Mentre scrivo sono ancora con il cuore dentro la mia vecchia tendina canadese in una piazzola del camping sotto l'Eremo delle Carceri. Non c'era quasi nessuno nell'ampio oliveto terrazzato in quel sabato di fine settembre. Assaporavo l'aria fresca di una notte incredibilmente stellata e la gioia di esser da solo senza sentirmi solo. Avevo cercato qualcuno che mi aiutasse a vincere la pigrizia del mettermi in viaggio, ora che uscire di casa per me è diventato più difficile per le troppe consegne da fare in confronto a quando Beppe si faceva carico delle mie assenze. Ma le persone con le quali avrei volentieri condiviso quei due giorni, per una ragione o per l'altra non sono state disponibili ed io mi sono rassegnato a partire da solo, come una volta, lasciandomi prendere interamente dalla "avventura". Non avevo potuto dire di no all'invito di Luciano Benini per un breve intervento durante la veglia preparatoria della Marcia Nonviolenta Perugia-Assisi 2000, ricordando Sirio e Beppe, presidenti - come lui attualmente, - della sezione italiana del MIR, Movimento Internazionale di Riconciliazione.
Nella sala del Centro Ecumenico S. Martino a Perugia, mi sono trovato davanti a volti che mi ricordavano il tempo delle lotte contro la centrale atomica di Caparbio e, più in generale una comune militanza antimilitarista e di ricerca di percorsi di pace. E mi sono commosso. Mi c'è voluto del tempo - mentre cercavo di resistere mettendo una parola sopra l'altra - a trovare un senso al mio discorso. Il forte filo logico di Sirio che, dalla conoscenza di Dio come il "non-assoluto" in sé, ma assolutamente motivato alla relazione di Amore, alla pace come incontro-confronto, energia di vita, realtà alimentata dal sogno che la differenza esprima l'infinito. E la passione di Beppe, l'umile intrecciare i fili non solo di paglia, sempre da protagonista, ma irradiando magia intorno a sé perché ciascuno, nell'umile filo della propria partecipazione, si sentisse, a sua volta, protagonista di un percorso. O come amava dire lui di una "buona navigazione". Sono uscito dalla sala a mezzanotte e, in mezz'ora ero dentro la tendina che mi attendeva fedelmente in un silenzio assoluto. Mi avevano invitato a partecipare alla marcia ritornando a Perugia per partire con loro. La stanchezza che mi pesa di questi tempi, mi suggeriva di fare un passo per volta: era qualche anno che non dormivo per terra; vediamo che succede in queste poche ore fino all'alba...!
La terra sa accogliere la fatica degli umani. Ho dormito. Un sonno solo, fino alla sveglia che mi ha dato il sole che illuminava prepotente una giornata splendidamente limpida. Ho smontato la tenda e mi sono rimesso in movimento, ma non verso Perugia. Il Subasio, sopra di me. In pochi minuti mi sono trovato sugli ampi e nudi pianori della cima. La voglia bambina di mettermi a correre sui prati, di allargare le braccia e volare in quell'immensità di cielo e di terra, di paesi diventati minuscoli sotto di me, della cerchia di montagne tutt'intorno come grande corona alla maestà di questo mondo. Mi sono ubriacato di giallo, d'azzurro, di verde, di acqua e di fuoco.
Non c'era anima viva tutt'intorno. A poco a poco sono riemerso in me stesso. Ho ripreso l'auto e mi sono fermato a Santa Maria degli Angeli. Di lì sono partito a piedi, verso... la Marcia. Un paio d'ore di buon passo e ho incontrato i marciatori che venivano da Perugia. Mi sono confuso tra di loro, ho ascoltato le brevi relazioni ad ogni tappa, ho scambiato parole, acqua, qualcosa da mangiare con amici vecchi e nuovi.
Un avvicinamento a Santa Maria degli Angeli più lento, ma ugualmente sostenuto accompagnato dal rendere sempre presenti gli obiettivi e lo stile della Marcia. Non è una marcia contro qualcuno, né tantomeno condotta in atteggiamento da primi della classe. E' semplicemente una marcia per riflettere, senza affidarsi a slogan, è un'occasione per incamminarsi seriamente sulla via della non violenza. Ai partecipanti viene chiesto soltanto l'impegno sui punti del Manifesto 2000 "per una cultura della pace e della nonviolenza" lanciato dai Premi Nobel per la Pace:
1. Rispettare ogni vita,
2. Rifiutare la violenza,
3. Condividere con gli altri,
4. Ascoltare per capire,
5. Preservare il pianeta,
6. Riscoprire la solidarietà.
Siamo arrivati in più di mille a Santa Maria degli Angeli e i partecipanti si sono seduti intorno al palco da cui ha concluso la Marcia Alex Zanotelli il cui discorso caldo e appassionato ho riproposto nella seconda parte di questo numero in una trascrizione dalla registrazione che certamente non rende giustizia al senso di vita e di gioia che animava la parola di Alex e la piazza in ascolto. In questo numero ho poi riportato un articolo di Arturo Paoli apparso su Rocca. Ho incontrato Arturo una sera, vicino Viareggio, e mi è parso giusto riportare un tema a lui caro: la lotta contro ogni spiritualismo. Ci si sciacqua molto la bocca con discorsi spirituali nella chiesa. Oggi forse più di ieri: ciò che è mezzo per dare verità di luce alla realtà, diventa fine a se stesso, togliendo ogni respiro alla dimensione concreta ed unica dell' esistenza. Ho poi dato spazio ad alcuni messaggi di lettori facilitati dalla posta elettronica e una pagina anche al percorso delle fotografie che appaiono su Lotta come Amore in una continua ricerca dell'altro. Quindi, una memoria, ancora fresca e sofferta: quella di Nicolino Barra, amico sincero e sempre rispettoso fin dai tempi della Comunità del Bicchio. La sua morte, dopo due anni di malattia. Dopo un ultimo abbraccio caloroso e interminabile abbraccio all'incontro dei pretioperai dello scorso anno a Viareggio. Lorenzo D'Amico ha curato un quaderno diviso in tre parti: la prima con lettere e pensieri di vari amici, la seconda con alcuni scritti di Nicolino, la terza con una sintesi del mensile "La Tenda" ed estratti dal testamento di Nicola... Un quaderno denso di ricordi e di vita. Difficile per Maria Grazia che lo ha avuto da un'amica, compiere una scelta. Una voce maschile e una femminile, ma sono rimasti fuori scritti davvero belli, come quelli di "Vincenzino" Apicella, Vescovo ausiliare di Roma e amico da tantissimi anni di Nicola. Infine, un raccontino, tanto così per sorridere insieme e aiutarci a non cercare di essere i primi, perché tanto inevitabilmente quando si alzeranno i veli della storia, questi saranno gli ultimi.
Luigi
Gli avvenimenti del mondo cattolico mi persuadono sempre di più quanto sia giusta la stizza di Lévinas contro la "mistica". Molti, troppi avvenimenti pescano nell'invisibile e nell'extra-razionale, per non dire l'irrazionale, mentre sembrerebbe urgente concentrare tutta l'attenzione sulla società visibile che appare sempre più divergente da criteri di giustizia. Anche le numerosissime canonizzazioni della Chiesa possono essere accolte da un cattolico praticante come assicurazioni che le persone che vengono iscritte nel catalogo godano la pace e l'infinita beatitudine del cielo, non sempre come modelli di vita e criteri di scelte di giustizia. Ad ogni notizia di nuovi beati e nuovi santi, penso al verso di Dante sulla fortuna: "ma ella s'è beata e ciò non ode". Suppongo che il nuovo beato, o la nuova, sia felice fra il tripudio permanente degli angeli; ma intanto quaggiù affondiamo sempre di più nella palude. La stizza verso la mistica viene spontanea perché il Dio biblico, quello stesso che Gesù ha accolto, obbedito e glorificato, è certamente invisibile, ma non tanto preoccupato della corte celeste, quanto della sua famiglia, così scandalosamente divisa, ingiusta e senza pace qua sulla terra. Testamento vuoi dire alleanza e alleanza vuoi dire camminare insieme per raggiungere un certo obiettivo terreno, storico, visibile... tutt'altro che "mistico". Con questo patto Dio s'impegna a svelarsi, a farsi vedere attraverso le operazioni di giustizia, cioè attraverso quei movimenti individuali o collettivi che muovono le persone umane verso una convivenza pacifica. E questo suppone la fine delle relazioni di dominio, di sfruttamento, di inquinamento della vita di cui Dio è l'unica fonte. Tutte le altre manifestazioni di Dio sono discutibili, spesso sono patologiche, quella scelta da Lui è la sua vera unica traccia. Allora che pensare di tutta la mistica cristiana e dei mistici che ci hanno parlato della "familiaritas magna nimis", come la definisce l'autore dell'Imitazione di Cristo? Sono stato un appassionato lettore di quelle esperienze di comunicazione che questi pellegrini dell'infinito intrecciano con l'Essere. Credo che in questo momento storico - di una cultura che muore e una che appare come una di quelle aurore che stenta a farsi cammino in un cielo di piombo - questi testimoni di Dio, siano quelli che indicano la vera traccia che marca il suo intervento nella nostra storia. Più necessari oggi che in altri tempi perché, come sempre accade nel tramonto di epoche storiche, in mancanza di obiettivi chiari e di guide esperte, di cammini percorsi, pullulano mistiche e pseudomistiche, forme patologiche di spiritualità e iniziative di spiritualità che tradiscono l'impazienza per i ritardi. Il popolo dell' Alleanza non teme di lanciare le sue proteste a quella verità che si è espressa con parole umanamente chiare: "lo sono il tuo Dio e tu sei il mio popolo" e ora gli avvenimenti sono così tristi che ci sentiamo autorizzati a pensare che il Protettore dorma o abbia perduto la memoria.
I veri mistici sono riconoscibili da certi tratti di somiglianza con quelli del Figlio, modello unico, l'ebreo centrale, come lo definisce Martin Buber, l'uomo centrale diciamo noi suoi discepoli. E la caratteristica rilevante del Figlio è quella di sentirsi scelto per essere lo strumento di operazione del Padre. Per me Gesù è scolpito in queste poche parole del Vangelo di Giovanni: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" (Gv 5,17). E allude a quell'operazione di salvezza, di riscatto di opere umane prodotte dall'egoismo e dall'orgoglio che guastano la creazione, che sono di ostacolo al progetto del Creatore.
E una operazione che è ricostruzione, redenzione, salvezza, risanamento che avviene nel cuore della persona e nel teatro del suo agire, nel centro dell' essere e nella proiezione del fare. L'operazione di cui parla il Vangelo ha una dimensione misteriosa, invisibile e una dimensione visibile, relazionale che è politica, economica, estetica, conviviale. Il vero mistico vive quest' operazione di riscatto, di ricostruzione della vita come esce dalle mani di Dio, nella sua storia personale. Generalmente conserva molti tratti della fragilità di ogni mortale, ma non può non essere un assetato di giustizia. Il segno inconfondibile che l'esperienza di Dio sia vera e non patologica, schizofrenica, è la capacità di vedere in chi e dove si nasconde l'intenzione degli empi. La grande novità che attendiamo con molta speranza è proprio questa: che la mistica, la santità, tutte le misteriose trasformazioni che si afferma avvengano nella regione dello Spirito, dallo spirito entrino nelle opere. "Io ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato" (Gv 5,36).
La trascendenza o si fa immanenza, cioè visibile, o non è vera.
fratel Arturo
da Rocca n. 19/1 ottobre 2000
(Ho incontrato Arturo questa estate una sera trascorsa in modo piacevole alla tavola di Maria Pia e Camillo Pacini insieme ai figli, alle loro mogli e mariti con tutta un'allegra banda di nipoti arrampicata sugli alberi intorno. E abbiamo parlato, tra l'altro, di queste cose)
Carissimo, son d'accordissimo che gli amici servono a qualcosa, anzi di più.
A proposito: lo scorso fine settimana è stata nostra ospite una carissima amica che non vedevamo da qualche anno, proveniente dalla Comunità di Santa Maria delle Grazie a Rossano Calabro ( chissà se la conosci?) . Confrontarsi con lei anche sulle ultime notizie è stato davvero, come diresti tu, una "annaffiata", come la tua lettera, sulle screpolature e l'aridità. Lei era considerabile anche come "portavoce" della sua fraternità, di gruppi, ambiti e persone cristianamente molto vivi... e certamente non entusiasti delle sortite ratzingeriane e affini, ma non per questo disposti alla resa o alla fuga.
Insieme a lei siamo andati la domenica in un'altra Comunità monastica, nei pressi di Caorle, inserita nel territorio sia dal punto di vista sociale che ecclesiale ( dopo qualche "rovescio" iniziale del suo fondatore... ai tempi del patriarca Luciani...) , ma soprattutto inserita UMANAMENTE, come accoglienza calorosa delle persone più varie e spesso un po' "out" . Non si è parlato direttamente delle desertiche aridità che sappiamo, ma la loro testimonianza per così dire parlava da sola! Altro refrigerio, altra annaffiata!
A Stefania ho raccontato di te leggendo la tua lettera: e insomma, è diventato un piccolo "circolo" virtuale di dissenzienti da quelle posizioni alla ricerca di verità, meno avviliti di prima... ( se non fosse che nel frattempo è scoppiata la guerra in Palestina).
Io ti rilancio tutto, sperando che tu apra la posta magari quando hai più bisogno di trovare conforto, sennò lo memorizzerai allo scopo.
Un abbraccio e buona notte!
Marilè
"Non scrivete sul mio caso, ma delle cose di cui ho scritto" scrive il giornalista serbo Miraslov Filipovic. "Spero che si arrivi ad un processo di ricerca della verità e al tentativo di riconciliazione attraverso il quale gli abitanti dei territori che hanno composto la Jugoslavia riflettano sulle guerre degli ultimi dieci anni e siano capaci di confessare i loro errori, i loro inganni, i loro misfatti".
"Finché si parlerà del mio "caso", le persone non faranno attenzione alle cose di cui ho scritto. Il mio imprigionamento sarà visto solo come una parte della battaglia per la libertà d'espressione sotto il vecchio regime - e il mio rilascio come una prova del successo di quello nuovo.
Celebreremo la nostra nuova vittoria ancora per molto tempo. Ma facendo così potremmo rimanere silenziosi proprio sui quelle cose che invece dovremmo discutere. E con questo silenzio potremmo dimostrare che il regime passato non era il solo problema dei cittadini della Serbia e della Jugoslavia".
Nel suo articolo, Filipovic dice "non sono un eroe, sono solo un giornalista locale di Kraljevo, nel sud della Serbia".
A me la parola eroe non piace, ma una cosa vorrei aggiungerla: ci vuole un enorme coraggio per un giornalista serbo per parlare ai suoi concittadini delle atrocità commesse da altri Serbi nelle guerra balcaniche. Molto più coraggio che non a scendere in piazza.
I cinque mesi di prigione non sono nulla, in confronto all'isolamento che rischia, fra la sua stessa gente, per chi cerca di aprire il vaso di Pandora.
Qua da noi non è ben chiaro che esiste, questo fenomeno: la rimozione, il rifiuto di vedere. Colpisce tutti i popoli coinvolti nei conflitti, ogni gruppo rifiuta di accettare che anche fra i suoi connazionali ci sono quelli che hanno commesso crimini orrendi. è uno shock psicologico terribile, dover accettare questa realtà. Tutti sono pronti a puntare il dito sui crimini degli altri, e a negare o minimizzare quelli degli appartenenti al proprio gruppo.
A Trieste c'è voluto mezzo secolo perché gli uni smettessero di negare che avevamo un lager nazista con tanto di forno crematorio, gli altri accettassero di parlare delle foibe, gli abissi carsici dove i partigiani titini avevano gettato tanta gente, anche innocente. Le ossa di tante vittime giacevano sia in fondo al mare sia nel ventre del nostro Carso. è guardare in faccia questo trauma non è facile. Queste parole sono dedicate alla gente normale, che non ha commesso alcun crimine né mai lo commetterebbe, ma fa fatica a guardare in faccia la realtà. proprio perché tante storie d'orrore sembrano, appunto, storie dell'orrore, ed ogni brava persona istintivamente se ne ritrae dicendo: "non è possibile, no, non la mia gente". Purtroppo non c'è solo questo, ci sono mille altre sfumature, da chi sapeva e non sapeva, a chi pensa che in fondo la guerra è guerra, fino a chi, ahimè, non ha problemi a dire "se lo sono meritato". C' è anche questo.
Si dibatte molto di tribunali, locali e internazionali, poco si parla di capire. Fa troppo orrore, l'idea di esseri umani che fanno a pezzi altri esseri umani, la reazione istintiva è giudicare, punire - o rimuovere, appunto.
Ma come faremo a liberarci della violenza senza capire dove viene, senza andare alle radici di questi comportamenti sconvolgenti? Mi piacerebbe raccogliere un po' di esperienze di persone che hanno avuto a che fare con vari aspetti di questo pozzo nero dell' anima umana, e ragionarci un po' su insieme.
Se qualcuno ha un contributo da dare, potrebbe per cortesia farsi sentire?
Paola
<paola.lucchesi@mail.inet.it>
Il mio viaggio in Etiopia, intrapreso per ragioni lontane da quelle fotografiche, è su la mia prima vera occasione di mettermi al prova come fotografa di reportage. Sono partita senza sapere cosa mi aspettava. Prima di partire ho infilato nello zaino molte pellicole diverse: colore, bianco/nero e addirittura infrarosso. Questo è un vantaggio perché permette di decidere sul momento quello di cui c'è bisogno sia per motivi tecnici che di espressione stilistiche. Mi rendo conto solo adesso, però che aver portato tutte quelle pellicole per me è stata un'arma a doppio taglio: mi sono lasciata travolgere dal fascino dei soggetti e l'inesperienza ha fatto il resto. Ho usato in maniera indiscriminata le varie pellicole senza fare una scelta vera e propria e ho faticato non poco, al momento della scelta, a mettere insieme le varie immagini perché troppo disomogenee tra loro da far risultare l'insieme del reportage un po' caotico. D'altro canto però, concedetemelo, se guardo le mie foto mi rendo conto che la magia dei luoghi e il fascino dei soggetti sono stati riprodotti. Ho cercato, con i tagli e le inquadrature, di mantenere la dinamicità del momento e di evidenziare ciò che più mi ha colpito. Il tema mi è venuto stando un mese contatto con la parte più povera e malata della popolazione. Nelle due ore pomeridiane, libere dal lavoro dell'ospedale, giravo per le strade e fotografavo quello che capitava. Poi tornata in Italia, guardando i provini, ho visto che avevo fotografato per la maggior parte bambini e comunque volti giovanissimi.
Laura Gori
(Il reportage sociale è un modo di accostarsi alla vita degli altri, di dar voce a chi non ne ha, è uno stile di vita...)
Perché il male? Questo dramma l'uomo se lo porta dentro da sempre.
Analizziamo alcuni miracoli narrati dal Vangelo. Quello compiuto sulla donna ammalata di perdite di sangue e quello sulla figlia di Giairo che è morta. Alla donna basta toccare la veste di Gesù per arrestare il male. Toccare la veste di un profeta! E la splendida constatazione di lui: "Una potenza è uscita da me". I sacramenti consistono sempre nel toccare una cosa. Attraverso la forma delle cose in cui Dio è presente si ha il passaggio di una forza. Quella potenza intima, profonda, trasparente di quando si abbraccia una persona amica, quando ci stringiamo le mani... S. Paolo avrebbe detto che la fisicità di Gesù era piena di Dio.
Quanta delicatezza troviamo nella guarigione della figlia di Giairo! Il padre è affranto: la fanciulla è morta. "Vengo lo stesso a casa tua" - dice Gesù, e, giunto presso di lei, basta che aggiunga: "Sii guarita" perché il miracolo sia compiuto. A queste parole aggiunge un gesto realistico: "Datele da mangiare".
In Gesù i miracoli nascono sicuramente per una ragione che è insita in lui: egli è il miracolo di essere amore. Quell'amore che viene donato con gli occhi che sorridono e con le mani amiche che si stringono. Il miracolo di essere l'Amore vivente, che parla attraverso i gesti, i sacramenti. Attraverso i miracoli Gesù cerca di far vivere in noi l'esperienza dell' amore. Cerca di aiutarci a credere in Dio amante della vita. E' la sua maniera di arginare il male, di far diga contro la sua invadenza.
A noi non è chiesto di fare miracoli, ma di essere quello che era Gesù, sacramento di Dio sulla terra.
Se tu puoi, fa che la gente intorno a te soffra di meno, che ci sia un sorriso a illuminare i luoghi della tristezza. Se puoi, stringi con calore a te la persona che non ne può più, scrivi una lettera che arrivi a consolare, pronuncia una parola amica. Puoi farlo.
Certo, non è più come una volta che bastava fare i fioretti. Il nostro mondo ha bisogno di un amore "altro". Questo nostro mondo dove le multinazionali fanno il bello e il cattivo tempo, dove si fa guerra solo perché ci si guadagna... Come facciamo ad arginare il male in questo mondo in cui tutto è diventato così enorme, a dimensioni universali, e ci travolge come un secondo diluvio? I fioretti non salvano. E sembra allora inutile parlare di un amore che sia diga contro la morte, contro il satana, contro il male.
Ma ricordo la frase di un amico. Mi è rimasta impressa: "Eppure io credo sia possibile che il regno di Dio venga sulla terra!".
Vediamo dunque di far sì che chi ci sta intorno goda del calore, dell' amicizia che ci portiamo dentro. Cerchiamo di irradiare amicizia. Creiamo una specie di rete: Dio è sacramento, per cui io sono sacramento e tu pure lo sei... Se siamo la mano di Dio, il sorriso di Dio, dove è il male?
Dio chiede a me, a voi, di credere in Lui perché il miracolo dell'amore di Dio illumini la vita.
Perché coloro che credono siano gente che appartiene agli altri e di cui gli altri hanno bisogno.
(registrato nella chiesa di Marignolle - Firenze)
Il 22 gennaio di quest' anno è morto dopo tre anni di malattia Don Nicolino Barra, caro amico e prete operaio romano. Il suo cammino si era incrociato con il nostro tanti anni fa, nel periodo in cui, con altri preti compagni di avventura, viveva fra i baraccati del quartiere Prenestino, a Roma. Quando le baracche furono demolite, prese parte all'esodo imposto dal Comune negli alloggi popolari di Ostia, dove è rimasto fino agli ultimi giorni, lavorando come fabbro. Riservato ed aperto allo stesso tempo, proiettato verso il nuovo ed ancorato alla tradizione cristiana, lo abbiamo ritrovato e insieme scoperto nelle pagine della pubblicazione che abbiamo ricevuto in settembre da Lorenzo D'Amico.
In pochi mesi, sollecitato dai tanti amici e spinto dal profondo affetto che da anni lo legava a lui, Lorenzo è riuscito a raccogliere testimonianze su Nicolino alle quali ha unito i suoi primi articolo pubblicati sulla 'Tenda' - della quale era stato il fondatore - e soprattutto il suo testamento.
Le parole di chi lo ha conosciuto da vicino e lungamente frequentato ci hanno lasciato il rimpianto di non avere avuto maggior tempo per scambiare con lui vita e pensieri e ce lo fanno ricordare con nostalgia.
Abbiamo scelto alcune testimonianze da condividere con voi.
Maria Grazia Galimberti
Amico mio dolcissimo
Amico mio dolcissimo, Nicolino Barra, perché hai lasciato la scena di questo mondo nel più assoluto silenzio? Dalla voce di un altro tuo amico vengo a sapere che Dio ti ha chiamato a ricevere la ricompensa delle tue fatiche. Ieri sera, sabato 22-1-2000, festa di San Vincenzo Martire, sono terminate le tue sofferenze.
Il tuo amico di Roma, Lorenzo D'Amico, mi ha dato la notizia che io non volevo ricevere, prima di averti visto o sentito ancora una volta. L'ultima volta che ti vidi fu una sera dei primi giorni di luglio, domenica, 1998. Venivo da Pinerolo con la macchina stracarica di merce: indumenti, libri, scarpe e tanto altro, perché avevo iniziato il trasloco e il trasferimento, con figli e moglie, dal Piemonte alla Calabria.
Ricordo di averti dato quella sera, di fronte a quella chiesuola, sistemata a piano terra d'un palazzo popolare, alcune bottiglie di vino Cirò, vino della mia terra, che avevo comprato a Pinerolo. Tu gradisti con molto piacere la mia offerta. Ma allora te ne feci un'altra, quella di venire a passare alcune settimane di riposo o di vacanza in Calabria, presso la mia abitazione. Quell'estate del '98 passò senza che le promesse e l'interesse mostrato si potessero realizzare. Per l'estate del 1999 mi ero preparato in tempo. Verso la primavera ti telefonai per rinnovarti l'invito a venire.
Tu mi dicesti che eri felice di venire in Calabria, specie se potevi visitare la Certosa e la tomba di San Bruno. Mi dicesti pure che se fossi venuto, ciò sarebbe stato possibile dopo gli accertamenti medici e le relative terapie per il tuo stato di salute. Dicesti ancora che se fossi venuto, saresti dovuto venire accompagnato da un tuo amico, Lorenzo, perché avevi bisogno di compagnia e di assistenza. Io avevo detto di sì: chiunque fosse venuto con te era come te accettato, era parte di te, perciò per me sarebbe stato un gran piacere averti con me in casa mia, per dimostrarti il mio affetto e la mia infinita riconoscenza per te, amico mio. Ma forse io non ero degno di riceverti, non avevo meriti, né onore per averti in casa mia.
Dio non mi concesse questa grazia. Io dovevo rimanere per sempre il beneficato e tu il benefattore!
Ti ricordi, don Nicolino, quando ci incontrammo nella chiesa di Ponte Milvio nel gennaio 1963? lo ero arrivato a Roma da pochi giorni. Il 28 dicembre 1962 ero partito da Pizzoni, il mio paesello natio, con mio fratello maggiore, in cerca di lavoro o di fortuna, come si dice per chi parte dal Sud. Nei primi giorni di gennaio avevo trovato lavoro, come barbiere, in Via Flaminia Vecchia presso un certo Camillo. Inizialmente abitai con mio fratello in zona "Due Ponti", in periferia; poi mi fu trovato un letto nella stessa via dove lavoravo. La domenica, dopo aver scoperto la chiesa di Ponte Milvio, venivo alla messa vespertina celebrata da te.
Ci incontrammo.
Tu ti interessasti subito di me, sapevi quello che facevo e da dove venivo. Dopo un po' di giorni m'invitasti a servirti la Messa. lo ti dissi che non ero capace, che non l'avevo mai fatto. Ma tu m'incoraggiasti, dicendomi che mi avresti istruito a servire. Dopo averlo fatto, con impaccio e con timore di sbagliare, le prime tre o quattro volte, in seguito mi sentivo sicuro e felice di aver appreso come si serve messa. Una domenica d'un mese primaverile di quello stesso anno, quando stavo per congedarmi da te, tirasti fuori dalla tasca 10.000 (diecimila lire) e me le offristi dicendomi:
"Comprati un po' di carne di cavallo, perché di vedo magro e pallido". Io non credevo ai miei occhi, non avrei mai pensato che un estraneo, un uomo qualsiasi di questo mondo, potesse interessarsi di me, della mia magrezza e avesse a cuore la mia salute.
Quel gesto così vero e così santo fatto da un uomo, da un sacerdote, sconvolse per sempre la mia concezione della vita. Vedevo tanta ingordigia, tanta avarizia e tanto attaccamento ai propri beni che mi pareva assurdo e impossibile che qualcuno si privasse del suo per darlo a me. Questo primo fatto generò in me un affetto e una stima per lui da sentirmi suo figlio nello spirito e vedere in lui un padre nello spirito. Ero felice, pieno di fiducia e di speranze. Avevo i genitori lontani, in Calabria, ma non ne sentivo la mancanza, avevo trovato chi si sarebbe preso cura di me. Continuai a lavorare presso un altro barbiere, Fulvio, dopo aver avuto la fortuna di visitare lunedì 3 giugno 1963 la salma di Papa Giovanni XXIII. Poco dopo, in estate cambiai mestiere: sguattero di cucina, prima presso un ristorante in zona "Due Ponti", poi in Via Flaminia Nuova presso il modenese Franco Faenza. Questo buon uomo s'incuriosì di vedermi andare a messa ogni domenica sera. E un giorno mi chiese se volessi per caso farmi prete. Io risposi che nonostante il mio desiderio di studiare, i miei genitori, poveri contadini, non mi avevano concesso di farlo e perciò mi ero fermato alla 5.a elementare. Ma lui insisté dicendo che se avessi voluto farmi prete mi avrebbe aiutato. A questo punto fui di nuovo stordito da una siffatta offerta e concordammo di andare a trovare don Nicolino Barra a Ponte Milvio.
Quando il mio principale si presentò a lui, in sagrestia, don Nicolino rimase perplesso, mi disse: "Salvatore, ma tu non mi hai mai detto una cosa del genere". Io risposi che non potevo mai pensare che qualcuno potesse aiutarmi a studiare e quindi non avrei potuto mai pensare di farmi prete. Sapevo che per diventar prete occorreva aver studiato tanto. Comunque considerata la favorevole congiuntura nei miei riguardi, Don Nicolino prese le redini in mano e decise di mandarmi in un istituto religioso per conseguire la licenza media. Il caro benefattore Franco Faenza, di Modena, era un po' dispiaciuto, perché voleva che entrassi subito in seminario. Ma don Nicolino sapeva che prima avrei dovuto fare gli studi medi, non in seminario, ma in qualche altro istituto, avendo già 16 anni compiuti. Perciò il l0 dicembre 1963, ad anno scolastico già avviato, entrai a far parte degli alunni dell' istituto San Vincenzo Pallotti di Via Cortina d'Ampezzo, 138 - Roma.
Chi provvide a pagare la mensilità, la retta del collegio, per i miei studi fu Don Nicolino Barra. Io mi aiutavo come potevo tagliando i capelli a compagni e sacerdoti.
Poi dopo gli studi presso il vocazionario di Rocca Priora e nelle scuole religiose di Frascati e Grottaferrata, rientrai in Calabria e a Vibo Valentia terminai il liceo classico.
A Messina conseguii la laurea in filosofia e negli anni ottanta mi ritrovai ad essere insegnante d'italiano e storia a Pinerolo in provincia di Torino.
Caro Nicolino, come posso dimenticarti, anche dopo 37 anni dal nostro primo incontro? Tu seguisti la vicenda della mia vita come un padre e un pastore che non vuole che le sue pecorelle si smarriscano. Quando ti dissi che non me la sentivo di farmi prete non mi rimproverasti, né ti rammaricasti; mi dicesti con tono pacato e sereno che la volontà di Dio voleva rispettare la mia libertà di scelta e perciò consentiva che facessi altro da quello che avevo detto inizialmente sull'onda dell'entusiasmo. Ma io di te, Nicolino mio, non ho parola da ricordare, ma fatti. Ho dormito con te nel tuo alloggio, insieme ad altri tuoi confratelli, sulla via Prenestina presso la parrocchia S. Agapito, la zona dei baraccati. Ho seguito i tuoi spostamenti a Monteverde, ad Ostia, Nella tua ultima dimora di Ostia mi hai accolto (non mi accogliesti, mi sento ancora accolto anche dopo la tua dipartita) più volte quando io passavo di là per salutarti nel viaggio dalla Calabria al Piemonte. Ho mangiato con te, seduto alla tua povera mensa, come un pellegrino fortunato che trova benevola accoglienza. Puoi capire dopo tanta benevolenza quanto avrei desiderato far qualcosa per te, offrirti qualche opportunità di sollievo e di riposo, specie dopo la tua malattia.
Ma ci rivedremo nel regno dei poveri in spirito e ci daremo un bacio eterno di felicità e di commozione alla presenza festosa di Dio.
Tu sei passato su questa terra facendomi solo del bene e chissà a quanti altri hai fatto quanto facesti a me. Che Iddio ti tenga nelle sue braccia, come tu tenesti quelli che incontrasti sulla tua strada!
Arrivederci in cielo, amico mio dolcissimo. Prega per me, tu non hai bisogno che io preghi per te.
Salvatore Donato
Un prete impegnativo
Amo infinitamente Dio e qui lo ringrazio, perché mi ha dato di poter conoscere don Nicola.
Se lasciassi parlare la mia anima starei un'eternità ad ascoltare le cose che ha ricevuto da quell'uomo.
Forse la prima virtù, che cerco da più tempo e mai (ovviamente) ottengo è la pazienza. Non tanto con gli altri, quanto con la mia vita intera. Nei suo atteggiamento spirituale don Nicola mi sembrava eternamente in cammino, in attesa ma nella speranza fiduciosa e paziente, mai ansiosa.
So che a molti, come a me, mancherà dolorosamente il suo lato umano, concreto. In questi giorni pensavo continuamente al modo in cui teneva la sua agendina: nella mano destra, mentre con la sinistra giocherellava con l'elastico che serviva a tenerla chiusa.
Forse è un ricordo stupido, ma avevo bisogno di scriverlo, perché tutto in don Nicola mi faceva pensare, e mi fa, ora, pregare.
Don Nicola per me era la vetrina di Dio.
Traspariva in lui qualcosa di troppo grande per essere raggiunto, ma troppo alla nostra portata per essere ignorato.
Se ho detto "vetrina" è per dare il senso della vicinanza dello Spirito, di come fosse a nostra completa disposizione per mezzo del suo amico prete. Voglio bene a don Nicola, perché amo Gesù, e vedo che lui veramente in modo vivo e completo lo seguiva e lo amava. E so che continua ad amarlo e glorificarlo anche ora, mentre finalmente Gli è vicino. Con Don Nicola ho imparato il coraggio delle mie opinioni, ho imparato la forza di rispettare gli altri.
Ai miei genitori devo molto, ma don Nicola ha rappresentato una parte del mondo esterno che mi ha guardato con fiducia e mi ha detto: "Sì, in famiglia sei amata perché sei. loro, ma anche nel mondo puoi essere felice, perché sei di Dio!"
Don Nicola mi ha fatto uscire da me stessa senza tendermi le mani, senza prendere le mie, ma ASPETTANDO. Non voglio dire "lasciando che rimanessi come ero", ma facendomi vedere che aspettava che io trovassi in me la forza di convertirmi ogni istante della mia vita al Dio vivo.
Non dimenticherò neanche il dolore che provavo (e provo ancora) sentendo qualcuno dire che don Nicola era distante, scorbutico. Don Nicola ci amava tutti e voleva il bene di tutti noi.
La sua dolcezza era l'attenzione che dedicava a ciascuno di noi come ad un capolavoro di Dio.
Era esigente, ma solo per insegnarci a non fermarci, a non adagiarci in un sonno che è morte dell' anima.
Ci spronava di continuo, a noi ragazzi del catechismo.
Ma è giusto amare all'infinito, se si vuole amare l'infinito! Mi ricordo che un giorno, tornando dalla messa con mamma, le dissi: "Sono contenta di conoscere don Nicola, anche se è un prete "impegnativo!". Questa è l'impressione che ebbi a 13 anni, e che oggi confermo in pieno.
Ero contenta di aver conosciuto un prete che guidava da Napoletano (non metteva mai le frecce!), pregava come un monaco (le lezioni di catechismo immerse in una dolcissima atmosfera di meditazione) e soprattutto, parlava e ascoltava da amico.
E andavamo a teatro! E' lì che ho imparato ad apprezzare (o criticare malignamente, a seconda dei casi!) gli attori e i personaggi interpretati. Lì mi sono innamorata di Turandot di Puccini perché finisce "che si sposano"!
Sentendolo ridere a crepapelle mi sono entusiasmata per il Barbiere di Siviglia, con lui vicino a noi ragazzi mi sono stupita e commossa vedendo i capolavori di Pirandello.
A molti di noi è rimasta questa passione, che non faremo spegnere.
Don Nicola mi ha insegnato il silenzio.
Questo è tra i doni più belli che Dio mi ha fatto per mezzo suo. Mi ha insegnato a far amare il silenzio ai ragazzi in chiesa, di fronte al Dio presente. Abbiamo amato il silenzio nei ritiri, in mezzo a Dio nella natura; e tra i monaci, con Dio nella preghiera.
Mi ha insegnato ad amare il silenzio nel mio cuore, quando cammino per strada.
Il silenzio dei pochi minuti a casa, tra le pagine da studiare e un amico.
Amate il silenzio, fratelli cari; e insegnatelo ai bambini, perché senza il silenzio, diteglielo, che senza il silenzio Dio non può parlare!
Amo il silenzio perché oggi mi permette di "sentire" Dio, avvertire il suo immenso amore, anche nelle difficoltà. Amo il silenzio perché in silenzio si pensano parole buone.
Amo, il silenzio perché nel silenzio ascolto la voce di don Nicola, come sempre nel silenzio l'ho ascoltata.
Ora è come un' eco, che continuo a sentire solo grazie all'amore di Dio.
E Dio mi guiderà, io ho fede in Lui, anche se a volte l'unica cosa che sento è il silenzio.
...Ma Don Nicola direbbe:
"A "Michè", per quanto hai scritto, non si direbbe che ami il silenzio!" ...forse un po' per sdrammatizzare!
Micaela Soressi
(Riportiamo l'intervento conclusivo di Alex Zanotelli alla Marcia Perugina-Assisi del 24/09/2000 in un adattamento dalla registrazione non rivisto dall'autore cui peraltro ci legano amicizia e profonda solidarietà)
Buona sera a tutti!
Un grazie davvero grande per questa bellissima giornata e soprattutto per tutta la gente che ho incontrato lungo la strada. Questo sentirei insieme come popolo che vuole la pace e che cammina per la pace. E proprio in questo spirito, per non dimenticare che siamo popolo, vorrei che in questa conclusione voi non guardaste a chi parla da questo microfono ma chiedo a ciascuno di voi di guardare il volto di vostro fratello e di vostra sorella che vi sta accanto. Ditegli tutto il bene, salutate, dite "benvenuto a questa marcia!". Poi guardatevi in volto. E' importante che proviamo la gioia dello stare insieme, del trovarci ricchi gli uni degli altri, della nostra umanità.
E' stato bello questo camminare insieme! Ho camminato un poco con dei giovani che dicevano "che bello, abbiamo trovato degli spazi per poter parlarci, per poter dire qualcosa di noi stessi".
E' questa la ricchezza della marcia e ne abbiamo profondo bisogno.
Questa è una marcia non violenta. La si è voluta fare nell' anno duemila da cui parte il decennale di impegno voluto dai Nobel per la Pace. Siamo qui per dire la nostra decisione di nonviolenza attiva. Sono stati ricordati prima i nomi di Capitini, di Gandhi, di Francesco d'Assisi che - non dimentichiamolo - è stato il più grande attore di nonviolenza attiva proprio qui in questo luogo. Proprio qui accanto c'è la chiesa della Porziuncola e sappiate che con la Porziuncola (almeno oggi così viene interpretato il gesto di Francesco) ha inventato una logica non violenta.
Il papa diceva "tutti coloro che, con la spada in mano, andranno alla conquista del santo sepolcro riceveranno l'indulgenza plenaria, il perdono dei loro peccati". Francesco ha avuto un' altra intuizione. E' andato dal papa a dire che c'è un'altra maniera di fare: "chiunque umilmente e senza armi andrà alla Porziuncola, quello riceverà l'indulgenza plenaria".
Un gesto nonviolento in pieno medioevo. In questo Francesco d'Assisi è davvero un genio, uno dei più grandi geni che l'Europa ha avuto e ha dato.
Ma vorrei ricordare anche gli amici come Tonino Bello, come Balducci, Turoldo. Vorrei ricordare anche un amico che si è tolto la vita, Alex Langer. Guardate che è importante, al di là dei battimani, sentirli presenti. In Africa li chiamano i morti viventi. Queste persone che hanno camminato con noi oggi.
E importante che come movimento, proprio perché crediamo nella nonviolenza attiva anche se abbiamo differenti opinioni o differenze di opinione all'interno del movimento per la pace, che siamo capaci di rispettarci e di lavorare insieme. Guardate che questo è fondamentale, altrimenti non possiamo andare a proporci come movimento non violento se, nonostante opinioni e posizioni differenti, non operiamo insieme. Siamo nel contesto del giubileo. lo sono qui come erede di una tradizione ebraica e cristiana. Siamo eredi di che cosa? Eredi di un sogno di Dio. La parola sogno è diventata molto importante nel linguaggio mitico. Sta ritornando forte in tutta la ricerca biblica, in particolare statunitense, nell' ambito delle comunità di resistenza nel cuore dell'impero. Leggete in particolare un bellissimo testo "Prophetic imagination" che dice che Dio ha affidato al suo servo Mosè un sogno. E questo sogno consiste nel fatto che il suo popolo da schiavo in Egitto, è chiamato a divenire comunità alternativa in mezzo agli altri popoli. Dio, infatti, sogna per il suo popolo una economia di uguaglianza, dove i beni di questo mondo - tutti i beni - sono messi l disposizione dei più, non dei pochi. Una economia perfetta è impossibile, ma è possibile per l'uomo che quello che abbiamo venga messo a disposizione dei più. Per realizzare questo c'è bisogno di una politica di giustizia dove gli apparati pubblici spingono tutti verso questa economia di uguaglianza. Per avere questo abbiamo bisogno di una esperienza religiosa dove Dio è percepito non come il Dio del sistema, ma come il Dio libero e perché libero è il Dio degli schiavi, degli oppressi, dei poveri, delle prostitute, degli immigrati. E' il dono, Dio. Permettetemi di pregarvi di una cosa: non mi piace quando qualcuno mi dice "io sono un non credente", "io sono un ateo". Guardate che oggi ognuno di noi è un uomo religioso, la marcia di oggi è uno stupendo gesto religioso. Ogni uomo deve darci un perché, il significato delle cose. Il sogno di Dio è raccolto in queste tre parole: una economia di uguaglianza, una politica di giustizia che domanda una religione dove Dio perché libero è il Dio che lotta e sta al fianco di tutti gli emarginati, di tutti gli schiacciati dalla società. Ecco perché il giubileo non può essere altro che il sogno di Dio, il tentativo, tradotto poi in chiave legale attraverso i sette giorni, il sabato, attraverso i sette anni, attraverso i sette per sette quarantanove anni e poi il cinquantesimo anno. Sono tutti tentativi profetico-legali per riportare nel popolo di Dio il sogno di Dio: quel popolo che Dio voleva come società alternativa all'impero. Il cuore del giubileo è tutto in questo tentativo di fare uguaglianza. Dio vuole che tutti i suoi figli gustino la gioia di sedersi al banchetto della vita, dove ce ne sia per tutti, dove tutti possano godere dei beni di questo mondo. Purtroppo, permettetemi di dire, (e io che vivo a Korococho non ho bisogno di statistiche; i volti della mia gente me lo dicono ogni giorno): guardate che la tragedia dei poveri continua con gemiti inenarrabili. I poveri diventano sempre più poveri. Il 50% dei ragazzini di Nairobi praticamente non riesce nemmeno più ad entrare in prima elementare. E lo sapete bene questo a cosa è dovuto: alle politiche assurde degli aggiustamenti strutturali imposti dal Fondo Monetario, dalla Banca Mondiale. Se vogliamo parlare seriamente dobbiamo contestare un sistema che permette al 20% del mondo di papparsi 1'80% e più delle risorse di questo mondo e che lascia al 20% del mondo 1'1,4%. E' un sistema di peccato, è pura ingiustizia. Ha ragione la Susan George quando chiede "ma questo mondo, due miliardi di uomini, hanno diritto sì o no di esistere?". Ci hanno fatto fare una guerra assurda, quella del Kossovo, per la pulizia etnica addebitata a Milosevic, ma ogni anno noi provochiamo una pulizia etnica, un olocausto continuo. Questo sistema economico retto dal Fondo Monetario, dalla Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio, questa economia può stare in piedi soltanto per il potere delle armi. Senza le armi quel 20% del mondo che si pappa le risorse non potrebbe mai continuare a vivere così. Lo strapotere delle armi! Le armi non servono a proteggerei ai confini, servono a mantenere privilegi, servono a mantenere la ricchezza nelle stesse mani. Questo sistema minaccia poi l'ecosistema ed è bello che siamo qui all'ombra di Francesco d'Assisi. E' stato lui, il genio più grande che abbiamo mai avuto, che ci ha ricordato la bellezza della natura. Guardate che questo sistema ci porta inesorabilmente alla morte ecologica. Gli scienziati danno 50 anni e sarà la fine. Quando la sonda russa che è arrivata vicino a Venere ci ha mandato un messaggio chiarissimo: su Venere c'era la vita ed è stata uccisa dai raggi ultravioletti: sono gli stessi che stanno entrando con il buco dell'ozono. Sono questi fenomeni che ci ammazzeranno tutti perché noi, il 20% del mondo, è sordo a qualsiasi richiamo (non sono i poveri per favore, sono i ricchi che fanno e disfanno su questo mondo sperperando e consumando). Guardate che in 50 anni abbiamo consumato più che in un milione e mezzo di anni della vita dell'uomo su questa terra. E' questa la tragedia! Allora permettete mi alcuni suggerimenti, e vengo al pratico. Prima vi ho detto l'importanza dell'economia. Per favore contestate seriamente la Banca Mondiale, contestate il Fondo Monetario, contestate l'Organizzazione Mondiale del Commercio, e sapete che in questi giorni vostri amici sono andati a Praga per opporsi, ed è un momento importante questo, dobbiamo manifestare solidarietà con loro. Non è facile dire questo, credo, per il Presidente uscente del Fondo Monetario Internazionale le cui mani, sapete bene, grondano di sangue (per me, almeno, per le decisioni che ha preso). Eppure quest'uomo, a Manila quest' anno, quando ha fatto il suo discorso finale ha avuto il coraggio di dire. "ragazzi miei, la torta economica non si può più aumentare: dobbiamo solo imparare a dividerla un po' più giustamente". E' tutto qui, guardate. Tutto quello che i vostri politici vi contano è una balla: non c'è uno sviluppo sostenibile! Dobbiamo incominciare seriamente a confrontarci in questi termini. Il problema politico è gravissimo: la politica, i partiti, lo stato, sono diventati tutti ostaggi dei potentati economici. Questo non vuol dire - per favore - abbandonate la politica, ve lo dice un poveraccio di missionario che viene da Korococho. Tocca a voi di reinventare la politica. Vedo qui un sacco di giovani. E' stato bellissimo l'altro giorno a Cantù: m'hanno chiesto di fare da padrino a una lista civica di ragazzi dai 20 ai 30 anni che vengono dalla nonviolenza. "Dateci la possibilità, hanno detto di dimostrare che si può fare politica localmente pensando globalmente". Tocca a voi giovani farlo. Ecco la sfida: reinventate la politica. Ho scritto in chiave politica "salvate l'Italia". Mi sono visto citato a destra e a sinistra, da Veltroni. E allora mi sono sentito in coscienza di scrivergli una lettera. Una lettera in cui gli chiedo, per favore, Veltroni, io faccio un determinato discorso. Se tu mi citi in giro, devi essere capace di tradurlo in concretezza politica, altrimenti ci prendiamo in giro... Permettetemi adesso di darvi degli spunti sulle armi, ma permettetemi innanzitutto di dirvi tutto il mio disappunto, la mia rabbia perché questi anni '90 ci hanno visto perdere tempo. C'era molta più grinta, più voglia di lottare negli anni '80, quando eravamo molto più malmessi. Sta scendendo, in quest'Italia, di brutto il barometro della pace. Dobbiamo ritornare a prenderlo in mano. Vi ho detto che le armi sono strettamente legate all'economia: è comprensibile che dopo il crollo del muro di Berlino spendiamo ogni anno 800 miliardi di dollari in armi? E' una vergogna. Totale. Dobbiamo smetterla. Guardate che tutti segnali in chiave armi sono tutti negativi al massimo. Il senato americano a maggioranza repubblicana ha votato a grande maggioranza d non firmare il trattato per la non proliferazione delle armi nucleari. E' di una gravità estrema perché sapete questo che vuol dire per tutti noi' Guardate che la atomica è parte essenziale dell'armamento. Gli USA hanno già deciso di spendere per rinnovare l'armamento atomico circa 60 miliardi di dollari. In Italia, ad Aviano, abbiamo 17/18 siti atomici in quella base da eu sono partiti gli aerei per bombardare quello che sapete. E' mai possibile che 78 vescovi americani abbiano avuto il coraggio di dire a Clinton "noi non accettiamo più questa roba e se negli anni '80 abbiamo detto che era ancora possibile tenere le armi atomiche per difenderci dalla Russia, oggi è immorale non solo l'uso, ma anche solo il possesso". Quando mai i vescovi italiani ci diranno questo? Devono dircelo. Pensate bene problema della NATO. Ho chiesto a Veltroni: siete pronti a contrastare i progetti di guerre stellari e a delegittimare una NATO usata per una politica imperiale? Guardate che lui ha risposte che "delegittimare" forse per un politico è una parola troppo forte, che dobbiamo radicalmente ripensare la NATO. Lo ringrazio di questo, ma guardate che attraverso la NATO gli Stati Uniti fanno fare qualsiasi cosa che vogliono. E questo è ingiusto. Vi ho citato le guerre stellari: ebbene quando è passata l'approvazione per un nuovo progetto, non ho sentito levarsi una voce autorevole a contrastarlo. Reagan che voleva queste guerre stellari, ci ha poi rinunciato. Adesso, nel silenzio più totale, ci accingiamo a veder spendere 800 miliardi di dollari l'anno in armi! Gli Stati Uniti dal 1983 ad oggi hanno speso solo su questo già 70 bilioni di dollari: pensate quello che ci costerà alla fine lo scudo spaziale! Dobbiamo dire no a tutte queste logiche. Guardate che stiamo scivolando in questo paese verso qualcosa di grave: il nuovo modello di difesa è molto pericoloso: un esercito di professionisti è molto pericoloso. Lo sapete molto bene quello che avviene. Per favore in un contesto del genere permettetemi di vergognarmi di questa Italia. L'altro giorno ero a Quarrata, insieme al capogruppo alla Camera di Rifondazione e mi fa "Alex, sai le ultime notizie sulle armi in Italia? Abbiamo appena comprato l'Eurofighter, 120 miliardi, e ne abbiamo ordinato 100". Ma quando mai protesterete su queste cose? Ma è qui dove dobbiamo gridare NO. Ci stanno preparando due portaerei. Costeranno l'una 3.000 miliardi! Ma a fare che cosa? A difenderci dai marocchini che ci invadono? Ma smettiamola. Nel nostro piccolo ho chiesto a Veltroni: come mai il disegno di legge per controllare la produzione e l'export di armi leggere dorme ancora in parlamento? E' un anno e più e tutti mi dicono di parlarne agli altri partiti... non si muove nulla, ma voi dovete cominciare a gridare che non si può più accettare questo tipo di roba. Da qui l'importanza della marcia, dell' organizzarci, dell' andare avanti. Permettetemi di dire una cosa a livello di Veltroni. Dice nella sua lettera che è disposto a sostenere una ipotesi di embargo totale delle armi italiane verso l'Africa. Voi sapete che l'Africa è un paese dove si esportano un sacco di armi e dove 300 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. Per favore sosteniamo l'embargo totale per le armi all'Africa. Due cose ancora: mi ha fatto male vedere che nel contesto del giubileo, c'è un giubileo per le forze armate e nessun giubileo per gli obiettori di coscienza. A questa chiesa italiana voglio chiedere che abbia il coraggio finalmente di dire che chi ha inventato la non violenza non è Gandhi o Martin Luther King o chi sa chi. E' Gesù Cristo. Guardate che se la Chiesa dicesse questo sarebbe una rivoluzione. Permettetemi una battuta finale perché la ritengo importante in questo momento storico che stiamo vivendo in Italia e quello che si va dicendo sugli zingari, gli immigrati: guardate che questi discorsi sull' identità veneta, sull'identità cristiana, sono pericolosissimi. E permettetemi di dire tutta la mia sofferenza di fronte alla affermazione del cardinale Biffi.
Come missionario, fedele alla tradizione ebraica e cristiana, che ritiene che fare missione vuol dire farsi arricchire dall'esperienza degli altri e che oggi vi dice di continuare a imparare quello che ci diceva Tonino Bello: trovarci arricchiti dalle nostre differenze, gli uni degli altri. Ve lo dicono le parole di un vescovo cattolico che ha pagato con il sangue queste parole. Si tratta di Monsignor Clavery, vescovo di Orano in Algeria che, rientrato a casa, insieme al suo autista Mohammed, ha acceso la luce ed è saltato per aria, per l'effetto di una bomba collegata all'interruttore. L'anno prima era stato convocato a Marsiglia, dove ha raccontato la sua esperienza di vita e come ha incontrato l'altro differente da sé. Sentite che cosa dice. "Nella mia esperienza di vita sono giunto alla conclusione che non c'è umanità se non al plurale e che quando pretendiamo all'interno della Chiesa cattolica, e ne abbiamo triste esperienza, di possedere la verità o di parlare a nome dell'umanità, cadiamo nel totalitarismo e nell' esclusione". Nessuno possiede la verità: menomale che un vescovo lo dice. Ognuno la ricerca. Ci sono certamente verità oggettive, ma che vanno al di là di tutti, alle quali non si può accedere se non attraverso un lungo cammino ricomponendole a poco a poco, prendendole da altre culture, da altri gruppi umani. Quello che altri hanno acquisito, hanno cercato nel loro cammino verso la verità. lo sono credente, credo che c'è un Dio, ma non ho la pretesa di possederlo né attraverso Gesù che me lo rivela né attraverso i dogmi della mia fede. Dio non si possiede, non si possiede la verità e io ho bisogno della verità degli altri. Io tornerò nei sotterranei della storia. E' stato bello guardarci in volto. Continuate a resistere nel cuore dell'impero. Grazie a voi.
Alex Zanotelli
Finalmente la verità sulla creazione dell'uomo
Un giorno, nel giardino dell'Eden, Eva si rivolse così a Dio:
- Signore, ho un problema!
- Qual è il problema, Eva?
- Signore, io so che mi avete creata e mi avete dato questo magnifico giardino e tutti questi meravigliosi animali e questo gran buffone di serpente, ma io non sono proprio felice...
- Perché, Eva? - domanda la voce dall'alto.
- Signore, io sono sola e ne ho le tasche piene delle mele!
- Ok Eva, se è così io ho una soluzione. Creerò un uomo per te.
- Cos'è un uomo, Signore?
- Quest'uomo sarà una creatura imperfetta, con molti difetti. Mentirà, trufferà, sarà vanitoso e si aureolerà di gloria; concretamente, te ne farà vedere dì tutti i colori. Egli però sarà più grande, più forte, più veloce e amerà cacciare e uccidere. Avrà un'aria ridicola quando sarà eccitato, ma, dal momento che ti sei lamentata, te lo farò adeguato a soddisfare i tuoi bisogni fisici. Egli sarà un po' sempliciotto e si divertirà con cose inutili come battersi e giocare al pallone. Non sarà troppo brillante e così avrà bisogno dei tuoi consigli per orientare bene il suo pensiero.
Splendido!- disse Eva, alzando in modo ironico le sopracciglia,- dov'è il tranello, Signore?
- Ok, tu puoi averlo a una condizione.
- Quale, Signore?
- Come ti ho detto, egli sarà fiero, arrogante e vanitoso. Quindi tu dovrai lasciargli credere che l'ho creato per primo. Ma ricordati: è il nostro piccolo segreto; sai, da donna-a donna...
da "Uomini in cammino" foglio mensile del Gruppo Uomini di Pinerolo c/o Beppe Pavan, C.so Torino 114 - 10064 Pinerolo (TO)
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