Inizio a scrivere queste righe in un pomeriggio assai ventilato, verso la fine di giugno. Sono seduto vicino ad un fico che apre il suo grande ombrello e, almeno in parte, mi ripara dal sole. Di fronte ho un campo di grano appena trebbiato; solo la paglia è rimasta per terra in attesa della macchina che la raccoglie e la pressa.
Sono momenti in cui mi rendo conto di abitare una terra bella; di aver avuto in sorte di poter vivere dove il mare e la montagna si toccano e la campagna fiorisce bagnata dalle acque silenziose dei canali di bonifica.
Momenti in cui trovo pace e la stanchezza del mio corpo appesantito e usurato può emergere suscitando tenerezze di ricordi e dolci malinconie.
Momenti.
Il quotidiano incalza. Dopo la morte di Beppe, ho continuato a tirare avanti le cose con buona volontà, cercando di tenere sotto controllo i miei timori e tremori. Quanto e come ci sia riuscito, non lo so, ma non potevo fare diversamente, tanto mi pareva una colpa solo l'essergli sopravvissuto. Ora sta lentamente emergendo la responsabilità.
Di fronte alla vita. A quella che mi viene donata. Giorno dopo giorno.
Nei modi che mi sono propri (assomiglio molto a quegli alberi dal tronco nodoso e torto, dalla scorza spessa, aspra e rugosa) ho iniziato un percorso per raccogliere impegni e presenze cl si sono allargate e diversificate nei tempi belli della nostra stagione migliore: dal capannone degli artigiani all'Arca di don Sirio e al Campo della Pace; poi la Crea, l'Arca di don Beppe, la parrocchia della Darsena e la Casa Pucci per g anziani, "Una Casa per l'Handicap"...
Un impegno umano, sociale, religioso assai diversificato e collegato dal percorso quotidiano ai grandi temi della fede, della non violenza, della ricerca della pace e della giustizia, dell'utopia di un mondo rinnovato dall'incontro di Dio e dell'uomo e della donna.
Non so davvero per ora quali saranno i passaggi di questa nuova strada, ma so che un punto importante è la ricomposizione dell'esistente intorno ad un tema di fondo che ne ripropone il progetto. Sostenibile oggi, in questa fase autunnale: stagione dai colori intensi e caldi, tempo di semina, umile nell' inchinarsi alla terra perché germini speranza.
La parabola della vita porta al "restringimento dei campi".
La lettera di Leonardo, amico lettore da decenni, riportata a pago 15, descrive questa traccia che appartiene alla storia di molti ed anche alla storia della Chiesetta del Porto e di Lotta come Amore.
La stessa avventura dei preti operai conosce questo tratto di strada che, invece di esaurirsi per l'inevitabile uscita di scena, stimola a secernere le tracce del proprio vissuto perché non manchi sulla tavola dell'umanità il vino dell'ultima spremitura, più forte perché fatto di uve esposte fino in fondo al sole e all'aria aperta.
Non me ne vogliano - o almeno non me ne vogliano troppo! - gli amici che mi rimproverano di non trovarmi disponibile a casa o che non giro più dalle parti di casa loro come prima. Sento che per me questo non è solo il tempo dell'incatenamento a un pesante quotidiano, ma anche il tempo in cui nel buio del nascondimento la luce opera le sue alchimie di vita.
A seguire queste mie riflessioni, troverete un sunto dell'intervento di Arturo Paoli a Viareggio nel corso di un incontro avvenuto prima di Pasqua sul tema del giubileo e della conversione. Quanta energia e quanto calore nel suo messaggio. Quale invito forte e sincero a scalzare alle radici i nostri schemi di pensiero e di azione per rinnovarli alla luce di verità antiche quanto la terra ed insieme alla accoglienza della tragicità del mondo di oggi e al miracolo di una fede chiamata a smuovere le montagne.
Quasi a voler alzare gli occhi verso l'orizzonte della gioia e della pace, segue la traccia di un'omelia che l'amica Grazia Maggi ha raccolto nella chiesa di Marignolle (Firenze). Ho raccolto poi - per la rubrica "Popoli senza volto" che negli ultimi numeri ha lasciato spazio ad altri argomenti - una intervista a Padre Alex Zanotelli comparsa su Nigrizia e diffusa dalla Agenzia Misna (misna.com). L'Africa è un campo di battaglia e di conquista ben oltre i già tragici conflitti agiti ed emergenti. Siamo abituati ormai alla carta geografica africana con quei confini tra stato e stato che sembrano tirati (e lo sono...) con il righello. Senza il minimo rispetto per storie di popoli e culture costretti alla coabitazione forzata o alla separazione chirurgica in nome e per conto delle alleanze o dei conflitti dei rispettivi padroni. Popoli senza nome e senza volto che rischiano di scomparire nel silenzio più assoluto per un genocidio pianificato da una nuova politica economica.
Mi è parso quindi di immettere in queste pagine un elemento di speranza riportando la relazione dell' attività dell'Ambasciata di Pace a Belgrado da marzo a giugno. Resoconto di piccoli/grandi fili di relazione tessuti dalla disponibilità di uomini e donne che lavorano ormai da alcuni anni in questo campo.
E' la testimonianza di un piccolo popolo ribelle alle leggi di guerra. Di una coscienza che non pretende di cambiare il mondo, ma non accetta neppure che si chiuda il sipario su aspirazioni e desideri che sono presenti nel cuore della gente, là dove la disumanità non ha scavato così tanto fino a espiantare la speranza. Tracce di formiche che non spaventano né tantomeno rallentano la marcia dei dominatori della scena di questo mondo. Ma che restituiscono un senso al dolore e, invece di ovattarlo e anestetizzarlo con spesso finte restituzioni in atti caritatevoli e umanitari, lo indirizzano verso la ribellione dello spirito alla omologazione, alla sudditanza, alla obbedienza.
Chiude il giornalino una lettera scritta a Beppe all'inizio dell'anno da un ragazzo della Darsena. Piccoli pezzi di una storia che rimane viva. Non solo nel ricordo. Simpatia di un albero che anche se non c'è più continua a sostenere la vita.
Un saluto ed un augurio forte a tutti gli amici che ricevono questo foglio. Un ringraziamento a quanti - e sono sempre tanti - scrivono e ' inviano contributi per mandare avanti questo filo di comunicazione.
Ci incontreremo di nuovo, a Dio piacendo, nell' autunno prossimo. Il traguardo dei quattro numeri l'anno mi sembra irraggiungibile per le forze in campo e non vorrei che succedesse come lo scorso anno che per fame quattro, alla fine ne uscirono due! Essendo spesso il meglio nemico del bene, contentiamoci di tre incontri: un restringimento dei campi accettabile, non vi pare?
Nell'attesa di risentirci, prendiamo a prestito uno dei consueti saluti di Beppe.
Buona navigazione a tutti!
Luigi
Nel trattare il tema del giubileo, vorrei partire da una frase del vangelo di Marco: "Convertitevi e credete al vangelo". E' la sintesi della vita cristiana! Le parole "credete al vangelo" invitano chiaramente a fare sì che la nostra vita cristiana sia tutta una sequela di Gesù. Ma l'invito "convertitevi" è la grande proposta che Gesù ha fatto al suo tempo: "cambiate di mentalità". Non voleva distogliere la gente dalla vita religiosa, perché Gesù sa di parlare ad un popolo profondamente religioso. Voleva proporre una maniera nuova di vedere la loro stessa vita religiosa.
E io credo che anche oggi sia necessario questo: non tanto pensare a nuove forme di vita religiosa, quanto prima di tutto affrontare un cambiamento nel modo di vedere la vita religiosa stessa proprio per il fatto di voler essere fedeli al vangelo.
Mi preoccupa molto, ve lo dico sinceramente, il fatto che noi siamo dentro una forma di vita, una cultura, una civiltà che globalmente può dirsi cristiana. Dagli Stati Uniti alla Russia, tutto questo mondo, quello europeo, quello nord e latinoamericano, può essere definito come mondo cristiano perché non solo è stato evangelizzato durante i secoli, ma ha assunto visibilmente la cultura cristiana. Evidentemente entrano in gioco anche altri elementi, ma sappiamo che quello che sostanzialmente informa la nostra cultura è il cristianesimo.
Non per nulla gli americani mettono sul dollaro il nome di Dio: "Confidiamo in Dio". Non so se è una mezza bestemmia, ma, in fondo, essi vogliono dire che la loro prosperità, la loro grandezza, il dominio del mondo lo devono al fatto di essere cristiani. Ora questo Occidente cristiano per ragioni diverse e anche positive evidentemente, è diventato il centro del mondo.
Ma questo mondo cristiano è veramente un centro di pace, di fratellanza, di giustizia, o invece è piuttosto un centro di ingiustizie, guerre, disuguaglianze abissali? Mi duole rispondere che oggi, in modo particolare, il centro di tutte le guerre, della ingiusta distribuzione dei beni, di tutto ciò che è causa di sofferenze che il terzo mondo vive quotidianamente, è proprio questo nostro Occidente cristiano. Dobbiamo assumercene la responsabilità. In questo ultimo secolo non abbiamo fatto altro (certo! abbiamo fatto anche molte altre cose!) che organizzare guerre qua da noi e fuor di noi. Praticamente le guerre che si sono succedute senza tregua in questo secolo, hanno avuto tutte come centro l'Occidente cristiano. Non possiamo sottrarci alla verifica di un bilancio e domandarci: perché questo? Perché quell'Occidente che ha sicuramente delle grandi risorse e dalla sua grandi successi tecnici, scientifici, artistici e una storia - possiamo dirlo - gloriosa, è diventato a poco a poco centro di tanta realtà negativa?
Oggi con la globalizzazione, una specie di centralismo di tipo economico che ha in mano la distribuzione dei beni della terra.
Il cristianesimo, come è stato predicato e come è vissuto e come è trasmesso entra in qualche modo in questa evoluzione dell'Occidente? C'è qualcosa che non va nella nostra visione cristiana, nella nostra maniera di vivere il cristianesimo, o invece questo è avvenuto per fatalità o per altre cause del tutto diverse? lo credo che una responsabilità abbastanza grave ce l'abbiamo. Proprio noi, nella nostra maniera di concepire e di vivere la nostra fede. Ed è importante precisare questo per poter dare seguito all'invito di Gesù, alla conversione, al cambiamento di tutta una mentalità.
Che cosa è successo? La vita di Gesù, l'annuncio del vangelo di salvezza è stato trasferito per necessità storiche che ora è inutile illustrare, dal humus originale e vitale della cultura ebraica ed è entrato in quella greca, nella culla della cultura occidentale. Essa è caratterizzata da due aspetti: il dualismo e cioè la separazione tra la terra e il cielo, l'anima e il corpo, ecc. e un aspetto ancora più grave e sottinteso sempre: una filosofia che si può chiamare la "filosofia del soggetto", dell'unico, del "uno". La filosofia greca ha seguito sempre questo itinerario: ridurre tutto quello che è molteplice, differente, al "uno", per poter poi spiegare il molteplice partendo dal "uno". E questa è sempre stata la chiave della negazione di quello che è "altro", per cui noi pensiamo di essere la civiltà, l'unica religione vera, il centro del mondo. Questo anche nella forma più pura dell'Occidente cristiano che è la missione. I missionari che sono andati in Africa e in America Latina cinquecento anni fa, hanno condotto una vita eroica spinti dal desiderio di annunciare il vangelo e soprattutto di salvare le anime, sapendo che la persona non battezzata si perde, va all'inferno. Però nello stesso tempo che portavano il vangelo c'era dentro l'aspetto negativo della nostra cultura e cioè negare l"'altro" che è l'assolutamente barbaro, l'inferiore, quello che non ha ancora raggiunto il livello dello sviluppo. Questo ha creato l'atteggiamento colonialista di superiorità. L'altro deve essere negato, trasformato fino a diventare "uno" perché solamente se diventa come me allora può essere salvato. E' questa la molla fondamentale che sta dentro la nostra cultura. Questa riduzione all'uno, questo centralismo, questa tendenza al soggetto è quello che nei secoli ha prodotto la struttura politica e quella economica che corrispondono a questo schema: da lì è venuto fuori lo Stato assoluto di Hitler e Stalin e oggi è venuto fuori il Mercato e la globalizzazione.
A danno sempre dei poveri.
Recentemente proprio a Firenze economisti di tutto il mondo hanno illustrato come il sistema della globalizzazione esige per poter funzionare la morte di milioni di persone, esige che si fabbrichino armi, esige il commercio delle droghe.
Quando facciamo i nostri cortei e le nostre processioni con i cartelloni "abbasso la droga" "via le armi" ecc. tutto questo fa ridere! Possiamo farle, dobbiamo farle, però con la consapevolezza che esiste una struttura, un meccanismo che fatalmente, per il suo stesso funzionamento, ha bisogno necessariamente di impoverire e di far morire. E la molla scatenante è proprio questa nostra cultura che ha portato a questa unificazione e a questa dominazione del "uno" a danno del molteplice.
Quando si sente dire che aumenta la ricchezza nel mondo bisogna pensare che sono i pochi a diventare più ricchi. I popoli della terra non guadagnano niente da tutto questo.
Mi viene in mente Foz do Iguacu, dove abito, in Brasile. La maggior parte delle donne vanno a lavorare negli hotel frequentati dai turisti tedeschi, giapponesi, ecc. perché Foz è un luogo turistico. Queste donne vedono passare dei vassoi pieni di carne, di viveri di tutti i tipi, ma se vengono sorprese a mangiar anche solo un pezzettino di pane vengono immediatamente licenziate. La regola è che non devono toccare assolutamente nulla. I grandi vassoi che tornano dalle tavole della gente nauseata e supersazia vanno a finire in una specie di grande vasca che serve per alimentare i maiali.
In tutti questi paesi si vede questo contrasto: una grande crescita economica, un enorme guadagno, ma la gente è sempre più povera perché queste grandi ricchezze sono prodotte dalle multinazionali. Gli stati non c'entrano assolutamente niente e la loro politica è impotente.
Può fare qualcosa la religione, la fede?
Sì, a patto di ascoltare l'invito ad una vera conversione.
Il cristianesimo nel traghettamento dalla sua culla ebrea alla cultura greca, è passato da una visione in cui prevale l'obbedienza a Dio a una visione essenzialmente razionalista e cultualista. Se voi pensate alla nostra fede, alla nostra religiosità, vi rendete conto che è prevalente la teologia, la catechesi, la dottrina, il culto, le messe, le processioni, i giubilei, i pellegrinaggi ecc. ecc. Mentre nella visione ebrea quello che è prevalente è l'obbedienza al progetto di Dio.
Il progetto di Dio in sé non è la chiesa. La chiesa è l'organo attraverso il quale si trasmette, si realizza il grande disegno di Dio. Gli occhi di Dio, non sono rivolti direttamente alla chiesa, ma al mondo. E il mondo deve essere trasformato da un mondo di conflitti, da un mondo di odio, di guerre, in un mondo di giustizia e di pace. E' questo è il grande compito della chiesa e dei cristiani: un dovere di giustizia.
Nell'anno del giubileo, si è parlato sì dell'estinzione del debito, di aiutare un po' di più i poveri, si è parlato... però praticamente, se ci pensate bene, tutta la nostra attenzione è concentrata sui pellegrinaggi e sulle indulgenze, sul miglioramento spirituale ecc. ecc. e non è assolutamente vero (almeno io me lo domando) che sia cresciuta in noi la fame e la sete della giustizia. Viviamo in un mondo cristiano dove ci sono anime sante e le canonizzazioni, le santificazioni e beatificazioni, si moltiplicano ogni giorno di più: siamo tutti santi! E viviamo, nello stesso tempo, in un mondo che è sempre più crudele e sempre più ingiusto.
Assistiamo alla TV a guerre vicine e lontane. Che c'entro io? Non ho niente a che fare ... Assistiamo alla fame di milioni di persone, sappiamo benissimo che esistono migliaia di bambini denutriti ... Che c'entro io? Sentiamo un certo disagio interiore, ma non sapremmo neppure che fare perché non ci è stata data la responsabilità degli atti. Essere cristiani vuol dire essere responsabili degli altri, del mondo. E noi invece abbiamo distrutto tra poco tutta la terra. Abbiamo contaminato l'aria, contaminato le acque perché tutto è nostro, possiamo fare quello che vogliamo, assolutamente. Non ci sono limiti perché l'intelligenza è libera assolutamente e nessuno ci domanda conto di come usiamo i capitali e li spostiamo da un punto all'altro del globo. E andiamo a ritiri spirituali, andiamo a pregare, passiamo settimane intere nel sentire prediche...
Vi hanno mai fatto domande sui vostri affari? Su come usate il denaro? Su come vivete e se sentite la responsabilità degli altri? Vi hanno parlato semmai della castità, della preghiera, ma non di quello che è fondamentale perché tutti i nostri discorsi sulla vita si decidono nell'uso della ricchezza. E' attraverso i beni simboleggiati dal denaro che noi diamo la vita o che togliamo la vita agli altri. E' attraverso gesti concreti. E questo non ci è stato detto, non ci è stato insegnato e non lo viviamo: noi viviamo una fede senza etica che non ci aiuta nel comportamento del nostro vivere quotidiano.
E' questa la nostra conversione: essere responsabili degli altri. Non dobbiamo aiutare perché abbiamo un buon cuore, ma perché ci sentiamo responsabili. E quando vediamo una persona che è affamata dobbiamo sentirei colpevoli perché si è mangiato troppo, perché si hanno troppe cose nella casa. C'è una responsabilità, c'è una relazione diretta gli uni con gli altri. lo non vi posso dire di più perché so benissimo che tutto questo nella pratica diventa difficile. Però la cosa che possiamo fare è unirei e cominciare a pensare alla nostra responsabilità. Noi collaboriamo a questo mondo che viene dipinto in questi giorni a colori così foschi, così terribili. Si è parlato dell'infanzia con delle cifre e delle statistiche che fanno rabbrividire. Si è parlato della povertà che aumenta a passi giganteschi, che non è più solamente quella di una certa classe sociale perché è una povertà che avanza e sta raggiungendo il ceto medio. Tutto questo non ci può lasciare indifferenti: tutto questo avviene anche perché noi viviamo una fede che è staccata dalla vita,
una religiosità che non ha niente a che vedere con la nostra vita. Una religiosità che cerca di obbedire alle leggi morali, ma che non assume la responsabilità di vivere in mezzo agli altri.
Sapete che cosa dobbiamo fare per vivere in una maniera diversa? Immetterci in una cultura che sta lentamente avanzando: la cultura dell'altro. La mia identità non è unicamente mia: mi viene data dall'altro, dalla responsabilità verso l'altro. Tutta l'umanità che è ora vittima di questa distruzione dovrà pensare ad una società nuova che deve essere più solidale, più responsabile, realmente fraterna. La fatica di pensare un mondo nuovo non come una cosa inutile, ma come precisa responsabilità anche di noi credenti, come la nostra risposta a Dio. Vorrei che questo giubileo non passasse in feste religiose, ma soprattutto fosse un perdere di vista il nostro io. Non pensiamo più alla vita in funzione del nostro io perché è da lì la rovina del mondo. Cominciamo a pensare in funzione degli altri; dimentichiamoci di noi e coglieremo finalmente la felicità del vivere. Cominciamo a pensare agli altri, a proiettarci negli altri, a pensare la nostra vita in funzione degli altri e vedrete come ei sentiremo bene, come sentiremo che la vita è bella proprio quanto più è impegnata, quanto più è responsabile, quanto più è rivolta agli altri.
Apriamo i nostri orizzonti verso le grandi sofferenze del mondo, i grandi bisogni del. mondo e cominciamo pensare in maniera più grande. La nostra vita è troppo triste, troppo malinconica perché è troppo piccola, troppo meschina. Non vale la pena di vivere per il nostro io, per l'io del vicino. Apriamo gli orizzonti: questo sia il risultato del giubileo e speriamo che per noi sia davvero così.
Fratel Arturo
"Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi".
Questa è la nozione chiara della Resurrezione che traiamo dall'episodio narrato nel Vangelo di Luca (28,27-38).
I Sadducei erano scettici di un certo livello, soprattutto riguardo alla resurrezione, e pongono a Gesù questa domanda, dopo aver raccontato l'episodio di quella vedova che sposò uno dopo gli altri sette fratelli senza aver mai avuto figli da nessuno di loro: "Dopo la resurrezione di chi è moglie questa vedova?"
Quest'interrogazione è ironica, fatta con il sorriso sulle labbra. Gesù pare non rispondere sul serio, come ha fatto sempre quando si è trovato davanti gente piena di cattiveria e di malizia.
Essi ragionano con uno schema sbagliato riguardo a cose che in questo momento ci sfuggono.
Noi viviamo nel tempo, nello spazio, nei confini della finitudine, nel contingente e tutto il nostro modo di ragionare ne risente. Il "dopo" non lo possiamo descrivere con gli stessi termini: è inadeguato il nostro modo di accostarci al mistero che ci avvolge e il mistero della nostra carne dopo la morte è imprevedibile.
E' impossibile ragionarci sopra se non cadendo nel ridicolo, nel modo subdolo e sardonico insieme dei Sadducei: "Che faremo nell' eternità, in cielo?".
Usiamo un modo di dire che è della terra. Abituiamoci invece a vivere nel mistero della vita del domani.
Non possiamo immaginarci quel che saremo un giorno quando saremo immersi nell'infinito di Dio, immersi nell'Essere. Che sarà l'amore, che sarà la gioia, che sarà un giorno la felicità?
No. Sarà diverso.
Immaginiamo che saremo in Dio, ma la speranza che riempie il nostro cuore non sarà mai compiuta sulla terra. Come la filosofia non riuscirà a rispondere a tutte le domande del mio spirito e neppure la conoscenza di Dio su questa terra riuscirà a saziare la mia voglia di Lui.
Non pensiamo come i Sadducei, questa gente che si considera intelligente e che alla fine risulta sconfitta: "Ti ringrazio, Padre, perché hai nascosto queste cose, inimmaginabili e grandi, ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli!" .
Esplorare il mistero a fondo è accoglierlo nella nostra vita come una grande ricchezza. Accogliere il bisogno di assoluto, di un Dio che ci sfuggirà sempre e che desidereremo sempre cercare di raggiungere.
In fondo è questa la preghiera: rincorrere Dio con tutto il desiderio. Come dice S. Paolo: "Cerco di conquistarlo, ma più mi avvicino, più si allontana". Corre S. Paolo, non materialmente, ma con tutto il suo desiderio. E S. Agostino ugualmente dice: "Man mano che si rivela, hai sempre più voglia di Lui; più Lo conosci, più si allontana" .
Questo desiderio di Lui è la nostra ricchezza: non sappiamo cosa saremo; se lo domandano i Sadducei. "Non vi saranno più i rapporti che sono sulla terra, non vi sposerete, non ci sarà più il tempo, lo spazio, questa gioia sempre precaria, come la salute, l'amore... Il paradiso è il tutto infinito, la vita in assoluto con il Dio dei viventi, la gioia infinita. Il nostro essere sarà finalmente inserito nell'Essere totale: saremo "in-diati". Perché il dolore che opprime l'uomo sulla terra? Perché l'ingiustizia, la solitudine, perché questo vivere in modo invivibile, questa voglia di gioia mai esaurita, quest' amore cercato e mai soddisfatto?
Accettiamo il mistero. Poi, saremo collocati in Dio e il mistero in lui scomparirà: avremo una risposta al dolore, alla voglia di gioia, al bisogno di amore...
Questa è la risposta di Gesù alla stupida domanda dei Sadducei: viviamo il mistero dell'oggi come grande speranza del domani!
Omelia sull'episodio narrato in Luca 2 e registrato durante la messa nella Chiesa di Marignolle (Firenze)
Tra il 28 e il 30 aprile si sono incontrati a Viareggio i pretioperai italiani. Lo hanno fatto per il terzo anno consecutivo, ospitati nel capannone del Porto dove lavorarono negli anni ' 80 e '90 don Sirio Politi, prima, e don Beppe Socci in una impresa di calda e generosa cucitura di rapporti tra la sapienza del lavoro artigiano e i bisogni di identità e di storia di persone più o meno gravemente svantaggiate.
E in questo capannone, in occasione degli incontri dei preti operai, è stato ricavato uno spazio per la comunicazione, lo scambio via via assorto e pensoso, vivace e critico, a scontro di differenze incolmabili tracciate dal solco di una vita. Al centro, di fronte a chi entra, un cubo di vetro che sostiene una incudine massiccia e sopra, come appesi nell' aria, una mazza e un paio di enormi pinze da forgia: la leggerezza della materia, il peso dello spirito. E poi il lungo ininterrotto tavolo che gira intorno ai pilastri portanti a raccogliere senza soluzione di continuità quel gruppo di uomini così diversi tra loro eppure capaci di condividere il cuore.
Di uomini e di donne; perché il gruppo non si è stretto intorno ad una esclusiva specificità, ma si è ulteriormente diversificato in presenze femminili e maschili oltre la stretta connotazione del prete. Un gruppo comunque connotato dall'età e quindi inevitabilmente sottoposto al logorio della fatica di vivere, alla malattia, alla morte. Questo anno pesa in modo particolare quella di Nicolino Barra. E poi, (anche nel piccolo gruppo dei preti operai a dimostrazione di una diffusione drammatica) gli infortuni sul lavoro, scotto cinicamente accolto nella colonna delle perdite da una economia di gestione eretta ad idolo nel tempio del mercato.
A questa storia il capannone di via Virgilio si è aperto in questi tre anni, mutando segni e spazi a seconda dello svolgersi quotidiano del lavoro della cooperativa sociale che vi ha sede. Storia di un gruppo che vive i segni, le ferite, le fruttuosità e i vuoti che il tempo trascorso porta con sé. Storia vissuta e testimoniata; non ancora interpretata per la mancanza di quella distanza critica che normalmente i protagonisti della storia non possono possedere. Anche se, come scrivono Roberto Fiorini e Angelo Reginato nella relazione introduttiva, il riferimento di questa storia vissuta nel concreto, ma pure testimoniata ed elaborata nei piccoli spunti interpretativi tentati, è al Vangelo di Gesù ed alla salvezza promessa da Dio ai piccoli e ai poveri, agli umiliati e offesi, quale speranza per tutto il mondo. Per questo - continua la relazione - nella sera del cammino del nostro gruppo di preti operai italiani, abbiamo pensato che fosse giusto collocare al centro della nostra attenzione la riflessione sul vangelo, come evento e parola, nel tempo. La nostra esistenza nel suo sbocciare e nel suo raccontarsi, ha voluto esserne una concreta incarnazione, per usare una delle parole che per molti anni hanno veicolato il senso della nostra scelta, in un tempo preciso: nell' arco che va da prima del Concilio alla fine del secolo. Il nostro è stato un tentativo di mettere in contatto il Vangelo, così come appare nel racconto, e soprattutto l'evento in esso annunciato, con la concretezza della vita mondana, materiale e spirituale, conflittuale e condivisa con tanti compagni, espressa nel lavoro. Forse - ma perché no? - siamo la materia di una parabola evangelica o, se volete, come scriveva don Sirio, un rottame nel grande mare dell'umanità sul quale "può esserci scritto un nome e può significare tutta una storia bellissima, così tanto da meritare di essere tutta O quasi raccontata". Il forse è d'obbligo, perché il giudizio vero ed ultimo non appartiene a noi.
Il prossimo anno il piccolo gruppo dei preti operai emigrerà da Viareggio per arrivare a Strasburgo. Nella Pentecoste 2001 si riuniranno in quella città i preti operai europei intorno al gruppo ancora molto consistente dei pretioperai francesi. Sono già diversi anni che una quarantina di preti operai francesi, italiani, spagnoli, tedeschi, portoghesi, belgi, tanto per citare quelli più rappresentati, si riuniscono per due/tre giorni in uno o l'altro dei paesi d'Europa.
E sono occasioni di incontro cui via via si uniscono preti di altre nazioni spesso isolati nelle loro esperienze di vita che fanno registrare distanze notevoli rispetto ai modelli più rappresentati. Inizialmente ci si è impegnati a fornire squarci di testimonianze dai singoli paesi per cogliere le caratterizzazioni, le differenze. Ma si è andati man mano constatando quello che ora appare chiaro a tutti ora che l'Europa è una realtà, e cioè l'univocità del modello culturale ed economico dai modesti cantieri navali della zona di Setubal sull' Atlantico al cuore della Wolkswagen e della BMW . Appare chiaro ora che vale la pena di fare emergere interrogativi comuni, riannodando i fili di storie diverse solo in superficie. Nella fatica di una chiarificazione - anche sulla base di queste storie - di quello che è stato il tema dell' incontro di Viareggio di questo anno: "Il Vangelo nel tempo". La fatica di una ricerca raccolta nel segreto e da gridare sui tetti perché - sempre secondo la relazione citata - "il fatto stesso che ci sia bisogno di una introduzione per la chiarificazione dei termini su cui verte il nostro incontro - Vangelo e tempo - la dice lunga riguardo agli smarrimenti della strada maestra avvenuti in questi venti secoli di cristianesimo. Dovrebbe essere del tutto ovvio il legame tra Vangelo e tempo, invece... ".
È fatta. Con il voto del senato, l'11 maggio scorso, si è concluso a Washington l'iter parlamentare dell' African Growth and Opportunity Act (Agoa), quella legge che Clinton aveva promesso due anni fa in pompa magna lungo il suo periplo africano al fine di favorire gli scambi commerciali con il continente nero e gli investimenti statunitensi. (Nel testo finale di legge sono stati inclusi anche 25 paesi caraibici). Abbiamo chiesto ad Alex Zanotelli, che ha intuito la pericolosità di questo disegno fin da quando Clinton lo preannunciò al G-7 di Denver nel '97, di commentare per Nigrizia il varo di questo "Nafta for Africa" (,'Nafta" è l'Area nordamericana di libero commercio, che ha già prodotto i suoi effetti nefasti e cui rassomiglia l'Agoa).
"Questa legislazione deve essere collocata in un contesto economico-politico ben preciso di mire americane. E quando si dice "americane", si intende che fanno da supporto ai grandi potentati economici, cosicché la politica si riduce a copertura di decisioni economiche. In questo senso va capito quanto affermò Ronald Brown, segretario di stato al commercio, nel dichiarare - pubblicamente - che il tempo dell'egemonia economica e commerciale dell'Europa in Africa era finito: "l'Africa ora ci interessa ".
Una dichiarazione, aggiungiamo noi, che viene curiosamente a inverarne un'altra, proferita da tutt'altra bocca trent'anni prima: "Gli Stati Uniti non avevano colonie in questo continente ed ora lottano per penetrare nelle chiuse riserve dei loro soci. Certamente l'Africa, nei piani strategici dell'imperialismo americano, costituisce la sua riserva a lunga scadenza" (Che Guevara).
Torniamo a Zanotelli. "Bisogna mettere in questo contesto la guerra di Kabila (Brown parlava proprio nel '96), finanziata dagli Usa proprio per avere accesso, insieme alle multinazionali dei diamanti e dell' oro del Sudafrica, alle miniere e alle grandi ricchezze del Congo-Zaire, soppiantando così le potenze europee.
Quando Kabila vince e poi si mette a fare una politica nazionalista, ecco immediatamente la reazione. E riparte la guerra, tuttora in corso in Congo, una guerra voluta, perché le multinazionali possono così fare quello che vogliono. Meno stato c'è, meglio è. Col suo viaggio nel '98, Clinton visitò le nazioni in Africa che riteneva più presentabili per inaugurare quello che chiamava il Rinascimento africano. Un viaggio estremamente importante perché la finalità non era andare a tessere le lodi dei vari Museveni e Kagame, come ha fatto; ma era soprattutto il lancio della politica economica americana verso l'Africa e la preparazione del Nafta for Africa. Va dunque situata qui questa legislazione voluta per aprire l'Africa subsahariana al grande mercato: la nuova frontiera dove piazzare i prodotti delle multinazionali ("un mercato potenziale di 700 milioni di consumatori", ricordava la sottosegretaria agli affari africani, Susan Rice, alla vigilia del viaggio presidenziale), ma anche dalla quale pescare le ricchezze che a loro servono. Quindi adesso l'Africa interessa agli Stati Uniti in chiave proprio imperiale".
E antiamericanismo aprioristico? "Guardate chi c'è dietro a questa legge - ci fa notare padre Alex -: le grandi multinazionali. Si sono anche ufficialmente costituite, a tal fine, nella Agoa Coalition Inc. consultare, su Internet, www.usafrica.org, (ndr). Alcuni nomi: Texaco, Mobil, Amoco, Caterpillar, Occidental Petroleum, Enron, General Electric, Chevron, Kmart... Sono fra le peggiori, note a livello mondiale per essere tra quelle che violano di più i diritti umani. Persino il New York Times in un editoriale del '98 ha scritto: "Ma questa legislazione non è che un pacchetto di benefici a favore delle fiorenti multinazionali e una minaccia per la sovranità degli stati subsahariani che gli stessi sostenitori della legge dicono di voler aiutare". E il New York Times, lo sappiamo, è la voce del padrone.
Il Nafta è insomma un'espressione della volontà delle multinazionali di aprirsi ai mercati africani e di creare questa nuova possibilità che la legge chiama, con un termine che è ormai eufemistico, free trade: libero commercio. Durante il viaggio di Clinton lo slogan del viaggio era: Trade, not aid (Commercio, non aiuto). Strano "libero" mercato, d'altra parte. Una rete di ong, chiese e sindacati ha denunciato a metà aprile, dall'isola Maurizio, come "gli Usa restringano unilateralmente il mercato ai soli paesi africani che si sottomettano alle loro condizioni".
Che sono, chiaramente, quelle che fanno parte del pacchetto di Fondo Monetario e Banca Mondiale. Se non c'è nessuna menzione degli aggiustamenti strutturali è perché gli vanno benissimo. Né c'è alcuna menzione - che per lo meno faceva capolino nella legislazione "alternativa" di Jessie Jackson Jr. - del debito, se non nel mero ambito dell'iniziativa Hipc della Banca Mondiale. Non solo. C'è nella legge la clausola che le nazioni africane dovranno diventare membri della Organizzazione mondiale del commercio, con tutte le regole che questo comporta. Così, mentre l'Accordo multilaterale sugli investimenti è stato sconfitto in sede Ocse, il club dei paesi più industrializzati, le idee fondamentali del Mai rientrano adesso, in pillole, attraverso l'Agoa. Vi ritroviamo infatti gli abbattimenti delle barriere doganali; l'apertura agli investimenti, riservando alle multinazionali lo stesso -trattamento dovuto alle imprese nazionali... È una maniera di immettere l'Africa nel mercato mondiale, in questo momento per lei difficilissimo, in un modo neocoloniale, neo li peri sta, tra i più vergognosi che esistano. E un modo, ritengo, di uccidere gente: ecco perché ho già usato l'espressione 'genocidio pianificato'''.
E le conseguenze non sono solo per l'Africa. "Provo rabbia - conclude Alex nella sua conversazione con Nigrizia - per il silenzio totale in cui avvengono queste cose, un' omertà e una cecità che fanno paura. C'è l'incapacità o la non volontà di smascherare i meccanismi imperiali - economico-imperiali. Il silenzio che ho trovato in Europa mi ha fatto davvero impressione. lo non chiedo all'Europa carità, chiedo semplicemente che guardi ai propri interessi!
Gli interessi "politici" sono irrilevanti ... vecchi ricordi storici, ormai quello che è importante è l'aspetto economico, d'accordo. Ma per l'appunto i paesi dell'Unione europea hanno grossi interessi in Africa, che verranno spazzati da questa mossa. Non c'è stata riflessione o pochissima, quando è da più di tre anni che negli Stati Uniti l'Agoa sta andando avanti. Nemmeno in Italia se ne è parlato, mentre l'Italia dovrebbe giocare un ruolo estremamente importante verso l'Africa.
E la nazione d'Europa più vicina all' Africa, dovrebbe fare da ponte. Invece c'è, da parte di tutti, di tutti i partiti, un disinteresse totale. Capisco le destre... ma anche una larga parte della sinistra non ha riflettuto su queste cose. ~ questa maniera verremo travolti tutti.
E inutile, poi, parlare di politica: é semplicemente il mercato che fa tutta la politica.
Ed è già in dirittura di arrivo un grande "Nafta" per la Cina. E così che il mercato avanza".
(Ambasciata di pace di Belgrado Relazione sull'attività 30/5 - 23/6/2000)
Bogutovac: Il vecchio direttore della scuola di Bogutovac, sig. Djurovic è attualmente in pensione, sostituito nelle sue funzioni dal sig. Milkovic. Djurovic ha comunque lasciato trasmesso le "consegne" sulla situazione del gemellaggio con l'Istituto Comprensivo Primo Levi di Verona e non ci dovrebbero essere problemi di nessun genere. Il pacco proveniente dalla Primo Levi e' rimasto purtroppo a lungo in giacenza presso la sede di Belgrado della Croce Rossa Jugoslava, ma il direttore ne era stato informato ed era previsto che entro la fine dell'anno scolastico arrivasse a destinazione (la segreteria scolastica resta comunque aperta fino a fine mese). Ho informato il nuovo direttore della possibilità di consegnare alla scuola i 4 computer donati dalla Publiservice di Empoli tramite l'interessamento di Carla Latini ma anche delle difficoltà, ancora da risolvere, legate al trasporto e al software da installare. La scuola riaprirà il primo di settembre. Aspetto notizie al riguardo.
Aleksinac: Nelle scorse settimane ho ripreso i contatti con la scuola "Aca Milojevic" di Aleksinac e consegnato al direttore, sig. Petrovic, le lettere dei bambini della scuola di Camaiore.
I bambini di Aleksinac erano gia' stati preavvertiti e stavano lavorando alle risposte in inglese. Perciò le lettere da Aleksinac sono state inviate nei giorni immediatamente successivi, come previsto (all'indirizzo privato di Licio Lepore, che ha seguito la pratica del gemellaggio). Il direttore, persona squisita, ha ribadito che la sua scuola non ha assolutamente bisogno di aiuti umanitari di alcun genere.
In effetti il governo jugoslavo ha investito abbondantemente nel rinnovo della citta' dopo i bombardamenti, anche per il valore di simbolo assunto da Aleksinac come città martire. Ho ricevuto al riguardo del materiale, cartaceo e su CD-ROM, sui danni prodotti dalle bombe nato nel distretto. Testi in inglese e in serbo-croato, ma le immagini si commentano da sé... Cercherò di farvelo avere.
Valjevo: Per quanto riguarda il progetto di gemellaggio tra Valjevo e il comune di Scandicci non ho nessuna notizia. Spero non si sia nuovamente insabbiato e attendo notizie da chi se ne sta occupando in Italia. La direttrice dell'istituto di Valjevo, sig.ra Nikolic, mi ha fatto sapere che verso la fine di luglio Riccardo Luccio dovrebbe fare visita a Valjevo. Fatemi sapere se ci sono novità. Anche a proposito delle richieste avanzate a suo tempo dalla direttrice, lettini e/o giocattoli chicco, vorrei sapere se si e' deciso qualcosa (i preventivi erano già stati inviati nelle relazioni precedenti).
Gruppo di sostegno ai profughi di Zemun:
Nelle scorse settimane ho fatto visita al centro di sostegno ai profughi e alle ragazze madri di Zemun. Si tratta di uno dei famosi laboratori decentrati messi in piedi in questi mesi dalle Donne in Nero. In realtà non c'è un legame diretto tra le due associazioni, se non per il tramite di Rada Zarkovic, coordinatrice del centro di Zemun e attivista delle D.I.N. Il centro lavora coi profughi provenienti dalle ex Krajne, dalla Bosnia e con quelli arrivati dal Kosovo dopo i bombardamenti. Tra le attività del gruppo vi è, ovviamente, il sostegno psicologico ai profughi, ma anche alle ragazze madri in difficoltà (c'è persino un ragazzo padre... ), assistenza nei rapporti con le autorità, aiuto nel reperire medicinali. Parallelamente a questo, il gruppo ha messo in piedi un laboratorio artigianale dove gli "utenti" del centro lavorano alla produzione di tappeti, borse in stoffa etc. Si tratta, oltre che di un modo di dare un "impiego"a persone altrimenti ridotte a totale passività, anche di una forma di auto sostentamento del centro e dei suoi utenti/volontari. l manufatti così prodotti, vengono poi smerciati nel piccolo negozietto che il centro stesso gestisce a Zemun. Ma ovviamente il mercato è qui molto limitato, sia a causa della crisi economica, sia per il generale disinteresse della popolazione verso il proprio patrimonio folclorico (si tratta di prodotti realizzati in genere rispettando colori e disegni tradizionali serbi). Insieme con Rada, abbiamo pensato di cercare di estendere la commercializzazione di questi prodotti alla rete di commercio equo e solidale italiana. Per fare questo, oltre che di consigli e pareri, avrei bisogno anche di qualche aiuto logistico. So che le due principali catene di commercio Equo e solidale in Italia sono "Altroconsumo" e "Commercio Equo&Solidale". Avrei però bisogno di ottenere informazioni sul modo per contattarli, la loro mail o anche soltanto un indirizzo o recapito telefonico. Al centro di Zemun, nel caso in cui l'idea prendesse spessore, si potrebbero aggiungere molti altri laboratori di sostegno ai profughi, sparsi un po' per tutto il paese e facenti capo a diverse ONG locali.
Il nostro ruolo sarebbe ovviamente solo quello di fare da tramite e di individuare in loco alcuni di questi gruppi.
Operazione Colomba: Nei giorni scorsi sono stati a Belgrado anche i ragazzi della Operazione Colomba. Insieme abbiamo preso una serie di nuovi contatti e avviato alcuni interessanti progetti comuni.
l) Radmila Lazie: Poetessa di rilievo, intellettuale, membro permanente del Pencentar (il club serbo degli scrittori), Radmila Lazic ci ha dipinto un quadro della situazione attuale piuttosto sconfortante, non tanto o non solo per la repressione di regime sulle voci di dissidenza (che comunque esiste, anche se concentrata su base etnica), quanto per il conformismo dilagante negli stessi circoli intellettuali della capitale. Lo stesso Pencentar - ci ha spiegato - al momento dell' arresto di Flora Brovina (poetessa albanese, pacifista, impegnata nel movimento femminile delle donne del Kosovo, condannata a dodici anni di prigione per "sostegno alle attivita' terroristiche dell'UCK") esitò ad impegnarsi pubblicamente contro questo arresto pretestuoso e strumentale. Radmila Lazic, in quanto poetessa e femminista, fu inizialmente la sola a prendere una posizione di netta condanna dell' accaduto. Trovandosi, per qualche tempo, isolata in seno alla propria stessa associazione, che le aveva dato mandato di seguire il processo, ma astenendosi da rilasciare dichiarazioni pubbliche .... 11 problema, a suo avviso, non è soltanto la paura del regime, ma il timore del "politicamente scorretto" alla serba. Ovvero, secondo molti intellettuali locali, sarebbe politicamente scorretto impegnarsi a difesa di un'albanese, sia pur di rilievo quale Flora Brovina, finché la questione dei serbi del Kosovo non sia risolta.
2) OTPOR: Dei ragazzi di OTPOR si sa quasi di più in Italia che in Serbia. Ad ogni modo, OTPOR è soprattutto un movimento giovanile (ma al suo interno sono impegnate persone di età diverse), nato in ottobre 1998 nel corso di alcune manifestazioni studentesche a partire dalle facoltà di lettere, legge e economia (vedi documenti allegati). Più che di un movimento unitario, in realtà si tratta ormai di una rete di gruppi diffusi capillarmente in diverse città grandi e piccole della Serbia. Gruppi coordinati fra di loro in attività di sostegno reciproco, ma indipendenti gli uni dagli altri quanto a progettazione di iniziative e "spessore" politico. Al momento OTPOR è presente coi suoi rappresentanti in 124 città e in 57 di queste ha una propria sede ufficiale. 40.000 membri, prevalentemente studenti (stando ovviamente alle loro dichiarazioni). Le città dove sono più massicciamente e visibilmente presenti sono Belgrado, Nis, Kragujevac, Novi Sad, Uzice. In 16 mesi di attività i membri di OTPOR arrestati anche solo per qualche giorno, sono stati oltre 1200 e attualmente 2 studenti di Pozarevac sono in attesa di processo. Simbolo del movimento è il famoso "pugno serrato" (ma si tratta di un movimento non violento per statuto). Le cinque dita del pugno rappresentano i cinque elementi su cui i membri di OTPOR fanno affidamento nella loro resistenza al regime: l) loro stessi, 2) la coalizione "opposizione unita" (non i singoli partiti di opposizione, ma il coordinamento unitario in cui sono riuniti), 3) la rete di ONG locali, 4) i sindacati indipendenti 5) figure di rilievo pubblico che li vogliano sostenere (intellettuali e personaggi pubblici in genere). Dalla sua, OTPOR ha una grande creatività, che lo rende visibile e interessante, molto più vitale nelle sue iniziative rispetto a un'opposizione asfittica e che perde ogni giorno di credibilità. Non di rado OTPOR stesso funge da stimolo all'opposizione istituzionalizzata nel proporre idee nuove. La debolezza del movimento, è invece una certa immaturità politica (anche anagrafica...) e, a mio avviso, qualche problema di penetrazione nei diversi strati sociali del paese. Soprattutto, ciò che rischiano i ragazzi di Otpor è di scomparire, spazzati via da un'ondata di repressione nemmeno troppo violenta, non appena cali la popolarità interna e internazionale di cui oggi godono. Si tratta comunque di un movimento che non va lasciato a se stesso. Con Giampiero Cofano e i volontari dell'Operazione Colomba ci siamo impegnati ad aiutarli nell'elaborazione del loro sito in Italia (esiste già un sito di OTPOR in serbo, uno in inglese, e sono in preparazione quelli in altre lingue). Personalmente, mi occuperò della traduzione dei testi, mentre i volontari della Operazione Colomba si faranno carico della apertura del sito stesso (probabilmente appoggiandoci a PEACELINK). Il motivo per cui ci e stato chiesto di aprire un sito "italiano" oltre che in italiano è appunto il timore di una ondata di repressione. Nel caso in cui il sito jugoslavo di OTPOR venisse chiuso forzatamente, il movimento potrebbe comunque appoggiarsi a quello italiano.
3) Gruppo obiettori di coscienza: I gruppi che in Serbia portano avanti il discorso dell' obiezione di coscienza sono diversi, ma tutti piuttosto embrionali. Uno di questi fa capo, come per molte altre iniziative, alle Donne in Nero, che offrono il proprio sostegno alla causa e, dato non irrilevante, la propria sede per gli incontri settimanali del gruppo. In realtà, quella degli obiettori non è un'associazione reale, ma un gruppo di persone, perlopiù giovani, impegnati nel diffondere l'idea stessa dell' obiezione di coscienza come diritto. Organizzano incontri pubblici in diverse città della Serbia, soprattutto al sud, dove si è sentito di più il peso dei richiami alle armi nel corso della guerra in Kossovo e dove maggiore è stato perciò il numero delle vittime. Purtroppo le loro iniziative mancano al momento di sistematicità (ma hanno già pubblicato un loro bollettino mensile). Si tratta comunque di una delle poche realtà impegnate direttamente in questo campo (un po' tutte le ONG parlano di obiezione di coscienza, ma nessuna a quanto pare ha un impegno specifico nel campo). Attraverso di loro, cercherò di ottenere qualche dato più preciso sul numero degli obiettori presenti in Jugoslavia (in realtà sono pochissimi, data la scarsa diffusione del concetto stesso di obiezione e disubbidienza civile) e su quello dei disertori. Molti di questi, a quanto abbiamo saputo, dopo essere espatriati clandestinamente per sfuggire al richiamo, sono tuttora ospitati in campi collettivi in Ungheria e Bosnia, in attesa che i governi occidentali decidano se concedere loro l'asilo politico oppure no. Sarebbe interessante, sempre in collaborazione coi volontari dell'Operazione Colomba, ottenere più dati al riguardo e organizzare una campagna di informazione in Italia per quanto riguarda il diritto d'asilo e, in Serbia, per quanto riguarda il diritto all' obiezione. In questo ultimo caso si tratta semplicemente di appoggiare i gruppi già esistenti e offrire loro il proprio aiuto (che ci è stato richiesto), magari organizzando insieme il famoso incontro di educazione alla non violenza, o invitando alle loro iniziative obiettori italiani che portino la propria testimonianza.
Breve aggiornamento sulla repressione nei confronti delle ONG locali: Per il momento tutto tace. La polizia da qualche giorno non si presenta più dalle Donne in nero (ma l'inchiesta non può dirsi archiviata, se non altro perché nessuno sa quale ne fosse la ragione ufficiale). E non ho notizie di altre ONG visitate. Mercoledì prossimo si dovrebbe comunque svolgere una manifestazione di protesta, alla quale prenderanno parte membri delle 3 ONG vittime del controllo di polizia (stesse modalità, interrogatorio del responsabile del gruppo, ispezione finanziaria ufficiale, ma senza capi d'accusa dichiarati) e vari altri gruppi. Non sarà comunque una manifestazione "di massa". A Belgrado per lo meno, un po' tutte le ONG versano infatti in condizioni di isolamento piuttosto serie.
Maurizio
Redazione di
"LOTTA come AMORE"
Da qualche decennio ricevo il vostro periodico credo pervenutomi su segnalazione di qualche amico comune a tutt'oggi ancora sconosciuto. Da due anni ho cambiato indirizzo ma il periodico mi è sempre pervenuto perché sono rimasto nella zona di competenza dello stesso portalettere. Questi ha corretto l'indirizzo all'ultimo numero, piccolo avvertimento che ha smosso la mia naturale pigrizia, ho preso un foglio e ... Insieme alla pensione sono arrivati i nipotini che ci impegnano parecchio. Nel bisogno, insieme alla moglie, dedichiamo qualche mese agli altri in forma di volontariato lontani da casa. Non è mai venuto meno quel pizzico di interesse per la vita politica e sociale che mi fa sentire partecipe del tempo presente. Spazio per "altro" non riesco a trovare, questo restringersi dei miei campi mi fa chiedere di sospendere l'invio del vostro periodico.
Vi scrivo in segno di amicizia. Accompagna il motivo dello stacco un micro contributo spese. Soprattutto desidero esprimervi gratitudine della compagnia che il periodico mi ha fatto in questi decenni; ho potuto così seguire un aspetto della vita ecclesiale altrimenti ignorato. Grazie.
Mi è gradita l'occasione per ringraziarvi nuovamente e porgere auguri di buon proseguimento dell'iniziativa, con cordiali saluti.
Leonardo
15 settembre 1999
Negli ultimi anni ricevo ogni tanto lettere di amici che comunicano il "restringersi dei campi" per l'età che avanza. Questa di Leonardo porta con sé la dignità di chi sa di affrontare un tratto non facile nella vita e vuole concentrare le energie. Da altre lettere traspare la malinconica constatazione delle difficoltà che sopraggiungono, della autonomia che diminuisce, degli spazi di disponibilità e libertà che si allontanano. Come un arrendersi ali 'inevitabile deterioramento della qualità della propria vita.
Sono, a volte, tentato di "ignorare" la richiesta. In fondo lo spirito di Lotta come Amore è quello di una lettera inviata dalla Chiesetta senza nulla chiedere. E anche il ricevere il giornalino può limitarsi ad uno sguardo e ad un pensiero per "quella gente che continua testardamente a voler scrivere di sé". Uno sguardo e poi la provvisoria sepoltura tra tante altre carte, fino al cestino finale. Ma intanto si sa che si è vivi, anche se le distanze sembrano incolmabili; almeno un cenno con la mano dalla lontananza di sponde opposte. Almeno si rompe questo silenzio, questa indifferenza, questa omologazione che ci tinge tutti di uno stesso colore, che ci rende abitanti interscambiabili e apparentemente immortali di uno stesso pianeta.
Alla fine, però, annullo il nominativo.
Un tasto del computer e il filo sottile si interrompe. E' giusto credo - a meno che non si tratti di uno smarrimento del momento -, dare una mano a chi si prepara ad affrontare l'ultimo percorso prima di sboccare nell'oceano senza confini della vita.
Il silenzio, il rarefarsi dei segni, dei gesti possono non essere letti solo nella chiave della rassegnazione, ma della concentrazione di chi si prepara ad una lotta di cui ognuno di noi è insieme il terreno su cui la lotta avviene e il lottatore. Per passare da vita a vita.
Luigi
Viareggio, 19/01/00
Ciao Beppe, come va? Sono N.
Hai visto che dopo due anni dalla tua partenza non mi sono dimenticato di te; ti ho scritto! Sì proprio così, oggi sono due anni, e mi sembra ieri quando ti abbiamo salutato tutti insieme. In questi due anni sono successe un sacco di cose, troppe per raccontarle tutte.
Ci manchi un casino.
Noi stiamo tutti bene. I ragazzi della chiesa è un po' che non li vedo perché sono stato molto impegnato: sto studiando sempre, frequento il 3° Nautico e quest'estate ho avuto il mio primo imbarco e mi è servito molto.
Ho capito qualche piccolo segreto della vita di bordo.
Ti salutano i ragazzi della Croce Verde, tutti noi volontari ci ricordiamo di te. Specialmente quando facciamo servizio al Ceser.
Hai visto, la casa di accoglienza è stata ultimata e sono sicuro che tu eri tra noi quando l'abbiamo inaugurata.
Oh, de la fia! Sai che per il Carnevale 2000 volevano spostare il nostro rione, quello della Darsena al nuovo mercato ittico! Bel troiaio che veniva fòri: vòi metté, è cento volte meglio via Coppino.
Noi ragazzi volevamo raccogliere delle firme contro questa cosa e sono sicuro che se fosse servito, la tua non sarebbe mancata.
Non trovo più le parole per scriverti e non riesco a capire perché. Forse sarà l'emozione di poterti "parlare" in qualche modo.
Mi raccomando: fatti sentire! Non ti dimenticherò mai.
Con affetto. Ciao Beppe!
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455