La vita che viene da Dio si qualifica per l'uso che ne fa l'uomo
Questo formato - che riprende le dimensioni di Lotta come Amore tra il 1979 e il 1992 - vuoi essere indicazione di un nuovo tratto di strada nei quasi cinquanta anni di vita di questa "voce" della Chiesetta del porto. Un formato più raccolto, bianco e nero (il rosso rimane comunque sulla busta!) un profilo più asciutto quasi a voler raccogliere energie nella fiducia di poter raccontare qualcosa di nuovo, magari con un terzo numero annuale. Difficilmente sarà così questo anno dato il ritardo di questa prima uscita del 2005, ma lasciamo spazio alla fiducia e alla speranza. Intanto ringrazio di cuore tutti coloro che hanno voluto farmi giungere piccoli grandi segni di amicizia e di sostegno per questa pubblicazione. Spero di essere fedele nel coltivare questi preziosi semi nella serenità della relazione positiva. Durante questo tempo mi è accaduto più volte e in contesti del tutto diversi, di sentirmi dire che nel mio parlare e nel mio scrivere non è raro trovare delle "sottili venature di malinconia" (così si esprime un'amica in una lettera a me cara). E, ancor più recentemente, un amico ha rilevato - con tutto il rispetto e l'affetto - che sentendomi parlare in quella circostanza, sembravo uno che non avesse fede. Ho messo insieme questi due aspetti per una breve riflessione che vorrei condividere con voi, amici lettori.
Ricordo quella "preghiera per il ritorno dall'esilio" che è il Salmo 126: "Muta, o Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Quelli che seminano fra le lacrime, mietono poi fra lieti canti. Nell'andare va piangendo chi porta il carico del seme, ma nel tornare torna cantando chi porta i propri covoni". E, allora, piuttosto che soffermarmi su una mia dose di "malinconia" esistenziale che può essere la cicatrice ancora dolente di chissà quale antica ferita, mi pare più interessante chiedermi se e che tipo di seme sto portando nella fatica di ogni giorno. Anche se il carico può apparirmi così pesante da costringermi a chinare la testa e a scorgere a mal pena dove metto i piedi, senza lasciarmi l'agio di guardare molto avanti con solare fiducia. Da oltre un anno ho lasciato l'incarico di parroco; da poco meno non sono più il presidente da sempre di Crea; dall'inizio di quest'anno sono praticamente "pensionato". La fatica attuale è soprattutto quella di abituarmi a questa "nudità" nei confronti dei ruoli che rivestivo fino a poco tempo fa. Lo smontaggio di una architettura fortemente giocata in ogni aspetto del ruolo, anche se interpretato in maniera creativa, ripropone per me il contatto diretto, emozionale e istintivo con la realtà. Mi comincio a rendere conto di quanto mi sia mancato il sole, la pioggia, l'aria fresca, il camminare sulla terra erbosa, ma soprattutto la possibilità di guardarsi intorno, di invertire -almeno un poco! - la direzione dello sguardo lasciandolo vagare nei particolari, nelle figure marginali, iniziando dai piedi e non dalla testa. Uno sguardo che parte dal cuore prima che dal cervello. Non mi manca la fiducia, la speranza, una qualche propensione alla battuta e allo scherzo, ma è come se dovessi di nuovo imparare a camminare tenendo conto di una mia fragilità del tutto ignota prima. Può darsi che questa sensazione mi faccia apparire più grandi di quanto in realtà siano le difficoltà del percorso. Può darsi che, se è vero che la lingua batte dove il dente duole, lo "strappo" dai ruoli ricoperti e riconosciuti mi faccia ancora male... Ma voglio bene alla mia condizione attuale, al suo progressivo silenzio, a questo tratto in ombra della mia vita. Forse che la vita non nasce in umidi luoghi dove non batte il sole? E il seme che sto portando non è forse quello di essere una creatura umana definita dai propri limiti al di là di ogni ruolo?
In questo numero
Questo numero l'ho "costruito" partendo da una lettera di Grazia Maggi ritrovata durante uno degli - sporadici - tentativi di dare un ordine - apparente - alla mia camera. L'ho voluto pubblicare perché ricorda tempi belli qui alla Chiesetta e il miracolo ricorrente dell'amicizia: Con voi ho trovato un riferimento onde ripartire, una purificazione per cui "lo scarlatto
diventa bianco come lana " e la mia tenebra si è fatta "azzurra". Sono riuscito finalmente anch'io a "ripartire" e a dare un primo timido segnale di disponibilità. Così, per una sera al mese, la Chiesetta torna ad essere calda e accogliente in un incontro per la messa, seguita da una cena. Ho ripreso lo scritto di fratel Arturo da Oreundici del febbraio scorso. Ormai siamo d'accordo così, e mi è sembrato inutile insistere per avere un pezzo esclusivamente per il nostro giornaletto dal momento che è attraverso la pubblicazione diretta da don Mario de Maio che arriva in Italia la voce e la persona stessa di Arturo.
Da un altro mensile che mi piace ricevere e leggere, Koinonia, ho tratto un articolo di Alberto Simoni dal titolo "Voci della chiesa sommersa": Per chi come noi vive ed osserva la condizione di non visibilità ecclesiale, è stata una gradita sorpresa riascoltare la voce di una comunità cristiana sorella, come quella del Luogo Pio di Livorno, che ci riporta con la memoria al carissimo Martino Morganti...l\ confronto è sempre tra modelli diversi di Chiesa che Alberto Melloni nel libro più volte citato, "Chiesa madre, chiesa matrigna", così identifica: "Tutto il cattolicesimo deve decidere se, superata l'apocalittica soglia del millennio e la misura biblica del quarantennio a valle del Vaticano II, lo sviluppo della sua identità deve andare verso un grande network di 'siti religiosi' riservati ad una clientela registrata o verso un 'santuario' aperto, umanizzante, ospitale, che accoglie - come diceva l'antica anafora di san Basilio - ciascuno col suo dono, ciascuno col suo peso"(pp. 91-92). Il numero di dicembre di Jesus apre un dibattito su questo stesso libro, sollecitando a ripensare i quaranta anni dal Concilio e a rimettere in discussione scelte, acquiescenze, rese e successi, speranze e rinunce che hanno intessuto un periodo così controverso e così facilmente liquidato o nel senso del fallimento o nel senso del pieno successo. E Cettina Militello così interviene: Mi piacerebbe pensare la Chiesa come un luogo aperto e accogliente nel quale ciascuno porta il suo dono e ogni dono costituisce una ricchezza per l'altro/altra. Non riesco a rassegnarmi a una Chiesa estranea alla ricchezza che ciascuno è per Valtro/a, nella sinergia dell'essere un medesimo corpo, un medesimo popolo. La Chiesa ha un solo modello possibile: quello della Trinità e trovo sconsolante che faccia tanta fatica a riconoscerlo e a metterlo in pratica.
Anche a me piacerebbe... E a voi? In casa di Renzo Fanfani, ad Avane di Empoli, oltre la grande consueta cordialità, ho trovato una lettera di mons. Raffaele Nogaro, vescovo a Caserta, che mi ha particolarmente colpito. La lettera è stata scritta in
occasione della Giornata per la Vita di questo anno. Il 3 dicembre scorso, all'indomani della grande "marcia della pace", che sembrava definire il volto umano della città, viene firmato un "Protocollo di intesa fra la Provincia di Caserta e il Distretto militare locale", che approva un calendario di interventi nelle scuole superiori, per presentare ai giovani le opportunità occupazionali offerte dalle "Forze Armate"... Non si può affermare che si "chiamano alle armi" i giovani e le donne, perché si vuoi dare loro lavoro e dignità. Allora tutti i valori della vita diventano insensati. E mons. Nogaro fa un'affermazione veramente forte: Allora si ha la babele delle lingue, per cui l'invasione militare di un paese diventa "missione di pace ", le armi diventano "oggetti sacri e benedetti", perché servono a "distruggere le tirannidi" e a portare "democrazia e libertà " ai popoli oppressi. E' vero, la chiesa italiana sembra tollerare certe espressioni sociali, che sono delle equivocità dissacranti. Nel libro "Contemplazione e secolarità - dei laici sulle orme di Charles de Foucauld" che Franco Tenna mi ha gentilmente inviato e che narra l'esperienza spirituale della Fraternità secolare italiana, si parla ad un certo punto (pag. 48) di "ispessimento della mediazione ecclesiastica della fede e della vita cristiana" e si cerca di spiegarla come "inclinazione implicitamente autoreferenziale che l'inerzia catechistica del regime di cristianità proietta anche sugli atti dell'evangelizzazione. Atti che l'abitudine mentale consolidata dei credenti e dei non credenti intende come immediatamente funzionali all'obiettivo dell'aggregazione ecclesiastica. Mentre di per sé l'attitudine della Chiesa a rendere più evidente e accessibile la qualità evangelica della relazione di Dio con la vita dell'uomo, dovrebbe già essere apparsa, in tutta lievità e semplicità, nella persuasiva qualità umana e religiosa dell'esistenza cristiana più comune" (pag. 49). In parole più semplici si ripropone l'interrogativo di fondo (e quindi le diverse concezioni di chiesa...): si vive per andare in chiesa o si va in chiesa per vivere? La vita confluisce nella chiesa, intesa come gruppo che raccoglie, identifica, ospita, protegge, ecc. oppure è la chiesa, intesa come comunità di persone diverse, unite nella comune testimonianza, a confluire nella vita come il lievito nella pasta?
Luigi
Riprendo il discorso sulla Eucarestia al sorgere del sole nel quinto anno del secolo, chiedendo allo Spirito di Gesù di far giungere alle orecchie del Padre il gemito dell'umanità che è restata senza casa e senza gli esseri amati nel paradiso terrestre asiatico diventato in pochi istanti terra di morte. Questo gemito ha battuto nel nostro cuore cristiano. Ma la stessa pietà cristiana non si è estesa sulla Palestina, sull'Iraq, sui bambini mutilati, sui trentamila bambini che muoiono di fame ogni giorno, su tutte le vittime di quel demoniaco potere che abita il cuore dell'uomo. L'intenzione di spengere al più presto questo gemito e allo stesso tempo mandare avanti il programma di lanciare contro popolazioni inermi armi accresciute di potere distruttivo, è il segno della presenza demoniaca sulla terra. L'umanità cristiana che marca un giorno di lutto per la solidarietà verso le vittime dello tsunami e allo stesso tempo tace rassegnata al progetto di guerra infinita è quella stessa a cui Paolo rivolge la sua condanna: chiunque in modo indegno mangia il pane e beve il calice del Signore sarà reo del corpo e del sangue del Signore... chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore mangia e beve la propria condanna (ICor. 11,26 segg.). Penso al mio lontano passato quando la Chiesa terrorizzava gli adolescenti proibendo di ricevere il corpo del Signore se si fossero trattenuti su un pensiero impuro e peggio se fossero arrivati all'atto della masturbazione, e mi rendo conto che viviamo tutti in mezzo a cuori devastati da propositi di odio verso i fratelli. Un odio camuffato da giustificazioni varie, terrorismo, eliminazione del male, difesa della nostra integrità religiosa. Con il pretesto di difendere Dio che nessuno ha visto o può vedere, continuiamo ad ucciderlo nella carne del Cristo che è qui sulla terra, fra noi nel suo infaticabile operare per realizzare la verità nell'amore. Questa incapacità radicale del cuore umano di essere vero, perché capace di camuffare il proprio egoismo con atti di generosità, è drammatico e ha conseguenze disperanti. E' un aspetto peggiorato del fariseismo così ripudiato dal Cristo, che si trova di fronte all'impotenza di distruggerlo.
Il fariseismo moderno appare più complicato con atti e scelte che ostacolano evidentemente il progetto di pace e di giustizia che Gesù definisce regno di Dio. C'è speranza per il futuro dell'umanità? L'Amico mi consola concedendomi di vedere il domani anche se nell'opacità del tempo. Intanto ho la sicurezza che il pensiero ha dato una svolta e non potrà più tornare indietro. I pensatori che sono anche i progettisti della società, sono scesi sulla strada e si fanno compagni di tutti gli stranieri e, mettendosi con loro in cammino, ascoltando le loro storie, sentiranno che un Altro diverso cammina in questa fila. Qualcuno sicuramente sentirà il cuore battere di un palpito nuovo e insolito (cfr. racconto di Luca 24). Penso con gioia che i teologi, privati del servizio dei filosofi (philosophia ancilla theologiae) dovranno abbandonare i loro telescopi puntati su Dio, su Gesù, sulla 'carnale Eucarestia' e cambiare sostanzialmente il loro metodo di ricerca. Cominceranno ad interessarsi del Gesù raccontato, di colui che ha abbandonato la condizione divina per realizzare un progetto terreno, universale, qui ora. Ne nascerà una cristologia come investigazione del senso che ha oggi il progetto regno. Gesù sarà accolto, amato, ascoltato come progetto. La nostra risposta sarà un semplice 'eccomi' piuttosto che canti sdolcinati e irreali che si dirigono a un Gesù evanescente che sfuma tra le nuvole d'incenso. E allora sarà necessario fare chiarezza su questo progetto di 'amorizzare' il mondo e nessuno sarà più innocente: o lo favoriamo o costituiamo un ostacolo. Il posto di Tommaso d'Aquino sarà necessariamente occupato da un economista che ci spiegherà chiaramente come attraverso scelte economiche realizzate con un computer si possono immettere nell'umanità dinamiche di morte o dinamiche di vita. Il fiorentino Chiavacci ha anticipato questo avvicinamento, o meglio matrimonio, fra teologia ed economia che non avverrebbe per un decreto della Congregazione romana che impone il 'cursus studiorum' ai seminari, ma come segno dei tempi che Gesù in una esplosione indignata dice di accogliere come manifestazione storica del regno. Se in carica ci sono gli sfruttatori dei poveri, gli assassini a piede libero con cravatta e un completo impeccabile, laici e credenti che vogliono vivere nella verità potranno puntare il dito contro di loro e unirsi per deporti dal loro trono. Ecco uno dei primi risultati della morte della 'filosofia-concetto' e della sua rinascita come etica. Per tornare all'Eucarestia, che ho deciso quest'anno di mettere al centro della mia preghiera e del mio studio, mi auguro che l'attenzione dei teologi non si posi più sulla presenza reale ma sul cuore dell'uomo che deve accogliere la carne e il sangue del nostro fratello Gesù. E questo cuore deve rinunziare alla sua innocenza e chiarire se farà del male ai fratelli conservando progetti contrari al regno o se accoglierà pienamente le possibilità che offrono i tempi di far avanzare il regno di Dio. Prima è necessario far crollare l'idolo dal piede di terracotta con il quale Gesù ha dichiarato incompatibilità assoluta ed eterna, 'o Dio o mammona'. Forse sarà necessaria la grande carestia accennata nel capitolo 15 di Luca perché l'umanità cominci a trovarsi nel bisogno e il figlio che si è creduto libero grazie al potere del denaro che lo aveva emancipato, si renda conto che il vivere non è accumulare denaro e andarsene in una regione lontana per sfuggire al controllo dei fratelli, non è vivere sugli altri, ma è convivere. Allora i movimenti appariranno totalmente antistorici, come una vampata di un giornalismo senza radici, come la truppa messa a disposizione di Roma per fermare la riforma della Chiesa (cfr. A. Melloni, Chiesa madre, chiesa matrigna, Einaudi 2004) e, aggiungerei, per non perdere l'innocenza di usare il denaro senza chiedersi se questa libertà non sia pagata dalla fame dei bambini nel Terzo mondo. Voglio finire comunicandovi la gioia di aver capito profondamente due espressioni di Gesù: 'come infatti il Padre risuscita i morti e da la vita così anche il Figlio da la vita a coloro che vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno ma ha dato tutto il giudizio al Figlio (Gv. 5,21-23)'. La vita che scende da Dio si qualifica secondo l'uso che ne fa l'uomo. Può essere una energia umana guidata dall'amore che è verità o trattenuta dall'egoismo e finire in una pozzanghera fetida. Questo avviene qui sulla terra e il giudice può essere solo un Uomo che vive con gli altri uomini qui sulla terra. Il vangelo di Giovanni ci mostra continuamente un Gesù uomo fra gli uomini in cui sono calati i poteri di Dio. Penso agli interventi apparsi nel dibattito su Repubblica 'Perché non possiamo dirci laici' a firma di Giuliano Amato e di Arrigo Levi che, parlando dei credenti, affermano che hanno una marcia in più dei laici. La mia opinione, frutto di preghiera e di lunga riflessione, è questa: oggi siamo in grado di capire meglio Gesù, e il Gesù ebreo e il suo progetto regno di Dio che si deve svolgere nella piena e libera laicità, pur essendo allo stesso tempo quel sogno che Dio ha messo nelle mani del figlio Gesù. Questa è la sola verità dell'uomo, indipendentemente dalle sue qualifiche e dalle sue scelte politiche e religiose purché siano scelte. Questa verità si illumina nel tempo in cui gli uomini di pensiero hanno messo i piedi sulla cruenta polvere (Manzoni) e si sono accorti che 'comprendere l'uomo è il primo e irrefutabile compito del filosofo ed è la determinazione storica del soggetto della propria finitezza e acccttazione ad essere dentro la storia in maniera ineludibile (E. Baccarini, La soggettività dialogica, Roma 2002). Questa verità, apparsa nel tempo che lega l'uomo alla sua responsabilità, secondo me è un segno dello Spirito che rinnova continuamente la faccia della terra ed è come un vento che tu non sai da dove viene e dove va. Su questo sfondo chi può dire di avere una marcia in più?
fratel Arturo
"Non maltratterai la vedova e l'orfano" dice il libro dell'Esodo (22,20) e in tutta la Bibbia sulla vedova e sull'orfano cade lo sguardo misericordioso di Dio e la sua collera si accende se vengono maltrattati: "Se tu la maltratti, quando invocherà da me aiuto, io ascolterò il suo grido, la mia collera s'accenderà". La vedova e l'orfano sono le cellule che la sventura ha separato dal nucleo, hanno perduto il loro centro gravitazionale e vanno mendichi a chiedere amore, copertura di un vuoto terribile, un motivo per crescere ancora, dopo che le radici sono state recise. Cari amici della Chiesetta del Porto, così sono venuta da voi. Sapevo che "non sarei stata maltrattata", ma mai immaginavo la pienezza di cuore che ho trovato, godendo della vostra accoglienza e ospitalità, tra povere cose, ma ricche di quanto può colmare il vuoto più crudele. C'è stato un filo d'oro che ha legato con un segno delicatissimo i due giorni trascorsi con voi. Mi avete portato alla Chiesa di Bargecchia. Dallo sfondo dell'abside mi è venuta incontro l'immagine di un Cristo in candide vesti sospeso nell'aria, ma aperto all'accoglienza più gioiosa. E' un affresco dipinto da don Sirio quando era giovane parroco, appena uscito dal Seminario.
Lungo tutta la malattia di mio marito, lungo quell'interminabile cammino di dolore che poi ha portato alla morte, l'unica via per me è stato il Cristo, ma il Cristo crocefisso. Ho cercato di abbracciarla quella Croce, perché se la abbracciamo, ci porta, se tentiamo di sfuggirla, ci schiaccia. Ma ora, nel dipinto di Sirio ecco che mi veniva incontro il Cristo del Tabor, in una luce trasfigurata, nella sua vera essenza che è vita fulgida, incontro d'Amore assoluto. Il giorno successivo la pagina evangelica, durante la celebrazione liturgica, portava proprio a meditare la Trasfigurazione. "In quel tempo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro, il suo volto brillò come il sole, e le sue vesti divennero candide come la luce" (Matteo 17,1).
E tu, don Beppe, collegando la figura di Cristo con quella di Abramo, proposta dalle Letture, hai sottolineato in ambedue lo splendore del mandato divino: "Lascia il paese, la patria, la casa del padre e vai, ti moltiplicherai come la rena del mare e le stelle del cielo, dove porterai benedizione sarà benedizione". Allora potevo anch'io lasciare la tenda sul monte e come Abramo affrontare l'ignoto di una vita non più sorretta da un grande compagno. L'importante è portare in cuore benedizione. L'ultimo pomeriggio abbiamo insieme cercato la dolcezza della sera sulle colline benedette dagli ulivi e aperte sulla distesa del mare. Sereno vi tramontava il .sole. Siamo poi scesi sulla spiaggia e abbiamo aspettato le stelle. Si sono aperte "nel cielo sì tacite e vive" da far cantare: "o stanco dolore riposa". Siamo stati in silenzio finché ci è giunta "la voce di tenebra azzurra" che veniva da un cielo sempre più trasfigurato.
Con voi ho trovato un riferimento onde ripartire, una purificazione per cui "lo scarlatto diventa bianco come lana" e la mia tenebra si è fatta "azzurra".
Grazia Maggi
Non posso nascondere il dolore di fronte all'oscuramento delle coscienze, che si sta diffondendo a Casetta.
Il 3 dicembre scorso, all'indomani della grande marcia della pace, che sembrava definire il volto umano della città, viene firmato un "Protocollo di intesa fra la Provincia di Casetta e il Distretto militare locale", che approva un calendario di interventi nelle scuole superiori, per presentare ai giovani le opportunità occupazionali offerte dalle "Forze Armate". Se gli alunni delle scuole sono in cima alla lista dei destinatari, si pretende, tuttavia, che, dovunque c'è presenza giovanile, si debba organizzare l'arruolamento militare.
Vengono quindi interessati gli operatori degli Informagiovani, il personale dei Centri per l'Impiego, i funzionar! comunali, i responsabili di enti impegnati nelle politiche sociali. L'obiettivo, come si legge nel Protocollo d'intesa, è di concorrere a "realizzare lo sviluppo civile, economico e sociale della comunità provinciale, operando per assicurare la piena occupazione e garantire la parità della donna". Cosi il giovane che nella scuola e nelle varie istituzioni si prepara a coltivare e a promuovere i doveri dell'uomo e della vita, e il bene primario è l'uso della forza e che bisogna essere attivi in quegli organismi, dove anche la prepotenza diventa ragione. Ma non è possibile sopportare una profanazione degli ideali così subdola e pervicace. Non si può affermare che si "chiamano alle armi" i giovani e le donne, perché si vuoi dare loro lavoro e dignità. Allora tutti i valori della vita diventano insensati. Allora si ha la babele delle lingue, per cui l'invasione militare di un paese diventa "missione di pace", le armi diventano "oggetti sacri e benedetti", perché servono a "distruggere le tirannidi" e a portare "democrazia e libertà" ai popoli oppressi. E' vero, la chiesa italiana sembra tollerare certe espressioni sociali, che sono delle equivocità dissacranti.
La chiesa dovrebbe condannare l'aumento delle spese militari nel nostro paese, in un tempo in cui si fanno i tagli alla scuola, alla sanità, alla ricerca scientifica, alla cooperazione e al sostegno delle categorie più povere. Dovrebbe farsi vanto dei "pacifisti", che non sono certo dei Ponzio Filato e quantomeno amici dei terroristi, ma persone coraggiose capaci di dare un segnale genuino che i "sentieri di Isaia", i sentieri della pace universale, si stanno aprendo.
Dovrà chiarire che Francesco è eminentemente uomo di pace, anche se un politico, in un discorso ad Assisi, lo vuole un crociato militante. Dica "basta" agli uomini di chiesa, che chiamano "beati operatori di pace" ragazzi, personalmente innocenti, ma che muoiono con in pugno le armi della minaccia. La chiesa non può permettere che il valore supremo della pace e che la cultura della pace, vengano catturati e snaturati da logiche di potere. Anche per queste motivazioni, sento l'urgenza di ripetere che le soluzioni di compromesso, offerte da Caserta, sono assolutamente fuorvianti. Le forme di corteggiamento delle armi portano sempre alla guerra, E la guerra è il feudo del crimine e della morte. Anche quando può arrecare illusioni di liberazione, come oggi in Iraq. Non esiste la giustizia dei carriarmati. Invoco la pace, che sempre proclama e sempre pratica il vangelo della vita.
+ Raffaele Nogaro
Franco Tenna mi ha inviato da Torino una copia del libro di cui è co-autore, "Contemplazione e secolarità" sottotitolato: "dei laici sulle orme di Charles de Foucauld".
"Le pagine di questo libro (dalla seconda di copertina), arricchite da una parte teologica che, ripartendo da Nazareth, ripropone in tutta la sua profondità le intuizioni profetiche di Charles de Foucauld, sono la narrazione di questa esperienza spirituale, così difficile da rendere "se non si prova". Per questo sono destinate a coloro che chiedono di "provare", a quei "Christi fideles" laici che sentono il fascino del deserto difficile della contemplazione e non vogliono né possono lasciare il mondo a cui devono una "condivisione" senza scoraggiamenti e riduzioni". Sfogliando l'Indice della storia della Fraternità Secolare Italiana Charles de Foucauld mi è subito balzato all'occhio il paragrafo titolato "A Viareggio nel '54 inizia il cammino". Sono andato a leggerlo e mi sono trovato di fronte a nomi per la maggior parte a me familiari: "Nando Fabro, un ingegnere ferroviario di Genova, fondatore e direttore della rivista II Gallo, conosciuta Ange Mattei, una delle fondatrici della Fraternità Secolare in Francia, porta in Italia l'invito ad iniziare un cammino che alcune persone raccolgono. Così nasce a Viareggio nel 1954 la Fraternità Secolare Italiana in un incontro che vede partecipare: da Genova Nando Fabro, Katy Canevaro e padre Lucio del Basso; da Viareggio don Sirio Politi; da Torino Domenica Fasano e don Beppe Fisanotti; da Milano i coniugi Sironi e Rosetta Perego; da Vicenza i redattori de La Locusta; da Roma Alda Manghi e da Lucca Maria Teresa Bandettini. Nasce così una storia fatta di piccoli gesti e di fede, di semplicità e di povertà, di speranza e di amore che si radica nel quotidiano" (pag. 62).
Piccola grande rete di uomini e donne calata nel vasto mare della storia; terra buona in cui, tra gli altri, ha germinato il seme della vita operaia di don Sirio qui a Viareggio e di cui la Chiesetta del Porto è segno ancora presente. Nell'invitare gli amici lettori a percorrere le agili pagine di questo libro, mi piace infine rileggere, insieme a voi, alcune espressioni di Nando Fabro agli esercizi spirituali della Fraternità tenuti nel 1969 nel convento di S. Cerbone vicino Lucca: "Scegliere coscientemente e per amore la vita di Gesù di Nazareth, è accettare di vivere insieme, nell'amicizia, la vita della redenzione nell'amore, con tutte le conseguenze che l'amore comporta. Cercare insieme i segni di un atteggiamento di fondo, da vivere liberamente nelle situazioni particolari di ciascuno. Essere in tutto disarmati e insieme essere una presenza attiva che opera per il bene di tutti" (p. 79).
Le edizioni di Città Aperta tentano di contribuire al dibattito sulle tematiche più urgenti ed attuali del nostro vivere, a partire da una prospettiva non convenzionale e sempre aperta alla ricerca. Come ogni piccola realtà editoriale, fatica ad essere conosciuta al pubblico.
Camminando sul confine
(introduzione di Pietro Barcellona) di Giuseppe Stoppiglia, Città Aperta Edizioni 2004 pagg. 216 Euro 12,00 I temi affrontati in questo libro tracciano un percorso sulla frontiera, come luogo dove, abbandonate le proprie sicurezze e certezze consolidate, si è esposti al "volto" dell'altro e alle provocazioni della storia. Il confine implica divisione, ma contemporaneamente possibilità di "riconoscimento", di incontro, di scambio, di vivere un "io plurale". Cancellarlo significherebbe abbandonare i propri tenitori ai processi devastanti dell'omologazione culturale e dell'insignificanza etica. Tra gli argomenti trattati, l'autore da particolare rilievo alla centralità della persona in un mondo globalizzato, alle paure e alle insicurezze che da questo mondo provengono, ai fermenti della società civile, ai problemi dei giovani, dei poveri, degli esclusi, al ruolo dell'educazione.
Dalla città accogliente alla città aperta di C.M. Martini - D. Tettamanzi - F. Riva - S. Xeres, Città Aperta Edizioni 2005 pagg. 166 Euro 12,00 La città che ha rappresentato nel passato il patrimonio dell'umano, oggi fa paura, l'accompagna una insicurezza crescente: insicurezza di prospettive, di lavoro, di serenità, di vita. Insicurezza che si fa un intimo sentire. La città sembra non costituire più il luogo della vita. La città è diventata invivibile. E' diventata ostile. Nella città si vive tra nemici, come nemici, nella paura. C'è un'alternativa alla città della paura e della fatica?
Il povero. E se fossero i poveri a mostrarci le strade dell'umano? Di Michel e Colette Collard-Gambiez, Città Aperta Edizioni 2004, pagg. 181 Euro 12,00
Una discesa nel mondo dei senza fissa dimora, nell'universo violento degli esclusi, della popolazione della strada, accompagnati per mano da Michel e Colette che, rispondendo al richiamo evangelico, hanno scelto di unirsi ai più poveri, di condividerne le condizioni di vita, per individuare assieme a loro nuovi orizzonti di senso per l'esistenza di ognuno. E' l'invito ad abbandonare le nostre sicurezze per aprirci a una realtà che conosciamo poco e male, e a lasciarci contaminare dal mistero dell'altro, chiunque egli sia. Il volume rappresenta un contributo ad allargare lo sguardo, al risveglio dell'intelligenza e del cuore, all'impegno personale, per consentire a ciascuno di ricollocarsi rispetto all'essenziale che ci viene rivelato dai più poveri che sono in mezzo a noi.
Alberto Melloni, con "Chiesa madre e chiesa matrigna" (ed. Giulio Einaudi 2004) ha evidenziato i problemi messi in mora, in attesa che un falso unanimismo li riporti all'orizzonte. Ma lo stesso discorso forse è possibile farlo per quanto riguarda i soggetti e le espressioni di Chiesa che vivono come sommersi e che - in regime di totale visibilità -sono perciò inesistenti. Per chi come noi vive ed osserva la condizione di non visibilità ecclesiale, è stata una gradita sorpresa riascoltare la voce di una comunità cristiana sorella, come quella del Luogo Pio di Livorno, che ci riporta con la memoria al carissimo Martino Morganti. E' una lettera che la comunità affida al giornale La Repubblica e che viene pubblicata nelle pagine di Firenze il giorno 16 gennaio. La lettera fa seguito ad un articolo apparso sulle stesse pagine il 6 gennaio, come seconda puntata della serie curata da M.C. Carratù "Le nuove vie della fede". Vi si parla di alcuni frati francescani che a Quinto Basso (Sesto Fiorentino) vivono tra i rom e i barboni, non per "fare" qualcosa di "sociale" e neanche di "religioso", ma "per stare da nomadi con i nomadi".
Ad essere intervistato è il Padre Provinciale Maurizio Faggioni, che presenta il tutto come una sorta di "integrazione rovesciata", senza la minima pretesa di "fare" o "dire" nulla. Il fatto è che l'astuto -o incauto - Provinciale quasi a voler avvalorare simile scelta, evoca errori compiuti - a suo dire - negli anni '70, e precisamente con la nascita della comunità di frati operai a Livorno.. .
La vicenda in se stessa è emblematica e si presta a qualche utile considerazione di ordine generale, per capirne la logica sottesa. E questo perché essa rappresenta uno spaccato del modo in cui dentro la Chiesa - e in particolare nell'ambito di Ordini religiosi -vengono trattate le situazioni non gradite e non inquadragli entro schemi convenzionali: si fa di tutto perché muoiano, per poterle dichiarare defunte. Diciamo che è un esempio di come nasce una "chiesa sommersa", da cui però arriva qualche voce. E' quello che è avvenuto trasversalmente nei confronti del movimento che andava a suo tempo sotto il nome della contestazione o del dissenso, ma che in maniera larvata continua ad avvenire davanti a ogni vento di diversità..... ....Andando col pensiero al Vangelo, è la tecnica dei farisei che chiedono se "ha peccato lui o qualcuno dei suoi", non per avere una risposta di liberazione, ma per condannare in tranquillità, dall'alto di una superiorità istituzionale o di primogenitura o di affiliazione, che vale per alcuni e per altri no! Quando quest'estate tutti hanno esultato per la ritrovata unità dei cattolici (CI e AC) nessuno dei grandi si è ricordato dei tanti desaparecidos delle ex o attuali comunità di base e di tutte quelle persone che hanno dato la vita e il sangue per prendere sul serio il Vangelo prima di tutto e il Concilio poi. Se poi andiamo a vedere il viaggio che M. Politi fa nella Chiesa italiana ("II ritorno di Dio"), questa dimensione, storica prima che teologica, appare del tutto assente, come a dire che il panorama riconosciuto della Chiesa italiana non presenta più buchi neri o voci discordanti, e come se tutto fosse stato appianato, magari schiacciato!...
... Come si spiega questa rimozione su tutta la linea di una parte consistente di chiesa ricacciata nel silenzio e senza più diritto di parola e di cittadinanza, almeno ufficialmente? Forse una rilettura delle parole del Provinciale ci può aiutare a capirlo e a tenerlo presente. L'esperienza di Livorno sarebbe fallita, perché appiattita in un ruolo sociale, mentre a Quinto Basso si starebbe "da frati": il punto è proprio qui, nello "stare da frati" formalmente, più che da fratelli realmente. Il fatto importante è salvaguardare una immagine o identità convenzionale, che consenta una qualche novità come fiore all'occhiello, ma non disturbi e non comprometta il sistema! E' quando si può contare su tutte le approvazioni canoniche e magari suscitare il consenso e l'entusiasmo anche dei frati di ottant'anni! Ed è quando "la contestazione dell'ufficialità, anche della Chiesa" appare decantata, ed anche le iniziative più ardite sono organiche e compatibili ad un sistema di chiesa immobile e immodificabile ed intoccabile nella sua organizzazione. Siamo all'equivoco di fondo, che porta ad identificare l'istituzione con la prassi e le forme di governo, per cui i non allineati ideologicamente sono irrimediabilmente "fuori" anche se canonicamente in regola, dove la legittimazione non nasce tanto dalla validità o dalla fedeltà delle scelte, ma unicamente dalla conformità o meno ad una mentalità egemone o ad un sistema dominante di appartenenza. L'esperienza insegna che in genere si parte da una squalifica pregiudiziale - o da un'iniziale caduta in disgrazia -che cerca poi appigli giuridici di convalida per così neutralizzare il motivo di scomodo. Da qui un inevitabile cortocircuito, che porta all'incomunicabilità totale, naturalmente tutta a carico dei più deboli: da una parte ci si strappa le vesti per qualche "scandalo" subito o presunto, dall'altra scattano lo sdegno e la denuncia. Ma tutto rimane sterile, fino a quando non ci sarà la volontà di chiarire e confrontare apertamente e coraggiosamente logiche diverse e plausibili. Ma come?... ... Come evitare il cortocircuito azione-reazione, che blocca ogni cambiamento reale, che non sia quello di difese contrapposte o del dialogo tra sordi? E' illusorio aspettarsi che la parte emergente e visibile di chiesa accetti il proprio ridimensionamento e l'invito a lasciare il primo posto. Solo chi si ritrova all'ultimo posto o è ancora fuori della sala può invece essere invitato a farsi più avanti o ad entrare, non per primeggiare a sua volta o soppiantare gli altri, ma semplicemente per prendere parte alla convivialità del banchetto offerto a tutti, buoni e cattivi: "Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali" (Mt. 22,1)
Alberto Bruno Simoni
Koinonia, n. 3 Marzo 2005
Caro professore,
sono un sopravvissuto di un campo di concentramento.
I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano
dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti,
bambini uccisi con veleno da medici ben formati, lattanti uccisi da
infermiere provette, donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati
di scuole superiori e università.
Diffido - quindi - dell'educazione. La mia richiesta è: aiutate
i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non
devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici
qualificati, degli Eichmann istruiti.
La lettura, la Scrittura, l'aritmetica non sono importanti se non
servono a rendere i nostri figli più umani.
Questa lettera - riportata nel 1996 dal giornale Le Monde - veniva inviata da un preside americano ai suoi insegnanti all'inizio di ogni anno scolastico.
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455