LOTTA COME AMORE: LcA dicembre 2013

Con tutta l'umanità nel cuore

Quest'anno sono 25 anni dalla morte di don Sirio Politi, prete operaio delle origini fin dalla metà
degli anni '50. Nato a Capezzano Pianore nel 1920 e morto a Pisa in ospedale il 19 febbraio del
1988. Le sue ceneri riposano nella Chiesetta del Porto nella Darsena di Viareggio, dove ha vissuto
dal 1956.
"La capacità di intrecciare fra loro realtà diverse e farne sintesi è una caratteristica che segna tutto il
pensiero di Don Sirio Politi: preteoperaio, lottatore, poeta, artigiano, scrittore, vivido pensatore.
Ma la sua opera più geniale è stata la sua stessa vita, quell'uomo nuovo che periodicamente nasceva
e rinasceva, grazie al suo raro dono di integrare fra loro gli opposti: spirito e materia, uomo e donna,
persona e natura, amore e lotta, normalità e disabilità, sacerdozio e laicità, salute e malattia.
Di qui il suo essere infaticabile uomo di frontiera, capace di ripartire dopo ogni tappa ad esplorare
nuovi orizzonti, l'ultimo dei quali lo ha condotto al grande viaggio verso il mondo dell'al di là".
(biografia di M.G. Galimberti in www.lottacomeamore.it).
Molti di voi l'hanno conosciuto e incontrato su queste paginette dalle quali comunicava la sua
incessante ricerca di fede e testimonianza cristiana nel mondo del suo tempo. Sempre "a gran
cuore" come ripeteva prima di tutto con la sua vita e poi con il sorriso e la sua sempre calda
accoglienza.
Abbiamo voluto ricordarlo, Maria Grazia Galimberti ed io - in questo anno anniversario del suo
nascere alla Vita - rileggendo dei suoi scritti: "La solitudine - dov'è il tuo Dio? (Sal. 41)" (in Lotta
come Amore - dicembre 1982), "Verità e Libertà" e "Una fede che lotta: l'offerta di una
rappresentazione popolare per la ricerca di una comunione cristiana con la realtà della vita (Il
problema)" (in Lotta come Amore - ottobre 1972).
Non ci siamo messi d'accordo prima, ma il fatto che, per motivi diversi, ci siamo soffermati sui temi
della solitudine e della fede, ricordando Sirio, dice quanto profonda è in lui l'innervatura di un
rapporto con Dio che ne ha espresso e alimentato tutta la vita. E lo ha reso uomo di rara e piena
umanità, capace di sostenere il proprio cammino di vita con scelte tutte pagate di persona.
Ho raccolto di lui uno dei primi scritti su La Voce dei Poveri (aprile 1961), intitolato proprio "La
solitudine cristiana". Il giornalino, affidato a don Sirio da poco più di un anno dalla locale Società
di San Vincenzo de' Paoli, reca ormai chiara la sua impronta. Sono più di cinque anni che vive in
solitudine nella "sua" Chiesetta, piccola stanza accanto la cappella.
"... Quando Dio è stato accolto come l'Unico e la Sua Presenza è solitaria perché valore
infinitamente assoluto, allora nella nostra povera anima comincia a farsi uno strano deserto. Il
Mistero di Dio ha fatto terra bruciata di ogni interesse personale e particolare, ma immediatamente
comincia a seminare a piene mani gli interessi del Regno di Dio.
E gli interessi del Regno di Dio c'impoveriscono di noi e di tutto e ci arricchiscono di Lui, del
Mistero di Dio.
E Dio porta con sé il problema dell'umanità nella sua realtà come individui, come numero e come
esistenza umana. Da dopo l'Incarnazione del Figlio di Dio, è impossibile stabilire un rapporto vero
col Mistero di Dio non caricato di tutto il terribile problema umano. Dove Dio entra, lì bisogna che
vi si rovesci a fiumana incontenibile, straripata, tutto il Mistero dell'umanità...
.. Si scava a poco a poco una solitudine infinita assolutamente irrimediabile perché abitata non da
uomo o da donna, ma da tutta l'umanità. Solitudine terribile, spaventosa perché rimasta senza
nemmeno un angolo riservato a qualcuno. Nemmeno un po' d'ombra dove fermarsi a far quattro
parole con un amico. Perché uno sarà sempre tutti. E perché non rimane posto per nessuno,
nemmeno per se stesso, quando tutto è occupato.
.. Perché forse si è con se stessi veramente quando si è immersi nell'essitenza umana. Quando il
particolare non esiste più perché non viviamo per uno, per dieci o per mille uomini, ma tutta
l'essitenza umana è nostra perché tutta l'umanità portiamo nel cuore e nel nostro personale destino,
allora la solitudine è deserto dove soltanto i Figli di Dio e i fratelli di Gesù possono vivere...".

La solitudine

"Dov'è il tuo Dio?" (Sal 41)

È una parola che fa paura. Apre davanti come uno spazio sterminato, a perdita d'occhio, senza una
pietra dove appoggiarsi, un albero alla cui ombra riposare. Intorno, lontanissimo e irraggiungibile,
l'orizzonte sfocato, abbacinante. Il deserto. Niente e nessuno all'infuori del povero se stesso,
dimensionato di nullità, spogliato di ogni evidenza, abbandonato perfino dalla propria ombra...
Ognuno di noi "sente" questa sabbia riarsa penetrare anche negli angoli più riposti del cuore, a
disseccare la speranza, a bruciare l'erba verde della fiducia e consumare l'ultima acqua del coraggio.
Solitudine nascosta, silenziosa , oppressa e vinta, a resa incondizionata.
[..]
* * *
Il giudizio che si ha nei confronti della solitudine è generalmente negativo: è forse la sciagura più
amara che possa capitare a una persona, uomo o donna che sia.. eppure mi permetto di affermare
che fra le tante realtà da valorizzare, la solitudine possiede una dignità particolarmente disattesa.
Riprendere questa realtà connaturata all'anima umana e che il nostro tempo ha mascherato con il
bisogno consumistico del vivere insieme, l'oppressione dei mezzi di comunicazione di massa, della
facilità meccanizzata di muoversi, riscoprendone i valori e provocandone la creatività, è senza
dubbio lavoro di profondo interesse.
Sempre più e irreversibilmente il nostro tempo (questi ultimi cinquant'anni) ha scavato sotto i piedi
delle voragini, degli abissi capaci d'inghiottire e seppellire perfino l'esistenza. Sono stati affondati
dei vuoti che hanno risucchiato e fatto sparire la serenità, la disponibilità all'attesa, l'insufficienza
del se stesso e il bisogno dell'altro, il sapersi contentare, il rispetto, la collaborazione, la felicità per
le piccole cose ecc.
Non è possibile colmare questi vuoti, perché ogni tentativo di soddisfacimento si risolve nello
scavare un vuoto maggiore. Il consumismo, la tecnologia e quindi la pubblicità, conoscono molto
bene questa disgrazia storica: la creazione dei bisogni è impulso produttivo, creativo di nuovi
bisogni. E il fermarsi o deviare dalla corsa produttivo-consumistica, è ormai impossibile.
O arrendersi, lasciandosi portare dall'acqua del fiume o tentare di accettare la sciagura, scoprendo e
raccogliendo nella perdizione possibilità di salvezza .
* * *
Forse è su questa strada di "redenzione" che la misericordia di Dio può giocare speranze di
salvezza. Sta il fatto, e a questo punto diventa un'esemplificazione, che la solitudine, risultanza di
svuotamento di valori umani, terra bruciata di realtà di rapporti, di comunicabilità, di
comportamenti vicendevoli, può e deve essere recuperata come valore qualificante la persona.
Costruzione del se stessi, liberazione dalla passività, dalla dipendenza, quindi solitudine come
equivalenza di compiutezza del proprio io, spazio indispensabile alla creatività e al muoversi
personale, scoperta e utilizzazione di risorse nascoste, seppellite, da vivere nella gioia di significare
qualcosa, di offrire intorno.
Occhi che vedono, cuore che palpita, mani che offrono, sicurezza di anima che accoglie, silenzio
che parla... una solitudine abitata, fiorita, luminosa. Una solitudine che non è più una solitudine, ma
semplicemente la solitudine.
E cioè lo spazio aperto, senza muri di difesa, fili spinati, confini e nemmeno orizzonti. La
condizione perfetta della libertà dove non c'è assolutamente niente da difendere perché niente da
perdere. Vivere senza timori e paure, apprensioni, angosce, è la solitudine che non aspetta niente,
non pretende, ma anche non dipende. Può accogliere tutto e tutti perché nemmeno un centimetro
quadrato è occupato, ipotecato, possesso in esclusiva. Perché è accoglienza aperta, disponibile,
pronta: può serenamente anche non accogliere niente, in forza di questa apertura e disponibilità e
libertà.
Una solitudine che sa e vuole essere solitudine.
* * *
Forse è ancora da scoprire quanto la solitudine è componente costitutiva dell'essenzialità più
profonda della natura umana. Può essere che l'esatta identità dell'uomo sia riscontrabile nella sua
solitudine, nella misura in cui riconosce, accetta e valorizza il suo se stesso, rifacendosi unicamente
al proprio io. Forse sarebbe importante ritornare alla propria origine, risalire il fiume a ritrovare la
sorgente e conoscere la limpidezza, la freschezza della propria acqua. Perché conosciamo di noi la
complessità, i derivati, gli impasti, via via sempre più artificiali e compositi, ma l'originale, l'identità
autentica, la verginità della nostra immagine, non la conosciamo.
Semplicemente perché non abbiamo accettato la solitudine, premurandoci con ogni cura di cercare
al di fuori di noi non solo il completamento, ma spesso la sostituzione o almeno il surrogato di noi
stessi. Vivere spesso è mendicare. Fino a bussare disperatamente anche quando la porta si ostina a
rimanere chiusa. Allora è proprio la solitudine. Ma non è vero, quella non è solitudine è
disperazione, cioè il vuoto, il senza senso, l'abisso senza fondo. La solitudine non è sconfitta,
fallimento, può essere preziosa provocazione a ritrovare il se stesso e cominciare finalmente a
vivere non d'accattonaggio ma con il lavoro delle proprie mani e col sudore della fronte.
* * *
Forse sono riuscito a capire, almeno mi sembra, l'importanza, il valore biblico della solitudine. Il
deserto è veramente il luogo dove Dio vive allo scoperto, senza veli a coprire il mistero, senza
indicazioni e segni a precisarne la realtà, la presenza. Chi è tutto, e Dio è tutto, è la totalità, non ha
bisogno di niente per manifestarsi. Anzi qualsiasi cosa, anche stupenda, meravigliosa, lo precisa, lo
circoscrive, lo condiziona e allora è meno Dio. Dio: spaziosità totale, illimitato assoluto, reale
presenza e insieme al di là incessante, in nessun luogo e in ogni luogo, infinitamente oltre...
Ma il suo nome più vero è forse solitudine. Tant'è vero che la creazione dell'universo e la sua
esistenza, non ha abitato e non occupa minimamente la solitudine di Dio. Anche la sua realtà
trinitaria non modifica la sua solitudine: l'Essere di Dio è Uno, l'unico e cioè perfetta, assoluta
solitudine.
La creatura umana è uscita da questa solitudine e ne porta l'immagine, la somiglianza, un destino e
un'esistenza misteriosa, un richiamo irresistibile.
La solitudine chiama solitudine... Una visione seria e limpida di Fede dovrebbe rivelarci che la
solitudine che spesso dilaga nel cuore, nello spirito e perfino nel fisico, è mistero scavato nella
condizione umana dall'essere nati dalla solitudine di Dio; dal portarne il segno indistruttibile
nell'anima e quindi dall'esserne implacabilmente richiamati, come misteriosamente risucchiati.
La risposta più profonda che la creatura umana può e deve dare a Dio è offrirgli un luogo dove Dio
possa essere Dio o almeno più totalmente che sia possibile. E questo luogo è la solitudine, il deserto
dove la distesa è a perdita d'occhio, niente si erge a interrompere a occupare, a distrarre. Nessuna
voce o richiamo attira l'attenzione, il silenzio tutto avvolge e ricolma della sua unica voce.
Non è possibile questa solitudine, è vero. Ma è come verità, giustizia, amore, libertà, felicità... non
esistono nella purezza perfetta, nella realtà concreta della vita nelle misure della totalità: eppure
questi valori li cerchiamo instancabilmente e non ci bastano misure limitate.
La solitudine è uno di questi valori, anzi è la terra buona, fertile, adatta alla loro fioritura e
fruttificazione.
Bisognerebbe se non altro soffrire l'impossibilità di solitudine, provarne angoscia e sgomento per il
suo essere sopraffatta. E desiderarlo, uno spazio di solitudine, un momento del suo silenzio, un
accenno della sua pace per esperimentare almeno la sua affascinante misteriosità.
Ma più che tutto, quando per le vicende della vita e non sempre sono strane, assurde, viene scavata
intorno la solitudine e il vuoto si fa nel cuore, dilaga l'anima, deserto arido e sterminato e tutto è
disperazione, allora bisognerebbe lasciar cadere la disperazione, il ribellarsi, l'amarezza che affoga e
abbandonarsi serenamente alla solitudine, scoprirne il fascino e lasciarsi costruire il deserto.
Perché può essere che da quella solitudine stia nascendo il vero noi stessi. Cioè la felicità.

don Sirio

in LcA dicembre 1982


Sirio e il paradosso della solitudine

Come tutti quelli che aprono una pista, don Sirio è stato profondamente solo nel suo essere avanti a
tutti, ad aprire il cammino. Fin da quando guidava per le vie della città gli scioperi operai, al giorno
in cui, come canta padre Turoldo, andò avanti il corteo, portato a spalle dai compagni. Era in
prima fila nella ricerca di un modo diverso di essere Chiesa, nelle lotte ambientaliste, nel no alle
centrali nucleari, nella scelta di stare spalla a spalla con i poveri.
A volere tracciare una linea nella sua biografia, l'essere solo è stato come un fiume carsico che
dapprima appare e scompare, per poi venire alla superfice e prendere l'andamento solenne di un
grande corso d'acqua che si avvia maestoso verso il mare. Solo, perché diverso rispetto al suo
tempo, in perenne ricerca di progettualità, condizione comune a molti, dai pionieri, agli scienziati,
agli idealisti, agli artisti..
Per lui il peso di questa condizione derivava soprattutto dalla mancanza di confronto, dalla
difficoltà di condividere sogni a cuore aperto, come amava dire. Infiammava il cuore di molti, ma
ne trovava pochi disposti a camminargli accanto e se veniva a mancare un amico era come quando
si oscura il cielo e scompare la stella polare. Si sentiva d'un tratto simile a un povero pellegrino
che cammina e cammina per deserti o un navigante su un guscio di noce a solcare gli oceani [Lotta
come Amore, ottobre 1984].
Nei primi tempi di avventura operaia, quando vive nella piccola cappella in darsena da poco
riadattata -un vero guscio di noce -soffre una penosa solitudine: qui nella mia stanzetta e nella mia
chiesetta ero proprio abbandonato a me stesso; il clero mi aveva segregato e direi quasi
emarginato, non avevo rapporti e possibilità di discutere i miei problemi, né qualcosa che mi
aiutasse a reggere questa situazione così pesante. Ero nella solitudine anche nella vita operaia
perché per giornate intere io non scambiavo una parola; tutt'al più dicevo buongiorno a
qualcuno... In quel tempo di lotta politica radicale, i preti non potevano andare per le strade senza
rischiare di essere umiliati. Però ho conservato molta serenità e pace pur vivendo un'attesa molto
penosa. [Lotta come Amore febbraio 1988]
Negli anni '60, finito il lavoro in cantiere, la sua vita è attiva come non mai: crea intorno a sé una
piccola comunità, il tema della solitudine sembra accantonato, approda alla quiete vivace della
campagna, nella mitica casa del Bicchio: abbiamo cercato per la nostra abitazione una casa da
contadini. E la stiamo rimettendo un po' in ordine con molta fatica; vi è una grande aia, una
piccola vigna e un orto che abbiamo già cominciato a coltivare: vorremmo che l'affitto che
dobbiamo pagare uscisse dalle nostre braccia. Presto poi avremo un buon pollaio e diverse
famiglie di conigli. Gli amici che abbiamo un po' dovunque hanno ormai scoperto la nostra casa
al limitare della pioppeta. Accogliamo tutti e parliamo con tutti, ma le ore volano via come il
vento. E le faccende del lavoro rimangono indietro.
In un fienile qui accanto stiamo costruendo una cappella tutta per noi. Sullo sfondo vi è un
larghissimo cristallo che accoglie la luce della nostra pioppeta. Un forte tronco di quercia porta
nella radice del ceppo il tabernacolo e nel breve fusto il Crocifisso realizzato raccogliendo da
una vigna quattro pezzi di vite. La tavola dell'altare è sopra un piccolo tino da vendemmia.
Quattro povere panche di tronchi d'albero completano l'arredamento. Tutto qui, ma credo che si
veda e si senta tutta la Fede e tutto l'amore." [Lettera ciclostilata agli amici, aprile 1966]
La comunità è una esperienza arricchente, ritrova anche le sue origini di bambino nato in un
paese di campagna. La preghiera nella cappella è fatta a più cuori, ci si attarda la sera fino a tardi.
Sempre più sembra trovare se stesso, appagato dalle novità della vita comune, dalla
responsabilità di essere motivo di ispirazione per il piccolo gruppo e gli amici che affluiscono da
tutta Italia.
Negli altri snodi della sua vita, il ritorno in città, la partecipazione alle novità degli anni '70 , i
movimenti ecologisti e pacifisti, il teatro come comunicazione, la scrittura, Sirio è preso dal
bisogno di essere dentro al farsi del suo tempo.
Eppure, in questa vita impegnata, la bussola che gli permette di non perdersi è il paradosso della
solitudine.
È solo perché unico, simile, in questo, a ogni creatura, solo in senso genuino e profondo. È se
stesso di fronte a Dio. <Ogni individuo porta dentro di sé un suono che solo lui può dispiegare
in un canto, una parola che attende di esprimersi in poesia. Se uno non componesse questo
canto, questa poesia, avrebbe fallito il suo compito nella vita.> scriveva Drewermann in 'C'è
speranza per la fede?'
Dagli anni '80 in poi, a equilibrare i continui impegni che lo portavano a parlare in giro per
l'Italia, i momenti di preghiera si dilatano e il raggio delle sue riflessioni si amplia. Ama stare da
solo, ritirarsi, passa lunghi periodi nel monastero di Camaldoli o in una piccola casa di pastori in
Sardegna.
Lentamente il paradosso prende forma: è tentato da una realtà di eremitaggio, eppure il desiderio
di una vita in comune riaffiora, e come sempre Sirio riesce a tenere saldamente insieme i poli
opposti.
Nella solitudine scopre in sé nuove risorse, si abbandona quasi come un bambino al dialogo con
Dio. È il periodo della grande innocenza, come la chiamerà più tardi, leggendo la sua vita in
prospettiva da un letto di ospedale. L'innocenza gli cantava nel cuore e lo rendeva integro,
fedele. Gli ha permesso di attraversare la vita, camminando e insieme volando. Parla di una
dimensione fiorita, luminosa, di spazio aperto, senza muri di difesa, confini e nemmeno
orizzonti. La condizione perfetta della libertà dove non c'è assolutamente niente da difendere
perché niente da perdere.
È il tempo in cui scrive Antico sogno nuovo, la sua ultima opera nella quale racconta,
trasfigurandola, l'esperienza del Bicchio e degli amici più prossimi.
Quanto che è stato vissuto e, insieme, quella che avrebbe potuto essere: dove la realtà desiderata,
ma non compiuta è per don Sirio più reale di quella esistita. Io mi sono permesso di raccogliere
la più vera realtà degli uomini e donne con i quali abbiamo vissuto una comunità di vita. Ho
osato raccontare la realtà, la più vera, della loro vita, quella cioè non esistita, ma che pure è
esistita. Il mio raccontarla è fare venire alla luce un concepimento, "come predicare sui tetti
quanto è stato detto, e con quanta passione, nel segreto". [Prefazione 'Antico sogno nuovo']
Fin dalle prime pagine il paradosso di una solitudine ariosa e di una attrazione per la vita
condotta in comune viene sciolto rifacendosi alle comunità monastiche che fiorirono in Europa
fin dal IV secolo. Il testo narra di un piccolo e singolare gruppo di uomini e donne che si unisce
per vivere insieme una vita evangelica, scegliendo di abitare.. in un eremo. Per ognuno di essi
la possibilità di accettarsi vicendevolmente e dispiegare il proprio potenziale, passa attraverso la
scoperta del vero se stessi che solo nella solitudine potevano trovare. Nella premessa del testo,
edito nell'83, l'editore Gribaudi lo definì libro d'incitamento, di speranza forte, di coraggio
ardito. E d'immenso candore.


Maria Grazia Galimberti

Una fede che lotta

C'è stato un tempo in cui non riuscivo a capire la serenità e la sicurezza della fede che don Sirio
testimoniava. Per me Dio era mistero di difficile lettura, altro da me in modo irrimediabile.
Contribuiva a questo mio sentire una istintiva reazione alla astratta definizione di Dio di tanta
teologia senz'anima, ad un fideismo della volontà che evitava ogni domanda a proposito; ma anche
forse ad un percorso di vita - la mia vita - che doveva ancora uscire da una qual sorta di
egocentrismo per approdare all'esperienza di relazioni profonde con l'umanità, la storia, la vita.
Rileggendo alcuni suoi scritti in questi ultimi mesi, invece, ho trovato con commossa sorpresa dei
punti di contatto fondamentali con quello che oggi per me è quel dono di Dio, impegnativo e
insieme intrigante, che è la fede. O meglio, come scrive don Sirio, la Fede.
Mi sono soffermato su un numero di Lotta come Amore dell'ottobre del 1972.
Eravamo da poco approdati - Sirio, Maria Grazia, Beppino ed io - alla Chiesetta del Porto dopo
gli anni intensi vissuti a Bicchio. Il passaggio per me, dal lavoro agricolo a quello industriale in
cantiere e insieme la vicina conclusione degli studi teologici, il terremoto di quegli anni nella vita
sociale e di relazione con le inevitabili risonanze nella vita personale, la configurazione di
un'esistenza in cui mi ero calato con generosità, ma senza una effettiva e adulta presa di
coscienza... Tutto questo ed altro ancora contribuiva ad avere, da parte mia, nei confronti di Sirio
un punto di riferimento sicuro e insieme una presa di distanza su quanto per me era punto
interrogativo che dilatava la domanda e la ricerca e in lui mi pareva invidiabile e impossibile
sereno "possesso", sicurezza di verità.
Ora leggo quelle sue righe e mi rassicurano e mi confortano: davvero la Fede è conoscenza di ciò
che è vero ed apre alla libertà autentica.
Luigi
Verità e libertà
"Abbiamo Fede, con semplicità e umiltà, - scrive don Sirio - che la verità fondamentale, quella che
veramente decide del sapere o no di Dio, dell'uomo, della vita, del mondo e di tutto il destino che
segna di motivazioni l'esistenza, dal capello del capo che è «contato» alle innumerevoli stelle del
firmamento che sono anch'esse ugualmente numerate, sia Verità rivelata.
Dio ha rivelato la Verità con la sua Parola compiendo la manifestazione quando la sua Parola si è
fatta carne, in Gesù Cristo, fino ad abitare, a vivere insieme, fra gli uomini.
Crediamo che questa Verità, la sua Parola fatta carne, è stata affidata alla Chiesa e al suo magistero
fra gli uomini.
E' gioia magnifica, esaltante, essere venuti a conoscenza di questa Verità: è più che sentire battere il
cuore questo palpitare nell'anima della Verità, è più che la sicurezza che c'è il sole questa luce a
splendere nel destino della vita.
Abbiamo però anche Fede (e qui il discorso diventa rischioso e scomodo) che questa Verità, perché
è Verità di Dio, così tanto esistenzialmente manifesta in Gesù Cristo, è Verità non speculativa, non a
visione e nemmeno a contemplazione fine a se stessa, ma per costruzione di vita, di esistenza, di
storia.
E' verità non a luce fredda, lunare, ma di sole riscaldante, fecondante: dà di poter nascere, vivere e
morire, nella realtà più vera, a spiegazione totale dell'uomo e dell'umanità.
E' a seguito di questa potenza creatrice che la Verità deve necessariamente fruttificare la libertà,
questa condizione assoluta dalla quale l'uomo è uomo e l'umanità è umanità.
Il Cristianesimo è Verità e Libertà."
.. "
La mia vita vi farà liberi, diceva Gesù al gruppetto di apostoli che gli si serravano intorno l'ultima
sera, mentre si stava avvicinando l'ora delle tenebre, quella del tradimento; della sopraffazione,
della violenza, della condanna a morte ... e certamente non capivano la gravità del discorso, la sua
enorme, inimmaginabile importanza.
E' una delle affermazioni più potenti e programmatiche di Cristo.
Non può non risuonare questa parola nel profondo del cuore di ogni cristiano a segnare un destino
di liberazione per sé e per gli altri, per il mondo intero, dal quale è impossibile esimersi.
E' assolutamente indispensabile, che questa promessa, così solenne e sicura di Cristo, trovi
realizzazione concreta, esistenziale, storica, in me, in te, intorno a noi, nella vita, nella concretezza
delle cose, nei rapporti personali, di comunità, di Chiesa, di popolo, di umanità intera, fino al punto
di essere costruzione di vita, di autenticità umana.
Dio non vuole altro se non che l'uomo sia vero, rispondente pienamente e più perfettamente che sia
possibile al Suo pensiero, alla sua volontà creatrice.
Gesù Cristo, Dio che si fa uomo, realizza la salvezza dell'umanità nell'essere vivo, concreto,
esistente, vero uomo. E' l'uomo lui come l'uomo è e deve essere. E cioè fino al punto di sconfinare
nel mistero della realtà di Dio.
Per questa misura di verità costruente l'uomo secondo il pensiero di Dio, reso visibile, «da toccarsi
con mano» in Cristo, bisogna passare da misure corrispondenti di liberazione fino a quella della
libertà totale.
La verità di Dio, che è in Cristo, vero Dio e vero uomo, che non impegna in una liberazione e non
realizza libertà, non è verità di Dio.
.. E' una fede che praticamente, a
poco a
poco, si è
fatta strada nell'anima nostra. E
quanto più
l'abbandonarci e l'affidarci alla Verità ci ha dato misure di libertà per un progresso di liberazione
dentro e fuori di noi, tanto più la Fede è cresciuta e la gioia di essere cristiani e la gloria di essere
preti.
...
E' arrivato il tempo in cui la Chiesa è chiamata ad annunciare con fermezza e chiarezza la Verità e a
lottare perché questa Verità infallibilmente posseduta e insegnata, porti e fruttifichi nell'uomo e
nell'umanità la libertà, offrendosi come un pugno di lievito di liberazione, luce luminosa splendente
di libertà, sale buono a liberare la terra, città sul monte alla quale guardare per imparare ad essere
liberi.
La nostra fedeltà alla Chiesa sul piano di Fede e nella concretezza della nostra vita. intendiamo
viverla come cristiani adulti e preti convinti e cioè, presunzione a parte, come gente estremamente
sicura che quel poco di libertà che si trova nella propria vita e quell'impegno di lotta, sia pure così
tanto insignificante, per la liberazione dell'uomo e dell'umanità, lo deve all'avere accolto - chissà
quanto poteva e doveva essere di più - la Verità di Dio e di Cristo come ragion d'essere della propria
vita.
Non vorremmo fare - e ogni cristiano, ogni prete, ogni vescovo, tutta la cristianità e più che sia
possibile ogni uomo bisognerebbe che non facesse come Pilato quando rivolse a Gesù la domanda:
che cos'è la verità?
E non aspettò la risposta perché forse intuì che il discorso lo avrebbe scomodato assai: forse
sospettò che Gesù gli avrebbe parlato di Verità che fa liberi.
E ai pilati, gente del potere e dell'autorità, questa Verità che libera non piace proprio.
Don Sirio
La fede, conoscenza del progetto di Dio, cresce nella fiducia e si esprime nella ricerca dei segni
dell'opera di amore dell'eterna creazione. Da qui nasce una responsabilità in ordine all'umanità del
nostro tempo, e alla realtà dell'oggi, che orienta e indirizza la vita cristiana che del "regno di Dio"
è testimonianza viva.
Sono passati quarant'anni da quando don Sirio scriveva queste sue considerazioni su "la Fede
oggi" e noi che lo leggiamo ora possiamo cogliere le somiglianze e le differenze tra l'"oggi" di
allora e il nostro "oggi". Per fare di nuovo il punto di una rotta della storia che ci impegna per la
vita.
L.
La fede oggi
Con umiltà e semplicità di cuore, chiaramente nella luce della Fede e nella coscienza di una
responsabilità di testimonianza cristiana e di evangelizzazione, da sempre ci siamo posti davanti alle
problematiche, così serie e profonde, del rapporto fra Cristianesimo e il tempo in cui viviamo.
La Fede oggi.
E' il problema che spinge ad esaminare con particolare attenzione la propria Fede, quella a seguito
della quale, io, tu, noi crediamo, cercando di coglierne le motivazioni illuminanti, le argomentazioni
più convincenti, ma specialmente per prendere coscienza del dono di Dio che nel destino della
nostra vita ha accesa questa luce di Fede.
E perché è un dono di Dio, la Fede, più che ogni altro valore, responsabilizza ad un diffondersi, ad
un offrirsi, ad un comunicarsi: cioè costringe ad una realtà di servizio nei confronti della Fede stessa
che è luce per illuminare fuoco per essere acceso ed accendere, lievito per lievitare, salvezza che
deve salvare...
Tanto più oggi chi ha il dono della Fede e ha compiuto una scelta cristiana e sacerdotale per la
motivazione della propria esistenza, deve richiamarsi a questa urgenza e provarla
appassionatamente nella propria vita, impegnarsi in un giocare interamente se stesso nei modi e
nelle misure che la ricerca di autenticità nella propria Fede gli dà di scoprire nella quotidianità della
vita e nelle grandi problematiche della storia.
La Fede oggi.
E' una costatazione, può anche essere soltanto un'impressione, ma per noi è gravissimo problema
che il presentarsi della Chiesa in tutta la sua complessità teologica, liturgica, pastorale, risulti
sempre più, nel giudizio popolare e specialmente nella sensibilità della gioventù del nostro tempo,
come una realtà estraniata, separata, disincarnata dalle concretezze della vita e dalla spietatezza dei
suoi problemi e delle sue esigenze. Ne consegue un giudizio, con tutte le conseguenze facilmente
constatabili, che il Cristianesimo è una religione delle tante religioni, un complesso di valori
religiosi rispondenti a richieste devozionali, sentimentalistiche, bigottistiche e beghinesche. E la
Chiesa un apparato temporalistico, burocratico, sistematicizzato...
Le chiese di questa Chiesa sono una realtà indicativa indiscutibile: basta varcarne la soglia e
cattedrale gotica o romanica o di qualsiasi paesucolo, manifesta apertamente il carattere
devozionalistico del cristianesimo-religione. E' più che sufficiente partecipare alle liturgie,
rinnovate quanto si vuole, per riportarne impressioni di impegno religioso spiritualizzato fino alla
disincarnazione più nebbiosa ed evanescente.
La Fede oggi.
La realtà dell'esistenza umana, in questa nostra civiltà del benessere, borghese e autosufficiente, va
sempre più organizzandosi e andiamo verso vere e proprie sistemazioni dalle quali rimane escluso
sempre di più il problema di Dio e della Fede in Cristo e tanto più una possibilità di significato di
una scelta seriamente religiosa.
Dove invece - ed è il tremendo problema dei giovani - la ricerca di una presenza più efficace nella
vita matura ed esige realtà di impegno e serietà di lotta, l'abbandono della Fede, il lasciar cadere le
enormi possibilità che la scelta cristiana può offrire di autentico coinvolgersi nella vita o nella
storia, è come inevitabile quando i giovani oltrepassano i vent'anni o varcano la soglia che dal
chiuso di una prospettiva a sistemazione borghese personale e familiare, li costringa all'aria aperta, a
cercare per se stessi e per gli altri valori di liberazione, di giustizia, di autenticità umana.
La Chiesa è subito vista come un ostacolo e automaticamente la Fede cristiana viene giudicata un
tutt'uno col sistema ecclesiastico, fino all'impossibilità di distinzione fra Gesù Cristo e il papa, i
vescovi,i preti, le parrocchie, le chiese, le liturgie, le processioni, le devozioni e tutto il popolo
cristiano della domenica, i gruppetti di pensionati cattolici, i furbi profittatori della politica cristiana
e dell'arrivismo economico e decorativo...
Don Sirio
Ciò che caratterizza la dimensione del credente è l'ascolto della realtà tutta perché solo così è
possibile cogliere la incessante presenza di Dio nella storia umana e adorarlo (letteralmente,
pendere dalle sue labbra). Ne sono più che convinto, anche se la misura della mia fede non è certo
più grande di un granellino di senape.
Capisco ora tutta la passione di don Sirio, la forza del suo spirito spinto ad affrontare i territori,
ricorrenti e insieme sempre nuovi, della ricerca umana del senso della vita. Lui, pur immerso nel
quotidiano, capace della pazienza indispensabile di chi vive con i piedi per terra e con il cuore
rivolto al cielo.
La fede diventa così un modo di vivere e non più qualcosa che si manifesta in atti e in
comportamenti particolari. Fino al punto da coincidere con il vivere stesso: un vivere fiducioso.
. L.
Cristianesimo ed esistenza umana
Penso che nessuno possa rimproverare chi vive l'angoscia nell'anima e sente bruciare il cuore per
tutta questa problematica che investe la visione cristiana della vita. Il rapporto fondamentale fra
Cristianesimo ed esistenza umana, si esprime attraverso un desiderio appassionato che la propria
vita e tutta la realtà della Chiesa diventi e sia l'umanità attraverso la quale Cristo, con tutto quello
che lui è e significa per la salvezza del mondo, viva dentro il vivere degli uomini. E sia proprio Lui
a caricarsi ancora di tutto il problema della vita umana, portandone la Croce, per morirvi inchiodato
e risorgervi continuamente la Speranza, l'Amore, la libertà, la vera dignità umana, l'essere tutti figli
di Dio.
E' da questa Fede per cui si crede che comunione vi deve essere fra Cristo e tutta la vita umana.
Perché è da questa comunione che è nato il Mistero meraviglioso di Dio che si fa uomo perché
l'uomo si faccia Dio, così pienamente compiutosi in Gesù Cristo e affidato, nella sua continuità
storica, alla Chiesa. questo nuovo corpo (umanità storica) di Cristo. Ed è da questa Fede che nasce
l'impossibilità a starsene in pace, rassegnandosi passivamente all'andamento delle cose.
La Chiesa è questa porta di passaggio, di comunione, fra l'umanità e Dio: bisogna che rimanga
aperta, spalancata, perché l'uomo, l'umanità, con tutto quello che l'umanità è, ma specialmente - e
Gesù ne dà l'indicazione esatta - in tutto quello che l'umanità ha perduto dei suoi valori essenziali,
possa incontrarsi col suo Dio e ritrovare in lui la salvezza, cioè il suo essere vero, il suo esistere
autentico, come Dio l'ha pensata facendola nascere dal suo sogno infinito.
Crediamo che l'umanità sempre più stia esasperando questa ricerca della propria identità, fino a
rischiare gli orrori più spaventosi.
Bussa ormai ad ogni porta, anche a quelle dove pare o si immagina che possa esservi accesa la sia
pur minima speranza.
Anche alla porta della Chiesa. Non si può stare a discutere, ad esaminare, scuole teologiche alla
mano, sfogliando il codice di diritto canonico, consultando le enciclopedie pastorali, spolverando
osservanze liturgiche e tanto meno tenendo d'occhio diplomazie furbesche, equilibri temporalistici...
e discutere ed esaminare se è conveniente, prudente, contemplato, secondo le consuetudini, ecc.
aprire uno spiraglio oppure tenere sprangata la porta.
Occorre spalancare i battenti, toglierli anche di sui cardini ed essere semplicemente accoglienza,
realtà di comunione, incontro continuo, incessante, del figlio con il Padre.
(articoli di don Sirio annotati da Luigi Sonnenfeld)

La guida

Quela Vecchietta ceca, che incontrai
la notte che me spersi in mezzo ar bosco,
me disse: - Se la strada nu' la sai,
te ciaccompagno io, che la conosco.
Se ciai la forza de venimme appresso,
de tanto in tanto te darò una voce
fino là in fonno, dove c'è un cipresso,
fino là in cima, dove c'è la Croce... -.
Io risposi: - Sarà... ma trovo strano
che me possa guidà chi nun ce vede... -.
La Ceca, allora, me pijò la mano
e sospirò: Cammina! -.
Era la Fede.

Trilussa

in LcA ottobre 1972
Trilussa

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