LOTTA COME AMORE: LcA aprile 2004

Primavera

Inizio a scrivere queste righe e la neve imbianca ancora le montagne alle spalle di Viareggio. L'aria è fredda sulla terrazza della Chiesetta illuminata nel pomeriggio da un pallido sole, dopo una notte e una mattinata di pioggia continua e insistente. Ma anche il cuore trema sotto il martellante crescendo del numero dei morti nel terribile attentato ai treni di Madrid (11 marzo). Niente (ma davvero possono avere un senso i numeri quando si tratta della vita umana?) in confronto a quanto andavo leggendo sul numero di Adista, appena ricevuto, sull'ennesimo massacro in Uganda, in una guerra dimenticata che da vent'anni insanguina il cuore dell' Africa. A Viareggio, distratta fino all'ultimo da un carnevale interminabile, stiamo aspettando il passaggio della Carovana della Pace: coriandoli di speranza per l'utopia di un mondo diverso. Passione, morte e risurrezione di questa Pasqua 2004.
Avverto una difficoltà maggiore di altre volte nel raccogliere e preparare il materiale per questo numero di Lotta come Amore. E' una difficoltà che non deriva dalla mancanza materiale di tempo a disposizione, ma, paradossalmente, dal fatto che ho a disposizione un poco più di tempo e questo tempo per me sprofonda nel vuoto.
Un vuoto che non mi mette paura, anche se ha risvolti assai pesanti. E' inevitabile, in ogni cambiamento. Anche se - io, per primo! - vien fatto di cercare di scuoterselo di dosso, di annegarlo in una cresciuta frenesia del fare, de rapporti, dell'evitare anche solo un'ora da passare con se stessi. Che fare se non cercare di prendersi un po' in giro, di aggirare con sufficiente bontà e pazienza il nucleo inattaccabi delle paure infantili che riemerge dal profondo di noi ogni volta che siamo messi in questione? E come coniugare insieme questa pazienza della vita, questo saper vivere nella pazienza del quotidiano, con l'apertura al nuovo, la decisione di mollare gli ormeggi, di lasciare il porto delle proprie abitudini e affrontare il mare aperto? Come lasciarsi vincere dalle ricorrenti primavere della vita anche quando sembra di non poter chiedere più nulla alla vita stessa? Frido, giovane irish setter che da oltre un paio d'anni vive con me, cerca di darmi, a suo modo, una risposta: si acciambella stiracchiandosi ai miei piedi, e dorme e sogna, beato lui!
Dormire, sognare, lasciarsi andare nella fiducia di poterlo fare abbandonando ogni e qualsiasi difesa perché non ci si sente soli, ma immersi m grande fiume della comune condizione umana. Lasciarsi andare, come il seme si abbandona custodito dal calore della terra. E dal grembo oscuro e fertile viene richiamato ad osare la vita dal calore del sole e dalla sua luce.
Primavera. Un saluto, un augurio con tutto l'affetto. Perché si rinnovi nella pazienza della vita di ciascuno di noi il calore di una nuova nascita. Oggi, domani, sempre.

In questo numero...
In questo numero di Lotta come Amore ho raccolto la memoria viva di Padre Giorgio Callegari attraverso le parole pronunciate da un suo confratello nella messa dopo una settimana dalla sua morte. Un'esistenza inquieta di un uomo serenamente avvinto da un sogno, come è stato ricordato: "Nel cimitero un nostro anziano confratello, che è stato varie volte superiore di frei Giorgio, ha detto queste parole: frei Giorgio, nella tua vita ti ci hai importunato molto! Hai importunato i tuoi confratelli, i superiori dell'Ordine, le autorità della Chiesa, hai importunato le autorità civili, i responsabili di questa società, di questo 'ordine costituito' che continua a produrre esclusione, oppressione, povertà e morte per il nostro popolo, per i popoli della terra.
E' che tu non hai mai accettato questo 'ordine costituito' e non hai mai desistito dalla lotta per la costruzione di un mondo più giusto, più umano. Non hai mai smesso di sperare e di annunciare profeticamente che, come sempre dicevi, "un mondo differente è possibile"!
E questo richiamo forte risuona dalla stessa terra brasiliana nelle parole di Fratel Arturo che si pone la domanda su un eventuale nuovo concilio della Chiesa cattolica per un cambiamento di rotta:
"Può una teologia conciliare cambiare un progetto di chiesa scelto come il più adatto al tempo attuale, oppure bisogna partire da situazioni esterne che rendano inattuali o addirittura negative proposte pastorali e di spiritualità?
Oggi mi pare che questo cambiamento del cattolicesimo, nel quale entra naturalmente la chiesa, avverrà a partire dal mondo laico.
E intendo per mondo laico i non credenti, i pensatori che malgrado loro mettono nella storia delle esigenze e delle premesse che influiranno sostanzialmente nel cambio della prassi ecclesiale" .
Se una speranza c'è, e quindi un'apertura di credito per le ragioni della fede in questa nostra storia umana, essa è dovuta non tanto ad evoluzioni nella consapevolezza della chiesa, quanto all'approfondirsi degli interrogativi che emergeranno dall'esistenza umana vissuta in quanto tale:
"Comunque, questa crisi cristiana è indissociabile da una crisi molto più generale, quella che mette in questione tante evidenze e tante aspirazioni dell'uomo occidentale (nel momento stesso in cui la "globalizzazione" fa trionfare in ogni parte del mondo questo tipo d'uomo).
Dunque, a essere in questione è la fine di un mondo, proprio quando questo può sembrare al suo apogeo. C'è qualcosa che si annuncia, e non sappiamo che cosa sarà. Ma è come se fossimo sulla linea di partenza, sul limitare di una nuova epoca dell'umanità. Per il peggio?
Per il meglio? Non lo sappiamo; ma la cosa sta abbondantemente nelle nostre mani.
La domanda è: in questo luogo inaugurale il vangelo può apparire come vangelo, cioè la parola inaugurale, appunto, che apre lo spazio di vita?
Il paradosso è grande, dal momento che il vangelo... è vecchio! Ma forse il tempo delle cose che più contano non è comandato dalla cronologia; forse la ripetizione può essere ripetizione dell'inaudito, come, dopo tutto, ogni nascita d'uomo è una ripetizione banale - e, ogni volta, l'inaudito" .
Così si esprime Maurice Bellet in "La quarta ipotesi", editrice Servitium. E, partendo da un interrogativo fondamentale: "Il Cristo ha un avvenire? In altre parole: colui che viene chiamato con questo nome continuerà ad essere una delle figure di maggior rilievo dell'umanità, lo diventerà ancor di più, oppure verrà cancellato per non essere altro che la traccia di una realtà morta?"
E formula più ipotesi di risposta, tra cui, appunto, la quarta ipotesi:
"C'è davvero qualcosa che finisce, inesorabilmente, ed è precisamente questo sistema religioso, di fatto legato all'età moderna dell'occidente e da essa molto più dipendente di quanto lo immagini; in certo senso, è davvero una fine del cristianesimo, se si tratta di uno di quegli -ismi che caratterizzano la modernità (idealismo, materialismo, marxismo... ). Qualcosa muore: e non sappiamo fino a che punto questa morte discende dentro di noi".

Luigi

La posta di fratel Arturo

Dopo la prima guerra mondiale (1915-1918) avvennero molte conversioni al cattolicesimo di intellettuali, specialmente nell'Europa latina; credo per il fatto che la guerra aveva marcato un brusco arresto della storia. Molti che si credevano innocenti, o per lo meno pensavano di non aver commesso delitti contro l'umanità, presero coscienza che si può essere colpevoli in tanti modi, anche fermando le gambe sotto un tavolo e passando lunghe ore del giorno e della notte "sulle faticate carte" e allora appare spontaneo rivolgersi a un Dio "che solo può salvarci" .
Oggi la guerra non è finita ed è stata definita profeticamente infinita e chi ne è responsabile non ascolta il richiamo alla resa dei conti. Non è possibile che oggi l'intellettuale ritorni a quel cattolicesimo romantico, intimista, del parroco di campagna di Bernanos; siamo in un' epoca in cui il vero bisogno appare il bisogno di etica e di responsabilità, che non mi pare sia così evidente nel campo religioso. Non esiterei anche oggi a definire il Diario di un prete di campagna un capolavoro letterario, ma questo cattolicesimo intimista e individualista che si contorce negli spasimi del cuore è tramontato. Siamo in attesa di una nuova forma per viverlo, di un'altra qualità. Quale?
Come uomo di fede riconosco che la conversione è un fatto di grazia, è come l'apparire della luce che squarcia un cielo chiuso e nero; ma c'è anche un'attesa inconscia nella persona, e direi un'attesa nella storia. Occorre una caduta da cavallo per fare di un soggetto il protagonista di un'epoca nuova. Una conversione del tipo classico di un Giovanni Papini o di un Mauriac, introdurrebbe l'intellettuale fra i seguaci di un cattolicesimo che ha bisogno di un cambiamento radicale. Molti cattolici seri propongono l'apertura di un nuovo Concilio. L'esito del Concilio Vaticano II ha deluso molti credenti ed è venuto alla luce come un progetto di riforme possa risultare assolutamente impraticabile a una chiesa impegnata in una pratica pastorale e nella diffusione di una spiritualità inaccettabili a confronto col progetto di chiesa approvato dai padri conciliari. Può una teologia conciliare cambiare un progetto di chiesa scelto come il più adatto al tempo attuale, oppure bisogna partire da situazioni esterne che rendano inattuali o addirittura negative proposte pastorali e di spiritualità? Oggi mi pare che questo cambiamento del cattolicesimo, nel quale entra naturalmente la chiesa, avverrà a partire dal mondo laico. E intendo per mondo laico i non credenti, i pensatori che malgrado loro mettono nella storia delle esigenze e delle premesse che influiranno sostanzialmente nel cambio della prassi ecclesiale. Intanto i filosofi della linea levinassiana, da laici - e ci tengono a esplicitarlo - trovano nella Bibbia ebraica, quella dell'Antico Testamento, risposte a quesiti e bisogni dell'uomo di oggi, quali i concetti di alterità, di ospitalità, di critica alla proprietà difesa spesso dalla chiesa cattolica come un dogma, di solidarietà vissuta non come carità ma come un dato ontologico, e tanti altri valori che appaiono quando, stando nel mondo, si guarda l'umanità dalla prospettiva dei bisogni essenziali e dei diritti primari. La chiesa non può non trovarsi d'accordo; ma le riuscirà difficile cambiare la prospettiva che è quella del potere e che ha contaminato il concetto di autorità e la visione dell'uomo come anima - come le è stata consegnata da una cultura platonico-dualista.
Il successore di Giovanni Paolo II riprenderà forse la tradizione dei viaggi apostolici che dovrebbero avere come obiettivo una lunga visita e lunghe sedute con i suoi esecutori, responsabili di fare la chiesa in Asia, in Africa, in America Latina. Sarebbe meraviglioso che il pontefice al termine della visita mandasse un messaggio di saluto al presidente, per esempio del Brasile o del Messico, ringraziando dell'ospitalità ricevuta nel loro meraviglioso paese e pregandoli di accogliere cordialmente la visita del fratello scelto come rappresentante del vescovo di Roma per informarli sull'incontro e sulle decisioni prese per collaborare ai progetti di giustizia e di pace.
Il potere è difeso, oltre che dalle armi, da tante norme cerimoniali dirette a creare distanza, anche se lo stesso cerimoniale stabilisce degli incontri con il popolo che diano l'apparenza della prossimità: ho toccato la sua mano, ho tirato il lembo del suo abito. Spesso si deve concludere che certi soggetti di potere tanto popolari siano anche trasparenti e veri; ma di fatto credono loro dovere non informare di tutto il loro popolo. Credo che il papa dovrebbe chiarire che il solo vero interesse, l'affare che deve marciare bene nell'istituzione di cui è responsabile, è l'amore fraterno che raggiunge l'intero corpo se si parte dagli ultimi, dagli esclusi..
Gesù sapeva perfettamente che a partire dal tempio, dagli scribi, dai farisei, dagli aristocratici sadducei non si arriva mai a quel Dio che nell'uomo Gesù spoglia se stesso e si umilia diventando simile agli uomini che stanno all'ultimo posto (Fil, 1-5).
La cattolicità della chiesa (so di dire cose non nuove) può essere una concordia discors come la musica solo se ogni chiesa locale suona il suo proprio strumento e se il vescovo di Roma ascoltando lungamente questo suono, lo immette nell'armonia universale. Non sono brasiliano, ma da vent'anni mi sento membro di questa chiesa e mi sento bruciare di umiliazione quando, pastori stranieri di nascita o fatti stranieri attraverso una lunga immersione in una dottrina che è unica, vengono mandati guidare un gregge maltrattato in tutti i modi fino ad essere buttato fuori dalla sua propria terra, unica fonte della sua vita.
Il Brasile non è più il popolo più numeroso che la chiesa cattolica possa contare fra i suoi membri. Un laico che si dichiara non credente osserva l'Italia con simpatia e ne coglie un dato contingente, sconosciuto, credo a tutti gli abitanti della penisola. Mi è parso strano che uno scrittore che come psicoanalista esprime una critica fortemente negativa al cristianesimo colga questo particolare: in Italia c'è una consapevolezza collettiva dell'essere intenti a elaborare qualcosa. Probabilmente si tratta della elaborazione di duemila anni di cattolicesimo in un tempo molto breve in cui l'antica cultura cristiana si confronta con la nuova; per me l'intera cultura occidentale è lì come un microcosmo, in Italia più che in qualunque altro luogo (1). Mi sono proposto di divulgare questo messaggio che ho colto come una profezia, cioè un qualcosa di sotterraneo o di subfluviale che è l'immagine più vicina alla storia che corre nel tempo. Lo stesso autore dopo un capitolo il mio lungo duello con il cristianesimo, parlando lungamente dell'amore, esce con questa affermazione: si presume che questo sia un pregio della religione cristiana, la prova della sua unicità: il cristianesimo ha fatto dell'amore il suo dio. Così per restare in contatto con il Dio della nostra cultura dobbiamo sentire amore, innamorarci, essere amabili, amare gli altri e noi stessi secondo il comandamento, e l'amore diventa un enorme problema, il principale obiettivo dello sforzo terapeutico (1).
Dunque noi italiani, i nostri pensatori parrebbero essere al centro di questa elaborazione di una religione universale, o, se questo crea prurito nelle orecchie dei filosofi italiani, diciamo di una nuova cultura universale, che noi credenti chiamiamo ecumenismo. Il Concilio Vaticano II metteva nelle mani del papa varie riforme: la chiesa cattolica universale come comunità di chiese. La proposta poteva essere vista come il contenuto programmatico del servizio petrino, oppure come un assalto satanico all'unità della chiesa. Al papa la risposta. Per impedire che questa proposta dello Spirito santo avesse conseguenze diaboliche, cioè di divisione, il papa dovrebbe uscire dal Vaticano e farsi centro visibile di comunione e di unità con la sua presenza tra i fratelli delle chiese.
Da giovane sono stato frequentatore di teatri d'opera e, secondo un'abitudine innata, sono sempre arrivato assai prima dello spettacolo, e assistevo ai rumori che arrivavano dall'orchestra, perché i vari strumenti cercavano gli accordi prima che, dopo un breve silenzio, apparisse la bacchetta del direttore e cominciasse la grande suonata. Questo mi pare essere il ministero petrino, e Giovanni Paolo II lo ha intuito perfettamente, solo che i suoi viaggi sono entrati nei circoli del potere che hanno costretto il papa ad essere ricevuto come capo di stato incastrato nel potere del cerimoniale. E allora bisogna apparire al balcone accanto al tiranno Pinochet o nei poster mettendo l'eucarestia nelle mani sporche di sangue dei militari argentini.
E alla Conferenza nazionale e continentale dei vescovi è tolta quell'unità collegiale che dovrebbe essere quella di scegliere pastori del proprio paese senza nessuna influenza estranea, nemmeno quella di Roma che deve dare l'investitura allo scelto.
Nessun personaggio come il papa avrebbe potuto dare un colpo deciso al potere manifestando che il suo unico interesse è la chiesa che deve svolgere, nella variabile storica, il programma unico che il Fondatore ha annunziato nella sinagoga di Nazareth. Il progetto di chiesa del Vaticano II avrebbe rafforzato il cattolicesimo e messo in evidenza l'insostituibile importanza del vescovo di Roma come centro di unità mantenuta non con i documenti sempre meno letti, ma mediante la presenza fisica del garante dell'unità. Meno visibile al gran pubblico e per questo più essenziale e necessario. I documenti sul ministero petrino sarebbero stati inutili perché vissuti oltre le parole. Hillman parlando del dio amore dice che la risposta è l'innamoramento, e subito come terapeuta si accorge di aver toccato un tasto delicato.
Ho pensato molte volte che uno "scelto" deve essere un innamorato e i profeti della bibbia ce lo mostrano senza infingimenti. C'è certamente il rischio, cui allude lo psicanalista, delle patologie. E oggi, mentre i media frugano tutte le oscurità, molte di queste patologie sono state impietosamente date al pubblico. Come ha reagito il centro? Tornando al metodo platonico di mettere nella testa un peso tale che facesse gravitare la carne su questo centro. Oppure sacralizzando talmente il sacerdote e facendolo distributore di cose assolutamente e unicamente sacre, da fame un intoccabile. Io rivolgerei timidamente una domanda. Avete mai ascoltato in una favela o fra i baraccati la storia di una donna povera? Violata dall'infanzia da un secondo o terzo uomo della madre, gravida a quattordici, quindici anni, diventata oggetto di sfruttamento di tutti i generi, non è lei che crea in noi messaggeri del vangelo quel misterioso unico innamoramento, spogliandoci dalla rapacità e dall'egoismo del maschio? Avete ascoltato la storia di una bambina o di un bambino che ha passato una notte di terrore in un hotel insieme a un uomo elegante che nella hall dello stesso hotel appare un signore meritevole del rispetto e di quella accoglienza che gli hotel di lusso riservano a questi briganti vestiti da gentiluomini? Vi potrebbe passare per la mente di caricare di altre profanazioni queste vittime della lussuria che è uno dei tanti prodotti di questa società così ricca di oggetti e così vuota di valori?
Credo che più che ministri del culto rivestiti di sacralità o dottori e maestri di spirito, coloro che vogliono essere i testimoni del Cristo dovrebbero sentirsi come Lui salvatori; ma non di una salvezza invisibile e incomprensibile ma di una salvezza che si estende sulle piaghe concrete dell'umanità. E l'innamoramento allora si può salvare dalle patologie a cui ognuno di noi in quanto essere di carne è esposto. Ritornando al vangelo scopriamo che Gesù ha ripetutamente mostrato le piaghe del suo corpo, ha voluto che i suoi continuatori infilassero le mani nei buchi prodotti dai chiodi e dalla lancia.
Possiamo dimenticare questo e cercare metodologie pedagogiche e formative solo nei distillati del pensiero e negli aristocratici convegni di psicologia, psicopatologia e affini? A questa richiesta di mettere le mani nelle piaghe continuiamo ad essere invitati anche noi.
E penso che l'innamoramento, senza il quale ogni nostra parola e ogni nostro gesto restano vuoti e inefficaci, si può salvare dalle patologie se si accoppia alla responsabilità di rendere attuale quella salvezza del mondo per il quale il Cristo è morto sulla croce, nel luogo dove muoiono gli esclusi e gli emarginati dalla società.
(1) James Hillman, Il linguaggio della vita, Rizzoli pagg. 14 e 241

Fratel Arturo

Verso il potere di tutti

Hanno pienamente ragione gli anarchici a insistere sul concetto e sulla questione del potere. E anche l'originale e fondamentale contributo di John Friedmann, che Alberto L'Abate ci ha fatto conoscere e Pasquale Jannamorelli ci mette a disposizione con le edizioni Qualevita, verte essenzialmente sul modo con cui possiamo recuperare, nelle situazioni apparentemente più disparate, difficili e chiuse, il nostro potere personale individuale e il potere collettivo, dal basso, il people' power, per agire in vista di un cambiamento sociale e per la costruzione di nuovi mondi possibili, che si avvicinano alla realizzazione di società nonviolente.
Il lavoro di Friedmann è ben noto in ambito accademico, ma molto meno agli attivisti dei movimenti di base. Un altro suo testo, quello sulla pianificazione, che L'Abate riassume nell'ampia postfazione del libro che stiamo presentando, è stato pubblicato in edizione italiana sin dal 1993, ma circolò prevalentemente in ambito universitario. Dopo gli incontri di Porto Alegre e la scoperta del "bilancio partecipativo" si è aperta una nuova stagione che porta a riprendere in esame la questione della partecipazione dal basso alle decisioni politiche. Questo tema è caro a tutta la tradizione dei movimenti alternativi, in particolare a quelli anarchici e nonviolenti. Fu proprio Aldo Capitini, fautore del "potere di tutti" a creare, negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, i primi COS, Centri di Orientamento Sociale, che si proponevano di promuovere la partecipazione popolare e l'autogestione nella vita politica a partire dai quartieri e dai municipi.
Le teorie del potere rimandano sempre all'eterna domanda posta da La Boétie sul perché i molti obbediscono ai pochi. Il potere della nonviolenza e il people' power si basano non solo su una diversa concezione, più partecipata e democratica, ma soprattutto su una diversa struttura di scala della società, sul decentramento economico, produttivo, abitativo, più compatibile con un'organizzazione sociale non gerarchica, non maschilista, non autoritaria e autenticamente sostenibile.
Oggi assistiamo invece a una deriva in senso oligarchico e populista delle vecchie democrazie occidentali, che di fronte alle difficoltà incontrate da un sistema economico che non riesce a creare condizioni di vita eque e sostenibili per l'intera umanità, nessuno escluso, sta andando verso derive autoritarie, suscitate dall'ideologia neoliberista, da un delirio di onnipotenza imperiale e dall'involuzione nichilista e autodistruttiva delle molteplici forme di terrorismo, compresa quella praticata dai singoli stati. La scarsità delle risorse, in primo luogo quelle energetiche e in particolare il petrolio, accentua questa drammatica situazione. La dimensione di scala seguita nell'ultimo secolo dall'umanità, che si sta rivelando un gigantesco errore evolutivo, è stata possibile grazie a un dono della natura, il petrolio, che noi abbiamo usato nel modo più perverso e irrazionale possibile.
Per riequilibrare l'attuale sistema, invertire rotta e passare a una dimensione di scala compatibile con i vincoli della biosfera, è necessario assumere un atteggiamento di maggiore prudenza, consapevole degli errori di pianificazione che facilmente si commettono e attento a tutte le esigenze che provengono da ciascun uomo, da ciascuna donna, dai bambini e dalle bambine di questo pianeta.
Per riuscire in un compito così ambizioso e pressante, occorrono visioni e strumenti adeguati e l'opera di Friedmann costituisce una guida preziosa, frutto di un intelligente e lungo lavoro di ricerca e di sperimentazione sul campo che ha portato l'autore a confrontarsi con situazioni di povertà e disempowerment nelle più diverse aree del mondo, imparando come spezzare i circoli viziosi del degrado e della frustrazione e trasformarli in circoli virtuosi di autorealizzazioni.
La sua analisi centrata sulla coppia concettuale empowerment/disempowerment gli permette di condurre una critica serrata, ma costruttiva, alle principali teorie economiche e dello sviluppo, indicando le vie d'uscita dalla semplice, per quanto doverosa, contrapposizione tra sviluppo e crescita. E gli consente anche di elaborare una concreta ed efficace politica di sostenibilità e di parità di genere. Il suo sguardo non settoriale spazia quindi in ogni direzione: dalla povertà alle questioni di genere e intergenerazionali, dalla giustizia sociale a quella ambientale.
Egli ci lascia un prezioso contributo che permette di compiere significativi passi avanti nella concreta elaborazione di politiche che consentano di realizzare forme di economia solidale, equa, sostenibile e nonviolenta.
Nanni Salio



John Friedmann, "Empowerment - Verso il potere di tutti, Una politica per lo sviluppo alternativo" Edizioni Qualevita 2003, pp. 216, Euro 12,00.
Questo libro va richiesto direttamente a: Edizione Qualevita via Buonconsiglio 2 - 67030 Torre dei Nolfi (AQ) CCP n° 10750677 - Tel. 086446448 - 3495843946
Iohn Friedmann è professore emerito di pianificazione urbana dell'Università della California, Los Angeles. Per molti decenni ha lavorato come consulente di pianificazione in America Latina, in Asia e in Africa. Dal 1965 al 1969 ha diretto il programma della Fondazione Ford di assistenza allo sviluppo urbano e regionale del Cile, ed è stato decorato per il suo lavoro dal governo democratico di quel paese. E' autore di molti libri sullo sviluppo regionale, sull'urbanizzazione e sulla teoria pianificatoria, e gli sono state conferite lauree ad honorem dall'Università di Dortmund in Germania e dalla Pontificia Università Cattolica del Cile.

Più di metà della popolazione mondiale è povera e il suo numero è in continuo aumento sia nei paesi ricchi che in quelli poveri. Enormi cifre spese in aiuti per l'estero e in investimenti privati sono serviti a poco. Per la maggior parte sono andate a beneficio delle classi e delle regioni già integrate nell'economia globale e hanno lasciato i poveri abbandonati a se stessi. John Friedmann sostiene che le politiche di sviluppo ispirate dalla dottrina economica dominante non danno speranze di una vita migliore per le maggioranze escluse. Nel suo libro propone un fondamento teorico per un approccio alternativo allo sviluppo basato su una politica di "empowerment".
La povertà è considerata come una forma di disempowerment sociale, politico e psicologico. Lo sviluppo alternativo proposto dall'autore cerca di ripristinare l'iniziativa dei settori, comunità e individui, disempowered. Prendendo la household (gruppo residenziale di persone che vivono sotto lo stesso tetto e mangiano alla stessa tavola) come punto di partenza strategico, Friedmann mostra le sue potenzialità economiche, politiche e sociali.
Le household sono integrate nei più ampi rapporti sociali di produzione e di politiche, ed è la riconquista da parte delle household dei propri spazi di vita che anima la sua discussione sulle rivendicazioni delle popolazioni povere.
La richiesta crescente di politiche di sviluppo dirette ad una democrazia inclusiva ed a uno sviluppo economico socialmente e ecologicamente appropriato - come pure alla parità di diritti per le donne, il cui ruolo produttivo nelle household è centrale - è evidente nella proliferazione di organizzazioni non governative per lo sviluppo. Empowerment fornisce un quadro di riferimento moralmente informato di politiche che possono essere innestate nelle strutture dello sviluppo dominante: dalla loro tensione creativa può nascere un futuro praticabile per le popolazioni povere del mondo.

In memoria di frei Giorgio Callegari

Omelia per la messa di suffragio "setimo dia" della morte.
Chiesa Sagrada Famiglia - Sào Paulo 02/01/2004

Cari confratelli, amici e collaboratori di Frei Giorgio, ci troviamo riuniti in questa chiesa dove frei Giorgio ha celebrato tante volte il Sacrificio Eucaristico per la nostra Comunità parrocchiale. Ci troviamo 'riuniti', ma in realtà la nostra non è una semplice 'riunione'. Noi ci sentiamo tutti 'uniti' da un forte sentimento che è di dolore per la perdita del nostro caro frei Giorgio, ma è allo stesso tempo un sentimento di speranza e perfino di allegria! E' la stessa speranza e allegria, frutto della fede, per la quale i primi cristiano definivano la morte di una persona amata, di un fratello di fede, come il "dies natalis": il giorno della nascita! Di fatto noi ci troviamo qui per esprimere il nostro affetto, la nostra amicizia a frei Giorgio, che ha celebrato da una settimana il suo "dies natalis", la sua nascita per una nuova vita, il suo ritorno, la sua immersione definitiva nell'abbraccio amoroso del padre, là nel Paradiso!
Il "dies natalis" di frei Giorgio è arrivato all'improvviso, rapido e silenzioso. Appena terminata la celebrazione del Natale, dopo otto mesi di sofferenza e di lotta contro il male crudele che ha paralizzato la sua vita laboriosa di profeta della giustizia e della solidarietà e di instancabile lottatore per la costruzione di un mondo più giusto e solidale, egli ci ha lasciato all'improvviso, per cominciare il suo Natale nella gloria del Padre.
Possiamo affermare che, nonostante la sofferenza della malattia, l'ultimo Natale di frei Giorgio è stato molto bello. Un Natale pieno di amicizia, di allegria, di tenerezza. Lo ha celebrato insieme con la sua Comunità religiosa e parrocchiale, partecipando in questa chiesa per la prima volta dopo molti mesi, della messa della Vigilia, ricevendo nel convento molte visite di persone amiche che sono venute a fargli gli auguri di Natale e lo hanno avvolto in un grande abbraccio di affette e di solidarietà. Sì, possiamo dire che frei Giorgio ha lasciato questa vita in un grande abbraccio di amore e che da questo abbraccio di tanti che gli hanno voluto bene è passato all' abbraccio amoroso del Padre! lo sono certo che quando, là in Paradiso, ha cominciato a ricevere questo abbraccio del Padre deve aver pensato tra di sé: io questo amore già lo conosco, questo abbraccio già l'ho provato...!
Quella di frei Giorgio è stata una esistenza agitata e inquieta! Nel cimitero un nostro anziano confratello, che è stato varie volte superiore di frei Giorgio, ha detto queste parole: frei Giorgio, nella tua vita ti ci hai importunato molto! Hai importunato i tuoi confratelli, i superiori dell'Ordine, le autorità della Chiesa, hai importunato le autorità civili, i responsabili di questa società, di questo' ordine costituito' che continua a produrre esclusione, oppressione, povertà e morte per il nostro popolo, per i popoli della terra. E' che tu non hai mai accettato questo 'ordine costituito' e non hai mai desistito dalla lotta per la costruzione di un mondo più giusto, più umano. Non hai mai smesso di sperare e di annunciare profeticamente che, come sempre dicevi, "un mondo differente è possibile"!
Non hai mai lasciato di sognare e di annunciare profeticamente, con la tua stessa vita, una Chiesa meno 'allineata' con questo 'ordine costituito', una Chiesa più fedele a Cristo, Verbo di Dio incarnato, che è venuto a 'piantare la sua tenda' tra di noi, si è fatto nostro fratello, è venuto a condividere le nostre miserie, la nostra sofferenza, i nostri sogni, le nostre allegrie!
Per questa celebrazione di 'setimo dia' abbiamo scelto il Vangelo della moltiplicazione dei pani, nella versione di Giovanni (Gv. 6, 1-15). Forse questo episodio così bello della vita di Gesù ci può aiutare ad esprimere il messaggio che la esistenza laboriosa del nostro fratello Giorgio ci ha lasciato come eredità preziosa. Voglio ricordare qui una interpretazione di questo episodio del Vangelo, che Giorgio amava e sosteneva con convinzione.
Egli diceva: Giovanni racconta che ad ascoltare la predicazione di Gesù c'erano cinquemila uomini. Quindi le donne presenti devono essere state almeno il doppio, perché, di solito, se in chiesa ci sono dieci uomini, ci sono normalmente venti e più donne... E queste donne che ascoltavano Gesù saranno state spose e madri di famiglia. Molte avranno portato con sé i bambini, per non lasciarli soli in casa. Io quindi mi domando: sarà possibile che nessuna di queste mamme di famiglia, nessuno di questi genitori, si sia preoccupato di portare con sé da casa qualcosa da mangiare, un poco di pane, di formaggio o qualche pesce fritto...? Non posso crederci! E allora cosa è successo?
Quando qualcuno dei discepoli di Gesù ha interrogato la folla ad alta voce: "qualcuno ha con sé qualcosa da mangiare?", la reazione è stata immediata: ahi, ahi, bisogna spartire il nostro cibo con gli estranei. Istintivamente la grande maggioranza dei presenti (tutti...) avrà nascosto il proprio sacchettino sotto il mantello. Solo una mamma non ha fatto in tempo ad impedire che il suo bambino mostrasse con le manine alzate quello che avevano portato da casa: alcune pagnotte di pane e pesce fritto. E Gesù ha preso quel cibo offerto dal bambino, lo ha benedetto ed ha cominciato a distribuirlo e... ce n'era sempre! Stava succedendo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: un miracolo, in fondo, abbastanza facile, per Dio che tutto può! Ma a questo punto, continuava l'interpretazione di Giorgio, è successo un altro miracolo, un miracolo molto più difficile, un miracolo che anche Dio, che tutto può, fa fatica a far succedere in questo mondo! Alla vista del gesto generoso del bambino e del pane e dei pesci che si stavano moltiplicando, molti altri pani e pesci cominciarono ad uscire dal... nascondiglio sotto le vesti e ad essere distribuiti intorno. Ed è stata l'abbondanza per tutti, un' allegria indimenticabile!
E di pane ne è avanzato molto e se ne sono riempiti dodici cesti! Per rinforzare il valore della sua interpretazione, Giorgio si domandava: da dove saranno venuti fuori quei dodici cesti? Sarà che Gesù li ha creati dal nulla? Bah!
Frei Giorgio non era uno studioso della Bibbia, non era un esegeta nel senso accademico del termine.
Ma lui di Vangelo se ne intendeva abbastanza, perché sul Vangelo ha costruito tutto il suo itinerario di religioso e di sacerdote. E lo spirito del Vangelo ha permeato profondamente tutta la sua opera, la sua missione profetica! Di fatto la sua vita è stata un miracolo continuo di 'moltiplicazione dei pani e dei pesci' . Credo che questo bambino inquieto e generoso che con le manine alzate offre il poco che aveva perché fosse distribuito rappresenta molto bene il senso della esistenza di frei Giorgio. Questo bambino con le manine (manone!) aperte per offrire è di fatto il frei Giorgio che abbiamo conosciuto e amato! Che questo 'bambino' della condivisione, della solidarietà, della compassione, della inquietudine e della lotta contro i fili spinati del 'disordine costituito', questo 'menino' della speranza invincibile, della utopia del Regno, possa continuare a vivere in ognuno di noi, confratelli e amici e collaboratori; noi che siamo gli eredi di questo grande figlio di Domenico di Gusman e di Francesco di Assisi, di questo figlio di Venezia, dell'Italia e del Brasile, di questo cittadino del mondo. Che il cuore 'menino' di frei Giorgio continui a battere nel cuore di ognuno di noi, che la sua inquietudine continui nella nostra inquietudine, nella nostra lotta! Perché un mondo differente, più umano e più giusto, è possibile sì, frei Giorgio!

Frei Mariano Foralosso OP



Ancora Rachel Corrie

Rachel Corrie, una pacifista americana di 23 anni, è stata schiacciata e uccisa da una ruspa mentre tentava di impedire che l'esercito israeliano distruggesse le case nella striscia di Gaza. In una straordinaria serie di email dirette alla sua famiglia spiega per quali motivi rischiava la vita. Questo brano provocherà reazioni: parla di genocidio. Ma, in fondo, si è presa la responsabilità di ciò che dice, non a poco prezzo. Una ragazza di poco più di 20 anni si è spesa totalmente nella solidarietà fisica coi colpiti dalla guerra. Il suo corpo ritorna in USA insieme ai soldati morti in Iraq. Ci sono tanti modi di vivere e tanti di morire. Non era una pazza, senza senso del pericolo. Avete visto la sequenza di foto? (Su "Internazionale" del 21/3/2003 ce n'è una). La foto del giovane cinese davanti al carrarmato è diventata famosa. Lo sarà anche questa? Chi decide come distribuire la fama? Resta che, anche ammesso che sia stato un incidente (tesi israeliana), un tale coraggio e un tale amore non saranno infecondi.

Dall'inizio di questa intifada, sono state distrutte circa 600 case a Rafah, in gran parte di persone che non avevano alcun rapporto con la resistenza, ma vivevano lungo il confine. Credo che Rafah oggi sia ufficialmente il posto più povero del mondo. Esisteva una classe media qui, una volta. Ci dicono anche che le spedizioni dei fiori da Gaza verso l'Europa venivano, a volte, ritardate per due settimane al valico di Erez per ispezioni di sicurezza. Potete immaginarvi quale fosse il valore di fiori tagliati due settimane prima, sul mercato europeo, quindi il mercato si è chiuso. E poi sono arrivati i bulldozer, che distruggono gli orti e i giardini della gente. Cosa rimane per la gente da fare? Ditemi se riuscite a pensare a qualcosa. lo non ci riesco. Se la vita e il benessere di qualcuno di noi fosse completamente soffocati, se vivessimo con i nostri bambini in un posto che ogni giorno diventa più piccolo, sapendo, grazie alle nostre esperienze passate, che i soldati e i carri armati e i bulldozer ci possono attaccare in qualunque momento e distruggere tutte le serre che abbiamo coltivato da tanto tempo, e tutto questo mentre alcuni di noi vengono picchiati e tenuti prigionieri assieme a 149 altri per ore: non pensate che forse cercheremmo di usare dei mezzi un po' violenti per proteggere i frammenti che ci restano? Ci penso soprattutto quando vedo distruggere gli orti e le serre e gli alberi da frutta: anni di cure e di coltivazione. Penso a voi, e a quanto tempo ci vuole per far crescere le cose e quanta fatica e quante amore ci vuole. Penso che in una simile situazione, la maggior parte della gente cercherebbe di difendersi come può. Penso che lo farebbe lo zio Craig. Probabilmente la nonna lo farebbe.
E penso che lo farei anch'io.
Mi avete chiesto della resistenza non violenta. Quando l'esplosivo è saltato ieri, ha rotto tutte le finestre nella casa della famiglia. Mi stavano servendo del tè, mentre giocavo con i bambini. Adesso è un brutto momento per me. Mi viene la nausea a essere trattata sempre con tanta dolcezza da persone che vanno incontro alla catastrofe.
So che, visto dagli Stati Uniti, tutto questo sembra iperbole. Sinceramente, la grande gentilezza della gente qui, assieme ai tremendi segni di deliberata distruzione delle loro vite, mi fa sembrare tutto così irreale. Non riesco a credere che qualcosa di questo genere possa succedere nel mondo senza che ci siano più proteste. Mi colpisce davvero, di nuovo, come già mi era successo in passato, vedere come possiamo far diventare così orribile questo mondo. Dopo aver parlato con voi, mi sembrava che forse non riuscivate a credere completamente a quello che vi dicevo. Penso che sia meglio così, perché credo soprattutto all'importanza del pensiero critico e indipendente. E mi rendo anche conto che, quando parlo con voi, tendo a controllare le fonti di tutte le mie affermazioni in maniera molto meno precisa. In gran parte questo è perché so che fate anche le vostre ricerche. Ma sono preoccupata per il lavoro che svolgo. Tutta la situazione che ho descritto, assieme a tante altre cose, costituisce un'eliminazione, a volte graduale, spesso mascherata, ma comunque massiccia, e una distruzione, delle possibilità di sopravvivenza di un particolare gruppo di persone. Ecco quello che vedo qui. Gli assassinii, gli attacchi con i razzi e le fucilazioni dei bambini sono atrocità, ma ho tanta paura che se mi concentro su questi, finirò per perdere il contesto. La grande maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi per fuggire altrove, anche se veramente volesse smetterla di resistere sulla loro terra e andarsene semplicemente (e questo sembra essere uno degli obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene. Perché non possono entrare in Israele per chiedere un visto e perché i paesi di destinazione non li farebbero entrare: parlo sia del nostro paese che di quelli arabi. Quindi penso che quando la gente viene rinchiusa in un ovile - Gaza - da cui non può uscire, e viene privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco, questo credo che si possa qualificare come genocidio. Anche se potessero uscire, credo che si potrebbe sempre qualificare come genocidio. Forse potreste cercare una definizione di genocidio secondo il diritto internazionale. Non me la ricordo in questo momento. Spero di riuscire con il tempo a esprimere meglio questi concetti. Non mi piace usare questi termini così carichi. Credo che mi conoscete sotto questo punto di vista: io do veramente molto valore alle parole. Cerco davvero di illustrare le situazioni e di permettere alle persone di tirare le proprie conclusioni. Comunque mi sto perdendo in chiacchiere. Voglio scrivere alla mamma per dirle che sono testimone di questo genocidio cronico e insidioso, e che ho davvero paura, comincio a mettere in discussione la mia fede fondamentale nella bontà della natura umana. Bisogna che finisca. Credo che sia una buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare le nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che sia una cosa da estremisti. Voglio davvero andare a ballare al suono di Pat Benatar e avere dei ragazzi e disegnare fumetti per quelli che lavorano con me.
Ma voglio anche che questo finisca. Quello che provo è incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi rendo conto che questa è la realtà di base del nostro mondo e che noi ne siamo in realtà partecipi. Non era questo che avevo chiesto quando sono entrata in questo mondo. Non era questo che intendevo, quando guardavo il lago Capital e dicevo: "questo è il vasto mondo e sto arrivando!". Non intendevi dire che stavo arrivando in un mondo il cui potevo vivere una vita comoda, senza alcun sforzo, vivendo nella più completa incoscienza della mia partecipazione a un genocidio. Sento altre forti esplosioni fuori, lontane, da qualche parte. Quando tornerò dalla Palestina, probabilmente soffrirò di incubi e mi sentirò in colpa per il fatto di non essere qui, ma posso incanalare tutto questo in altro lavoro. Venire qui è stata una delle cose migliori che io abbia mai fatto. E quindi, se sembro impazzita, o se l'esercito israeliano dovesse porre fine alla loro tradizione razzista di non far male ai bianchi, attribuite il motivo semplicemente al fatto che io mi trovo in mezzo a un genocidio che anch 'io sostengo in maniera indiretta, e del quale il mio governo è in larga misura responsabile. Voglio bene a te e a papà. Scusatemi il lungo papiro. Ok, uno sconosciuto vicino a me mi ha appena dato dei piselli, devo mangiarli e ringraziarlo.

Rachel
da Il Foglio n° 4 - Torino, aprile 2003


Il Cristo ha un avvenire?

Porre la domanda: Il Cristo ha un avvenire?
In altre parole: colui che viene chiamato con questo nome continuerà ad essere una delle figure di maggior rilievo dell'umanità, lo diventerà ancor di più, oppure verrà cancellato per non essere altro che la traccia di una realtà morta?
Chi pone la domanda? I cristiani? Non tutti. Sembrerebbe addirittura che la loro adesione di fede escluda che la si possa porre. Gli altri? Perché mai dovrebbero esservi interessati?
E tuttavia pare che vi siano persone per le quali la domanda ha senso. Questa figura e questa parola l 'hanno incontrata, non le ha lasciate indifferenti; esse sentono o intuiscono che la posta in gioco che vi si annuncia è di grande importanza. Forse per augurarsi la fine senza ritorno di quella fede cristiana che ha così profondamente segnato l'occidente; o per augurarsi che essa sopravviva; o che, a immagine di Cristo stesso, risorga dalla propria sepoltura.
Ma qual è il luogo naturale della domanda? Non è forse quel cristianesimo che ha veicolato fino a noi, se così si può dire, Gesù Cristo?
Che ne è di quell' avvenire? O bisognerebbe forse - ma in che modo? - dissociare il Cristo nella sua verità da quel cristianesimo che pretende di appropriarsene?
A dire il vero, la domanda fa problema, per diverse ragioni.
Anzitutto, non vi si può rispondere. L'avvenire è il segreto meglio custodito del mondo: nessuno ne sa qualcosa.
In secondo luogo, la domanda è equivoca. Che cosa si vuol dire con cristianesimo? Il vangelo? Le chiese? Tutta una disseminazione sociale e culturale?
E l'equivoco concerne il Cristo stesso: dove crediamo di poterlo cogliere? Infine, non si è neutrali. Sfido qualsiasi cittadino dell'occidente a parlare "oggettivamente" di Gesù Cristo. In forma conscia o, più ancora, in forma inconscia ognuno è in rapporto con ciò che in quell'ambito è sorto. Perché ciò che vi è spuntato ha una tale forza di sconvolgimento, una tale influenza diretta o indiretta, che si può considerare Cristo come la figura principale dell' inconscio "culturale" dell'uomo occidentale, anche là dove se ne sia spenta la memoria diretta.
Ma insomma, perché porre la domanda? Il motivo è la minaccia di scomparsa del cristianesimo e, nella misura in cui vi è legato, del Cristo stesso. La minaccia si manifesta nel fatto che il cristianesimo è in ritirata, in riflusso, che si sta disfacendo, decomponendo. Obiezione: la fede non è forse ancora viva? Non c'è forse un ritorno del religioso? Le chiese non manifestano forse, attraverso crisi e scosse (come lungo tutta la loro storia) una bella vitalità?
E tuttavia, se si guardano le cose sui tempi lunghi, è difficile negare il ripiegamento: l'iniziativa del pensiero (test decisivo) è passata altrove, la vecchia struttura dottrinaria-disciplinare si sfascia (nella chiesa cattolica il clero è al tramonto), la missione è senza fiato, e il ritorno del religioso potrebbe anche essere una minaccia più grave del vecchio ateismo, dal momento che contesta la religione cristiana sul suo stesso terreno.
Si può discutere all'infinito sulla constatazione di questo fallimento. Ma vi sono motivi sufficienti per dare del futuro una visione inquietante a tutti coloro per i quali "c'è qualcosa che non deve andare perduto".

La scelta
Proviamo a rischiare, dato che è vano sperare nella constatazione tranquilla dell'osservatore. Il futuro del cristianesimo si apre a quattro possibilità.
1. Il cristianesimo scompare e, con esso, il Cristo della fede. L'evento è stato annunciato più volte, già nel '700 e nel '800. Ebbene, ora si sta avverando. Non è neppure più l'effetto di un conflitto, di una lotta anticristiana: è un addio, uno svuotamento.
E' indolore, neppure vi si pensa più. Scomparsa. Rimangono ovviamente, i monumenti, le opere d'arte, ciò che dicono i lavori degli storici. Come per Iside e Osiride o gli dei di Babilonia. Forse ancora qualcosa sul versante dell'inconscio collettivo.
Ma la fede, la fede cristiana? Non è neppure più necessario combatterla.
2. Seconda ipotesi: il cristianesimo si dissolve. Propriamente parlando, non è distrutto; ma ciò che esso è stato in grado di portare all'umanità diventa il bene comune e gli sfugge. Così quei "valori cristiani" di rispetto della persona, di cura di chi soffre, di dignità dei poveri, ecc., così intensamente misconosciuti nelle "età cristiane" e che si stanno oggi sempre più imponendo. Anche sul versante dello "spirituale", il vangelo diventa una componente di quell'ambito immenso che l'uomo d'occidente ha così incresciosamente misconosciuto, ma di cui riscopre l'importanza attraverso le proprie miserie e nell' incontro con le sapienze orientali. Gesù può trovare posto in questo spazio, come nel pantheon induista. Maestro spirituale mirabile, uno degli anelli della grande tradizione, ma niente di più.
3. Terza ipotesi: il cristianesimo continua. Si fa opera di conservazione, di restauro, di ricostruzione; e, al tempo stesso, opera di adattamento, di adeguamento, di arrangiamento. Pio IX e Giovanni XXIII. C'è opposizione, si dice. Senza dubbio; ma rimane all'interno di uno stesso insieme, fondamentalmente immutato: un passo a sinistra e uno a destra, per poter durare nei sussulti dell' età moderna.
A tale proposito c'è tutta una "contestazione" interna a questo sistema, ma che da esso dipende molto di più di quanto creda. Un test: i problemi che pone sono essenzialmente questioni di chiesa, di "istituzione", come si usa dire; mentre i problemi decisivi sono molto più radicali: riguardano la possibilità stessa di intendere il vangelo come parola di verità, lì dove è in gioco per l'uomo il suo stesso poter-vivere.
4. La quarta ipotesi: c'è davvero qualcosa che finisce, inesorabilmente, ed è precisamente questo sistema religioso, di fatto legato all'et moderna dell' occidente e da essa molto più dipendente di quanto lo immagini; in certo senso, è davvero una fine del cristianesimo, se si tratta di uno di quegli -ismi che caratterizzano la modernità (idealismo, materialismo, marxismo... ). Qualcosa muore: e non sappiamo fino a che punto questa morte discende dentro di noi.
Comunque, questa crisi cristiana è indissociabile da una crisi molto più generale, quella che mette in questione tante evidenze e tante aspirazioni dell'uomo occidentale (nel momento stesso in cui la "globalizzazione" fa trionfare in ogni parte del mondo questo tipo d'uomo).
Dunque, a essere in questione è la fine di un mondo, proprio quando questo può sembrare al suo apogeo. C'è qualcosa che si annuncia, e non sappiamo che cosa sarà. Ma è come se fossimo sulla linea di partenza, sul limitare di una nuova epoca dell 'umanità. Per il peggio? Per il meglio? Non lo sappiamo; ma la cosa sta abbondantemente nelle nostre mani.
La domanda è: in questo luogo inaugurale il vangelo può apparire come vangelo, cioè la parola inaugurale, appunto, che apre lo spazio di vita? Il paradosso è grande, dal momento che il vangelo... è vecchio!
Ma forse il tempo delle cose che più contano non è comandato dalla cronologia; forse la ripetizione può essere ripetizione dell'inaudito, come, dopo tutto, ogni nascita d'uomo è una ripetizione banale - e, ogni volta, l'inaudito.
Se il vangelo è, qui e ora, questa parola, per tutto il resto riusciremo a cavarcela. Tutti i problemi di chiesa che tormentano i cristiani sono davvero problemi: li prenderemo in considerazione, ma potremo vivere anche senza averli risolti. Ma se il vangelo diventa silenzio al posto stesso del vangelo, allora tutto il resto è vano.
Io scelgo la quarta ipotesi
E' una scelta (in faccende come questa non' si può essere neutrali). PUÒ sembrare impraticabile, come se si volesse essere insieme fuori e dentro: fuori di ciò che che costituisce effettivamente il fatto cristiano, e tuttavia dentro e al centro. Posizione insostenibile, in effetti... posto che sia una posizione. Non può essere che un movimento; e nulla ci garantisce che ci condurrà a qualche meta. Siamo avvisati: se qualcosa resiste e sorge come fede, sarà senza la tranquillità della credenza.
Questa scelta ha se non altro il merito di andare al punto più forte, più difficile. Perché è chiaro fin dall' inizio che sarà necessario un impegno radicale: nessuna riduzione, nessun compromesso, nessun falso adattamento; né conservatorismo né concessioni: il vangelo ripreso in tutta la sua perentorietà. Non è possibile fermarsi a metà strada. Ma in uno spazio altro dallo spazio conosciuto. Al tempo stesso, vicini a ciò che sta al centro della difficoltà del mondo presente.
Si potrebbe dire, un po' banalmente, che questa è l'ipotesi più interessante. E tuttavia, non si tratta di affrontarla armati di sapere o di dottrina. Passarvi attraverso significa essere disarmati. Tutto ciò che potrei dire sarà dunque offerto a chiunque voglia servirsene, perché ne faccia ciò che gli parrà meglio. Dico qualcosa perché vi si reagisca, non perché lo si approvi e vi si sottometta. Allo stesso tempo, sono convinto che la mia ipotesi è compatibile con ogni sorta di posizioni... generalmente opposte. Paradossalmente, questo cammino può rivelarsi eloquente a questa o quella persona che si ritrovano nell'una o nell'altra delle altre tre ipotesi. Perché qui ci poniamo al di fuori delle controversie abituali.
Non si tratta di pensiero solitario: la Bibbia, con la diversità dei suoi autori, lo testimonia a sufficienza.
Un buon prelato della curia romana si lamentava con lo Spirito santo: "Spirito santo, io non capisco. Di che avevamo bisogno? Una vita di Gesù (una sola!), una dogmatica, una morale, un rituale, un compendio di diritto canonico e, per il popolino, il catechismo. Ed ecco quello che ci hai dato: quattro vangeli, e Paolo, e tutti questi libri della Bibbia così disparati!". Domanda posta a un esame di giovani studenti di teologia: formulate la risposta dello Spirito santo.
Non c'è pensiero solitario. Ma nel caso nostro più ancora: nessun pensiero garantito. Eppure, non può che trattarsi di quanto c'è di più necessario! Ecco una difficoltà notevole.
Ce ne ricorderemo.
Maurice Bellet, "La quarta ipotesi" , Servitium Editrice, 2003, pp. 15-22
da Koinonia n° 7 luglio 2003

Mondo: in milioni chiedono il ritiro delle truppe

dall'Iraq

Ad un anno dall'inizio della guerra in Iraq le bandiere arcobaleno del movimento pacifista sono tornate nelle piazze di tutto il mondo per dire "No alla guerra, al terrorismo, fuori i soldati dall'Iraq". L'appello delle associazioni statunitensi per una giornata globale contro l'occupazione militare e per il ritiro delle truppe dall'Iraq è stato accolto in tutte le principali città mondiali. Da Sydney a Melbourne, a Tokyo (oltre 30mila manifestanti), Seul , Kobe e Hiroshima, a Mumbay, Dakha, Bangkok, Jakarta, Algeri, Casablanca, Dakar, il Cairo, Città del Capo, Durban e Johannesburgh.
A Londra oltre 25mila in corteo mentre due attivisti di Greenpeace hanno scalato il Big Ben per chiedere verità sulla guerra. In Spagna sono in atto 40 manifestazioni e 250 negli Usa. "E' ora che venga detta la verità sul perchè migliaia di persone abbiano dovuto morire in una guerra che il mondo non ha voluto" - ha dichiarato Stephen Tindale, direttore esecutivo di Greenpeace.
Al grido "Mai più guerra. Mai più terrorismo. Mai più violenza" è partita alle 14 la grande manifestazione di Roma,. Due milioni - secondo gli organizzatori (250mila secondo la Questura) - i partecipanti al grande corteo che si è snodato per cinque ore nelle strade della capitale per giungere al Circo Massimo dove è stato letto il messaggio finale che denuncia le bugie dei governi intervenuti nell'occupazione dell'Iraq e chiede che "l'Italia rinunci a partecipare all'occupazione militare e ritiri le proprie truppe dall'Iraq". "Da cittadino italiano chiedo e voglio che la Costituzione sia rispettata e la Costituzione dice che l'Italia ripudia la guerra" - ha dichiarato all'Ansa il leader di Emergency, Gino Strada, durante il corteo.
Ha partecipato al corteo anche una delegazione della 'Unione nazionale Arma dei carabinieri' guidata dal segretario Antonio Savino. "Siamo in piazza - ha spiegato Savino - per denunciare le bugie che sono state raccontate ai nostri colleghi mandati in Iraq".
Sul palco del Circo Massimo la grande bandiera della pace cucita con le duecento bandiere della Carovana della Pace che ha fatto il giro dell'Italia. Nessun politico sul palco alla chiusura del corteo, ma si sono alternati ai microfoni i rappresentanti delle varie associazioni che hanno organizzato la manifestazione: volontari, operatori di pace, testimoni di conflitti nel mondo. Il 'Comitato fermiamo la guerra 'leggera' ha letto un documento unitario sottoscritto da tutte le associazioni che hanno aderito alla manifestazione.
Il messaggio finale chiede che l'Italia "rinunci a partecipare all'occupazione militare e ritiri le proprie truppe dall'Iraq". "E' un atto necessario per ricucire lo strappo costituzionale operato un anno fa e per aprire la strada a una nuova strategia. - si legge nel comunicato. Chiediamo che l'Unione Europea svolga un ruolo di pace e includa il ripudio della guerra nel proprio trattato costituzionale. Chiediamo che la comunità internazionale metta le Nazioni Unite in condizione di sostenere il ritorno della legalità in Iraq, favorendo così la restituzione della sovranità agli iracheni. Con la stessa urgenza chiediamo che una decisa iniziativa internazionale crei le condizioni per una pace giusta in Palestina e in Israele, imponendo la rimozione del muro, la protezione dei civili e un negoziato fondato sulle risoluzioni dell'Onu per la fine dell'occupazione e la convivenza pacifica, ascoltando anche la voce coraggiosa dei giovani israeliani che rifiutano, pagando di persona, di partecipare alla guerra e all'occupazione".


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