Sto scrivendo queste righe, ma ancora non so quando riceverete questo secondo numero del 1999.
Alla mia proverbiale pigrizia si aggiunge anche la stanchezza del millennio che sta per finire e queste due debolezze combinate insieme fanno sì che la stesura, la composizione e poi la stampa e - chissà quando - la spedizione, procedono a passi che le lumache considerano già troppo veloci.
Per fortuna (mia!) questo non è un giornale che deve - per rispetto ai lettori - conservare una periodicità pattuita nell'abbonamento. Ma l'impegno che sento è quello di far giungere agli amici sparsi qua e là per l'Italia un saluto, un segno del cammino che si snoda davanti e la volontà condivisa di accogliere la vita - comunque sia - a cuore aperto.
Lo devo a tanti che ci raggiungono con telefonate, lettere, vaglia, ecc. ecc. e incoraggiano la continuità di quel filo rosso che "Lotta come Amore" rappresenta nella memoria viva di Sirio e di Beppe.
Molti di voi lo hanno fatto, scrivendo a me o direttamente a Maria Grazia, dopo aver ricevuto la breve pubblicazione su don Sirio da lei curata con amore e passione - su proposta del Comune perché fra i giovani e le famiglie di Viareggio di lui non si perdesse la memoria: "è come se Sirio nascesse nuovamente parlandoci, raccontando c sé, sorridendoci e indicando una meta... ".
Se qualcuno desidera riceverne altre copie non ha che da scrivere e attendere con fiducia.
Mi rendo conto solo ora che un mucchietto di lettere sul tavolo sta aspettando - da mesi - un doveroso cenno di risposta. Sto abusando della amicizia e della cortesia di tanti amici e, forse, anche della loro fiducia. Mi dispiace, ma non ho difficoltà a confessare di essere "in stato confusionale". Dopo la morte di Beppe ho cercato di affrontare le diverse situazioni costringendomi a fare una cosa per volta, vivendo alla giornata. Un po' come quando piove a dirotto e l'ombrello non ce la fa più a reggere l'acqua per cui tanto vale prendersela con filosofia e lasciarsi bagnare. Ci si penserà poi ad asciugarsi!
Mi rendo conto ora di non poter procedere oltre in questo modo. In parte perché continua a piovere sul bagnato e quindi la speranza di asciugarsi almeno un po' si affievolisce. In parte (in gran parte!) perché è impossibile rimanere qui alla Chiesetta del Porto senza confrontarsi con un progetto, senza tener conto di una storia di una memoria, di una traccia vigorosa e viva. E la fedeltà mi sembra doverosa verso le correnti profonde e insondabili che animano la vita piuttosto che verso ciò che appare in superficie. In particolare le attività che - a somiglianza delle cellule che compongono il corpo - hanno bisogno di rinnovarsi, di cambiare e non ha senso - come nella disperata ricerca di eterno giovanilismo - volere rimanere sempre uguali a se stessi,
Scrivo queste righe all'inizio di un'estate che si va arroventando. Il fuoco dei Balcani rende l'aria ancora più pesante ed opprimente. Come non parlare della guerra? Dalla corrispondenza di Arturo alla traccia di opposizione al connubio chiesa/esercito che ha animato la lotta di Beppe e che lo ha portato a scrivere nel 1986 un libretto intitolato "Chiesa della pace o Chiesa delle stellette?" (ed. Qualevita).
Sarebbe molto felice Beppe leggendo il comunicato stampa di Pax Christi; felice di sentirsi in compagnia sulla strada di una lotta contro una grave contraddizione storica che la Chiesa cavalca sempre con disinvoltura. Contraddizione ancora più pesante ed amara nel protagonismo del generale-vescovo e nei suoi colonnelli-monsignori in questa guerra nel Kosovo imbarbarita dalle pretese esigenze "umanitarie".
Raccogliendo l'appello di Maria Grazia, confluito in seguito nella iniziativa della marcia dei centomila a Prìstina, voglio sottolineare il bisogno - fin dall'inizio - di uscire dalla morsa fredda del giudizio di ragioni e torti, di pro e contro, e lasciarsi portare da un moto del cuore capace di andare oltre e di vivere - nell'utopia del gesto forte - una intensa comunione con quella umanità sofferente e oppressa.
Vivendo l'esperienza umile - ma a tratti esaltante - della "Tenda della pace" piantata qui accanto alla Chiesetta da alcuni testimoni di pace della città il giorno stesso dell'inizio dei bombardamenti, ho creduto di capire che la nonviolenza e l'opera di pace hanno bisogno di terra buona (per dirla con Beppe) per poter germinare nella nostra storia umana. Di uomini e donne, cioè, che "fanno pace" a partire da se stessi, dall'incontro vitale e vivo tra la mente, il cuore e la "pancia".
Io sono molto indietro su questa strada, fuori dalla luminosità solare di quella umanità, immerso nel cono d'ombra della violenza dal corto respiro. Ma non posso fare a meno di additare la direzione che mi pare giusta anche se non ne sono testimone affidabile.
Sempre nell'ambito delle prese di posizione contro la guerra, ho voluto riportare la dichiarazione di don Gallo riguardante la propria decisione di autosospendersi dalla messa come elemento emblematico di tutta una serie di autosospensioni: dal proprio partito, dalla propria carica, dal diritto di voto sia in occasione dell'ultimo referendum che delle recenti elezioni europee. Esse - generate da motivazioni molto diverse e in ambiti non certo simili - mi sembra che comunque abbiano in comune il bisogno di manifestare il proprio dissenso e indurre a una sorta di disobbedienza civile collettiva per rompere il fronte della adesione alla guerra.
Io non sono molto sicuro che l'autosospensione sia una strada da incentivare e sempre e comunque. Devo confessare che faccio un po' fatica ad aderire a queste iniziative, ma non sono capace di chiarire a me stesso i motivi di questa difficoltà. Magari qualche lettore può venire in mio aiuto con una consapevolezza più chiara del problema.
Infine ripropongo un articolo di Peyretti su "Il foglio" riguardante alcune precisazioni sul pacifismo e la non violenza.
Le parole hanno sempre la loro importanza, specie quando negli inevitabili dibattiti accesi dalle diverse posizioni al riguardo della guerra nei Balcani, diventano pesanti come pietre e aprono ferite difficilmente rimarginabili di diffidenza e opposizione.
Mi par di notare che anche sul fronte "pacifista", anche quello che si dichiara nonviolento, spesso le parole volano con la stessa tagliente rotazione dei "sampietrini" di vecchia memoria.
Fino a far pensare che anche la pace, con i suoi striscioni e le sue bandiere, non sia che l'altra faccia della guerra e, ugualmente, abbia bisogno di una vittoria e di una schiera di vinti finalmente in catene da portar dietro il carro del trionfo.
E' proprio vero che l'utopia di un mondo nuovo ha bisogno ancora di ali molto forti per poter volare in alto e allargare ogni volta con coraggio gli orizzonti dell'umanità.
Luigi
Cari Amici, quando mi leggerete, io starò per imbarcarmi (16 giugno) o sarò già arrivato. Quest'anno parto a cuore più tranquillo perché tutte le attività (e non sono poche) che abbiamo varato, sono affidate alla responsabilità di persone del luogo. E ho la gioia di constatare che sono in buone mani: stanno facendo più e meglio di quello che sapessi fare io.
Ho trovato in una lettera che il maestro generale dei domenicani scrive ai suoi frati. un pensiero che coincide con la decisione che ho preso da quando sono tornato dall'Italia:
"Essere genitore è vivere nella gioia e nella sofferenza di lasciar partire i figli.
La consumazione di essere genitore è di dare ai propri figli la loro libertà e di lasciarli costruire una vita che è diversa da quella che noi abbiamo sperato per loro. Anche noi dobbiamo lasciare partite quello che noi facciamo nascere. Sappiamo che abbiamo davvero portato frutto quando i progetti che abbiamo iniziato e per i quali abbiamo dato la vita, decollano in nuove direzioni per finire in mano di altri".
Non posso presentarmi come un martire perché questa decisione mi è parsa così spontanea e normale e con risvolti tanto piacevoli, che fare il martire sarebbe una vera ipocrisia. Il risultato è che posso dedicarmi a quello che è propriamente mio: lo studio, la contemplazione, il silenzio e avere dei contatti con le Comunità di "Boa Esperança" più gratuiti, più da amico.
Posso dire con sincerità che non ho nulla da dare, perché quello che viene per la mia mediazione, passa alla amministrazione di AFA e devo dire che spendono bene i soldi.
Vi comunico questo avvenimento che può apparire di scarsa importanza, perché è importante nella mia storia personale. Nella mia lunga vita ho avuto delle esperienze così traumatiche riguardo a queste separazioni che il consiglio di fra Timothy non mi sembra né astratto, né superfluo. Ho potuto vedere spesso come la rinunzia a quello che si può definire protagonismo sia più drammatico della morte. Chi non è capace di questa rinunzia, si giustifica dicendo che resta per amore di quelli per cui ha dato la vita. Non saprei dire se soffrono di più i genitori nel distacco di quelli che sono usciti dalla propria carne, o i religiosi nel separarsi dalle loro opere. Credo che la normalità, in cui si è svolto questo mio passaggio sia dovuto all'avere incontrato le persone adatte e soprattutto al mio noviziato di piccolo fratello nel deserto. Nella fraternità le opere sono considerate piuttosto un ostacolo a quella relazione immediata di fratello. Posso dire che il padre Charles de Foucauld ha ottenuto per tutti i suoi discepoli la grazia di non impadronirsi dei progetti che si trovino forzati ad assumere per amore ai fratelli.
Vi ho scritto che parto a cuore tranquillo e potrei aggiungere che arrivo con cuore di piombo in una Europa in stato di guerra.
Che stupendo brindisi prepariamo al Pastore, al Cristo Gesù, per il suo tanto reclamizzato compleanno. I romei che confluiranno a Roma e avranno trovato nei repertori dei vari giubilei canti che celebrano Roma come la nuova Gerusalemme potranno cantare: "O Roma felice capitale di un paese da cui decollano aerei che fanno piovere bombe sui fratelli". Qui in America latina sento il cuore più in pace perché mi trovo dalla parte degli oppressi e con gli oppressi, perché, soprattutto in questa parte di America, l'episcopato brasiliano, prima che se ne accorgesse il signor Reagan, si era convertito al popolo, si era fatto solidale con le vittime dell'ingiustizia.
Dal terzo mondo inoltre sono partite le teologie della liberazione che rappresenteranno per gli storici del futuro, quel resto di cristiani che hanno preso sul serio la voce dello Spirito santo che si espresse nel Concilio Vaticano II. So che è ingenuo dire che il cuore può essere lieto a un parallelo e triste a un altro: la peste del neoliberismo ha invaso la terra. So che in Italia non troverò solo la guerra, ma divisioni fra amici per divergenza di opinioni sulla guerra. Dichiaro subito di essere contro la guerra, penso che è metafisicamente impossibile trovare delle ragioni alla guerra. Ma prima bisogna essere radicalmente contro i fabbricanti di armi e coloro che investono capitali nelle fabbriche di armi.
E andando più a monte dobbiamo negare le ragioni di questa società neo-liberista come assolutamente irrazionale.
Si presenta attualmente come la fase arteriosclerotica di una civiltà definita illuminista cioè figlia della luce. Investigando le varie cause non possiamo trovarci d'accordo con la linea politica della nostra Chiesa che, preoccupata di mantenere un prestigio politico, piuttosto che la sua credibilità, produce documenti profetici, e in concreto nell' opposizione fra gli oppressori e gli oppressi generalmente sceglie i primi. Anni fa lessi un'osservazione del teologo Chiavacci che m'impressionò fortemente e motivò il mio interessamento per l'economia: "La morale cattolica non é andata oltre il settimo comandamento - Non rubare - ". La maniera di prescindere da un'etica economica che manifestano molte persone "di Chiesa" nella gestione del denaro é incontestabile. Ma senza un'etica economica è possibile parlare di amore ai poveri? di giustizia? di pace? E' possibile evangelizzare trascurando un' etica economica? Se non affrontiamo con serietà e responsabilità queste domande, contaminiamo la nostra fede del sospetto d complicità con progetti politici assolutamente incompatibili col messaggio evangelico di fraternità.
Possiamo declamare contro la guerra e continuare ad alimentarne le cause.
Prima di assumere il compito di propagandai la fede, dobbiamo urgentemente assumere la responsabilità di scagionarla dall'accusa di complicità con l'idolatria imperiale del mercato.
Vi scrivo nel giorno di Pentecoste invocando lo Spirito del Signore di salvarci dal pericoli di perderci nella confusione dell'idolatria.
A presto.
Il vostro piccolo fratello Arturo
Io sono nel lutto per il Kossovo
e non da oggi,
nel lutto per una popolazione oppressa,
nel lutto accanto ai deboli,
nel lutto perché fra i miei figli,
i nati da donna, c'è l'oppressore.
Esso ha un nome,
è il Governo serbo
e non lo tratto come
un figlio a me caro.
Ha il volto di Caino
che ha innescato ancora una volta
il gioco mortale più antico del mondo.
Gli è stato risposto dall'ordine dei padri
con la guerra,
quella ufficiale, dei gendarmi del mondo,
con tutti i suoi mostri:
occhio per occhio, dente per dente.
Non voglio ignorare la realtà,
dove il male esiste ed è forte
e si conosce un solo modo per combatterlo.
Non voglio invocare
una pace fatta di buonismo,
non voglio stracciarmi le vesti dell'ipocrisia,
perché non è così che si combatte il male,
lo si fa prima di tutto nominandolo
e guardandolo in faccia.
C'è un appello che vorrei lanciare
a tutte le donne e a tutti gli uomini,
a tutte le associazioni della pace.
E' un appello di lotta,
di madri che difendono i figli,
quelli azzannati dalle fauci dei lupi,
presi ora fra i due fuochi
del Governo serbo e della Nato
...vorrei proteggerli con un grande manto...
Formiamo un movimento che si muova
dalle nostre case e si riversi a fiumana
verso l'Albania,
arrivando ai confini del Kossovo
a cercare i propri figli.
Non perché credo che i nostri corpi
siano più forti dei missili degli uni
o delle mitragliatrici assassine degli altri
ma perché la prèssione
di un'opinione pubblica
che si fa carne e sangue
e abbandona la propria patria
per andare in cerca dei fratelli,
mi sembra l'unica possibilità
che può gridare la nostra disperazione
e non è impotente, ma forse vincerà.
E' un sogno, ma diamogli vita!
Cosa faranno i Governi se
le donne e gli uomini di buona volontà,
con il segno del lutto al braccio,
si muoveranno in massa
per andare a difendere
la popolazione del Kossovo?
Maria Grazia Galimberti
Intervento fatto all'assemblea cittadina per la pace indetta dal Comune di Viareggio, il 30 marzo 1999 ore 17,30
Domenica, IV dopo Pasqua, anniversario della Liberazione, ho annunciato, con dolore, la mia autosospensione "a divinis", nel rispetto di tutte le altre scelte. Prete cattolico da quarant'anni, come credente in Gesù, Principe della Pace, ho sentito il dovere morale di non contribuire alla perversa logica della guerra, né con la mia persona, né con le mie parole, né con il grande solenne gesto "dello spezzare il pane eucaristico" con cristiani che giustificano in vari modi l'attuale e terrificante guerra nei Balcani. Bombardamenti da oltre trenta giorni, embargo ed ora blocco navale?
Sono stato colpito profondamente in questi giorni, nella recita dell'ufficio divino, dalla lettura del capitolo VI, 1-17 dell' Apocalisse di S. Giovanni...: "ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro, colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della Terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della Terra... " Il Papa Wojtyla nel 1991 diceva: "la guerra è da proscrivere sempre". Benedetto XV, il papa genovese, parlò della I Guerra Mondiale come di una "inutile strage". Pio XII alla vigilia della II Guerra Mondiale gridò al mondo: "tutto è perduto con la guerra, tutto è guadagnato con la Pace". Nel IV secolo, il vescovo Ambrogio di Milano non ammise alla S. Messa l'imperatore cristiano Teodosio, reo della strage di Tessalonica (l'attuale Salonicco!).
Con la stessa intensità sono indignato e sconcertato dalle atrocità dei genocidi e di tutte le pulizie etniche del mondo e, al presente, per la tragica situazione del martoriato Kosovo da parte del nazionalismo serbo e per i vicini curdi, grazie al governo militare integrali sta turco, membro della Nato.
Mi chiedo, come cristiano e come presbitero, perché la Cei, oltre le tante iniziative sociali da essa finanziate, non trova "hic et nunc" una "proposta" forte che indichi con concretezza, soprattutto ai giovani, cosa possono fare i cristiani per risolvere i conflitti internazionali?
Esistono sempre altre vie: quelle della diplomazia e dei negoziati non sono mai esaurite.
Perché non finanziare subito con l' 8 per mille gli obiettori (vedi Legge 230-98 art. 8) che con esperti, sotto l'egida dell'ONU, con una Nato finalmente europea, dia vita ad una organizzazione per gestire e sciogliere gli scontri senz'armi? Sono stati troppi gli errori e i ritardi. E' un salto di qualità per il nuovo Giubileo cristiano.
Spero con tutto il cuore di essere compreso dalla sensibilità e dalla fraternità del mio vescovo Dionigi, per questo mio piccolo "segno" ai credenti e non credenti. Termino abbracciando affettuosamente tutti gli "operatori di pace", civili e militari presenti sul territorio della ex Jugoslavia, per accogliere i Kosovari cacciati, deportati, affamati e per capire insieme con loro, con serbi democratici, l'assurdità dei nazionalismi e degli odii etnici antichi e nuovi. Continuerò a pregare con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, attendendo una speranza per ora naufragata. L'appuntamento è sempre alle ore 12 della Domenica nella chiesa di via S. Benedetto in Genova.
don Andrea Gallo
COMUNICATO STAMPA
del Consiglio Nazionale di Pax Christi
In riferimento alle recenti prese di. posizione dell'Ordinario Militare nel corso del Primo Sinodo della "Chiesa Militare" (sic!), il Consiglio nazionale di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace, ha assunto una posizione critica come si legge in un documento approvato e diffuso in data odierna.
Il Consiglio Nazionale di Pax Christi riunito a Firenze il 15 maggio 1999 esprime profondo sconcerto di fronte alle recenti dichiarazioni dell'Ordinario Militare in occasione del I Sinodo della "Chiesa Militare".
"Voglio sia chiaro a tutti il dramma degli uomini che guidano i bombardieri - ha affermato mons. Mani - e sanno che la loro azione fatta per la pace, può uccidere vite umane: nessuno pensi che questi uomini fanno il loro dovere a cuor leggero".
E, ancora: " ...la guerra è sempre ingiusta. Purtroppo, però, a volte è inevitabile".
Oggi più che mai, dopo 53 giorni di bombardamenti, ci chiediamo come si possa conciliare l'opera di militari impegnati a favore di popolazioni strappate dalla propria terra con l'intervento di altri militari dello stesso esercito e della stessa nazione, che produce situazioni di disperazione, sofferenza e morte.
Ci sembra sia un tentativo impossibile di "tenere il piede in due staffe".
Non possiamo accettare che la guerra sia definita "sempre ingiusta" e poi ritenuta "inevitabile" .
Se tutto questo ci sembra così lontano da una logica umana, come è possibile conciliarlo con la "profezia evangelica"? La Chiesa non è chiamata ad essere il sale ed il lievito? Non ci è chiesto <ti essere "nel" mondo, ma non "del" mondo? E' motivo sufficiente per orientarsi verso una diversa modalità nella soluzione dei conflitti.
E' la chiara indicazione che emerge dalla coscienza di tanti uomini e donne che hanno abitato questa seconda metà del secolo.
E' lo stesso cammino che ci ha permesso di giungere come società civile a scrivere la Carta delle Nazioni Unite e la solenne Dichiarazione dei Diritti Umani e, come comunità ecclesiale, al superamento dei tanti "distinguo" sulla guerra giusta e ingiusta per arrivare alle chiare dichiarazioni di Pio XII (Natale 1955), di Giovanni XXIII (Pacem in Terris), al grido di Paolo VI all'ONU (Jamais plus la guerre!) ed alla voce alta, commossa e forte di Giovanni Paolo II, quasi ogni giorno nell'attuale drammatica vicenda.
Da tempo Pax Christi pone al proprio interno e alla Chiesa italiana il problema del ruolo dei Cappellani Militari, nella convinzione che la pur necessaria condivisione di vita che il Cappellano deve avere con i giovani affidati alle sue cure più efficacemente potrebbe essere svolta da sacerdoti "senza stellette", cioè non inquadrati nelle gerarchie delle Forze Armate, sia per una maggiore libertà nell' annuncio evangelico, sia per una più chiara distinzione dei ruoli di fronte all'opinione pubblica.
Anche alla luce dell' appello del Papa a "disertare i laboratori di morte" e del recente invito dalla Romania a compiere "gesti profetici" ci sembra attuale quanto scriveva don Milani nel 1965: "Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto" (Lettera ai Giudici).
Firenze, 15 maggio 1999
Giuseppe Socci, "Chiesa della pace o chiesa delle stellette?", Edizioni Qualevita 1986
Lo spunto per queste riflessioni ci è venuto da una lettera pastorale, scritta in occasione del Natale 1985, dall' Arcivescovo Ordinario Militare per l'Italia, mons. Gaetano Bonicelli. Questa lettera è indirizzata ai 300.000 giovani della leva militare annuale e anche agli adulti, ufficiali e sottufficiali di carriera, che vivono la vita militare in tutte le caserme d'Italia.
E' una lettera che merita di essere letta e meditata con. attenzione, perché essa offre un panorama molto preciso e significativo di come si muove l'impegno pastorale all'interno delle Forze Armate da parte dei sacerdoti che svolgono "un ministero di pace tra le armi" per costruire giorno per giorno "una Chiesa con le stellette" .
... "Le cose comandate, come la corvèe in cucina, nei bagni, nei cortili, nelle camerate... le snervanti ore di guardia, che sembra non passino mai. Perché non motivarle interiormente con la convinzione che dalla vostra fatica ne trae sicurezza e serenità tutta la comunità, a cominciare dalle vostre famiglie e dai vostri cari?". La caserma diventa così - agli occhi del vescovo militare - una palestra dove i cristiani possono trovare l'occasione per una "autentica crescita nello spirito, non evadendo ma vivendo fino in fondo" questa inevitabile esperienza.
Si potrebbe riassumere questa concezione pastorale con l'antico proverbio popolare "fare di necessità, virtù"; ma a noi rimane difficile, per non dire impossibile trovarne la giustificazione in una sola delle pagine del Vangelo.
...Perciò, anche se non siamo più tanto giovani né tantomeno militari, poiché non ci. risulta, (almeno per ora) che nessuna voce si sia levata contro la pastorale .del vescovo ordinari: militare per l'Italia, lo stiamo facendo noi.
Questo perché siamo convinti, essa rappresenti uno dei tanti elementi di quella TRAPPOLA PER TOPI, nella quale, un vescovo cristiano collabora - con paterne esortazioni ed inviti - a far restare ingabbiati tutti coloro che avrebbero diritto a sentirsi aiutati nella scoperta, sia pur faticosa e coraggiosa, del "sogno di Dio" nella storia degli uomini. Poiché crediamo che questo sogno ha preso spessore storico nella vita di Gesù di Nazareth, non possiamo accettare con tranquilla coscienza la visione pastorale, che emerge chiarissima da tutta la lettera in questione.
Ci spieghiamo meglio: non siamo convinti. che ci possa essere una "Chiesa con le stellette".
Sappiamo benissimo che ci sono uomini (e in alcune nazioni anche donne) che si trovano, con le stellette indosso: o perché le hanno scelte volutamente o perché vi sono costretti dalle leggi degli stati. Siamo certi eh fra di loro vi sono persone buone, oneste, sincere, che cercano la verità ed il bene comune. Giovani e meno giovani, di leva o di carriera, che non sono "guerrafondai", che cioè non sognano la guerra come momento di gloria e di affermazione personale. Certamente non tutti sono "Rambo"! Certamente, anche se sono passati quasi 20 secoli dalla venuta di Gesù nella storia, anche nei nostri tempi pensiamo vi siano degli "uomini in armi" che si pongono dei problemi di vita e di comportamento, come i soldati che andavano ad ascoltare Giovanni il Battista (a cui accenna mons. Bonicelli).
Ma detto questo, se si vuoi parlare di CHIESA, cioè del Popolo di Dio nato dal Sangue. di Cristo e dal Soffio dello Spirito Santo chiamato a dare testimonianza dell' Amore del Padre nel tessuto della storia, allora il discorso deve essere un altro.
Ci spieghiamo subito facendo ricorso non alla Summa di S. Tommaso, ma ad un chiarissimo proverbio popolare: "tant'è ladro chi ruba, che chi para il sacco".
Spazzare bene le camerate, pulire con amore i bagni, prestare servizio di sentinella con coscienza collettiva, avere la divisa in ordine, marciare con forza e ...sparare ben dritti: tutte cose che. possono andar benissimo. Ma se questa è la "base" da cui partire per costruire la comunità cristiana all'interno della macchina militare la questione diventa molto equivoca.
E qui tentiamo, si fa sempre per dire, di prendere il toro per le corna. Prendiamo, dalla lettera pastorale un pensiero che ci sembra particolarmente adatto ad andare al cuore del problema. La prima cosa da fare, dice il vescovo ai giovani, è di "professare apertamente la vostra fede. Umile perché tutti siamo deboli e possiamo sbagliare. Tutti abbiamo bisogno di comprensione e di perdono. Ma, come ci invita a fare il Papa, non dovete aver timore a spalancare le porte a Cristo. Il paradosso del nostro tempo, voi lo sapete è proprio questo: più o. meno tutti si dicono ancora cristiani, ma senza il coraggio di essere coerenti. Come si può credere in Dio e bestemmiarLo? Pretendere la sua protezione e irridere i suoi comandamenti?" .
A, questo punto, contrariamente a ciò che ci si poteva legittimamente aspettare, le conclusioni di questo paragrafo calano, nella vita di caserma, della scuola militare, dei reparti, dello spaccio, della sala convegno e della dura vita di campo. Per un invito molto preciso ad essere "chiesa", comunità cristiana all'interno del proprio ambiente. Ci è sembrato doveroso "correggere il tiro" del discorso: pensiamo che poteva essere il punto buono per entrare nel vivo dell'argomento e tentare di aprire quella che noi chiamiamo «LA TRAPPOLA».
Che a nostro avviso consiste in questo: non è forse "bestemmiare Dio" e "irridere i suoi comandamenti" il fatto di continuare a mantenere, noi cristiani, in piena efficienza una macchina costruita in funzione della morte? Non dice forse uno dei comandamenti "TU NON UCCIDERE"?
E quale bestemmia potrebbe essere più grande dì quella pronunciata nel corso della storia passata e presente dalla tremenda voce delle armi di ogni specie: che cosa si vuole di più?
Nella prospettiva affatto fantascientifica di un olocausto nucleare di intere città (di fronte al quale Hiroshima e Nagasaki impallidiscono), non era forse doveroso, a questo punto, ricordare ai giovani militari cristiani ed ai loro superiori l'insegnamento indiscutibile dell'unico Maestro e Signore dei credenti:. "Voi sapete pure che cosa fu detto agli antichi: Occhio per occhio, dente per dente. Ma io vi dico di non resistere al malvagio; anzi, se uno ti percuote nella guancia destra, porgigli anche l'altra. Se uno vuole litigare con te per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello... Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli... ". (Matteo 5, 38-45).
Non possiamo assolutamente pensare che questa chiara proclamazione di Gesù vada bene per tutti, meno che per i militari! Non si tratta davvero di "materia fiscale" rispetto alla quale alcuni possono essere considerati esenti.
Sono parole dure, che fanno impressione anche a noi che siamo d'accordo col vescovo militare sul solo fatto di sapere benissimo di essere creature deboli e soggette a sbagliare cento volte al giorno. Ma di una cosa siamo assolutamente certi: non si può cambiare il messaggio del Vangelo! Esso può spaventarci per la sua cristallina evidenza; lo possiamo respingere in blocco, come di fronte ad una richiesta impraticabile.
Ma non accettiamo a cuor leggero di essere indotti a credere che quando Gesù pronunciò tutto quello che Matteo riporta nel 50 capitolo del suo Vangelo fosse distratto. Che cioè si sia lasciato "scappare" qualche parola di troppo, cedendo all' estremismo profetico di cui anche la gente del suo tempo lo accusava apertamente. Crediamo, nonostante la nostra debolezza, che in quelle parole Gesù ci ha rivelato il preciso progetto del Padre sulla storia degli uomini; anche se, avendo la testa dura, abbiamo sempre cercato con ogni mezzo di annacquare questo straordinario progetto di liberazione. Di apertura, cioè, della famosa trappola nella quale continuiamo a starcene chiusi, grazie anche alle suadenti parole di mons. Bonicelli.
Ci deve scusare, eccellenza, ma noi preferiamo stare col Vangelo di Matteo, anziché avventurarci per la strada comoda e larga che lei ci prospetta.
La via indicata da Gesù è certamente più impervia e poco allettante, anche se sicuramente conduce verso la liberazione: ci sembra fuori discussione che non se ne possa proporre un'altra, nel tentativo di recuperare non si sa bene cosa. Certamente non si può recuperare tutto il sangue versato sulla terra dagli eserciti di ogni tempo, da quelli che portavano da qualche parte la croce di Cristo.
E nemmeno ci convince pensare che il nostro esercito italiano sia "più buono" degli altri: se venisse il momento, siamo sicuri come è nella logica delle cose, che esso metterebbe in. opera tutta la sua potenzialità di morte e di distruzione che è in suo possesso, per la quale prepara ogni anno i trecentomila giovani ai quali è rivolta la sua lettera pastorale. Senza contare - ma come si può? - il fatto che a causa delle Alleanze Militari nelle quali siamo coinvolti, ci potremmo trovare sul campo di battaglia senza una nostra diretta decisione. Le cose sono così congegnate, che gli altri potrebbero decidere per noi. Non è forse così per l'esercito del grande impero sovietico, nei confronti di molti "popoli fratelli"(tanto per citare un esempio)? O forse vale solo per i soldati con la stella rossa, o la mezzaluna, o chi sa che altra insegna, la parola del Signore? Basta mettersi una croce sull'elmetto per esserne dispensati?
A questo gioco noi non ci stiamo; e pensiamo sia necessario avvertire i nostri "cari ragazzi" che la naia può rischiare non solo di essere "tempo sprecato", ma anche addirittura tempo di tradimento del messaggio di Gesù. Momento decisivo in cui, anziché tentare con tutte le forze del cuore e. dell'intelligenza di aprire le sbarre della trappola per noi stessi e per r gli altri, si può rimanervi invischiati addirittura con coscienza tranquilla.
Tutta la vita di Gesù dalla sua Nascita alla sua Morte e alla sua Resurrezione, noi la vediamo come proclamazione concreta Amore, Pace, Bontà, Giustizia Verità.
E' la condanna più chiara che Dio abbia pronunciato di tutto mondo della morte, di cui gli eserciti sono - a nostro avviso l'incarnazione storica più evidente.
"Il Dio, di cui Egli si proclama Figlio, non è il Dio dei morti, ma dei viventi": questo bisognava ricordare ai giovani e ai meno giovani delle Forze Armate, proprio in occasione della Nascita del Salvatore.
La Chiesa che Lui è venuto a costruire non può essere abitati dagli strumenti della morte: è l Chiesa della vita, della fraterni della comunione fra gli uomini ogni razza. E anche dell' amore per i nemici. E' la Chiesa del" non uccidere", sempre, a qualunque costo, in ogni circostanza. E' un popolo nuovo che è chiamato a nascere con il Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo. Un popolo che ha deciso per la Grazia e la Verità di Dio Padre cambiare le spade in falci e le lance in aratri e di non imparar più il mestiere della guerra.
O anche questa parola di Isaia è vuoto vaneggiamento, sogno impossibile, stravaganza di profeta?
Ed ora una parola sui CAPPELLANI MILITARI (ai quali accenna ogni tanto la lettera pastorale).
Sarebbe interessante avere tempo e modo di fare una storia di questa "presenza sacerdotale" a fianco o dentro la macchina militare per coglierne tutto il significato e la portata concreta.
Ci accontentiamo di esprimere il nostro pensiero raccogliendolo da tutto il messaggio di Gesù e dal mistero di amore che la Chiesa porta in sé fin dal mattino di Pasqua: quando la prima chiesa degli apostoli e dei discepoli sentì risuonare la voce di Colui che aveva vinto il buio della morte e annunciava il trionfo della Vita: "Pace a voi".
Di questa Pace, che nasce dalla Croce di Cristo e dalla sua Resurrezione, pensiamo e crediamo che ogni sacerdote cristiano debba essere il testimone fedele, il servo obbediente e laborioso, l'annunciatore tenace e forte.
Consacrato e mandato nella Chiesa comunità di credenti e nel mondo dei non credenti, ogni sacerdote cristiano porta nel suo destino questo dono e questo imprescindibile dovere: annunciare agli uomini la Pace di Dio, quella stessa che Egli ci ha comunicato nel Figlio Suo.
Ogni gesto sacramentale del proprio ministero sacerdotale richiama sempre a quest'opera di pace, di fraternità, di comunione, di amicizia fra tutte le creature.
Ogni parola non può che essere finalizzata alla crescita, nella Chiesa e nel mondo, fra i credenti e fra i pagani (nel senso in cui san Paolo parla dei "gentili", le genti che non conoscono il vero volto del Dio Vivente) della Pace di Cristo.
Basta questo (e crediamo di non poter essere seriamente smentiti) per mettere subito in questione LO STILE DI PRESENZA del cappellano militare, che sarebbe - seguendo il linguaggio di mons. Bonicelli - come il parroco della "chiesa con le stellette".
Noi riteniamo "fuori posto" questo modo di presenza, per il semplice fatto che il sacerdozio cristiano non può essere mai usato a copertura di una realtà, qual' è quella militare, in nome di opportunità pastorali o di annuncio del Vangelo.
Se è vero che la comunità dei credenti (e tanto più i suoi sacerdoti) è debitrice verso tutti della proclamazione del Regno di Dio, del dono della Grazia e della Salvezza, questo non vuol dire che l'accoglienza del Vangelo di Gesù comporti per tutti le stesse conseguenze.
Gesù proclama "beati" non tutti gli uomini in generale, ma dice con chiarezza che Dio compie una scelta molto precisa: benedetti da Dio ("beati", appunto) sono i poveri, i pacifici, i mansueti, i misericordiosi, i sofferenti, gli affamati di giustizia e i perseguitati a causa di essa o del suo Nome.
Per i ricchi, i potenti, i sazi, l'accoglienza del Regno passa di necessità attraverso il cammino della conversione; cioè del cambiamento di rotta, per un "nuovo modo di pensare e di vivere.
Ci sono realtà precise, concrete, storiche, scelte di vita, modi di esistenza nelle quali Dio riconosce il suo progetto di Umanità che si esprime in pienezza nel Figlio Suo.
Ci sono modi di vita e realtà di esistenza, di visione e realizzazione concreta di progetti umani, di mentalità, di cultura che sono "fuori" del disegno del Padre.
Sono strade sbagliate, che non portano a nulla, anzi alla perdizione; cisterne vuote e aride, presso le quali si muore di sete; deserto riarso e pietrificato, bruciato dal sole della morte.
A chi vive intrappolato in queste prigioni, anche se ci si può illudere che siano stupendi palazzi, che cosa può dire un fedele servitore del Regno di Dio, quale deve essere senza dubbio ogni sacerdote cristiano? Quale parola è in dovere di pronunciare, che non sia la Parola che libera e salva?
A un mondo come quello militare, di sempre ma soprattutto dei "nostri tempi nucleari", cosa può offrire il sacerdozio, se non l'invito chiaro e appassionato a non ascoltare più la morale degli antichi, la vecchia cultura che affonda le sue radici nella logica della morte (se vuoi difenderti o difendere, uccidi!), per aprirsi alla logica della Vita?
Ogni sacerdote cristiano dovrebbe sapere che dentro le mura della cittadella fortificata, l'ingresso del Regno comporta l'abbattimento di tutto ciò da cui essa è nata ed è continuamente alimentata.
Noi crediamo che non sia possibile una visione diversa delle cose, se ci si rifà unicamente al mistero dell'Amore di Dio, manifestato in Gesù, senza camuffarlo con inutili giochi di prestigio: il mondo legato alla logica della guerra, che si esprime e si concretizza nella Struttura degli eserciti, le Sue regole, i rapporti, le ragioni delle scelte, i mezzi che si adoperano, tutto è in contraddizione stridente con ciò che Dio ci ha comunicato nel Suo Figlio.
Com'è in contraddizione stridente un sacerdote cristiano con tanto di stellette: la Croce lo rimanda di continuo a un progetto dì esistenza umana totalmente riconciliata con Dio e con una umanità ormai fatta solo di fratelli e. sorelle. Non c'è più posto per un mondo fatto di nemici, di avversari, di uomini da vincere, da sterminare, da distruggere.
Egli non può che desiderare ed annunciare la fine di ogni spargimento di sangue, qualunque possono essere le ragioni. addotte a giustificarlo.
Come può dunque coabitare fisicamente e, "legalmente" all'interno di una città dove tutto è ordinato, finalizzato, studiato nei minimi particolari, proprio per una efficienza concreta di respinta violenta e mortale di chiunque si presenti come l'avversario?
Come fa un vescovo a presentarsi tranquillo con le sue stellette, forse ad esserne perfino orgoglioso?
L'abbiamo detto all'inizio, ma lo ripetiamo, perché ci preme che il nostro discorso non trovi respinte troppo facili e superficiali: noi non siamo contro nessuno, non ce l'abbiamo con nessuno. Non facciamo un giudizio sugli uomini che hanno un nome e un cognome, un ruolo. una carica qualunque essa sia.
II "giudizio" - nostro malgrado - scende più in profondità: vorrebbe andare alla radice di problema, al cuore dell'istituzione militare.
Non abbiamo altre armi - e non ne vogliamo assolutamente altre se non la disarmata Parola di Dio accolta con umiltà e premurosa attenzione, perché in essa vi abbiamo trovato le risposte che nessun altro ci ha saputo dare.
In forza di questa Parola che poi è Gesù stesso siamo profondamente convinti che non vi possono essere "eserciti cristiani" anche se così sono stati chiamati a volte in passato.
Riteniamo anche che non vi possono essere neppure "eserciti cristianizzabili", se non nell'unico senso di vendere armi e bagagli e cambiar mestiere.
Con questo non facciamo violenza a nessuno; a meno che non si voglia accusare di violenza - come. fu fatto da un tribunale che allora si chiamava "Sinedrio" - un Uomo povero, senza armi né soldati a suo servizio che venne in questo mondo per ricolmarlo di Grazia, di Verità e di Amore.
Un Uomo che fu condannato da sacerdoti ed esperti nella Bibbia; da un procuratore romano preoccupato molto più della sua carriera politica che della giustizia; condotto a morire su una croce da un manipolo di militari di mestiere che eseguivano semplicemente un ordine.
CHIESA DI DIO: SCENDI DA CAVALLO!
Poiché crediamo - per dono e per grazia - che quest'Uomo era il Figlio di Dio manifestazione e offerta del suo infinito Amore per tutti, ci sentiamo autorizzati a far circolare la nostra voce di dissenso.
Non siamo d'accordo sulla presenza dei sacerdoti cristiani nella struttura dell' esercito, perché siamo convinti che essi dovrebbero semplicemente annunciarne la scomparsa. E poiché "non si può stare con un piede su due staffe", diciamo anche noi che bisogna "scendere da cavallo"! Ma non nel senso dell'invito che mons. Bonicelli rivolge al termine della sua lettera natalizia: "Scendete da cavallo!".
Noi lo diciamo prima di tutto, ai nostri fratelli cappellani militari, perché pensiamo che non si possa chiedere agli altri di fare ciò che noi non facciamo.
E il cavallo non è, almeno secondo noi, quello del buon samaritano della parabola evangelica: è il cavallo dell'esercito, dei gradi, delle stellette, delle messe al campo, sulle navi da guerra, nelle basi militari, sui campi di battaglia (i tempi del Vietnam non sono poi tanto lontani).
E' il cavallo di una cultura di difesa armata, di forza distruttrice, di sterminio di massa che può essere tragicamente riassunta nel nome di Hiroshima. Anche allora, nella base americana da cui partì l'aereo col suo orrendo carico di morte, c'era un cappellano militare - padre Zabelka - la cui testimonianza è sconcertante. Solo dopo molti anni e a prezzo di grosse sofferenze interiori, questo sacerdote cristiano è arrivato a capire e a proclamare dove stava l'imbroglio.
Non si tratta di emarginare nessuno dal Regno per cui Gesù è nato, morto e risorto: di questo Regno noi siamo debitori anche verso i militari.
Ma bisogna avere il coraggio di scendere da cavallo, e passare all'altra riva del fiume, per poi chiamare da lì a fare il passo che porta alla salvezza personale e collettiva.
Bisogna aprire la trappola (e chi devono essere i primi, se non i cappellani militari, vescovo in testa?) perché tutti quelli che ci sono rinchiusi possano comprendere con chiarezza qual'è la strada su cui camminare per costruire la città di Dio. Che poi è anche la città degli Uomini.
GIUSEPPE SOCCI
preteoperaio - Viareggio
Vedo che Filippo Gentiloni, stimato amico, scrive sul pacifismo in crisi (Rocca, 1.5.99, pp. 16-17). Certo, la pace è in crisi fin quando non sarà sistema. Ma io rifiuto il concetto di pacifismo e di pacifisti (parole inventate dai guerrafondai, diceva Balducci). Ne conosco diversi tipi.
C'è il pacifismo vile, di chi vuole una qualunque pace, magari a spese altrui; è quello di Monaco 1938, a spese della Cecoslovacchia! E meglio la violenza per una causa giusta che la viltà, insegnava Gandhi. Ma aggiungeva che non c'è solo questo dilemma: c'è la non violenza dei forti (non dei deboli), giusta ed efficace (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi pp 18-19).
Poi c'è il semi-pacifismo: no a questa guerra, sì a quest' altra; no alla tua guerra, sì alla mia; no alla violenza dell'oppressore, sì a quella del ribelle o del liberatore. Il fatto è che la violenza non libera mai davvero nessuno, lo rende solo imitatore del precedente oppressore.
Terzo, c'è il pacifismo vero e proprio: rifiuta ogni guerra. E' scritto nell' art. 11 della nostra grande Costituzione e nel proemio della Carta delle Nazioni Unite. Va bene, ma non basta. La guerra non è l'unica violenza, è solo il risultato distruttivo e cruento di tutte le altre forme di violenza. Perciò ripudiare la guerra non basta.
La nonviolenza combatte anche le altre violenze, quella Strutturale (nell'economia, nelle leggi) e quella culturale (nelle menti, nell'informazione, a giustificare le altre violenze). Anzi, la maggior parte delle lotte non violente è sempre stata contro queste violenze, più diffuse e frequenti della guerra. Solo la cultura non-violenta ha sviluppato e sta sviluppando le alternative di fondo alla guerra, perché non agisce solo sul piano giuridico istituzionale, ma sviluppa, a livello interiore, culturale, politico, strategico, tecnico, teorico e pratico, le basi della difesa dei diritti umani, della lotta a tutte le ingiustizie, senza uso di mezzi violenti, che seminano violenza nel risultato anche quando l'intenzione è giusta.
La vera alternativa alla guerra non è l'ambiguo pacifismo, ma la non violenza. La quale assume il conflitto, non lo elude, anzi lo solleva quando è celato, ma lo conduce in modo costruttivo invece che distruttivo (cfr. Arielli-Scotto, I conflitti, Bruno Mondadori 1998).
Direi a Gentiloni: la non violenza non si misura nei saltuari cortei pacifisti; essa è una ricerca ed esperienza continua, crescente negli anni. Il '900 è il secolo della grande violenza e anche della non violenza efficace in tante grandi prove.
Davanti all'attuale guerra, c'è dolore, ma l'"imbarazzo" dei nonviolenti. Eravamo noi a conoscere e sostenere il movimento di Rugova in Kosovo, mentre la politica internazionale lo ignorava e lo abbandonava, bruciando una forte alternativa alla guerra. Non è vero che oggi "tutte le alternative alle armi ( ... ) appaiono scarsamente convincenti". Questa è la tesi Usa-Nato!
Proprio questa guerra dimostra che è "fuor di ragione" pensare che con le armi si possano "risarcire i diritti violati" (Pacem in terris). Non è vero che chi grida contro i missili Nato rischia di avallare i massacri dei serbi, se ha ripudiato entrambe le violenze, fin da quando Milosevic era accetto all'Occidente. Il "bivio" non è tra le "nuvole delle "anime belle"" e il "realismo" delle armi contro le armi (mentre tutt'altra cosa dalla guerra sarebbe una vera polizia dell'Onu, che le potenze non vogliono). La via giusta è il pronto sostegno internazionale ai popoli oppressi, che hanno la capacità di liberarsi da governi oppressivi con una forte disobbedienza civile (ultima grande dimostrazione, 1989). Infatti, ogni potere consiste tutto nell'essere obbedito (Etienne de la Boétie; Gene Sharp); il popolo può far cadere senza violenza un potere ingiusto, come gigante dai piedi d'argilla. Tutto dipende dalla cultura ed educazione politica popolare. Questo è il punto: liberare i popoli dalla stolta fede nelle armi. Ciò si può fare oggi con la comunicazione internazionale. L'intervento armato è retrogrado e disastroso. Concordo con Gentiloni: la pace è sconfitta dalla rassegnazione alle armi. La storia diventerà umana quando la politica uscirà.
Enrico Peyretti
direttore de "Il Foglio" di Torino
Esultino le creature dei cieli e le creature della terra, perché il mistero dell' esistenza ha troin questa notte la sua chiarificazione. Gioisca la terra penetrata da tanta luce; avverta di l deposto tutte le sue oscurità.
La Chiesa sia lo spazio dove le attese di tutti i popoli trovano il loro compimento e si esprimono nel canto.
Perciò, fratelli carissimi, grati di una luce così chiara, insieme cantiamo la misericordia di Dio.
E' veramente cosa degna e giusta che con tutta la passione del cuore e dell'intelligenza rendiamo lode all'invisibile Dio Padre Onnipotente e al suo Figlio unigenito Gesù Cristo, che ci ha mostrati cieli e terra nuovi. Questa è la notte che ha liberato gli schiavi di ogni Egitto, la notte in cui ogni mar Rosso ritrae le sue acque per offrire un passaggio sicuro alla conquista della libertà.
Questa è la notte che riunisce tutti i credenti in Cristo, diffusi in ogni parte della terra e, liberandoli dalle loro pesantezze, li restituisce alla bellezza, alla grazia, alla santità.
Questa è la notte in cui Cristo, distrutta la prigionia della morte, sale vittorioso da tutti inferni dell'uomo. A nulla varrebbe nascere se la vita non avesse un senso e una pienezza divini. Questa è la notte in cui anche il peccato è grazia. Anche il male diventa un cammino positivo verso Dio.
O notte veramente beata che sola hai saputo conoscere il tempo e l'ora santa in cui Cristo resuscitò risalendo dall'abisso della perdizione e dell'abbandono. Questa è la notte che dà compimento all'eterno anelito dell'uomo e di cui fu scritto: "e la notte sarà chiara come il giorno" e ancora "la notte è la mia luce, nella gioia profonda del mio cuore".
Il miracolo di questa notte santa dissolve le tenebre, purifica il cuore, restituisce I'innocenza ai travolti dal male, dissipa gli odi, crea comunione, spezza le prepotenze di ogni potere.
Nella grazia di questa notte accogli, Padre, la nostra offerta simboleggiata da questo cero che fonde insieme la sacralità del ministero e l'opera laboriosa delle api.
O notte veramente beata in cui le cose terrene si uniscono a quelle celesti e le cose divine si congiungono a quelle umane.
Ti preghiamo, dunque, Padre affinché la luce di questo cero, acceso per dissipare la nostra caligine, non venga mai meno e salga a te gradita come stella tra le tue stelle.
La sua luce si unisca e si confonda con la stella del mattino, stella che non conosce tramonto: il Cristo tuo Figlio che, riemerso dagli inferi, splende sereno sul cammino degli uomini.
(libera traduzione dell'Exultet per la benedizione del cero pasquale la notte di Pasqua)
Luigi Sonnenfeld
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