Col legno morto si può fare un piccolo fuoco per riscaldare le dita dei poveri.
A dieci anni dalla morte, il sorriso di Beppe è rimasto amichevole e accogliente nel cuore dei viareggini e non solo. Segno indelebile di uno spirito che ha saputo dare la concretezza della carne a parole come amore, pace, condivisione, accoglienza, misericordia... Ho creduto bene, su queste paginette, di dar voce a chi lo ha conosciuto e lo ricorda con le parole rotte dell'emozione e della memoria che sopraffa, attraverso immagini interiori, l'ordinata articolazione del linguaggio. Ringrazio chi ha voluto lasciarne traccia, che spero di aver raccolto con attenzione e cura. Invito coloro che volessero continuare questo percorso di ricordi e di desideri a far arrivare i loro scritti (anche solo di una frase di pochissime parole!) in modo da raccoglierne ancora per inserirli in un
"ritratto" di Beppe così come nasce nel cuore di tutti noi. Unisco, nelle ultime due pagine, la biografia di don Beppe scritta da Maria Grazia Galimberti e riproposta nel sito www.lottacomeamore.it insieme con tutti i "giornalini" usciti dalla chiesetta del porto, contenenti anche gli scritti di Beppe, i suoi racconti semplici e intensi nello stesso tempo. Ne riporto qui uno stralcio, di un pescatore di uomini che ha accolto la chiamata a farsi pescatore "di lampara" e a immergersi sempre più nel gran mare della vita. Luigi
Il mio lavoro è antico quanto l'uomo e quindi ha conservato - pur nell'evoluzione storica dei mezzi tecnici - un suo carattere «primitivo», che gli deriva dal suo rapporto con le forze della natura: il vento, la pioggia, il giorno e la notte, la bonaccia e il «marettone». Questo fatto lo rende duro e spesso incerto. Lavoro da circa un mese su un motopeschereccio (il «Libeccio») per la pesca mediterranea: è una grossa barca di 143 tonnellate di stazza, lunga 31 metri e larga 6, con la «coperta» tutta ingombra delle attrezzature necessarie al mestiere... Ho cercato di parlare del lavoro; non ho detto niente degli uomini che lo fanno e lo subiscono. Vorrei dire qualcosa di loro, perché essi meritano un particolare rispetto e una considerazione particolare. Sono i miei compagni: con loro divido il pane, la fatica, la speranza che tutto vada bene. Siamo in sedici sulla nostra barca, capitano compreso. Ad eccezione di lui e di me, gli altri sono tutti siciliani. Alcuni abitano a Viareggio da diversi anni; ma la maggior parte vengono «a fare la stagione», lasciando la casa e la famiglia e affrontando un periodo di grossi disagi. Sono dei "migranti", anche se all'interno: stanno qui da marzo a settembre (fra tutti gli equipaggi delle lampare, sono circa 250 uomini). Molti sono giovani; ma ci sono anche uomini oltre i 40 anni, che hanno consumato tutta una vita sul mare: c'è chi è stato all'estero e tutti hanno affrontato e affrontano questa vita dura e scomoda, per cercare di farsi una casetta al paese, dare una sistemazione dignitosa ai figli, alleggerire il peso di una povertà che dura da generazioni. A metà stagione, hanno una licenza di una decina di giorni: una corsa a casa, a rivedere la moglie o i genitori, e poi di nuovo «al pezzo», fino ai primi di Ottobre. Quelli che continuano a fare questo mestiere, stanno a casa quattro mesi all'anno, in inverno: al paese, si arrangiano a fare qualcosa per tirare avanti fino al principio della primavera. Sono uomini seri, che lavorano forte e sentono l'impegno di un pane guadagnato a prezzo di tanti sacrifici. lo sono sacerdote. Essi lo hanno saputo fin dallo inizio e mi hanno accolto con sincera amicizia. Piano piano stiamo facendo conoscenza: sento bene che essi scoprono nella mia povera vita, divisa totalmente con loro, il volto di un sacerdozio (e quindi di una Chiesa-continuazione di Cristo) fino ad ora sconosciuto nella loro esperienza religiosa. Sono certo che dividendo con loro il pane, il poco dormire, la lunga fatica di ogni notte, la povertà di questa vita - e tutto abbracciando nella Fede, tutto raccogliendo nella Eucarestia, tutto portando al Cuore di Dio attraverso il mio povero cuore d'uomo - sono certo che qualcosa del Regno di Dio cresca e maturi. E non solo in loro, dei quali conosco il nome e vivo l'amicizia; ma in tutta una realtà di esistenza umana allargata fino ai confini dell'umanità, perché l'amore cristiano sento che è una potenza universale, capace di produrre i germi della vita dentro la dispersione dei figli che Dio chiama all'unità da ogni angolo della terra. lo sono qui non a nome mio personale, ma di tutta una comunità cristiana di cui sono parte: con i miei fratelli e le mie sorelle che raccolgono e vivono altre realtà della vita umana (la parrocchia, l'ospitalità, la vita del cantiere o della fabbrica), sento di compiere un'opera di Chiesa e quindi di rapporto serio e incarnato dell'Amore di Dio con le sue creature. Al di là di tutto lo sforzo fisico, di tutte le rinunce che mi sono chieste, sento benissimo che la cosa essenziale è unicamente il fatto di essere una vita umana dove Dio è Tutto, dove gli altri possano
incontrare unicamente i suoi Valori, la sua Presenza, Gesù Cristo vivente oggi, con loro, al loro fianco, seduto alla stessa tavola, attaccato alla stessa croce quotidiana. Sento crescere in me la realtà autentica del sacerdozio cristiano: essere questo spazio fatto di carne e di sangue, di anima e di cuore, dove Dio prende un volto, assume e fa sua l'esistenza, il sacrificio, la speranza, la solitudine e il bisogno di luce dei suoi figli. Dove l'Amore non è una parola, un sentimento, ma la vita intera offerta per il Regno di Dio ai propri fratelli. Sto imparando a dimenticarmi, a lasciar fare completamente a un Altro, per poter essere quel pane che Cristo vuole che siano i «suoi» per la fame del mondo.
don Beppe
in La Voce dei Poveri, Aprile 1971
Samanta Ferri È stata la persona che più di tutte mi ha fatto sentire accolta in una chiesa e sicuramente non sapeva neanche il mio nome.
Chiara Anichini Alla messa sembrava che parlasse solo per me, mi dava le risposte alle domande che ancora non mi ero fatta. Ho pianto tantissimo quando se n'è andato....
Lucia Del Dotto Il battesimo dentro un Circo vicino al palazzetto.....una celebrazione semplice ...eravamo un gruppetto di mamme e bimbetti...fu un'esperienza meravigliosa !
Stefano Poletti dopo il cantiere S.E.C., in IRPINIA AL TERREMOTO, un vulcano che sapeva stare dalla parte
degli ultimi. CIAO OVUNQUE TU SEI.
Fabrizio Maggiorelli Don Beppe ha battezzato i miei figli fatto comunione e cresima con lui. Tra i tanti ricordi gli anni alla Chiesina dei 7 Santi le sue bellissime omelie, non avresti mai voluto che l'omelia finisse e poi alla fine della Messa, Fabrizio vieni che devo dirti una cosa. C'era sempre qualcosa da fare e qualcuno da aiutare. E te facevi ogni cosa che lui diceva. C'era da fare il turno di notte al pensionato, pronti! C'era da fare da mangiare ai poveri, pronti! Da organizzare le docce e la lavanderia per i poveri. Pronti! Da pensare al sostentamento del pensionato Pucci. E farlo diventare Residenza Sanitaria assistita. Pronti ! Ma vederlo passare in bicicletta per le vie della Darsena con il suo sorriso ed il suo saluto travolgente ti riempiva il cuore Il suo no alla guerra, il suo no alla violenza il suo no a tutte le ingiustizie, la sua lotta con amore, i suoi insegnamenti rimangono indelebili nel mio cuore è in quello della mia famiglia. Ho sfilato insieme a lui contro la guerra per la pace e mi faceva l'effetto di una bomba di amore sentirlo urlare in corteo contro la guerra e per la pace. E fra me dicevo ma te guarda che Prete guerriero per la pace ! Al suo funerale ho pianto in modo continuativo ed ininterrotto portando a spalle la sua bara. Se esiste un Paradiso state sicuri che lui è lì a fianco del Padre
Leandra Cazzola Don Beppe mi ha sposato e ha battezzato i miei figli. Durante la cerimonia allo scambio delle fedi, non trovava la mia. Era finita dentro quella di mio marito. E Beppe le prese in mano e disse: "Ecco l'unione perfetta. Un cerchio dentro l'altro." Non credo ci possa essere benedizione più... non trovo le parole. Beppe era così: semplice, immediato ed efficace! Lo porto con me nel cuore.
Barbara Corace Lavoravo al cantiere Benetti Gecan, a due passi dal Capannone. Ci fu uno sciopero bianco: la proprietà era indietro nei pagamenti e il CdF decise per lo sciopero bianco. Ci presentavamo regolarmente al lavoro, timbravamo il cartellino, ma non svolgevamo alcuna attività. Un pomeriggio si presentò don Beppe con i suoi ragazzi: erano venuti - disse - a portarci la loro solidarietà. Tutti conoscevamo la grandezza del suo cuore e non fummo stupiti del suo gesto, che ci fece comunque un enorme piacere. Beppe era anche questo: condivisione.
Francesca Giunta Ricordo un uomo assolutamente puro, un sorriso tranquillizzante, ho suoi ricordi di quando ero bimba, ricordo il suo coraggio eppure la sua quiete, la sua generosità eppure la sua quieta forza in cui mai percepivi potere ma purezza, immensa purezza amore e generosità . É un ricordo scolpito dentro di me. Non cito le sue azioni ma ciò che attraverso le sue azioni irradiava. Un grandissimo 'piccolo uomo. Ancora un grande riferimento, cosi come Sirio, scolpiti dentro di me.
Carlo Giordano Ricordo il suo modo di salutarti, il suo buongiorno che significava proprio "vorrei che tu avessi una bella giornata", mi guardava mi sorrideva e sentivo che quei pochi istanti li aveva tolti da qualunque altra cosa e dedicati proprio a me, facendomi sentire più forte e meno solo. Ogni tanto provo a fare lo stesso...
Gabriele Tomei Oggi mi avresti detto: "Forza e coraggio!". Ciao Beppe
Annetta Moriconi
Che bei ricordi.....
Francesca Pellegri Quanti ricordi quel sorriso...
Maria Teresa Giorgetti Un uomo... impagliatore di pace e di sentimenti. Una bussola, un faro. Con amore sempre. Ciao Beppe
Era il 1991. Una terribile guerra illumino' il mondo di quell'orrore spaventoso che traccia segni indelebili dentro di noi. Segni di debolezza e vulnerabilità. Il mondo della scuola si ribellò. Non potevamo restare indifferenti. Ci mettemmo tutti al polso un filo bianco e rosso, simbolo del sangue versato, della sofferenza inflitta a persone innocenti. Don Beppe Socci con un microfono in mano e un amplificatore a tracolla, mi insegnò la Pace, lungo le strade, tra la gente. Con amore.
Silvia Merlini Grande onore averti incontrato...Ciao Beppe!
Silvia Teresa Feldstein Oddio, Gabriele, che bella foto! Mi hai fatto un regalo!! Grazie... a te ... E a lui, certamente!!!
Valeria Maggiorelli Ciao Beppe... ti porto stretta nel mio cuore!
Lucia Del Dotto Venti anni...sembra impossibile ...sempre nel cuore...ciao Beppe ! Caro Beppe quanto manchi.... è sempre un'emozione speciale rivederti e sentire la tua voce ! Ciao Beppe !
È stato così per molte persone ...anche x me ....riusciva a farti vedere la luce in fondo al tunnel....indimenticabile
Paolo Dal Pino OGGI 19 Gennaio sono 20 anni che don Beppe ci ha lasciato non è vero..... è andato ad aiutare altre persone perchè la vita continua.........ciao Beppe indimenticabile ..........
Cristiana Beconi A proposito dei ricordi su don Beppe....io di lui ho indelebile il ricordo del sorriso aperto che ti faceva sempre sentire accolto. Ricordo un episodio buffo....una volta prima della messa del sabato sera faceva le confessioni nella stanzina lì accanto alla chiesa dei Sette Santi e tutti i sabati c'era una signora anziana in fila.....un sabato era in ritardo per la messa ma la signora anziana non si rassegnava a prendere la messa senza essersi prima confessata, allora lui, non riuscendo a rassicurarla che andava bene anche confessarsi dopo, le chiese sorridendo se avesse da confessare le "stesse" cose dei sabati precedenti... o ce ne fossero di diverse... lei gli disse che erano le stesse allora lui col suo sorriso accogliente l'assolse seduta stante e la rassicurò che era tutto a posto. La signora entrò alla messa "abbastanza" tranquilla... Buona giornata.
Antonella Terzo Don Beppe... Un uomo, una persona unica.. L'umiltà e lo spirito di socializzazione erano la sua
forza. Non aveva barriere.. Dove c'era lui, i soggetti più deboli, diventavano i più forti...
Claudio Debetto Insegnandomi a impagliare le sedie mi ha regalato una lezione di amore per la vita, per la bellezza, per le persone.
Liviana Sartini Non mi sembra possibile che sia già passato così tanto tempo (20 anni, da quando ci ha lasciato). Io nella mia vita non ho avuto molti amici, quelli con la "A" maiuscola, a volte si confonde l'importanza di questa parola. Don Beppe per me è stato un Amico, un amico vero. Era la persona con cui parlavo senza tanti problemi. La sera, quando in via XXIV Maggio c'era la sede dell'Archeggiola, don Beppe passava dal mio negozio con la sua bicicletta bianca, forse un po' troppo alta per lui, e si fermava sullo scalino del mio negozio e mi diceva: "sorella come va? Com'è andata oggi... forza è quasi l'ora di chiusura". Io aspettavo quel momento perché sapevo che anche a lui faceva piacere parlare con me. Mi parlava dei suoi ragazzi, che ogni tanto scappavano e mi venivano a trovare, delle loro problematiche, dei loro disagi, ed io piano piano mi avvicinavo sempre più a loro. Perché lo confesso nei primi tempi che li frequentavo mi sentivo a disagio e non sapevo come trattarli. Don Beppe capiva il mio stato d'animo e mi diceva di essere naturale con loro, senza problemi. Una volta, una di quelle sere che si fermava, così parlando, che ovviamente mi parlava anche della chiesa, gli dissi: "Don Beppe bisogna che poi mi venga a confessare, vengo alla chiesina....". Ma lui mi fermò e con il suo modo di fare mi disse: "sorella l'hai già fatto, io sono una persona come voi con i miei difetti come voi, ti ho ascoltato e va bene così". Di cose da raccontare e ricordare ne avrei tante, ma quella che mi fa star male, fu il giorno che "il lustrino" - così chiamavamo il Martinelli che restaurava i mobili, entrò nel mio negozio e mi disse che don Beppe era all'ospedale, che gli era preso un infarto, tutto mentre era con i suoi ragazzi a prendere la merenda, mi disse che era messo male, e non sapeva se ne poteva uscire. Mi ritrovai a pregare, a piangere e a pensare che non poteva succedere nulla a Beppe, che lui doveva restare con noi, perché ne avevamo bisogno. Ciao BEPPE sempre con noi.
Rodolfo Martinelli A me bastava il suo ...Come va fratello?...sempre con gli occhi sorridenti e la complicità nel fare arrabbiare Giancarlo dicendogli che doveva rimanere... Ciao Fratello... mi manchi come manchi a tutti gli uomini di huona volontà... un abbraccio! E poi ha battezzato mio figlio...
Un Grande Uomo! Mai visto serio...sempre con il sorriso sulle labbra... ti accoglieva sempre con... Ciao fratello... ma come diceva Sirio... La morte non chiude la storia..
Silvia Canfailla Don Beppe una forza, un pilastro... insomma pensavo di trovarlo sempre lì, con i suoi ragazzi, con i suoi sorrisi e la sua fede. Mi ha insegnato a non rimandare... Dicevo da tempo"devo andare a salutare Beppe, devo passare dall'archeologia... " Rimandavo, indaffarata in cose a volte inutili a volte mah!.. ed un giorno è partito, lasciando a me l'unica risposta: ora!
Gilda Pescaglini Don Beppe non lo dimenticheremo mai.
Mario Cappelli Lui si che era un prete, ciao Beppe
Giuseppina Vannucchi Uno dei pochi (veramente prete).
Paolo Bertozzi E un grande grande amico
Paolo Dal Pino Mia madre aveva un appartamento posto al 1° piano di via XXIV Maggio, in darsena, dopo la morte di mio padre l'appartamento rimase sfitto conservando i mobili e gli oggetti che mio padre da marinaio in pensione teneva come "oracoli". Con mio figlio allora tredicenne costruivo una maschera di carnevale. Di solito aveva una altezza non inferiore ai 4 metri pertanto ci voleva uno spazio adeguato. E il primo anno che ci fu accordato di costruirne una ci si pose l'arduo problema di dove costruirla, visto che la Fondazione carnevale non forniva spazi. Studia che ristudia pensai di di andare nell'appartamento di mia madre. La povera donna era restia a farmi andare in quella casa in quanto molto spesso si recava a vedere e a ricordare i tanti anni lì trascorsi con mio padre . Io e mio figlio Glauco dopo tanto insistere però riuscimmo a convincerla. A settembre per prima cosa mettevamo i mobili che occupavano la cucina in un angolo, poi coprivamo il pavimento dove avevamo attrezzato l'improvvisato cantiere di lavoro con fogli di giornale, legavamo con uno spago il lampadario che era al centro della stanza perché la maschera toccava nella lampada in modo da farlo pendere da un lato del nostro improvvisato laboratorio. La costruzione del mascherone si protraeva per circa 2 mesi e alla fine dei lavori si rendeva necessario rimbiancare le pareti del nostro piccolo baraccone onde evitare i rimproveri di mia madre. Sotto l'appartamento dove lavoravamo c'era un laboratorio diretto da un prete Don Beppe Socci. Faceva lavorare, per modo di dire, dei ragazzi che nella vita non erano stati fortunati nella salute e qualche volta nel campo degli affetti familiari. Teneva occupati questi ragazzi facendogli impagliare delle sedie o rilegare dei libri, era un sacerdote e un uomo che non faceva mai trasparire i suoi problemi che pure dovevano essere tanti. Aveva sempre una parola buona per tutti, un modo di relazionarsi semplice che ti colpiva nel cuore riusciva a far fare a quei ragazzi ogni cosa anche le piu' difficili in maniera semplice e divertente. Eravamo diventati amici, perché gli piaceva il carnevale e vedeva nella nostra voglia di costruire la maschera, qualcosa che somigliava all'impegno che lui metteva con i ragazzi: l'amore di fare. Le maschere che costruivo con mio figlio richiedevano un particolare impegno. L'angusto spazio in cui lavoravamo misurava 4 metri per 4 e un'altezza dal pavimento al soffitto di circa 3 metri e 50 centimetri. Come facevamo a farla stare in quella stanza se la costruzione superava i 4 metri di altezza? Ebbene la costruivamo smontabile, la testa veniva infilata al momento di farla uscire dalla stanza tramite un incastro fatto a scatola dove infilavamo la testa al busto, le braccia assemblate con lo stesso sistema. Era un lavorone! Inoltre trovandoci al primo piano tutto il mascherone doveva scendere dal terrazzo che era a 6 metri d'altezza. Era un evento per tutti gli abitanti di via XXIV Maggio. Don Beppe era un prete, ma per tutti era Beppe, veniva spesso nell'appartamento a vedere come procedeva la costruzione e portava anche i ragazzi che esprimevano stupore a modo loro, facevano dei gesti di contentezza, un ragazzo portava sempre uno zaino sulle spalle, riusciva a parlare solo emettendo suoni gutturali , Beppe lo portava sempre con se, e per farlo contento e calmarlo usava una parola magica: prosciutto. Con questa parola riusciva a comunicare con il ragazzo, era entrato nel suo mondo fatto di parole semplici ma che toccavano il suo vivere quotidiano. Don Beppe mi consigliava come calare la maschera dal terrazzo, come farla passare da quell'angusto spazio. Devo confessare non sono mai stato una persona religiosa, eppure da bambino andavo in Chiesa a servire messa, ma con il tempo mi sono allontanato, con don Beppe mai
avevamo parlato di religione, aveva un dono, riusciva a leggerti nell'animo e non affrontava mai un discorso che ti avrebbe messo in difficoltà, Arrivava il giorno che la maschera era terminata allora veniva il bello. Dovevamo calarla dal terrazzo, l'evento della calata avveniva 10 giorni prima dell'inizio del carnevale in modo che se si fosse rotto qualcosa nel farla scendere avremmo avuto il tempo per le riparazioni. In prima fila sotto il terrazzo ad assistere questo evento c'erano alcuni ragazzi di Don Beppe, cinque o sei, lui premuroso scherzando diceva: uscite di sotto perché se vi cade un pezzo in testa è la volta buona che guarite; poi tutto finiva in sonore risate. Beppe era sul terrazzo con me, mio figlio stava nella strada a prendere la maschera quando scendeva dal terrazzo, legavo il mascherone per la vita con una corda mentre un'altra corda la facevo passare per la testa montata al busto, appena usciti dalla cucina dove lavoravamo , la maschera la alzavamo in piedi la imbracavamo sul terrazzo, seguivo i consigli di Beppe che la sapeva lunga, ma faceva finta di essere sprovveduto, come i veri esperti. Questo fatto che descrivo avvenne alla calata di una delle costruzioni, la maschera rappresentava Silvio Berlusconi l'avevo legata per il busto e per il collo poi demmo inizio alla discesa della costruzione, c'era un po' di tensione, dopo tanto lavorare se qualcosa andava storto il lavoro di 2 mesi finiva in fumo. Beppe ed io alzammo il mascherone facendolo scavalcare dalla balaustra del terrazzo poi piano piano cominciammo a calarlo. Beppe con una corda io con un'altra, quando fu ad una distanza di 3 metri dal suolo la maschera si capovolse , non riuscii a trattenere un grido di disappunto facendolo seguire da una sequela di parolacce e qualche bestemmia, Don Beppe che era accanto me mi guardò e non disse niente, ero rosso in volto la maschera si raddrizzò perché la fune che aveva don Beppe la riportò in equilibrio, poi lentamente scese a terra. Mi tranquillizzai; non ero affatto contento per il lieto fine come invece avrei dovuto essere, ero preso da una certa vergogna per essermi comportato in quel modo, ripensavo a quelle parole che la rabbia mi aveva fatto dire. Don Beppe mi guardò in volto i suoi occhi avevano scandagliato il mio stato d'animo e mi disse" QUANDO CI VO' CI VO"! Quelle parole mi sono rimaste sempre impresse: diventai rosso dalla vergogna. La comprensione di Don Beppe mi toccò facendomi pensare più che se mi avesse redarguito in malo modo dandomi del maleducato, lui uomo di fede io un meschino bestemmiatore. La maschera, il carnevale, la contentezza di poterla portare al corso mascherato passarono in secondo piano, ero mortificato ma nella mia mente sono rimaste sempre impresse quelle parole. QUANDO CI VO' CI VO. OGGI 19 Gennaio sono 20 anni che don Beppe ci ha lasciato non è vero..... è andato ad aiutare altre persone perché la vita continua... ciao Beppe indimenticabile...
Rosa Mammì Ci manchi tantissimo Beppe io e te abbiamo parlato tanto ma tanto e mi facevi stare bene se il mondo mi crollava addosso tu riuscivi a tirarmi su di morale ed a farmelo vedere in un altro modo un bacio avvunque tu sii lassù
Cinzia Dati Mitico DON BEPPE che energia aveva e che cuore grande
Maria Grazia Galimberti Unico Beppe! Cuore di fanciullo...
Antonella Federigi Bello il nostro don Beppe ci manchi tanto ma sei sempre nei miei pensieri dovunque tu sia ti voglio bene ciao Beppe
Enrico Marchetti
Il grande Beppe, tanti anni di lavoro insieme, per fare una grande cooperativa , una grande realtà per i nostri ragazzi meno fortunati.
Rossana Bemi Aver incontrato Don Beppe è stata per me una grazia. Era il 1992 o il '93 quando Gianna iniziò catechismo. Aver incontrato Don Beppe è stata una grazia perché, per motivi chiamiamoli politici, venni allontanata dalla Chiesa insieme a mio fratello, all'età di 8 anni. Fu così offeso il mio desiderio di Dio. Aver incontrato Don Beppe è stata una grazia perché è stato lui, con i suoi modi espansivi, pieni di rispetto e delicatezze, a ridarmi fiducia. Aver incontrato Don Beppe è stata una grazia perché partecipare alla messa era una gioia, mi faceva sentire accolta, era come mi allargasse le braccia e mi dicesse: non avere paura siamo tutti uguali... persone semplici e, come ha detto Carlo l'altra sera in chiesetta, lo diceva a me, proprio solo a me. Aver incontrato Don Beppe è stata una grazia perché con lui e dopo di lui ho incontrato "nuove" persone ed oggi, sono felice di sentir vivo il desiderio di Dio.
Laura Andreozzi Io non ero affatto una assidua frequentatrice degli ambienti religiosi se pur speciali come il vostro. Con don Beppe ho avuto una conoscenza occasionale ma sempre cordiale ed affettuosa. Mio marito Fabrizio è il vostro medico, tuo, di Beppe e di Sirio e in qualche occasione ci siamo incontrati. Ho ricordi in più di Sirio di cui ti vorrei mandare una foto , appena la ritrovo. Ora ti mando la foto del regalo che mi portaste quel giorno che Beppe tu ed io festeggiammo a casa mia in darsena con la mia famiglia i nostri compleanni. Non so la esatta data di ciascuno di noi ma tutti a fine luglio . Anche l'anno non lo ricordo esattamente ma potrei collocarlo approssimativamente nei primi anni '90. Erano per me anni molto pesanti quelli . Non era stato facile andare avanti dopo la morte dei miei genitori e fronteggiare tutte le necessità della famiglia... Fu un piacevolissimo pranzo e ancora ne ho in ricordo che mi da calore.
Paolo Barsella "Con il legno morto si può fare un piccolo fuoco per riscaldare le dita dei poveri". Questa frase, stampata sul ricordo della sua ordinazione sacerdotale (Firenze, 29/6/1963), riassume forse il "programma" che don Beppe si era prefisso per la sua vita di sacerdote. Una vita che si è "intrecciata" con quella di tante persone che hanno vissuto con lui o che, come me, lo hanno semplicemente conosciuto. Ho molti ricordi di lui, come prete, come impagliatore di sedie (Archeggiola), come "padre di famiglia", come "attore" nel teatro di don Sirio, nel ruolo del cappellano militare che "dopo sedici secoli" capisce che "croce e stellette insieme sono equivoco sacrilego davanti a Dio e inganno per la povera gente" (cfr. don Sirio Politi "Le Ombre di Hiroshima" 1983)... C'è però un ricordo più personale: lo vidi tre giorni prima della sua scomparsa, mentre facevo una passeggiata in darsena. Lui era insieme a due ragazzi dell'Archeggiola e mi salutò allegramente, come era solito fare, dicendomi: "Ecco il nostro amico Paolo, camminatore solitario!". Lo salutai anch'io, senza sapere che non l'avrei più rivisto, non ci avrei più parlato. Dopo venti anni sento ancora nelle orecchie la sua voce che mi ripete questa frase, anche se adesso non sono più un "camminatore solitario": da qualche tempo infatti Laura "cammina" insieme a me.
I Volti della Pace: Patrizia Bertolucci, Daniela Santucci, Angela Vannucchi Il nostro primo incontro con don Beppe risale all'estate del 1991 in piena guerra del Golfo, quando ci invitò con il suo modo diretto, quasi provocatorio, a "fare qualcosa" nella scuola e per i giovani, di fronte al diffondersi dell'ideologia della guerra.
Nacque, così, il progetto "I Volti della Pace" che ha avuto come luogo di incontro la Chiesetta del Porto e come punto di riferimento Beppe, fino alla sua morte. In seguito abbiamo continuato l'esperienza di Educazione alla Pace fino al 2011 coinvolgendo, come era nelle speranze di Beppe, un numero sempre maggiore di Scuole e di cittadini. E oggi? Cosa ci chiederebbe don Beppe oggi in una situazione sempre più complessa, dove la guerra è accettata come strumento normale per la risoluzione dei conflitti, dove le ingiustizie sono aumentate in misura esponenziale e dove i diritti sono messi in discussione anche nel nostro "civile" occidente? Ci mancano il suo approccio semplice ma profondo, la sua ricerca di soluzioni concrete realizzabili da tutti, il suo richiamo al senso di responsabilità di ciascuno di noi. Ci piace immaginarlo insieme a don Sirio sempre dalla parte degli ultimi, tra i disoccupati, i giovani precari sfruttati, gli immigrati, in tutte le periferie del mondo a dire, ancora una volta, "fate qualcosa".
Vincenzo Melangola (pescatore di lampara negli anni '70 a Viareggio da Terrasini - Palermo) Don Beppe era un perno!.. e il suo sorriso, eh...
Alberto Di Vita Ricordo Beppe in un episodio, se vogliamo anche abbastanza stupido ma mi aveva colpito, perché tutti penso si ricorda Beppe per la sua costante e instancabile disponibilità nell'ascolto e nell'aiuto verso il prossimo. Ma quel giorno all'Archeggiola, alla fine di una giornata come tante, come tutte, prima di darmi ascolto confessò: "scusa Alberto ma, sai dopo una giornata cosi, ho bisogno di un minuto di silenzio per ricaricare un po' le batterie". Ecco questo fatto mi colpi perché, per quel minuto di ricarica, spari il sorriso dal suo volto per riapparire immediatamente dopo quando rivolgendosi a me disse: "dimmi pure Alberto, qual è il problema". Dopo questo episodio mi sono sempre chiesto: quanti di noi stanchi dopo una giornata di lavoro come quella di Beppe riescono a mantenere il sorriso fino all'ultimo?
Giuliano Tomei Ho avuto la fortuna di conoscere Don Beppe negli anni 90. Avevo l'abitudine di andare spesso a pranzo con mia moglie alla trattoria da Marino in Via Coppino durante la pausa di lavoro, e di sovente avevo il piacere di trovarlo i con i suoi ragazzi meno fortunati di noi. Era sempre gioviale e con il sorriso sulla bocca, aiutava sempre quei ragazzi con incommensurabile amore , tanto che mi veniva sempre dal cuore di offrire quando un gelato quando una spuma a questi figlioli. Don Beppe era solito salutarci per primo e parlavamo di sovente del più e del meno ; mi ricordo in particolare che un giorno mi spiegò il perché in Chiesa, per la comunione, viene usato il Vin Santo ed il perché questo si chiamasse cosi. Onestamente , quando seppi della sua dipartita improvvisa mi lasciò "offeso" perché a noi mortali, non ci è dato di capire, ma solo di accettare, perché nostro Signore aveva chiamato a se una così importante persona per quei ragazzi disagiati... poi, ragionando col cristiano che è in me, ho voluto pensare che sicuramente Don Beppe avrebbe continuato la sua azione in cielo continuando a benedire quei ragazzi. Null'altro.. Don Beppe mi ha insegnato a vivere la vita giorno per giorno credendo in quello che si fa senza aspettarsi niente indietro.
Giuseppina Vannucchi Sono un insegnante in pensione, per molti anni la mia scuola ha collaborato con i ragazzi della crea e ho avuto modo di conoscere don Beppe e di incontrarlo in varie occasioni. Quello che ricordo con commozione, al di la dei rapporti di lavoro, è il fatto che io facevo da tramite nella raccolta di fondi derivati purtroppo molto spesso dalla raccolta in memoria di persone defunte
Appena arrivato al capannone don Beppe mi diceva: quando ti vedo, vedo il sole!! Anche se mi dispiace per chi muore pregherò per loro.
Marzia Bertuccelli Di Beppe ho dei ricordi dolcissimi, legati a numerosi episodi della sua vita di parroco, alla chiesetta dei Sette Santi. Sorridente e cordiale, lasciava intravedere una essenzialità disarmante e coinvolgente, legata al suo credo, al servizio verso i bisognosi e a tutti quelli che lo avvicinavano. Ricordo quando veniva a benedire la casa col suo ramoscello d'olivo e, ancor prima, giocava a rincorrere il mio cane divertito come un fanciullo spensierato; le sue omelie domenicali che sapevano aprire la mente e curare lo spirito; il suo rapporto giocoso con i bambini della parrocchia; il suo dialogo personale nella stanzetta adibita a "confessionale" che lo rendeva così intimo... desiderato. Il ricordo di una mia esperienza personale con lui, mi riempie ancora di nostalgia e rimpianto per averlo perso troppo presto. All'epoca collaborava in parrocchia per il catechismo. Ricordo che una mattina suor Eliana mi chiese se potevo andare in Chiesina, con lei e alcuni bambini, per aiutare Beppe a portare le cose indispensabili per celebrare la Messa e battezzare un bambino al tendone del Circo che in quei giorni era installato nel piazzale del Palazzetto dello Sport. Così insieme, a piedi, portando il necessario, siamo andati al Circo dove Beppe ha potuto esaudire la richiesta dei due genitori circensi. Non dimenticherò mai quella Messa!!! Il luogo insolito... e la felicità di Beppe che aveva saputo accogliere e trasformare, per l'occasione, il tendone in una "chiesa" viva, aperta, nuova, come piaceva a lui! Grazie Beppe!
La sua vita dedicata ai deboli, il modo caldo di fare, le tante esperienze che ha intrecciato, hanno fatto di Don Beppe Socci un punto di incontro fra persone di diversa generazione e provenienza sociale. Una persona che i viareggini hanno amato in maniera speciale. Il denominatore comune delle esperienze da lui vissute è stato l'ostinato non arrendersi di fronte alle ingiustizie, la mano sempre tesa a chi era sopraffatto dalle difficoltà del vivere. Don Beppe nasce nell'aprile del 1939 a San Casciano Val di Pesa, dove trascorre un'infanzia felice. Quando il padre muore all'improvviso d'infarto mentre si reca al suo lavoro di fattore, il clan familiare si stringe intorno al bambino e alla mamma in una gara di affettuosa solidarietà che rimarrà per lui fonte di ispirazione costante.
DON BEPPE ARTIGIANO Entrato giovane nel seminario di Firenze, nel '62 legge un libro di don Sirio Politi, il primo prete operaio italiano che lavorava ed abitava nella darsena di Viareggio. Chiede di conoscerlo e attratto dal suo stile di vita decide di seguirne l'esempio. Ordinato prete, fa il bracciante agricolo nelle colline del Chianti e si trasferisce a Viareggio nel '69 per unirsi alla piccola comunità di uomini e donne alla quale Don Sirio aveva nel frattempo dato vita. Vivono nel quartiere Bicchio, nella parte Sud della città. L'anno seguente diventa pescatore, un mestiere, come scriverà "antico e duro, che ha conservato un
suo carattere primitivo. Il vento e la pioggia, il giorno e la notte, la bonaccia e il marettone lo rendono dipendente dalle forze della natura". Qualche anno più tardi farà il manovale in un cantiere navale.
DON BEPPE PADRE Nel '75 decide di lasciare la comunità per andare a vivere per conto proprio seguendo un impulso del cuore: prendersi cura di quattro fratellini (dai 5 agli 11 anni) che in seguito a un grave episodio di cronaca nera si erano trovati improvvisamente senza genitori. Ne ottenne l'affidamento attraverso Gianpaolo Meucci, allora presidente del Tribunale dei Minori di Firenze e suo caro amico. Li tenne con sé fino all'adolescenza, in attesa che la loro difficile situazione familiare si sistemasse. Sono anni in cui, a partire dall'esperienza che sta vivendo, propone con forza la tematica dell'affidamento familiare, coinvolgendo un giro sempre più vasto di famiglie sensibili alla proposta di farsi carico temporaneo di minori in difficoltà. Viareggio diventa in poco tempo la prima città toscana per numero di affidi. Se nei primi anni si destreggia come può fra le incombenze domestiche e la cura dei piccoli, in seguito riprende in mano anche il filo lavorativo. L'occasione viene nel '79 quando Don Sirio gli offre di partecipare a una nuova avventura: un laboratorio artigianale da fare sorgere in un grande capannone nel cuore della Darsena. Beppe vi si recherà a lavorare a mezza giornata facendo l'impagliatore di seggiole. Durante il giorno molte persone si recavano nella nuova struttura a fare una chiacchierata. Capitò che qualcuno chiedesse loro di ospitare a "lavorare" nel laboratorio il figlio handicappato: da allora il numero delle persone con disagio crebbe e il laboratorio, specie dopo la morte di Don Sirio, perse l'identità artigiana per ospitare la C.R.E.A., una cooperativa di servizi sociali. Don Beppe rimane a lavorare in cooperativa come operatore la mattina e come artigiano impagliatore il pomeriggio. Nel frattempo i figli in affidamento crescono e tornano alla casa paterna e lui a sua volta torna a vivere con Don Sirio e don Luigi alla Chiesetta del Porto in Darsena.
UNA PARROCCHIA COME FAMIGLIA Il 1988 segna per lui un'importante novità: il vescovo lo nomina parroco della chiesa dei "Sette Santi Fondatori" in Darsena. Beppe riversa nella parrocchia le stesse cure che aveva dato ai suoi ragazzi creando un continuum fra due momenti della sua vita. In pratica per lui la parrocchia è stata come una famiglia e questo stile, questa capacità di accudimento vengono recepiti e fra la gente si alimenta la capacità di intrecciare relazioni. Fra l'altro è presente sul territorio un pensionato per anziani del quale Don Beppe in quanto parroco è il presidente: anche lì farà di tutto, e con successo, per legare il pensionato alla realtà del quartiere.
L'IMPEGNO PACIFISTA Accanto al tenere insieme, al fare famiglia Beppe riesce a vivere un'altra parte della sua personalità: pacifista convinto, in occasione della guerra del Golfo anima a Viareggio i comitati per la pace e riprende con lena la sua lunga battaglia contro i cappellani militari. Per mantenere viva la mobilitazione decide di dare luogo a una "Scuola per la Pace" che per alcuni anni organizza lezioni e convegni. Nel frattempo, per rendere la pace una realtà concreta, dà nuova vita a un'associazione già esistente l'A.R.C.A. In questa imbarcazione fa lentamente confluire le creature che incontra: apre in Darsena, alcuni pomeriggi la settimana, una bottega delle seggiole impagliate dove far incontrare volontari e persone con disagio creando un posto semplice, umile, dove si lavorava e si stava insieme, un punto di riferimento vivace nel tessuto sociale del quartiere. L'associazione dà anche l'avvio al progetto di creare a Viareggio una casa famiglia per ospitare i portatori di handicap che con il passare degli anni e l'inevitabile morte dei genitori rimangono soli. Nel pieno delle sue attività, mentre stava ancora impastando la vita, il 19 gennaio 1998 un infarto lo
coglie di mattina, mentre si reca al lavoro. Morirà dopo poche ore, in ospedale.
UNA CITTA' IN LUTTO Migliaia di persone, inconsolabili, accorrono a vederlo, si svuotano i posti di lavoro, la Darsena si affolla di gente unita da un nuovo senso di fraternità. Il sindaco dichiara mezza giornata di lutto cittadino per consentire ad ognuno di recarsi alla Chiesetta del Porto a rendergli l'ultimo omaggio. Il giorno dei funerali i negozi chiusi per lutto, le bandiere nere issate sui pennoni delle barche dei pescatori, gli striscioni dei consigli di fabbrica, i gonfaloni del Comune che seguivano il feretro, tutto raccontava la ferita della città. Ma la morte non chiude la storia e la sua memoria continua ad essere viva fra gli abitanti di Viareggio.
Maria Grazia Galimberti
E' veramente cosa buona e giusta rendere grazie a Te Signore,
nostro Padre e nostro Creatore:
per tutte le cose belle che ci hai donato lungo il cammino della vita.
E' bello ringraziarti per l'amicizia di cui ci hai resi partecipi; per la speranza che rinnovi nei nostri cuori; per il coraggio che non ci fai mancare nei momenti difficili e - a volte - molto pesanti del nostro cammino di pellegrini.
Ti ringraziamo prima di tutto per averci fatto incontrare il Tuo Figlio Gesù Cristo:
Lui è l'Amico, il Fratello, la Luce, la Gioia, il Compagno fedele che sostiene i nostri passi.
Ti ringraziamo anche per questi giorni passati in mezzo a queste montagne pietrose, ma anche allietate dal verde dei pini, degli abeti, dei larici, dei prati e dei fiori...
Per le fontane che abbiamo incontrato e che spesso hanno saziato la nostra sete.
Per il pane condiviso, per la conoscenza che è cresciuta, per il desiderio di maggiore impegno e di più grande dono di noi stessi perché il tuo regno cresca e si allarghi sempre più in tutta la Comunità umana...
Di tutto Ti rendiamo grazie, perché Tu sei Buono, Tu sei l'Amore, Tu sei il Pane, Tu sei la Sorgente, Tu sei la Vita.
Tu solo sei Santo, Santo, Santo...
don Beppe
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455