POPOLO DI DIO: PdD anno 2° dicembre 1969

idee ed esperienze della Comunità Parrocchiale di S. Maria

Chiesa e il dovere del nuovo

Portiamo,ormai da un pezzo,una grossa pena nel cuore. Ed è spesso un'angoscia che ci soffoca,quasi come a toglierci ogni speranza e fiducia. E anche se in modi e misure diverse vediamo bene che questa impressione di soffocazione non è soltanto problema nostro,di gente inquieta cioè,che ha bisogno di chiarezze estreme e di autenticità eccessive, come spesso ci viene detto quasi a rimprovero, ma è problema diffuso, ormai allargato alla stragrande maggioranza del clero e a grandissima parte del laicato,quasi a livelli di totalità quando si tratta di giovani.
Basta che appena appena si vada al di là di una visione della Chiesa intesa come devozionalismo tradizionale, come moralismo precettistico e liturgismo estetizzante e immediatamente non è possibile non esporsi ad un vero di s orientamento. Or a che la Chiesa, gerarchicamente intesa non può più presentarsi con assolutismi di autorità disciplinare e pastorale,non può più fare forza su un giuridicismo convenzionale del tutto contemplato e del tutto risolto a base di diritto canonico, ma deve ogni giorno guadagnarsi - più o meno faticosamente - il suo proporsi al Popolo di Dio, questa Chiesa lascia scoprire vuoti impressionanti, situazioni assai confuse, incapacità paurose, che non possono non provocare sbandamenti preoccupanti e colmare di angoscia profonda l'umanità.
Stanno suppurando piaghe antiche ed esplodono mali nascosti . Stanno venendo al pettine tutti i nodi e fanno gruppo insolubile . Il fiume è al di sopra degli argini ormai e la marea sale ogni giorno.
E tanta luce si accende all'improvviso, come se si fossero recuperati gli occhi dopo lunga cecità. Sono squarci di azzurro, splendente di sole,che si allargano in un cielo sempre coperto e grigi o, invernale. Stanno succedendo risvegli insospettabili e di colpo tutto è un via vai, confuso eppur pieno di vita, come una grande città di primo mattino.
Vi è un vento di novità che scuote dalle fondamenta le vecchie e gloriose istituzioni ecclesiastiche. E si tratta di rinnovamenti che tutto investono, tutto travolgono nulla viene risparmiato. In un incalzare quotidiano, in un premere insistente,in un pretendere ormai senza pazienza.
Chi questo non vede è cieco e non vuole aprire gli occhi nemmeno al miracolo. Non avvertire questo smarrimento generale significa chiudersi in casa soddisfatto del proprio ovattamento borghese, egoistico, gretto. E' impossibile non soffrire di angoscia terribile nel travaglio di ogni giorno da cui può nascere qualcosa di morto e non una vita nuova.
E' tempo di sofferenza vera e di preoccupazione profonda l'Amore alla Chiesa. Come è tempo di rinnovamento radicale, capace di creare una nuova esistenza assai più raffigurabile al Vangelo piuttosto che esaurirsi in versioni dal latino e ammodernamenti di parole e gesti liturgici.
Chi non si lacera l'anima cogliendo le proprie responsabilità e non sa numerare i propri tradimenti per un cedere alla pigrizia borghese piuttosto che alla violenza del Vangelo,non può sentirsi Chiesa dei nostri giorni e deve sapere che non è fatto per il Regno di Dio.
Perché soltanto dopo questo piangere sulle proprie responsabilità, è possibile accendersi d'amore, colmarsi di ideali, programmare sincerità, azzardare propositi e intraprendere, umilmente e coraggiosamente, a proporre qualcosa di nuovo, all'interno della Chiesa, come più vera realtà di Regno di Dio, ad offrire qualcosa di veramente serio agli uomini e al mondo intero. E serietà qui vuoi dire valori umani e divini di autenticità e di misura tale capaci di entrare nella problematica della esistenza con apporti risolutivi in ordine all'eternità e quindi e tanto più nei confronti del tempo.
E'da questa constatazione di cose che non può non riflettersi - se si è appena disposti a pagare di persona qualcosa - un disagio personale e comunitario, che può tanto facilmente essere scambiato per irrequietezza e scontentezza congenita, ma che invece è soltanto e semplicemente sensibilità di coscienza ecclesiale che costringe continuamente a rivedere le proprie linee di condotta, le misure delle proprie responsabilità e specialmente a scoprire le richieste di un giocare assai di più - e chi può stabilire fino a che punto - la propria vita.
"Non sono venuto a portare la pace ma la spada".
C'è una lotta che dovrebbe essere sempre nuova come la luce di ogni mattina. C'è un combattere che è l'unico Amore. C'è un morire che è indispensabile alla risurrezione.
C'è l'uomo vecchio che deve essere continuamente soppiantato dall'uomo nuovo.
Ci stiamo domandando cerne può avvenire questa penitenza incessante che è creazione inesauribile di vita nuova. Questo nascere di nuovo anche quando si è vecchi. E non vorremmo essere Nicodemi qualunque - che sistemano la loro pigrizia e la loro paura al riparo di complicazioni teologiche e nelle penombre di prudenti saggezze.
Ci sovrasta e ci sgomenta un grosso pericolo - e lo sentiamo nella nostra comunità e non soltanto nella nostra - il pericolo di aver osato molto e che questo ci basti, o peggio ancora, che debba bastare. Il pericolo che ci si sorprenda che possa esserci chiesto molto di più e proprio a seguito di quello che è stato dato.
Tanto più che la Chiesa - gerarchicamente intesa - potrebbe manifestarci l'impressione di aver già fatto molto a concederci la sua comprensione fin qui e a continuare ad andare avanti potrebbe domandarci con quella domanda così terribilmente sgomentante: ma insomma che cosa volete?
Nella strada del Regno di Dio ogni passo è una rottura perché è una scelta e mistero di Fede e miracolo d'Amore. E' il giorno in cui il Regno di Dio non è nuovo non è già più Regno di Dio.
Portiamo nella nostra scelta cristiana e nella nostra realtà sacerdotale, individuale e di Popolo di Dio, il venire di Dio fra gli uomini, l'incarnarsi incessante di Gesù.
Il Natale è l'inizio di un nascere che è di ogni giorno. Come di ogni giorno è il morire. Perché così è il mistero cristiano nel mondo. Non accettiamo più ciò che non vuole assolutamente morire in noi, nella Chiesa, nel mondo. Vorremmo tanto nascere nuovi ad ogni mattina.
Vorremmo che il cammino nel quale ci siamo incamminati non si fermasse, trasformando le tende di una Chiesa pellegrina in muri massicci. Dove tutto è al sicuro, al riparo di consensi e di benedizioni.


Redazione

Warum? perché... Massimiliano Kolbe

Agosto 1941: al blocco 14 del campo di Auschwitz i prigionieri sono costretti dalle armi delle S.S. da tre ore sulla posizione di attenti, in un'immobilità assoluta. Al di là del reticolato percorso dalla corrente ad alta tensione, la caccia a uno di loro evaso nelle prime ore del mattino sta continuando.
Il colonnello "testa di mastino" comandante del campo, aspetta impaziente al centro del quadrato degli scheletri viventi, la cattura del fuggiasco o l'avvio della punizione collettiva: una sua particolare invenzione.
Il campo di'concentramento era situato nella Polonia meridionale dove la Sola confluisce nella Vistola. Questa terra paludosa e insalubre accoglieva 200 mila prigionieri "politici": materia prima di questa Fabbrica della morte dove le ciminiere dei forni crematori mandavano fumo notte e giorno. Nei sogni di Hinmler doveva essere la prima pietra di un'immensa città, che - dopo la fine vittoriosa della guerra hitleriana - avrebbe ospitato dieci milioni di persone, dieci milioni di schiavi destinati come scorie allo sfruttamento e alla distruzione. Alla fine della guerra Auscwitz potrà dimostrare di aver pienamente corrisposto, almeno nella fase sperimentale, agli ordini di Hinmler, presentando un consuntivo di oltre 5 milioni di esseri umani inceneriti nei suoi forni crematori.
Le ore passano lente come secoli sotto un sole di piena estate che di ora in ora si fa più spietato per quegli uomini distrutti dalla fame, dalla sete e dalla fatica. Qualcuno comincia a stramazzare al suolo svenuto. Se non si rianima sotto il grandinar delle percosse, è trascinato via, per i piedi e gettato in un angolo del "piazzale".

LA SCELTA
Testa di mastino, alle 18, si pianta, a gambe divaricate, davanti alle sue vittime, sul campo un silenzio di tomba.
"L'evaso non è stato ritrovato dieci di voi moriranno nel bunker della fame. La prossima volta toccherà a venti."
Lentamente il capo inizia la sua scelta fissando nello sguardo, uno ad uno i prigionieri e di ciascuno assaporando il terrore.
"Questo qui", Testa di mastino puntava a caso il suo indice sul numero cucito sulla giacca del prigioniero. Il drappello dei martiri è completo. "Arrivederci amici, ci rivedremo lassù, dove c!è vera giustizia", "viva la Polonia! E' per essa che io do la mia vita".
Francesco Gajowniczek n° 5659 piange disperato ricordando la moglie e i figli. Tra le file dei risparmiati lo sbigottimento lascia il posto ad un senso di sollievo, alla gioia: vivere ancora, sfuggendo alla morte atroce del bunker della fame.

16670
Un uomo esce dalle fila - numero 16670 - e con passo deciso si presenta a Testa di Mastino.
"Cosa vuole da me questo sporco polacco?"
"Vorrei morire al posto di uno di quelli"
"Perché?"
"Sono vecchio, ormai, e buono a nulla - La mia vita non può più servire gran che."
"E per chi vuoi morire?"
"Per lui, ha moglie e bambini"
"Ma tu chi sei?"
"Un prete cattolico" P. Massimiliano Kolbe - n° 16670 - dice semplicemente "un prete" per offrire a "testa di mastino" un valido pretesto che giustificasse quel suo ritorno su una decisione già presa.
I preti nella "considerazione" degli aguzzini di Auschwitz occupavano la penultima bolgia: dopo "gli ebrei" venivano subito "i preti": ad essi erano imposti i lavori più sfibranti e su di essi cadevano con maggior accanimento i colpi di staffile. Umiliati, calpestati, ridotti a stracci umani, l'odio ideologico li braccava senza tregua come bestie rognose.
Accetto: il 16670 sostituisce il 5659. Tutto è a posto. I conti tornano. Ma il campo sembra impietrito dallo stupore.
Ad Auschiwitz mai si era verificato il caso che un prigioniero avesse offerto la propria vita per un altro prigioniero sconosciuto.

BUNKER DELLA MORTE . j
Li fanno svestire e su una sola fila, uno dietro 1'altro li scortano verso il bunker. Padre Kolbe era l'ultimo della fila: il capo leggermente reclinato sulla spalla sinistra, le labbra si muovono appena in una preghiera mormorata: "Mia regina, mia Signora, mia Madre! O Mamusia hai mantenuto la parola. E' per quest'ora che sono nato!"
II sole sfiorava 1'orizzonte, al di là dei reticolati "fu un magnifico tramonto, un tramonto mai visto" racconteranno i pochi superstiti testimoni di quella sera estiva 1941. '
Vengono fatti scendere nel bunker: al di là delle spesse pareti altri venti martiri condannati a morire di fame e di sete alcuni giorni prima, si lamentavano nella loro terribile agonia. Per i dieci inizia l'ultima stazione del loro calvario.
Dicono che in quel .preciso istante in una via di Cracovia, una vecchietta vestita di nero stramazza sul marciapiede. I pochi passanti che accorrono a sollevarla la sentono mormorare: "Figlio mio..."
Era Maria Dabrowska, la mamma di Padre Massimiliano: aveva visto suo figlio rinchiuso in un sotterraneo, e istantaneamente aveva capito ch'era condannato a morire per farne. Per questo s'era sentita mancare. Ma nella visione egli le
aveva sorriso. Cantava sereno a Maria, ed esortava anche lei a cantare gli inni dell'Immacolata.

BAMBINO TESTARDO E TURBOLENTO
Padre Massimiliano Kolbe nasce nel 1894 a Zdunska~Wala, un poverissimo villaggio presso il centro industriale di Lòdz. I suoi genitori Maria e Giulio Kolbe sono operai tessitori, molto religiosi appartenenti al terzo ordine francescano, molto poveri. Raimondo - così si chiamava P. Massimiliano - è un bambino testardo e turbolento, secondo di tre fratelli, Francesco e Giuseppe.
Intorno ai dieci anni, con celeste apparizione, la Vergine Immacolata offrendogli due simboliche corone, una rossa (il martirio) l'altra bianca (la purezza) gli ispira cavalleresco amore per Lei.
A tredici anni entra nell'ordine dei Frati Minori Conventuali a Leòpoli. Dopo i primi studi è inviato a Roma per perfezionarsi negli studi filosofici e teologici. I fratelli Francesco e Giuseppe seguono Raimondo nell'ordine francescano. Giuseppe diventato Sacerdote collaborerà direttamente all'opera di P. Massimiliano. Francesco il primogenito, allo scoppio della prima guerra mondiale non saprà resistere al richiamo delle legioni insorte contro il giogo russo, uscito dal convento per tre anni fa il cospiratore e il combattente, riportando numerose ferite. Guarito clinicamente è dichiarato dai superiori inabile alla vita religiosa.
Quando Hitler porta lo sterminio nel territorio polacco Francesco Kolbe torna fra le file dei cospiratori e combatte di nuovo per la libertà della sua gente. Nel 1943 è su uno dei convogli bestiame stipati di deportati per Auschwitz. Di Francesco nessuno saprà più nulla.
Il babbo, Giulio Kolbe, aderisce al movimento antizarista nell'agosto 1914, parte per il fronte russo. Cade prigioniero, giudicato per direttissima è impiccato a Olkuzz.
Mentre studia a Roma, nel 1917, impressionato dalla lotta scatenata dalla Massoneria contro la Chiesa, P. Massimiliano idea la "Milizia di Maria Immacolata" un'associazione che si propone di mettere al servizio della Vergine Immacolata tutti i fedeli per la lotta per il Regno di Dio.

CITTA' DELL1IMMACOLATA
Ordinato sacerdote (1918) torna in Polonia e si dedica subito allo sviluppo della sua opera con la fondazione di circoli e la diffusione di un bollettino mensile dall'enorme successo editoriale: "Il Cavaliere dell'Immacolata" (750.000 copie mensili)
Nel 1927 fonda la città dell'Immacolata centro di vita religiosa consacrata a Maria e ad ogni forma di apostolato dalla stampa alla radio, dal cinema all'aereoplano. Nel 1930 salpa per il Giappone, dove nei pressi di Nagasaki fonda una seconda città "Giardino dell'Immacolata" con lo stesse finalità della prima.
P.Kolbe ripete spesso "la vita è breve e bisogna essere avari del tempo". Dal Giappone passa in India per la formazione di un terzo centro mariano, ma a causa della salute - è minato dalla tubercolosi - viene richiamato in Polonia dai superiori e destinato a dirigere la prima città (1936).
Tre anni dopo la Germania nazista invade la Polonia. La città dell'Immacolata diviene ben presto un asilo per centinaia di fuggiaschi. P. Kolbe si prende cura specialmente degli Ebrei, braccati dalle S.S. e li tratta con tanto amore.
E' sorvegliato dai Nazisti. Un giorno alcuni alti ufficiali gli proposero di optare per la cittadinanza tedesca (il cognome Kolbe è di origine germanica) ma il Padre Kolbe rifiuta seccamente dichiarandosi Polacco al cento per cento.
Arrestato il 7 febbraio 1941 è rinchiuso nel famigerato carcere di Varsavia. Il 28 maggio 1941 viene portato con altri 320 compagni di sventura al campo di sterminio di Auschiwitz.
AUSCHIWITZ
Indossata la casacca di internato P.Kolbe diviene il numero 16670. E' adibito ai lavori più pesanti e avvilenti, spesso veniva colpito con pugni e calci; ma tutti al campo sono testimoni della calma, della serenità con cui sopporta ogni offesa.
Nel Bunker della morte completamente vuoto e privo di finestre a P. Massimiliano e ai suoi nove compagni viene negata anche l'acqua. La sofferenza della fame e della sete degrada a bestie i torturati, giacché la sopportazione umana ha i suoi limiti..al di là di questi limiti vi è solo la disperazione o la santità.
P. Massimiliano Kolbe in quei 18 giorni di Calvario non smise mai di sostenere i compagni di supplizio. Il prigioniero Borgowiec, incaricato di sorvegliare le celle, affermò che le S.S. non riuscivano a sostenere lo sguardo di Kolbe. Una volta mentre portavano fuori dei morti, gli gridarono: "Guarda per terra, non noi!"
Moriva troppo lentamente,o forse è il suo comportamento ad estorcere quest'ultima grazia: li viene praticata un'iniezione di acido solforico.
"L'odio distrugge! solo l'amore è una forza che crea. Queste sofferenze non ci piegheranno; devono aiutarci a essere sempre più forti,sono necessarie, insieme agli altri sacrifici, perché coloro che rimarranno dopo di noi siano felici".
Io, uomo felice del 1969, abbasso gli occhi dalla vergogna.


don Rolando
(vedi Lorit, "Kolbe-Cronaca degli ultimi giorni". Ed. Città Nuova)


I sogni di Dio

C'è un brano molto bello che si leggeva una volta per l'otto dicembre, tratto dalla Sapienza; la Chiesa l'ha più volte attribuito a Maria anche se probabilmente raffigurava Gesù. (Prov 8,22-35).
Vi è narrata una storia non espressa in fatti, un racconto poetico, un canto di amore, una profondità di verità come in pochi passi dell'Antico Testamento. Parla di una creatura esistente già prima dell'inizio del mondo, espressione viva del pensiero di Dio, che prendeva forma davanti ai Suoi occhi per essergli motivo di gloria. Creatura particolare ed unica nata a noi nella pienezza dei tempi, non sfiorata dal peccato, parola uscita direttamente dal Verbo, donna che non conosceva che cosa fosse la divisione dal Creatore, l'essere principio e fine in sé, tentare dì farsi uguale a Dio nel sapere ciò che è bene e ciò che è male, giusto o ingiusto.
Non ha subito la tentazione di conoscere e possedere misteri di amore ai quali ci si può avvicinare solo col cuore; non amava che Dio, tutta dipendente da Lui, intatta non tanto per la sua gloria verginale, che era solo segno di un'altra realtà, intatta perché non uscita dall'amore di Dio a camminare su altri sentieri, vivente nel Suo Seno, rinata per lo Spirito, portatrice della sua luce.
Era l'umanità quale Dio l'avrebbe voluta, era la parola che si modellava sul Verbo, la linea continua che ricongiunge Dio al creato, l'incapacità di vedere o volere altro se non la Sua Volontà. Questa Immacolata Concezione specie in tempo di Avvento ci prepara, ci indica, ci muove a un'altra figura che lei già annuncia e grida con tutto il suo essere.
E' tempo di attesa. E' tempo del Battista; ogni volta tutto deve cambiare, la nostra vita personale e quella della Chiesa, il mondo raccolto nei nostri cuori, si devono disporre al battesimo di Giovanni, ed essere pronti, poi, a diminuire perché Lui solo cresca.
Accettiamo di convertirci, di orientare i nostri cuori verso l'unico Signore. Prepariamoci a ricevere Chi cambierà le nostre vite, spazzerà via le nostre visioni e i nostri schemi, le conquiste, le intuizioni; perfino l'amore scoperto e provato.
Viene l'Amore. Colui che è. Non ci insegna cos'è l'amore, né cos'è la vita, neppure come dobbiamo vivere. Assomma in sé ogni realtà, è il dominatore della storia, l'unico Uomo.
Dopo di Lui non ci sarà altra possibilità di vita se non innestandoci in Lui. Si offre al nostro sguardo e ci dice: Io sono la Vita.
Dopo di Lui è perfino assurdo tentare di capire, di comprendere di scoprire. Possiamo solo accettare di essere assunti dal Suo Amore, di essere dei salvati, di venire amati. Raccolti nel seno di un Uomo-Dio che ci porta nell'essere di Dio.
Tempo dì Avvento, tempo nel quale si deve lasciare il conosciuto per l'ignoto, disposti ad accettare che qualcuno possa travolgere la nostra vita. E' una partenza, ma è già come camminare sull'acqua. E' prepararci a entrare in un mondo tutto costituito da Dio che si è fatto uomo per rivelare l'uomo a se. Nel quale l'unica possibilità di vita è quella di rientrare non già nel seno della madre come credeva Nicodemo, ma in quello di Dio per acquistare la libertà di ricrearci davanti ai Suoi occhi prendendo forma nel Verbo, vivendo nel suo essere vita.
Maria ci muove a questo, dona e partecipa a tutti noi il gran dono di diventare immacolati, senza peccato, non lontani, separati, distinti, ma un tutt'uno con Dio.


Maria Grazia

La gioia vostra sia piena

E' difficile parlare della gioia, quella vera s'intende, quella di cui parla Gesù nel Vangelo: "Vi ho detto queste cose, affinché in voi dimori la mia gioia e la gioia vostra sia piena". Giov. XV).
E1 difficile esprimerla e pensare che altri leggendo, dovranno averne un aiuto.
La. gioia è nel cuore che ama, nel cuore puro, umile, mansueto, nel cuore pieno di Dio, la gioia è vita, non si può esprimerla a parole, "si vive"; anche Papa Giovanni usava dire che nel suo cuore c'era la gioia, tutto in lui lo dimostrava.
La gioia è un fatto di semplicità, di chiarezza, si vede in chi dimora, così come si vede la innocenza del bimbo. La gioia, credo che sia l'infanzia spirituale, quella "infanzia" di cui parla Gesù nel Vangelo.
Non vi è mai capitato di incontrare delle persone che con la loro vicinanza fanno sentire un senso di pace, di sicurezza, che danno l'impressione che tutto sia facile e normale, e allora anche i dolori più grandi, anche la lotta più dura, perdono la loro difficoltà? Queste sono anime piene di amore, anime che hanno scoperto il cuore di Dio, che vivono le dimensioni dell'amore del Cristo, e, davanti a Lui, trovano tutto il resto di una importanza secondaria. Perché ciò che veramente importa deve essere qualcosa che non abbia fine, qualche cosa sul quale si possa veramente contare, sempre.
Solo su Dio possiamo contare, sul suo Amore, sulla sua misericordia, sulla sua bontà; la gioia deve essere pienezza di vita e solo Dio può dare la pienezza di vita e solo Dio dunque dà la gioia.
Bisogna scoprirlo Dio, sono molti i modi dì farlo, molte le occasioni, ma è sempre dal di dentro, nel nostro cuore; solo lì possiamo veramente scoprirlo fino in fondo, anche se i motivi esterni possono essere tanti, che però portano sempre a questa riflessione intima.
Può essere una malattia che ci fa scoprire quanto siamo poca cosa e quanto poco ci voglia a lasciare tutto.., può essere uno stato di povertà improvvisa, la mancanza delle cose più elementari senza cui si pensava di dover poter vivere; invece si scopre che sono molto meno gli intralci e ci si può incamminare più spediti verso Dio, verso 1!Amore, verso l'umanità.
Può essere un lavoro pesante, mal retribuito, il non sentirsi compresi, valorizzati, può essere la solitudine, la monotonia delle giornate tutte uguali. Però ad un certo punto, per grazia di Dio, si vive tutto per amor suo, si accetta come dono di redenzione col Cristo e ci si scopre ricchi, immersi fino in fondo a questo mistero dell'Incarnazione che non è altro che Amore e allora ogni pena diventa gioia (e non potrebbe essere diversamente). La povertà materiale, spirituale è ricchezza perché ci fa appartenere a Dio, l'incomprensione, la solitudine ecc. non sono che motivi (chiari) che ci staccano da tutto ciò che è umano e che impedisce il nostro cammino verso l'amore: Dio.
Certo non dobbiamo dimenticare l'umanità; se ci immedesimiamo nel Cristo 1'umanità è in noi, siamo noi e ne facciamo motivo d'amore e offerta al Padre con Gesù. "Affinché siano tutti una cosa sola come tu sei in me o Padre ed io in te, che siano anch'essi una cosa sola in noi, affinché il mondo creda che Tu mi hai mandato" (Giov. XVII).
Penso non vi possa essere gioia più grande di quella di essere figli di Dio!
Io non so esprimerla, né con la penna, né con la voce, ma ne ho il cuore pieno.
Tutti i fastidi, sia della mia malattia, dei problemi economici del mio lavoro, della mia situazione familiare ecc. che fino a qualche tempo fa erano per me tormento, ossessione, quasi, oggi sono cose normali semplici direi,quasi senza importanza, infatti sono cose che hanno fine, che passano. Se la nostra vita fosse vista e vissuta col cuore di Gesù sarebbe veramente gioia per noi e per chi ci è vicino, sarebbe veramente un anticipo di Paradiso e l'abbiamo a portata di mano così, ad ogni passo, in ogni creatura che incontriamo sul nostro cammino: è la parola viva, l'espressione viva del Cristo, di Dio fatto uomo per amore, per noi, per me personalmente e questo pensiero mi fa scoppiare il cuore di gioia!!
Credo che tutta una vita non basti per rendergli grazie, ma Lui ci da il suo cuore ed è col suo cuore stesso che Gli diremo grazie.

Chiesa Regno di Dio?

La Chiesa è un segno visibile, tangibile, alla portata di tutti del farsi del Regno di Dio nel mondo. Già avvenuto e perfetto in Gesù, già rivelato, spiegato, vissuto interamente e perciò offerto con indicazioni precise, pressanti, severe: questo è il Regno di Dio e ci narra le parabole; questo è il Regno di Dio e compie la volontà del padre fino alla morte, questo è il Regno di Dio dare la vita per gli amici, e ci offre il corpo per sfamarci.
Dopo la sua venuta l'intera umanità e divenuta tempio di Dio, la storia tutta, storia di chiesa, il tempo luogo di azione dello Spirito Santo, l'universo massa da lui lievitata. Questo lento e faticoso svelarsi anche umano, questo dispiegarsi della sua storia è visibile nella chiesa. In noi cristiani che pure veliamo Dio, che annacquiamo il suo sangue, che attutiamo il grido della sua voce..
Ma Dio ha accettato il nostro essere peccatori, ha fatto del nostro vuoto motivo e luogo di espansione del suo essere Amore. E' il suo modo di amare, così diverso dal nostro.
Che Dio ci aiuti ad imparare cosa sia l'Amore, a non assumere noi cristiani il ruolo del fratello maggiore della parabola, a non somigliargli specialmente in quanto c'è in lui di fondamentalmente sbagliato.
Siamo come il fratello maggiore e lo è specialmente la gerarchia, non tanto perché lui mancava di generosità, di comprensione e non sapeva cosa fosse la larghezza del cuore - non è un fatto di mancanza di virtù, il Regno di Dio non è mai un fatto di virtù. La gerarchia è come il fratello maggiore perché rende impossibile o per lo meno difficile la convivenza, tanto che a volte si preferisce lasciare la casa del Padre, e tutto questo perché è "maggiore".
Ci si è dimenticati quasi subito il venire di Gesù come servo - il suo parlare preciso agli uomini che egli sceglie per rappresentarlo in maniera particolare: "Non carne e sangue te l'ha rivelato ma il Padre mio che è nei cieli" (mt, 16, 17) - dove il metro umano di sapere, pensare, intuire è superato per un vincolarsi immediato e indissolubile alla volontà del Padre unico cibo e bevanda, unica possibilità e motivo di vita; "Non prendete oro né argento, né rame, non sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo sostentamento" (Mt, 10, 9) dove non vi è possibilità di ritorno ai mezzi o metodi umani, ai valori, le capacità di offerta, le possibilità che regolano l'andamento del mondo perché ogni cosa è affidata unicamente alla potenza della Parola dalla quale tutto trae novità di esistenza; infine l'ultima sera (ma è tutta la sua vita) ad insegnare che colui che è maestro serve, e non già per atto di umiltà, ma perché questa è la condizione vera ed autentica di Dio, essere colui che serve, l'infinito che diventa finito, perché questo è l'amore, il povero perché tutto dona o nell'amore totalmente si esprime, il pane che si offre per sfamare l'umanità, l'acqua a dissetare chiunque abbia sete, il fuoco divampante a dare coraggio a chi teme o a accendere il legno secco, il portatore del giogo per non lasciare sola la nostra fatica, ma specialmente il crocifisso per non abbandonarci alla morte e vincerla per donare agli uomini la possibilità di divenire figli di Dio; e infine a Pietro quando già risorto vibrava di vita nuova "Mi ami tu più degli altri?" (Giov, 21, 15) un primato di amore solamente, primo perché più ama, più conosce, più è tutt'uno, anche se lo tradirà, si farà incapace, è stato scelto perché più di tutti gli altri ama e ha misteriosamente capito che Gesù solo ha parole di vita eterna.
La condizione di servizio perfettamente, limpidamente, unicamente divina deve essere scelta da coloro che più rappresentano Dio, pena il non mostrarlo al mondo, il velarlo, il rinchiuderlo in un messaggio di bontà o di buona volontà che continua a permettere agli uomini di essere uomini e a Dio di essere Dio.
Questa povera gerarchia è diventata umana, di divino ha solo l'inesauribile amore di Dio che continua ad esservi dentro. non conosco quasi la storia della Chiesa e perciò non saprei dirlo quando è cominciata questa storia della gerarchia dove la stessa parola ne rivela la visione umana, e i motivi storici che hanno concorso al suo formarsi. Conosco però la nostra capacità senza fine di non accettare che Dio sia Dio e che sia il Dio rivelato da Gesù - il non sapere cambiare radicalmente, il non morire dell'uomo vecchio - il timore, quasi, di essere innestati unicamente in Gesù, senza altri motivi di appoggio, senza la possibilità di ritorni, e capisco perché è successo tutto questo.
Ma non è volontà del Padre che chi più lo rappresenta sia come padrone, figlio "maggiore"; per lui siamo tutti uguali e chi più ha ricevuto dovrà rendere il cento per uno, donare a chiunque incontra il buon seme ricevuto e rendere accogliente la casa del Padre, casa che non ha limiti né confini perché è il suo stesso cuore, pronta ad accogliere tutti i figli che vorranno entrare, specialmente quelli che si sono allontanati por la solitudine o la disperazione.


Maria Grazia

Ti chiedo perdono, giovane prete...

In qualche occasione,nonostante tutto non mi preoccupo e nemmeno mi dispiace essere di facile commozione perché so bene che non è sentimentalismo,assolutamente, ma è comprensione profonda totale, fino a sentirmi coinvolto, in quello che sto vivendo, come a perdermi, senza ombra di difesa, senza possibilità di salvarmene. E il commuovermi fino alle lagrime è il segno, lo so bene, di questa sopraffazione, alla quale non posso che abbandonarmi totalmente.
Uno di questi momenti, ma ve ne sono diversi altri, è quando partecipo a una ordinazione sacerdotale. Mi prende così tanto e così a fondo che non è possibile che un'immensa commozione non mi si allarghi nell'anima e non impegni tutto il mio sentimento.
Questo incontro di Dio con l'uomo e questo consegnarsi dell'uomo a Dio,mi sconvolge: è come se sentissi fisicamente il nodo misterioso che si stringe fra l'umanità e Dio, in modo così concreto che eccolo lì, questo povero ragazzo ordinato prete, salirmi al cuore, alla gola e sciogliersi in commozione indicibile.
C'è poi la sensazione fisica della Chiesa che nell'ordinazione sacerdotale mi manifesta come se la vedessi e la toccassi. E mi porta via l'Amore alla Chiesa, mi intenerisce in una dolcezza incredibile. Quest'Amore alla Chiesa, Amore vero fino a interessare il cuore e colmarlo e traboccarlo di tenerezze dolcissime.
Che cose strane si sono maturate con il passare degli anni e come è vero che tutto un Mistero cresce e si allarga e ci porta via....
Quella poi era una ordinazione sacerdotale particolarissima e vi erano motivi ancora più appassionati di commozione per me.
Il Vescovo di Torino ordinava sacerdoti alcuni amici della nostra comunità, ai quali eravamo particolarmente uniti, perché gli ultimi due anni di preparazione al sacerdozio li avevano impegnati in una vita operaia. E quindi tutto il problema operaio, attraverso il segno vivo di quei ragazzi, era lì, in una presenza chiara e scoperta davanti alla Chiesa, a riceverne una consacrazione di sacerdozio.
Ce ne era in abbondanza da piangere all'infinito. Perché tutto mi ritornava nell'anima, un sogno senza fine, uno struggimento da morire, una passione sempre accesa, questo problema terribile di vita umana, a bussare al cuore - chissà perché rimane così chiuso, ostinatamente - della Chiesa. Uno spiraglio, quel pomeriggio: un Cardinale,una chiesa parrocchiale,una folla di gente, tre giovani chierici-operai...ma che diventasse una frana,un rompere gli argini, uno sbriciolare ogni muraglia, un gettare in mare tutte le montagne, perché la Chiesa possa abbracciare tutti i suoi figli e essere per tutti unicamente Amore !...
E allora succede che i sogni diventano lacrime, pianto sconsolato, cuore che si stringe in un'afflizione infinita.
Che altro si può fare? '
E quando il Cardinale parlava e raccontava quello che Lui pensava e credeva del sacerdozio, cercando i suoi pensieri soprattutto in S. Paolo e nella tradizione della Chiesa, mi veniva in mente ed erano pensieri terribilmente chiari e precisi - cosa avrei detto io a quei giovani preti se mi avessero invitato a parlare loro, al microfono.
Non molte cose e tanto meno una buona lezione di teologia, rimediata meglio che era possibile, nello scadimento di tanti studi teologici sul sacerdozio operato spietatamente dai nostri tempio E meno ancora una litania di raccomandazioni varie, di esaltazioni sciocche, di ministeri mirabolanti.
Avrei semplicemente chiesto loro perdono. Io, quasi ormai vecchio prete, venuto su dalla gavetta, logorato da troppe vicende, ma specialmente spento in troppi sogni.
Perdono di offrir loro dopo due mila anni, un Sacerdozio così impoverito, depresso, disorientato, stranito. Non si sa più nemmeno cosa sia Sacerdozio. Quale la sua specificazione nel Mistero Cristiano. Il suo preciso rapporto con Cristo. Il significato della sua presenza nel mondo. La sua giustificazione a stare fra gli uomini. La forza della sua parola. Il valore della sua testimonianza. Uomo di Dio o professionista di Sacramenti. Disco inciso di manuali di teologia o Parola che si fa Carne incessantemente. Ministro di misteri vari o luce accesa, sale della terra, pugno di lievito, ma seriamente cioè con incarnazione pagata da carne e sangue, non la sospirosa e languida misticheria pietistica. Ottima sistemazione perché ormai livellata su piani professionistici, per stipendi, pensione vecchiaia, mutua malattie, e per colmare la misura di un imborghesimento forse inevitabile, matrimonio in vista.
Autorità assolutistiche che chiedono e pretendono obbedienze da noviziato per tutta la vita. O indipendenze a titolo individualistico, ciascuno a principio e fine di ogni cosa, rivoluzioni radicali, scontentezze a non finire, contestazioni a ruota fissa. E intanto conservazioni a misura di museo, mentalità solidificate, pietrificate, chiusure stagno, insensibilità paurose.
Il tutto in un mondo che è quello che è. Borghesismo impressionante, a crescita continua. Un mondo capitalistico con il dio denaro in trionfalismi prepotenti, spietati assoluti. E poche e sconclusionate novità rivoluzionarie che non siano pacchiano tentativo sostitutivo di potere.
Ecco il Sacerdozio che ti do. Il mistero che ti offro. L!eredità che ti consegno. Quello che possiedo. Ciò che io sono.
E' poco, è spaventosamente poco.
E' come se avessi lungo i secoli dilapidato un patrimonio.
E' come se non avessi, in millenni, concluso nulla.
Vengo da lontano e ho le mani vuote. E sono stanco della strada e consumato dalla fatica. Sono come un vecchio logorato e deluso, sfiduciato.
Ti chiedo perdono di consegnarti soltanto un peso. Soltanto una crisi. Una crisi che non so nemmeno come si risolverà.
E' una terra piano piano abbandonata, sempre meno lavorata e coltivata. Una terra invasa e oppressa e vinta dal cemento e dalle autostrade. Sta diventando sempre di più terra di nessuno.
Ti chiedo perdono di offrire alle tue braccia giovani e al tuo cuore colmo di speranza, una terra bruciata così.
E ti chiedo perdono del coraggio, forse dell'incoscienza che ho, nel continuare ad offrirti pur sapendo che tutto questo ti sopraffarrà. Perchè ho molto da offrirti, da caricarti addosso - fino a schiacciarti, il peso - da aver bisogno di miracoli per poter continuare a vivere ogni giorno e guardare al domani con fiducia e speranza.
Ti chiedo perdono perché io so cosa vuoi dire che Dio è l'unico. Che Gesù Cristo è vero Dio e vero Uomo. E sarà l'unica spiegazione della tua vita. Che la Chiesa ti succhierà fino al midollo delle ossa chiedendoti tutto e nel frattempo spengendoti come lo spegnimoccolo la candela accesa. Che gli uomini ti mangeranno vivo e ti sputeranno subito per terra se qualcosa rimane loro fra i denti. Che tutti saranno scontenti di te perché tu non vivrai assai per morire continuamente e non morirai abbastanza per essere miracoloso motivo di vita.
L'Amore ma non il tuo, quello con cui ama Cristo. La pace ma quella che nasce da rotture incessanti. La giustizia ma quella che nessuno cerca e sopporta. La libertà ma quella dei figli di Dio. II pane e nel frattempo il Paradiso. La terra e insieme il Cielo. Ogni giorno uguale all'eternità..
Povera creatura in piena giovinezza. Un cuore grande così. Un sognare senza orizzonti. Carne viva e anima ardente.
Segnato da Dio con un segno che non si cancella più, non so per via del carattere sacro o teologicherie del genere, ma certamente perché Dio ti ha guardato con predilezione e ti ha detto: vieni. E ciò che Dio fa è destino che non muta.
Quando ti ho abbracciato, io vecchio prete e te prete da pochi istanti, e ti ho detto: la pace sia con te, non potevo non piangere.
Ma in quel momento era per me gran gioia, la pienezza di gioia di cui parla Gesù.


don Sirio

Fame e sete di giustizia

Una delle posizioni più precise e più impegnative, più dichiaratamente cristiane che possiamo prendere oggi è probabilmente quella della nonviolenza. Perché è un porsi di fronte dentro ai problemi del mondo in maniera unicamente cristiana, sulla linea che arriva fino all'assurdo - e qui vi è la garanzia del suo essere cristiana - di annunciare, gridare, lottare appassionatamente, ma senza difendersi e senza ferire, preferendo morire che uccidere.
II nonviolento per convinzione è sempre necessariamente un rivoluzionario, uno che ha fame e sete di giustizia, un operatore di pace, un mite, un violento nel rapire il Regno dei Cieli. Le realtà apparentemente contrastanti possono coincidere nell'annuncio cristiano nel quale tutto acquista una fisionomia nuova, ma unitaria, nata da quella perenne novità di esistenza che è Gesù Cristo.
Questo porsi del cristianesimo come vita nuova ci interessa in tutti i suoi aspetti, specialmente in tutto ciò che costringe ad operare scelte che dimostrino agli altri chi siamo.
Vorremmo cominciare a riflettere seriamente sulla nonviolenza così come abbiamo fatto finora sulla povertà, la verginità, il lavoro - realtà che vi offriamo attraverso la nostra vita e le nostre riflessioni.
Cominceremo pubblicando brani di articoli e notizie apparsi nel Catholic Worker pubblicato a New York del quale quella grande donna che è Dorothy Day è tuttora l'animatrice.
Intorno al giornale si è creato un vasto movimento oggi più che mai personalmente impegnato in chiare posizioni prese su problemi sociali e sulla guerra del Vietnam da loro totalmente e coraggiosamente rifiutata: parte dei giovani membri di questo movimento sono in prigione (le sentenze sono quasi tutte di tre anni) per avere bruciato le cartoline precetto.
Alterneremo queste esperienze di vita vissuta e pagata con riflessioni nostre e di chiunque vorrà inviarle.


"Il momento più drammatico della Conferenza Internazionale degli Obiettori di Coscienza (WRI) tenuta in Pensilvania il_25/28 agosto 1969, è stata la partecipazione della maggior parte degli aderenti al processo di Robert Eaton, uno dei membri più impegnati del WRI.
Essi si recarono a Filadelfia dove furono raggiunti da altre 200 persone: parte entrarono nell'aula con Eaton, altri formarono una lunga fila silenziosa che circondò l'edificio. Eaton che si era recato a Saigon e a Hanoi con lo yacht Phoenix a portare medicinali per le vittime civili della guerra, era imputato di avere rispedito la cartolina precetto e di essersi rifiutato di collaborare in qualsiasi modo col Sistema di Servizio Selettivo.
La sentenza fu di tre anni di carcere.
Eaton, un membro del movimento quaqquero, dichiarò, prima della sentenza, di rinunciare a qualsiasi classificazione religiosa o professionale che potesse essergli motivo di privilegio.
Martin Niemoller, VicePresidente del WRI, noto per i suoi otto anni di campo di concentramento ai tempi di Hitler, era accanto a Eaton; l'avvocato difensore gli domandò se la presente situazione americana avesse qualche somiglianza con la Germania di Hitler. La risposta di Niemoller fu che negli Stati Uniti vi è ancora libertà di religione e di parola. Aggiunge che se molti giovani tedeschi avessero preso la posiziono di Eaton nel periodo nazista, Hitler non avrebbe potuto formare un esercito conquistatore.
II Segretario Generale dei Pacifisti Buddisti Vietnamiti fece una dichiarazione durante il processo dicendo: "come vietnamita e buddista mi sento vicino a lui perché egli è il simbolo dell'amicizia e della riconciliazione fra il Vietnam e gli Stati Uniti quando questa guerra sarà finita."
L'ultimo commento in favore di Eaton fu fatto da Prasad: "come il diritto alla vita, anche quello di non toglierla è un diritto umano fondamentale... nella vita di una persona coraggiosa e cosciente ci sono momenti in cui la disobbedienza civile sembra essere l'unica strada da prendere."
Alla fine del processo i membri della conferenza ripresero le discussioni sul grande tema della pace. Una gran parte dello spazio fu dedicata al tema della Rivoluzione, anima della nonviolenza. Fu sottolineato che essa doveva non tanto mirare al raggiungimento, quanto alla sua diffusione a tutti gli strati della popolazione attraverso la distruzione dei centri di potere economici o politici.
Fu sottolineata l'importanza della purezza dei mezzi da usarsi, puri in ogni circostanza e in qualsiasi luogo per potere portare a termine, con spirito di amore e vera liberazione gli ideali che animano la rivoluzione."
(dal Catholic Worker - settembre 1969 - New York)

Le nostre cose...

Che cosa ci spinge su questa strada di accoglienza verso chiunque bussa alla porta e ci urge dentro, a dialogare con chi si incontra e entra nel nostro cammino, tanto che quasi più non usciamo per essere pronti ad attendere chiunque bussi da noi. Vi è un perché profondo, un dono preciso che vogliamo offrire agli uomini che oggi più che mai sono malati di solitudine.
E' il dono dell'attesa, la gioia di sapere che c!è qualcuno che ti aspetta, che ti ha nel cuore anche quando non ti vede, che ti ama anche se non ti conosce - così che tu possa almeno un poco scoprire, se vuoi - nonostante il velo di noi - il volto paterno e materno di Dio. E! forse la sicurezza più profonda sulla quale poggia la vita cristiana quella di sapere che Dio ci è fedele, ci aspetta, ci attende con pazienza infinita, con amore mai stanco, pago solo di colmarci quando noi acconsentiremo.
E' poca cosa la nostra, povera la casa in cui viviamo, nulla la nostra capacità di amore, ma donando agli altri il tempo - che è tutta la vita - doniamo noi stessi: condividiamo con chi viene il cibo, il lavoro, i pensieri, la preghiera. E cosa altro potremmo offrire.
Abbiamo scoperto e attuato questa povertà, non ci apparteniamo, offriamo agli altri la gioia di sentirsi lungamente attesi, facendoli entrare immediatamente nel cuore della casa, accogliendoli come di famiglia, cercando di non tenere nessuna cosa come "nostra". Vi è un'altra grande povertà che viviamo, quella di seminare il nostro seme ad ogni istante in chiunque venga e non sapere mai dove e quando fiorirà. Non avere la gioia dei frutti, solo la pace profonda di chi vive di fede.
Pace pagata con la fatica quotidiana, con la stanchezza di una vita che per gli altri è serenità, per noi spesso caos, per chi viene stabilità, per noi senso del provvisorio, quando non sai mai cosa farai oggi, né quanti sarete, né chi verrà. E quante volte ci siamo chiesti se è bene continuare così o se è meglio anche andare agli altri, agire in qualche modo più preciso, vivere una vita più scopertamente povera, operare scelte più chiaramente cristiane. E la pena di un cuore che cresce e urge e non può esprimersi abbastanza per una scelta voluta di non "azione", di non "dinamicità".
Non abbiamo voluto fare ma essere, non donare esempi né modelli, né cose, ma amore fino al punto di essere solo e unicamente amore, vita che vive nell'ampio vivere umano, presenza di luce in un mondo di solitudine, casa viva dove non più esiste la famiglia, significato profondo in una società che ha perduto il sapore.
Questa la nostra vita "indescrivibile" perché non ha stile, se non quello di non volerlo avere. Di non essere chiusa in metodi o modi, ma aperta e pronta come la terra buona che attende il seme, vita faticosa e penosa per un cercare continuo, per un andare avanti paghi dell'oggi, fiduciosi che Dio ci guida per mano e ci insegnerà la strada.

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