto per sempre conosce, per averla vissuta, tutta la nostra storia e unico può dire: io sono il riposo e il ristoro alla vostra stanchezza e alla vostra fatica.
don Rolando
È qualche tempo che quando la sera mi inginocchio in cappella mi accorgo che il mio corpo si è messo nella stessa posizione che ha avuto l'anima mia durante tutto il giorno: non lo sapevo, non me ne accorgevo neppure ma lo avevo sempre guardato. Non mi ero staccata da quel tabernacolo ai piedi della Croce, continuavo a guardarlo contro la vetrata che allarga la cappella dandole dimensioni di infinito, aprendola al mondo, dilatandola nel cielo. Mi era rimasta nel cuore la visione di Gesù contro il cielo del primo mattino o ancora della sera quando sembra di essere sperduti con Lui nelle nebbie della notte che d'inverno avvolgono a poco a poco la cappella, soli con Lui davanti al Padre.
Non riesco a distrarmi nemmeno volendolo; Lo guardo e non mi sale che una sola frase "chi sei", me lo domando con meraviglia, sorpresa, adorazione, a volte con timore. Mi sta convincendo, si sta imponendo, mi prende e mi conquista, agisce da Signore.
Chi è quest'uomo-Dio nelle cui mani è tutto l'universo, il destino degli uomini di ogni tempo, sempre da che esiste il mondo. Chi è quest'Uomo al quale obbedisce ogni cosa, che ci porta tutti nel suo destino, che ha vissuto in pochi anni l'intera vita del mondo. L'Uomo che ha amato Dio dalle radici dell'esistere tanto da chiamarlo gridandogli le notti su per i monti quasi fossero un Suo altare luogo d'offerta fra Lui e il Padre Suo.
Signoreggiava sull'universo, gli elementi gli obbedivano, il tempo e lo spazio non esistevano più bruciati, raccolti tutti nel Suo cuore.
Come può finire di meravigliarmi la serietà del Suo Amore? Non mi stanco di guardarLo perché mi sembra di non aver mai cominciato a conoscerlo.
Ricordo quella domenica di fine ottobre, quando non osavo neppure respirare, né muovermi, né alzare la testa perché Lui era presente, occupava tutto lo spazio, il Signore del mondo, il Re della Terra. Si impadroniva della mia vita e io acconsentivo, mi caricava di responsabilità sempre maggiori e dicevo di sì.
Siamo qui, legati a Lui, tutti, lo amiamo seriamente, lo adoriamo del più profondo di noi e sempre di più - cadono le difese una a una, l'amore facile, immediato, il nostro, quello limitato e pieno di riserve scompare perché nell'anima Lui cresce sempre di più fino a invaderla tutta prendendone possesso, insegnandoci le cose del Padre, Lui, il solo che ha parole dì vita eterna.
Durante la messa nella nostra cappella, così spoglia, così nuda, contenenenza semplice , dimora povera del nostro Signore - Gli sono davanti e aspetto.
Le preghiere scorrono via senza che quasi me ne accorga e intanto cresce nel cuore fino ad essere un peso che mi fa del male, la certezza di essere alla Sua presenza. Vedo Gesù che sceglie di nuovo con serietà totale, consapevole, dolorosissima ~ perché avverte tutta la distanza che c'è fra l'uomo e Dio - il Padre Suo - si offre e accetta di morire, nel tempo, continuamente, per noi.
Guardo quel Suo corpo indifeso morto e già risorto così donato così semplice umile trasparente meraviglioso , tutto offerto, pronto per noi, corpo che vuole solo donarsi al punto che non Gli appartiene più, né é della madre sua che ce lo ha donato quando se lo vide morire, né della Maddalena che tanto affannosamente lo cercò per poterselo abbracciare almeno dopo morto - e capisco che é nostro - prendete e mangiatene tutti.
Non oso quasi mai avvicinarmi alla comunione, é troppo stupore, troppa meraviglia per quel Suo Amore così diverso dal nostro - mi vince poi sempre il bisogno dì aprirmi, di darGli anch'io il mio corpo luogo nel quale possa posarsi ed abitare per offrirsi ancora, dì nuovo, sempre agli altri.
Maria Grazia
"Dio lo ha trovato nella terra del deserto, nella desolazione di grida selvagge" (Deut. 32,10). Ogni volta che rifletto su queste ed altre parole della Bibbia, mi riconosco nell'esperienza del popolo eletto e rivivo profondamente quella comunione di destino che oltre il tempo e lo spazio fa di tutti i chiamati il Popolo di Dio. Credo che abbia avuto inizio così per ognuno di noi, nel deserto e nella solitudine. Solitudine che ogni volta nasceva dall'incapacità di uscire fuori di noi per aprire un dialogo, per realizzare un incontro. Difficoltà non psicologica, ma esistenziale, non stato d'animo, ma condizione. Maledizione stessa del peccato, di quel peccato che è stato ed è sempre il rifiuto di un dialogo, di un'amicizia.
"Il grido della solitudine": quei terribili silenzi dentro di noi, con intorno il chiasso della gente e del mondo, il vortice delle parole e dei volti senza significato, che non si imprimono nel cuore; la voglia angosciosa di gridare per spezzare il vuoto che ci circonda, sperando che qualcuno raccolga quel grido e venga a occupare quel vuoto.
E' in questo deserto, deserto di amicizie, di affetti, di valori, che il Signore mi ha chiamato a vivere. E' stata una chiamata d'Amore, di amore vero e totale per la prima volta, e così forte che a poco a poco ha vinto e continua a vincere la resistenza del mio egoismo, della mia vigliaccheria. Quella chiamata era un invito per iniziare un dialogo tra me e Lui. Non esclusivo, non egoistico come tutti i dialoghi a due, perchè Lui è anche tutti i fratelli, e ogni incontro con i fratelli, incontro con Lui. Così il dialogo si è aperto a tutta la realtà del mondo, e il vuoto che avevo dentro si è popolato di innumerevoli volti.
Ora devo pensare a vivere come Popolo di Dio, come uno che ha il centro della sua esistenza non in se stesso, ma nella Comunità. A volte è doloroso, sembra di non averne la forza e il coraggio, ma quel Dio che ci ha amato tanto fino a morire per noi non ci lascia mai soli, ed è, come dice S. Paolo, da qualche parte, il dolore del parto. Poi si nasce alla vita.
Questa è la salvezza che ci offre il Padre, la possibilità di aprire un dialogo con Lui in Cristo, di uscire dalla nostra solitudine esistenziale per aprirci ad una comunione universale di vita attraverso lo spirito di Cristo che ci è stato donato. Questo è l'unico paradiso. Passaggio-Pasqua da una vita in stato di isolamento ad una vita in stato di comunione, dal deserto ad un luogo affollato di infiniti "Tu". Questa è la salvezza che mi è stata data come un dono dal Signore, questa è la Buona Novella che io devo annunciare ai miei fratelli che sono nel "grido della solitudine". E so che sono molti, la stragrande maggioranza degli uomini,i miei stessi coetanei, i miei stessi compagni, quelli che incontro ogni giorno.
So per averlo provato che nell'isolamento che si fa dentro di ognuno i valori sfumano, e se non si è sufficientemente sensibili, ci si lascia inghiottire e conformare dall'esterno, e allora tutto si addormenta e si assesta, non si avverte più il bisogno di un'amicizia, di un incontro, ne il vuoto dell'insoddisfazione, perché si è rinunciato a essere persone. Se sì è sensibili, so che il desiderio si fa angoscia e poi disperazione, e la vita diventa giorno per giorno una pazzia quotidiana.
E in ogni caso, è 1'alienazione, la morte. E il Signore vuole la vita, non la morte, vuole che "neppure uno di questi piccoli si perda". Io che sono un salvato devo divenire un salvatore per i fratelli, devo farmi terreno di incontro, devo fare che il Signore possa portare, attraverso di me la chiamata. Questa è la mia missione la missione di tutti noi Popolo di Dio, diventare segno e strumento di salvezza, morire ogni giorno per gli altri, perché gli altri possano entrare in comunione con il Signore ed essere con noi il suo Popolo. Ed è una responsabilità molto seria.
Giorgio
Sul giornale di oggi leggo la notizia di un sacerdote, un religioso olandese che si è "fidanzato", e nel leggere la notizia provo una grande pena, una tristezza infinita.
Pena e tristezza che mi assalgono ogni volta che vedo un uomo o una donna che abbandona i suoi ideali, che si sente tanto stanco e vecchio da non avere più la forza e la voglia per continuare una strada certo abbracciata con entusiasmo, con gioia e con la fiducia di portarla a termine. E la pena e la tristezza diventano sofferenza tanto più grande quando ciò che si abbandona non è un ideale qualsiasi, ma è la risposta a una scelta di Dio; e il motivo, qualunque siano le giustificazioni addotte, è sempre un motivo spaventosamente personale. Si cerca sempre qualche cosa che dia felicità, anche se poi è solo un'illusione.
E invece di ammettere francamente che non ce la si fa più, che si tratta di un problema personale, risolto in quel modo, nel tormento e nel silenzio della propria coscienza, si cercano i motivi per sminuire e invalidare in senso assolutamente valido, quanto fino ad allora si è vissuto; per tacitare la propria coscienza si vorrebbe che tutti gli altri fossero concordi nello scegliere la soluzione dell'abbandono.
Ma oggi c'è qualche altra cosa che mi colpisce e mi fa soffrire nel mio essere donna. Non posso, come donna, sopportare che qualcuno, e qualcuno che avrebbe dovuto conoscere l'Amore di Dio, possa ignorare così tutto dell'amore fino a considerare la donna come qualche cosa da usare per distensivo, e per questo motivo la sposi passando tranquillamente sopra agli impegni presi con Dio. Che un uomo sposi una donna solo perchè la sera è stanco e ha diritto - che orribile parola il diritto per base di un matrimonio - a un po' di distensione, è una cosa che mi fa male e che non voglio accettare.
In questo modo mi pare che Dio sia tradito due volte, non solo per l'aver abbandonato l'impegno alla verginità, ma anche per aver sminuito e immiserito il Suo meraviglioso piano sulla coppia umana, fino al punto di considerare la donna come antidoto alla solitudine e alle nevrosi generate dalla vita moderna.
E poi mi sembra che Dio sia offeso anche in tutti gli uomini che si sono sposati e si sposano assumendosi tutta la responsabilità di una famiglia. Anche il matrimonio è una consacrazione al servizio di Dio, è un diventare suoi collaboratori, è un riunirsi nel suo nome perchè Lui sia presente sulla terra. E'! amarsi tanto, senza ombra di ripiegamenti su di sé, senza egoismi, tanto da essere già Regno di Dio.
Ma quando un uomo è arrivato all'egoismo che gli fa vedere nella donna solo un mezzo per soddisfare le sue esigenze e i suoi bisogni, non importa se nel campo psicologico o fisico, come può pensare alla responsabilità di una famiglia? Perchè meravigliarsi se non ne avverte il problema?
E se non avverte quei valori umani che tanti uomini comprendono e vivono a costo, a volte di grandi sacrifici e rinunce, perchè meravigliarsi se non avverte più la pienezza che solo la verginità dava al suo essere sacerdote?
La verginità è essenzialmente amore, è la rinuncia a ogni diritto, è il riconoscere che Dio solo è fine assoluto e supremo di un'esistenza, è la disponibilità e l'apertura a tutti gli altri, perché è l'apertura all'infinito che è Dio.
Soprattutto è seguire il Vangelo, non un'istituzione della Chiesa.
Ecco potrei anche accettare un discorso sui motivi teologici della verginità del sacerdote, si può anche discutere se e fino a che punto sacerdozio e verginità debbano coincidere, anche se mi è tanto difficile dimenticare che Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote ci ha dato come esempio e modello una vita verginale, ma non posso, non riesco ad accettare, pur con tutta la comprensione per la debolezza umana, un discorso che non abbia delle motivazioni cristiane e sia solo un discorso egoistico sui propri diritti.
E a questi uomini,a questi poveri uomini che non sanno, non riescono a vedere nella donna null'altro che l'appagarsi delle proprie esigenze e dei propri bisogni, vorrei chiedere di guardare con rispetto la donna, questa creatura nata per essere soltanto "la serva del Signore" e per glorificare Dio insieme all'uomo. Di riconoscerle sì la sua capacità di amare, di fare donò di se, di donare tanta gioia intorno a sé, ma riconoscendole soprattutto la sua dignità di figlia di Dio, che nella Vergine Maria è diventata Madre del Suo Dio.
E ogni uomo nella sua donna e in tutte le donne si sforzi di vedere sempre la Madre del suo Dio, e solo così potrà amarla veramente di un amore cristiano, di un amore che trae origine da Dio.
Mirella
E' il messaggio degli apostoli e la voce dei profeti loro antenati che canta nel Magnificat di Maria. Lo Spirito che ha parlato nei profeti agisce in lei, Dio le dà di capire che di generazione in generazione sì ripeterà la sua felicità, la sua beatitudine di povera donna colmata da Shaddai la cui misericordia si estende di età in età nella santità del Suo nome. Lo Spirito dona a Maria la forza di sradicare e demolire, di costruire e di piantare, come a Geremia che era lui stesso solo un bambino. Vede lungo i secoli il braccio di Shaddai disperdere gli orgogliosi, rovesciare i potenti dai loro troni e rinviare i ricchi a mani vuote spiegando la sua forza.
Vede le mani del Signore sollevare gli umili e riempire di beni gli affamati. Il Dio che canta è il Dio di Amos che inchioda al suolo coloro che vendono il giusto per denaro, e il povero per un paio di sandali, che opprimono i deboli e schiacciano i poveri. Il Dio di Isaia la cui luce si leva per colui che dona il suo pane all'affamato e aiuta l'oppresso, il Dio che rifiuta il culto che pretendono di darGli coloro che non dividono i loro beni e non praticano la giustizia, i legislatori di leggi ingiuste e; gli scribi oppressori che si rifiutano di rendere giustizia agli infelici e frustrano nei loro diritti i poveri del loro popolo. Ma colui che divide il suo pane con l'affamato e il suo vestito con chi è nudo, quello diventa simile al Misericordioso che Maria magnifica.
In lei prende vita il Dio del cespuglio ardente che brucia senza consumarsi, il Dio che nei secoli dice senza fine attraverso i suoi profeti; "ho visto la miseria del mio popolo... ho prestato orecchio alle grida che gli strappa, ohi lo governa. Conosco le sue angosce, l'oppressione di chi lo sfrutta e ho deciso di liberarlo... Io, ti invio..." (Es. 3,7)
Il legame si annoda più forte che mai e per sempre fra il Dio tre volte santo e l'umanità perchè in lei il Dio creatore dell'universo, il Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, il Verbo che illumina ogni uomo si fa carne e comincia ad abitare fra noi, uno di noi. Dio si fa uomo perché l'uomo sia obbligato ad amare l'uomo amando Dio. La promessa fatta ad Abramo e ai nostri padri è compiuta: Dio è Amore.
Marie-Thérèse Compagne de Jesus
Un cielo scuro come quasi di notte alle tre e mezzo del pomeriggio e pioveva sempre anche quando non pioveva, in quei momenti di leggera schiarita da quanto la pioggia era in terra, nell'aria e perfino nelle ossa.
Paura di essere ombre, strane e sognanti, invece che uomini, raggruppati sulla piazza, incerti e spauriti perchè troppo pochi e troppo povera gente per 1'immensa cosa che ci colmava l'anima e che bisognava testimoniare anche se così pochi e sbiaditi nello scuro della aria grigia e pesante, nell'indifferenza ancor più nera e soffocante di tutti. E sarebbe stato giusto gridare fino ad affiochirsele battersi il petto che la guerra è sempre la guerra. Ma nessuno vuole sentirselo dire. Nessuno vi crede: nemmeno quelli che sanno cosa sia la guerra. Perchè nessuno ha pietà vera di se stesso e degli altri.
Nemmeno dei morti che sono morti di guerra. E se ne fanno una gloria non una disperazione, una maledizione. Perchè il sangue grida vendetta.
Qualche diecina di ragazzi e ragazze. A dire, camminando per la strada corne in una processione dolorosa e faticosa, che i morti della guerra si onorano soltanto realizzando il sogno rimasto nei loro occhi sbarrati da morte violenta, un sogno, un desiderio, una voglia infinita di pace.
Tutto il resto: medaglie, parate, musiche e canti, gloria di monumenti, entusiasmi patriottici, militarismi assurdi, benedizioni e consacrazione di grandezze, in confusioni impressionanti di Vescovo e di generale,di sacerdote e colonnello: qualsiasi altra cosa che non sia piangere sulla sciagura infinita che è la guerra e lottare fino all'incredibile per impedire che si rinnovi, è responsabilità diretta, personale di cui Dio giudicherà. Perchè è armare il cuore, è accendere lo spirito, è convincere alla guerra: è preparare la guerra. E questo è delitto, come insegnare ad assassinare, a violentare, a distruggere...
E' terribile quando senti spaventose, terribili chiarezze nell'anima e vedi che intorno nessuno ci pensa, nemmeno sospetta o peggio ancora pensa in modo orribilmente sbagliato fino al punto che l'errore è disgrazia per tutti.
Ti verrebbe da fare chissà cosa.
Siamo rimasti, là sulla piazza, un po' incerti, smarriti. Da levante si allargava un nero di cielo come se cominciasse di là, di dove nasce il sole, la notte. Fra pochi istanti avrebbe rovesciato giù il diluvio.
Avevo nelle ossa un senso di timore stranissimo e l'animo diaccio di sgomento.
Ho pensato alla Fede quanto un granello di senape, capace di muovere una montagna: non vi poteva essere altro motivo di coraggio e ci siamo messi a camminare.
La gente si voltava appena e gli si leggeva chiaramente in faccia: ma che cosa vogliono questi qui?
Forse si riusciva soltanto a rendere più complicato il traffico stradale . Tanto più che cominciava a piovere. Ci sovrastava ormai quel buio nero di cielo. E ora scrosciava giù la pioggia. Pareva di essere dei disgraziati avviati ad un campo di concentramento invece che alla piazza del monumento delle vittime della guerra, così battuti dalla pioggia, a testa bassa, oppressi e umiliati, come se fossimo stati carichi di tutta la disgrazia del mondo.
Salve, fratelli, ho detto ai due marinai sull'attenti, imperterriti sotto la pioggia e il mitra al braccio. Loro duri, impalati, solenni, immagine di grandezza e di potenza, io, noi, poveracci, come degli straccioni di strada. Ma la pioggia ci infradiciava tutti ugualmente rendendoci quella povera gente che il vento della pazzia umana strappa dall'albero, porta via e getta a morire per terra, come le foglie dei platani in quel pomeriggio di pioggia violenta nella piazza del monumento di Viani alla disperazione della guerra.
La Lettera di don Milani ai giudici del tribunale proclamata sulla piazza alla piccola folla in giro intorno all'altoparlante, pareva una pagina del profeta Isaia che sognava le spade diventare falci e le lance aratri.
Ma anche la speranza spesso è duro tenere viva e continuare a sognare in una realtà tanto spietata è pazzesco.
E ce ne siamo tornati a casa nemmeno liberati dal peso enorme che ci grava sull'anima di preti e di Chiesa perchè il cartello a striscione che noi due preti volevamo far leggere a tutti e a tutti gli eserciti di sempre e di tutto il mondo, 1'abbiamo dovuto lasciare in macchina: "Chiediamo perdono della benedizione delle armi".
don Sirio
Durante la conquista spagnola del Perù gli Indios sono stati dispersi, in modo brutale, lontano dalle loro terre avite, eppure ancor oggi essi sono circa 4 milioni su una popolazione totale di 12 milioni di persone.
Ma essi non hanno il diritto di essere felici. Sono costretti a lavorare in condizioni di inferiorità nelle grandi tenute agricole dei padroni bianchi. E questo permette loro solo la sopravvivenza. In alcune haciendas il loro salario è di alcune foglie di cacao, che masticate a lungo smorzano la fame e avviliscono i sensi. La segregazione in atto arriva fino al punto di tenere gli Indios al di fuori del sistema monetario.
Nelle haciendas si lavora in condizioni disumane, dall'alba al tramonto. Gli indios abitano capanne ricoperte di paglia e si cibano solo di zuppe e di patate, non conoscono i benefici della elettricità e dell'acqua corrente. I giovani soffrono di dissenteria e di difterite e i vecchi - spesso hanno solo 20 anni - sono minati dalla tubercolosi e da altre malattie polmonari; mancano di assistenza medica perchè non possono pagare i rari medici che si avventurano nelle campagne.
E a questa miseria così grande si aggiungono i maltrattamenti, non è raro vedere un contadino mutilato e sfigurato dai colpi di coltello dei sorveglianti. L'aridità del suolo e la durezza delle condizioni di vita, costringono spesso i contadini a lasciare la terra per la città, ma le loro condizioni di vita non migliorano, spesso passano tutta la vita in attesa di un ipotetico lavoro o sono costretti ad accettare lavori umilianti in condizioni disumane.
La situazione degli Indios del Perù non è che un esempio, se ne potevano scegliere molti altri per ricordare l'esistenza quotidiana, schiacciante e sottile della violenza dei ricchi e dei potenti.
E' ormai accertato che si tratta della principale violenza e della più inammissibile in tutto il terzo mondo.
Moderna e permanente strage degli innocenti. Eppure ogni discorso sulla violenza richiede che si chiarisca e si ribadisca la realtà di questa oppressione.
E' utile ricordare le parole dette da Helder Camara in un suo recente viaggio a Parigi.
"Nel mondo sottosviluppato, le masse che vivono in condizioni disumane sono oggetto della violenza di piccoli gruppi di privilegiati e di potenti. Si sa che se essi cercano di costituirsi in popolo e fanno uno sforzo per un'educazione di base e una cultura popolare, se si organizzano in sindacati o in cooperative, i loro leaders sono qualificati come sovversivi e comunisti.
E' stato giustamente detto: essi si mostrano ribelli al disordine costituito e perciò vengono dichiarati fuori legge... devono scomparire perchè regni l'ordine. L'ordine-disordine. Quanto al diritto spesso è uno strumento di violenza contro i meno potenti, oppure si riduce a belle frasi nei testi delle dichiarazioni, come quella dei Diritti fondamentali degli uomini di cui il mondo celebra il ventennale. Un modo giusto per festeggiare questa ricorrenza da parte dello O.N.U. sarebbe la verifica se vi è qualcuno di questi diritti che sia veramente rispettato nei paesi del terzo mondo."
Rivoluzione e giustizia
S'impone allora ai poveri e a tutti coloro che amano la giustizia un problema: come replicare alla violenza dei ricchi?
Tutti sembrano concordi in questa soluzione:n è necessaria una rivoluzione.
Ancora una volta ricordiamo le parole di Camara.
Se si guarda il mondo sottosviluppato, non importa da quale punto di vista, economico, scientifico, politico, sociale, religioso, chiunque arriva a capire che una revisione sommaria, superficiale non sarà sufficiente. Si deve prendere in esame una revisione in profondità, un mutamento profondo e rapido - senza aver timore della parola - si deve arrivare a una rivoluzione strutturale.
"Dal lato economico chi non sa che nei paesi sottosviluppati esiste un colonialismo interno, vale a dire che esiste un ristretto gruppo di privilegiati del medesimo paese, la cui ricchezza è mantenuta a prezzo della miseria di milioni di connazionali? E' ancora un regime semifeudale: sotto l'apparente vita patriarcale vi è una realtà in cui sono ignorati i diritti della persona, situazione disumana e vera schiavitù. I lavoratori rurali non hanno accesso alla maggior parte della terra che i ricchi proprietari conservano incolta per valorizzarla per il futuro.
"La politica non può restare dominio dei privilegiati che impediscono le riforme di base o le lasciano sulla carta.
Quello che si dice dell'America Latina lo si può dire di tutti i paesi del terzo mondo: c'è veramente bisogno di una rivoluzione strutturale".
Perchè insistere? Nessuna persona onesta potrebbe mettere in dubbio la violenza dei ricchi, né la necessità di un mutamento radicale e profondo.
La discussione comincia quando si vuole determinare in che modo condurre e come concludere la necessaria rivoluzione.
Volontari della violenza
Vi sono i partigiani della violenza. Questo è il risultato di una scelta deliberata per motivi ideologici e tattici.
Inti Peredo, che è alla testa dei guerriglieri boliviani dopo la tragica morte di Guevara, dice:
"L'inizio della nostra lotta è stato segnato da una tragica avversità, la scomparsa irreparabile del nostro amico, compagno e comandante Guevara e di molti altri combattenti. Essi che rappresentavano quanto di più puro e di più nobile vi è nelle generazioni del nostro continente, non hanno esitato a sacrificare per la redenzione dell'umanità il poco che potevano offrire: la loro vita. Ma tutti questi episodi dolorosi fortificano le nostre coscienze rivoluzionarie, aumentano la decisione nella giusta lotta. Noi sappiamo perché combattiamo. Non facciamo la guerra per la guerra. Non siamo un gruppo di visionari . Non ci battiamo per delle ambizioni personali o di parte. Noi siamo convinti che il sogno di Bolivar e di Guevara non si realizzerà se non per mezzo di una lotta armata la sola via degna, onesta, gloriosa e irreversibile che unirà il popolo. Non vi sono forme di lotta più pura. E nella lotta armata la guerriglia è il metodo più efficace e corretto.
Per Inti Peredo, ed egli non è un uomo solo, l'unica risposta alle intollerabili ingiustizie dei potenti è la lotta armata. Egli replica alla violenza con un'altra violenza.
Violenti senza volerlo
Non tutti i violenti lo sono volontariamente, vi sono anche coloro che sono spinti a una replica brutale perchè vittime dirette della violenza dei potenti. E gli esempi sono assai frequenti. Ogni giorno se ne trova qualcuno sui giornali.
Si sa per esempio che la dimostrazione degli studenti in Brasile ha causato alcuni morti e diversi feriti. Queste manifestazioni dimostrano in modo tipico come degli uomini che non lo desideravano in partenza siano stati spinti alla violenza. Le prime manifestazioni erano state organizzate nella calma ma poi è intervenuta la repressione brutale e violenta della polizia e dell'esercito del potere dittatoriale.
Attaccati violentemente gli studenti che erano disarmati si sono difesi con le armi di fortuna che hanno potuto trovare sul posto. La volta seguente hanno replicato con le armi che si erano procurati, per non essere in condizioni di inferiorità rispetto alla polizia armata.
Si è trattato di una risposta alla violenza con la violenza, ma non per una scelta volontaria.
Non violenti
Eppure a dispetto della violenza vi sono degli uomini - anche nel terzo mondo - che la rifiutano come mezzo per realizzare la necessaria rivoluzione. Essi scelgono la non violenza attiva.
Non si può non approvare l'opera di un Luther King, continuata oggi dal suo amico Abernathy. La sua rivoluzione non-violenta non sarà stata né inutile né inefficace. Chi ha risvegliato più di lui nella ricca, vasta e insensibile America la coscienza dei negri? Ci si può ragionevolmente chiedere se il suo movimento non sarebbe stato soppresso al suo sorgere se avesse scelto la violenza per esigere il rispetto della dignità dei suoi fratelli neri.
Anche in Brasile sorge ora un grande movimento non-violento e il promotore è proprio Camara, il popolare Vescovo di Recife, che i suoi amici chiamano il Vescovo dei poveri e che i nemici trattano da "comunista".
Molto belli i motivi della scelta: "Io rispetto coloro che, in coscienza, si sono sentiti obbligati di optare per la violenza, la cui sincerità è stata confermata con il sacrificio della vita. Credo che il ricordo di Guevara e di Camillo Torres meriti lo stesso rispetto di quello di Luther King.
"Io accuso i veri fautori della violenza, tutti coloro che, di destra o di sinistra, feriscono la giustizia e impediscono la pace.
La mia vocazione personale è quella di pellegrino di pace. Personalmente io preferisco mille volte essere ucciso che uccidere. Questa posizione personale si basa sul Vangelo. Tutta una vita in cui mi sono sforzato di comprendere e vivere il Vangelo mi ha portato alla profonda convinzione che il Vangelo, se lo si può e lo si deve chiamare rivoluzionario, è perchè esige una conversione di ciascuno di noi.
Non abbiamo il diritto di chiuderci nell'egoismo; dobbiamo aprirci all'amore di Dio e all'amore degli uomini. Basta pensare alle Beatitudini.. (parte illeggibile di due righe).. quintessenza del messaggio evangelico, per scoprire che la scelta è chiara: noi cristiani siamo per la non violenza che non è per nulla una scelta debole e passiva.
La non-violenza è credere più che nella forza delle guerre, delle uccisioni e dell'odio, nella forza della verità, della giustizia e dell'amore.
La scelta della non-violenza si centra sul Vangelo, ma si fonda anche sulla realtà. Volete del realismo? Allora vi dico: se in un angolo del mondo dovesse esservi uno scoppio terribile di violenza, subito arriverebbero le grandi potenze anche senza dichiarazione di guerra avremmo un secondo Viet-Nam.
L'Arcivescovo di Recife pensa che la non-violenza possa liberare più presto delle guerriglie il suo paese, certo non si potrà pretendere che il movimento, lanciato da Camara e da un'altra quarantina di vescovi brasiliani, ottenga un capovolgimento improvviso. Queste azioni richiedono prima di ottenere risultati, tanto coraggio, e tanta perseveranza.
Ad ogni modo è naturale che il movimento non violento in America Latina sia stato lanciato dai cristiani.
"Senza dimenticare i grandi esempi di eroismo e di abnegazione, noi cristiani abbiamo gravi responsabilità per la situazione di ingiustizia che si è creata in America Latina.
Non chiudiamo forse gli occhi e aiutiamo i ricchi a conservare tranquilla la coscienza accettando le loro offerte per costruire le chiese o per le nostre opere sociali. In pratica non abbiamo dato una parvenza di ragione a Marx, presentando un cristianesimo passivo, alienato e alienante, veramente un oppio per i popoli?
La non-violenza è soprattutto una risposta evangelica alla violenza dei ricchi, a una violenza di cui troppe volte la Chiesa si è resa complice.
La non-violenza è una vera rivoluzione, una vera violenza cristiana, un rispondere alla violenza opprimente dei ricchi e dei potenti con la violenza dell'Amore, l'unica violenza possibile per chi voglia fare suo il Vangelo.
da "Croissance des jeuness" n. 1 ottobre 1968
"L'Avvenire d'Italia" del 22 c.m. Prima pagina: articolo di fondo sull'eredità dei Kennedy dopo cinque anni da Dallas. Il grosso titolo circa le dimissioni di Rumor e lo sganciamento di Moro. Poi i cinque fratellini asfissiati dal gas e un miliardo di dollari al franco francese. Volti con un sospiro di sgomento la prima pagina del giornale cattolico e nell'angolo in alto a sinistra a caratteri di rilievo, leggi e ti sì allarga il cuore sinceramente a respiro di regno di Dio, le prime parole di una lettera di Paolo VI all'arcivescovo di Hanoi: "Avremmo voluto condividere le dure prove del popolo vietnamita". Ho continuato a leggere lo confesso, con il cuore che mi batteva e con un nodo di commozione. "Se le circostanze fossero state più favorevoli molto volentieri, siatene certi, saremmo personalmente venuti in mezzo a voi, per incoraggiarvi nelle vostre dure prove e per farvi sentire con quale animo noi le condividiamo"
Ora noi crediamo che il cuore di Paolo VI è fatto veramente così. E e ciò che particolarmente ci commuove in Lui. Ha il cuore libero e apertissimo a sensibilità immediate e profondissime.
Ed è bellissimo ascoltarne il palpito colmato di sofferenza, addirittura di angoscia, fino a coglierne tutto lo slancio, che sarebbe sicuramente di cose meravigliose.
E a leggere quelle poche righe ho sentito quella profondità di angoscia e quello slancio e sinceramente ho creduto che è stata sofferenza terribile per Lui, non poter bruciare tutte le circostanze non sufficientemente favorevoli e non poter andare ad abitare, almeno per qualche tempo, fra il popolo del Vietnam. E mi è venuto da sognare un papa che va a condividere le situazioni umane più disumane nel mondo, in un'incarnazione cristiana vissuta fino all'estremo.
E mi bastava intanto sapere che questo sogno Paolo VI lo sognava nel suo cuore.
Ma disgraziatamente ho continuato a leggere e dopo poche righe ho trovato la precisazione circa questo eventuale viaggio di Paolo VI nel Vietnam, di Mons. Vallainc, direttore della sala stampa della S. Sede.
"Si tratta di un modo di dire per esprimere più significatamente la partecipazione spirituale di Paolo VI alle celebrazioni del centenario, ecc.".
Se potessi parlare con il Papa o se riuscissi a fargli pervenire una lettera (ma non ne ho un'ombra di fiducia e quindi non gliela scrivo) vorrei pregarlo di levarselo di torno questo Monsignore, questo spegnimoccolo di luce accesa, questo pompiere su un po' di fuoco nel cuore di poveri cristiani.
Gente che incartapecorita dalla diplomazia, inaridita dalla prudenza degli uomini e abituata alla falsità del giornalismo, porta anche intorno al Papa (che volere o no è realtà diretta e scoperta di Regno di Dio nel mondo) i soliti sistemi, fino a poco tempo fa, delle corti regnanti e ora dei gabinetti dei governi, dimenticandosi di tutto, dalla fedeltà al Vangelo fino al più elementare rispetto della buona Fede dei Cristiani.
E Paolo VI per via di Mons. Vallainc mi è apparso ancora una volta un povero uomo al quale cambiano tranquillamente le parole in bocca oppure dichiarano disinvoltamente che quello che dice è così tanto per dire: e, nel caso, sono parole dette tanto per dire qualcosa di intenso a un popolo che nientemeno è il disgraziatissimo popolo vietnamita.
Bravo, Mons.Vallainc, se non altro per la voglia che fa crescere nel cuore dei cristiani, di veder spazzar via d'intorno al Papa, quel monsignorume che lo soffoca. E questo per un Amore serio, profondo, fatto veramente di Fede e di fedeltà, al Papa, Vicario di Cristo.
don Sirio Politi
"L'Avvenire d'Italia" del 22 c.m. Prima pagina: articolo di fondo sull'eredità dei Kennedy dopo cinque anni da Dallas. Il grosso titolo circa le dimissioni di Rumor e lo sganciamento di Moro. Poi i cinque fratellini asfissiati dal gas e un miliardo di dollari al franco francese. Volti con un sospiro di sgomento la prima pagina del giornale cattolico e nell'angolo in alto a sinistra a caratteri di rilievo, leggi e ti sì allarga il cuore sinceramente a respiro di regno di Dio, le prime parole di una lettera di Paolo VI all'arcivescovo di Hanoi: "Avremmo voluto condividere le dure prove del popolo vietnamita". Ho continuato a leggere lo confesso, con il cuore che mi batteva e con un nodo di commozione. "Se le circostanze fossero state più favorevoli molto volentieri, siatene certi, saremmo personalmente venuti in mezzo a voi, per incoraggiarvi nelle vostre dure prove e per farvi sentire con quale animo noi le condividiamo"
Ora noi crediamo che il cuore di Paolo VI è fatto veramente così. E e ciò che particolarmente ci commuove in Lui. Ha il cuore libero e apertissimo a sensibilità immediate e profondissime.
Ed è bellissimo ascoltarne il palpito colmato di sofferenza, addirittura di angoscia, fino a coglierne tutto lo slancio, che sarebbe sicuramente di cose meravigliose.
E a leggere quelle poche righe ho sentito quella profondità di angoscia e quello slancio e sinceramente ho creduto che è stata sofferenza terribile per Lui, non poter bruciare tutte le circostanze non sufficientemente favorevoli e non poter andare ad abitare, almeno per qualche tempo, fra il popolo del Vietnam. E mi è venuto da sognare un papa che va a condividere le situazioni umane più disumane nel mondo, in un'incarnazione cristiana vissuta fino all'estremo.
E mi bastava intanto sapere che questo sogno Paolo VI lo sognava nel suo cuore.
Ma disgraziatamente ho continuato a leggere e dopo poche righe ho trovato la precisazione circa questo eventuale viaggio di Paolo VI nel Vietnam, di Mons. Vallainc, direttore della sala stampa della S. Sede.
"Si tratta di un modo di dire per esprimere più significatamente la partecipazione spirituale di Paolo VI alle celebrazioni del centenario, ecc.".
Se potessi parlare con il Papa o se riuscissi a fargli pervenire una lettera (ma non ne ho un'ombra di fiducia e quindi non gliela scrivo) vorrei pregarlo di levarselo di torno questo Monsignore, questo spegnimoccolo di luce accesa, questo pompiere su un po' di fuoco nel cuore di poveri cristiani.
Gente che incartapecorita dalla diplomazia, inaridita dalla prudenza degli uomini e abituata alla falsità del giornalismo, porta anche intorno al Papa (che volere o no è realtà diretta e scoperta di Regno di Dio nel mondo) i soliti sistemi, fino a poco tempo fa, delle corti regnanti e ora dei gabinetti dei governi, dimenticandosi di tutto, dalla fedeltà al Vangelo fino al più elementare rispetto della buona Fede dei Cristiani.
E Paolo VI per via di Mons. Vallainc mi è apparso ancora una volta un povero uomo al quale cambiano tranquillamente le parole in bocca oppure dichiarano disinvoltamente che quello che dice è così tanto per dire: e, nel caso, sono parole dette tanto per dire qualcosa di intenso a un popolo che nientemeno è il disgraziatissimo popolo vietnamita.
Bravo, Mons.Vallainc, se non altro per la voglia che fa crescere nel cuore dei cristiani, di veder spazzar via d'intorno al Papa, quel monsignorume che lo soffoca. E questo per un Amore serio, profondo, fatto veramente di Fede e di fedeltà, al Papa, Vicario di Cristo.
don Sirio Politi
Luigi Sonnenfeld
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tel: 058446455