Speriamo che questo terzo (ed ultimo) numero del '97 vi giunga entro o - per lo meno - non molto oltre la fine dell'anno.
E' la seconda settimana di novembre e Lotta come Amore inizia il suo viaggio in tipografia dopo aver completato l'elaborazione grafica che conclude la "fatica" dello scrivere. Fatica leggera - questa - e desiderata perché mette in comunicazione con tanti amici ad ognuno dei quali vorremmo far giungere un particolare pensiero. Così lo scrivere è appena sospinto dalla necessità di completare il giornaletto entro determinati limiti di tempo e - come lo scorrere lento del fiume in pianura - visita idealmente paesi e città, volti noti e appena conosciuti insieme a indirizzi che si perdono nella memoria e persone con le quali forse non ci incontreremo mai. Può essere anche giudicato spreco questo nostro inviare il giornaletto al di là di ogni segnale di riscontro. Per noi ha il significato di un gesto di amicizia che nulla pretende o richiede. Amicizia per chiunque prende in mano questo nostro foglio, anche fosse solo per accendere il fuoco in un caminetto o foderarci il secchio della spazzatura. L'amicizia è comunque onorata da questo privilegio di poter entrare nella quotidianità della vita e dà il senso di questo nostro vivere - in misure e modi assai modesti e insignificanti - qui nella Chiesetta del Porto.
Qualcuno ci chiede di inserire un modulo di conto corrente per poter facilitare l'invio di un contributo, di un "abbonamento", di un sostegno economico a questo foglio. Vogliamo rimanere fedeli ad una linea che d, molti anni si esprime con la frase "Non chiediamo abbonamenti Chi vuole può dare una mano nel modo che crede più opportuno" .
Sinceramente - senza affatto disprezzare, anzi, ringraziando quanti di voi sono fedeli a, un sostegno economico decisivo per pagare l spese di stampa e spedizione - la mano che chiediamo è prima di tutto nel vivere e diffondere una amicizia semplice e "a gran cuore", una attenzione alla realtà umana e all resistenza contro ogni disumanità. Nei modi, nelle misure che la coscienza personale, le condizioni di vita, le risorse personali e di gruppo lo permettono. E anche oltre ... perché la lotta come amore non è mai un bilancio da portare a pareggio, ma uno stile di vita segnato dalla mano aperta del seminatore che getta il seme nella fiducia di ogni possibile fecondità.
Una amicizia che non si sottrae al desiderio dei segni più o meno consueti della comunicazione. Una lettera, una cartolina, un biglietto, un messaggio sulla segreteria telefonica... riempiono di gioia e di presenza la nostra vita quotidiana assai simile a quella di tanti di voi. Originale e calda ci pare tutta la serie di messaggi, di auguri, di memorie che ci inviate nell'apposito spazio sui moduli dei vaglia postali. Meriterebbe lo spazio di un intero numero del giornalino anche solo un collage di queste straordinarie "strette di mano".
Accogliamo in questo numero due testimonianze assai diverse tra loro per spessore, coinvolgimento, storia. Eppure simili nel raccogliere il seme di una vita che muore per fecondare di speranza la zolla di terra in cui si opera. Il passaggio, delicato e difficile insieme, dell' adolescenza e il mondo rimosso e segregato della vita carceraria sono realtà del tutto dissimili eppure unite dalla condizione di dimensioni della vita in esilio, destinate per lo più a svolgersi "fuori" dalla città degli uomini. Come ogni passaggio - più o meno prolungato nel tempo - che costituisce un confronto con una identità altra da quella disegnata dal sistema di vita imperante. Oltre le mura di una convivenza umana che espelle tutto ciò che non riesce a rendere omogeneo alla propria pervicace volontà di sopravvivere identica a se stessa.
Nell'anno che ci apprestiamo a vivere ricorre il decimo anniversario della morte di don Sirio. Il 19 febbraio 1998 saranno dieci anni. Come tanti di voi in situazioni simili avranno sperimentato, non è facile crederci. Non è facile cioè rendersi conto del passare del tempo e più che increduli si rimane confusi, disorientati. Sembra appena ieri e sono già dieci anni...
Anni della mia vita, anni più o meno decisivi, importanti comunque. Ho portato con me Sirio. Come avrei potuto fare altrimenti? La memoria, il ricordo vivo, la nostalgia. Abito nella sua casa, vivo di quello che è stato anche - e in modo davvero decisivo - il suo lavoro, sono sostenuto da molti amici che ho conosciuto per via di lui... Ma in questi dieci anni la strada è stata la mia, i motivi di vita quelli che ho ritenuto più giusti per me; i muri hanno cambiato pelle inconsapevolmente, inevitabilmente.
Ma dov'è Sirio, ora? Lui, e non l'immagine di lui che mi sono fatto io anche se per portarla più vicina possibile al cuore?
Le paginette centrali si sono dilatate in questo numero. L'incontro - i primi di agosto - con un folto gruppo di giovani capi scout, ha segnato un momento importante e bello sul filo della memoria viva di don Sirio. E Maria Grazia rende conto di quelle conversazioni articolandole per quanto lo permette lo spazio in questo giornale, la reale difficoltà a unire insieme memorie raccontate da punti di vista nettamente diversificati, la sensazione che comunque trattandosi di una memoria viva essa modifica continuamente se stessa...
In un fine settimana di luglio e, successivamente, in ottobre ci siamo incontrati qui alla Chiesetta con Giorgio, Gianni e Roberto per impostare il convegno che i preti operai hanno deciso di tenere nel '98 qui a Viareggio nel solco della memoria di Sirio. E' nato un programma semplice, ma intenso. Da venerdì l Maggio a domenica 3 un incontro intitolato significativamente "Chi lotta e soffre su una zolla di terra, lotta e soffre su tutta la terra". Incontro di preti operai che diventerà nel pomeriggio e nella serata di sabato un incontro aperto a tutti gli amici di Sirio.
Siete tutti invitati a partecipare e sarà festa segnata dalla gioia nella speranza che veramente "la morte non chiude la storia".
Luigi
Cari amici italiani, la facciata del tempio si squarciò... La notizia che ha ferito profondamente, me come credo tutti voi, ha fatto eco con "e il velo del tempio si squarciò", uno degli eventi con cui Matteo commenta il grande rifiuto dell'umanità. Non sono abituato a commentare gli avvenimenti personali e sociali con l'espressione abituale dei credenti: volontà di Dio, Dio ha voluto... perché è chiaro che Dio non vuole il male, la morte, ma può volere solo il bene. Non poteva voler distruggere questo canto intonato sette secoli fa e che continuava a modularsi in quella basilica.
Ma è vero che tutto quello che succede ha un senso simbolico e dobbiamo coglierlo dentro gli avvenimenti. Immagino che uno storico futuro del duemiladuecento raccontando il disfacimento del cristianesimo come cultura possa prendere le mosse da questo avvenimento: "e la chiesa, il cuore cristiano dell'Europa, si squarciò".
Il disfacimento della cultura cristiana è inevitabile ed è in cammino. Avete paura? Abbiate presenti le parole con cui Gesù ci rassicura sul dopo l'evento: "quando vedrete tutte queste cose (ben più gravi per loro estensione dei crolli dell'Umbria) sappiate che Egli è proprio alle porte e annunzia questa venuta con simboli della primavera: "quando il ramo del fico diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina... ".
Cultura cristiana vuol dire in una sola parola "globalizzazione" diretta da poteri direzionali e decisionali che hanno la loro sede in terra cristiana, che sono riusciti con la loro astuzia ad evitare confronti col vangelo. Globalizzazione vuol dire eliminazione di ogni resistenza, di ogni critica, di ogni timida iniziativa di liberare il pensiero alla ricerca di progetti diversi di vita sociale.
Quelli che pilotano la globalizzazione si arrogano il diritto di usare tutte le creazioni umane accumulate nel corso dei secoli come se fossero loro proprie.
E' apparso sulla terra l'incarnazione di un essere invisibile onnipotente che ha lanciato un proclama all'umanità: "Tutti fermi", tutto mi appartiene e io so come usare le cose. Voi avete fatto dei tentativi molto timidi di vivere, ma non avete mai vissuto veramente. Avete tentato di capire l'uso delle cose, ma non le avete mai usate in verità. Finora avete partecipato a un apprendistato molto primitivo. Ora noi vi insegneremo come usare le cose. Guardate l'operosità della tecnica e attendete: tutto quello che voi avreste voluto fare senza riuscirci: quello che avete sognato ed anche molto di più, vi sarà dato. E' assolutamente impensabile che voi possiate desiderare qualcosa che la tecnica non sia capace di darvi. Siete religiosi? Abbiamo una sezione speciale che studia come soddisfare questa aspirazione giustissima e ci sono già dei saggi che dovrebbero farvi capire che si può essere religiosi senza i tormenti inutili degli asceti, senza le paure che incutevano i profeti. Sedetevi comodamente sulle vostre poltrone e vi sarà dato comodamente ciò che può colmare quel vuoto che è stato definito metafisico impropriamente, perché può essere stupidamente soddisfatto dai mass media che sono di questa terra; totalmente immanenti.
Ho letto molti resoconti dell'ultimo incontro del Papa con la gioventù a Parigi. E i relativi commenti alla cronaca. Tutti coincidono nell'impressione che ha dato la gioventù di vivere con sincerità e partecipazione profonda una esperienza religiosa. Tutti sono d'accordo nel riconoscere il fascino che emana dalla personalità formidabile ("figure formidable", scrive il giornalista de Le Monde) di Giovanni Paolo II. Ma lo stesso giornalista continua il suo commento dicendo che questi giovani non danno nessuna importanza alle proibizioni morali del Vaticano ("eux se noquent éperdument des interdits du Vatican").
L'immagine generale è quella di un padre severo che ha rimproverato energicamente i ragazzi perché non studiano, passano il loro tempo nelle discoteche, ecc. ecc... Però il lunedì sera, quando tutti sono a casa, organizza un bel pranzetto e fa una bella festa senza più parlare di trasgressioni... e chi non si sentirebbe riconciliato con un papà così buono? E' vero che il Papa ha parlato di impegno serio nel servire i poveri, e questo piace molto a tutti i giovani, anche se la pratica non sempre ne dà una prova.
La ripercussione che ha sull'aspetto esplicitamente religioso la crisi della cultura cristiana viene messo in evidenza con molta chiarezza da angoli diversi. A cominciare dal card. Ratzinger in un famoso discorso tenuto in Messico e che ho avuto occasione di commentare, agli studi di sociologi laici, specialmente francesi. Una delle conclusioni di questi studi afferma che "l'analisi di questa spiritualità della confusione, composta da una nebulosa di eterodossie, è uno degli esercizi più difficili che si presentano al sociologo, perché questo spazio religioso ormai di tutti e di nessuno, è attraversato da numerosi movimenti contraddittori". Quelli che amano veramente i giovani dovrebbero aiutarli a trovare in questa nebulosa l'emergenza di una roccia sicura a cui ancorarsi. Ne ho parlato ultimamente con un giovane italiano commentando con lui le parole di Paolo: "la carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà". Il Papa ha richiamato i giovani a servire i poveri, ma, in pratica, la Chiesa Cattolica non affronta la crisi religiosa, che colpisce particolarmente la gioventù, con efficacia perché non mostra nelle sue scelte la capacità di mettersi fuori e al di sopra di quella "nebulosa" creata dalla tecnica che usa tutti i mezzi di comunicazione per spegnere la capacità di critica. La difficoltà dei sociologi di analizzare il fenomeno religioso oggi, deriva dal fatto che i mezzi di comunicazione asserviti alla economia di mercato, creano questa nebulosa nella quale entrano le scosse spettacolari di Parigi, Bologna, Rio de Janeiro, per citare le ultime cronache delle apparizioni papali.
Al mio amico ho tenuto su per giù questo discorso: "Capisco che in questo immenso mercato di spiritualità ti sia difficile scegliere. hl dovresti cercare qualcosa di cui puoi essere sicuro, di cui non ti pentirai mai. Ma anche se tu vivessi quanto Matusalemme, mai, assolutamente mai nel tempo e nell'eternità, ti pentirai di avere amato concretamente i tuoi fratelli poveri; l'altro asimmetrico, come dice Lévinas.
Ti potrai pentire di aver seguito un guru piuttosto di un altro, di aver scelto un movimento che poi hai scoperto pieno di contraddizioni, ma mai ti pentirai di aver amato. E sono sicuro che dando questo consiglio non lascio insoddisfatta la dimensione della fede e della conoscenza di Dio, ma metto il mio amico sul cammino unico dell'incontro con Lui. Non lascerò questo discorso senza seguito, ma per ora vi lascio perché sono stato anche troppo lungo. Incontrerete certamente qualche vostro amico o amica che ha passato un tempo qua con noi che potrà chiarirvi meglio questo mio pensiero. Intanto, un abbraccio con affetto.
fratel Arturo
Quando sono arrivato nella piazzetta del piccolo borgo di S. Anna di Stazzema, la prima cosa che mi è venuta incontro è stato un magnifico profumo di pane. Pane che stava lentamente cuocendo nel forno attiguo all'unico negozio del luogo. Quel profumo veramente unico mi ha accompagnato interiormente per il periodo in cui ho potuto partecipare ad un incontro che si è svolto a
S. Anna nell'ultima settimana di Agosto. Il tema di questo campo di educazione alla pace (alla sua seconda edizione) era: "al cuore dei conflitti" .
Il programma prevedeva cinque giorni di riflessione e di confronto su argomenti legati fra loro dal filo di una ricerca nonviolenta delle possibili soluzioni di una realtà umana, sociale, politica, interpersonale e mondiale che quasi sempre segue la logica dello scontro e della contrapposizione fino alla morte.
Che questo sforzo di approfondimento di un modo diverso di affrontare di un modo diverso di affrontare i problemi avvenisse in un luogo come S. Anna mi è sembrato molto significativo: in questo piccolo spazio, chiuso tra le pendici dei monti coperti di castagni, dal 12 Agosto 1944 si respira un' atmosfera carica di dolore e di angoscia senza fine. E' un luogo dove non si va volentieri: il ricordo delle vittime (più di 500) di quel terribile 12 Agosto, quando le SS tedesche decisero una rappresaglia assurda ed atroce, fa scendere nell' anima un senso di oppressione veramente inesprimibile.
Solo chi non sa che cosa vi è accaduto (ormai sono passati più di 50 anni) vi può salire spensieratamente. Anche se appena vi giunge, le lapidi, i monumenti, la chiesa cominciano a raccontare - nel silenzio delle parole scolpite sulla pietra - l'orrore che vi è stato compiuto. Per me, è stata molto importante la partecipazione a questo incontro (anche se in modo parziale), proprio a partire dalla considerazione di ciò che S. Anna rappresenta in una visione di "memoria storica" che in qualche modo dia voce a quei poveri morti e ci consenta di accogliere un messaggio di vita e di cambiamento radicale.
Sono stato contento di aver trovato a S. Anna amici di vecchia data e volti nuovi: eravamo un bel gruppo di persone tese alla ricerca di comprendere il valore di una maniera diversa di concepire i rapporti umani e di trovare stili di vita e ricchezza di pensieri (di "cultura") che nascessero dalla voglia di produrre più vita, più luce, più fratellanza, più scoperta della bellezza della diversità dell'altro...
Senza negare la conflittualità che è scritta nel processo stesso della storia, anzi assumendola consapevolmente come un dato di fatto.
Senza tuttavia fame motivo di distruzione e di morte, decidendo invece con fermezza la linea da seguire per una strada nuova (anche se "antica come le montagne"): quella, appunto, segnata dalla non violenza e dall'affermazione forte del "diritto di non uccidere" e di "non lasciare uccidere nessuno". L'amico Enrico Peyretti ha guidato la riflessione su questo argomento in modo chiaro e penetrante, sul filo di un approfondimento dell'imperativo etico che nasce dal "non uccidere" come dovere, per giungere alla convinzione che esiste, forse più intenso e preciso, il "diritto di non uccidere". In quanto esso stabilisce l'unicità della coscienza di ogni persona come sorgente di un'etica, di uno stile di vita, basata sulla necessità di eliminare dalla storia umana la morte "data" attraverso la guerra ed ogni altra forma di violenza omicida. Come ben diceva Aldo Capitini: "La vita senza morte comincia dal non uccidere".
Il lavoro da fare per sviluppare questa visione delle cose è indubbiamente lungo e difficile: d'altra parte, questa è l'unica maniera per la crescita di veri rapporti umani ed espellere la cultura della violenza e dell' odio (di razza, di classe...) dal tessuto sociale. La presa di coscienza riguardo alla conflittualità delle situazioni, la stessa "memoria" di avvenimenti dolorosi e drammatici come quelli accaduti a S. Anna, può essere la base di partenza per un lavoro educativo attento e costante, per aprire nuove strade nella direzione del "diritto alla vita" e ridurre progressivamente le strutture che per loro natura sono orientate a "produrre la morte".
I drammi terribili e molto recenti della Bosnia e del Rwanda, la situazione dolorosa e amara in Israele-Palestina, sono lì a testimoniare l'urgente necessità di un impegno di "resistenza" alla logica dello scontro violento e dell'eliminazione fisica dell'avversario che attraversa la storia umana e rende la vita (anche quella delle nostre città) un campo di battaglia.
L'incontro di S. Anna ha significato molto in questa direzione: lo scambio tra i partecipanti, le relazioni e le esperienze presentate, la meditazione dolorosa ma viva dei fatti accaduti in quel luogo, rappresenta indubbiamente un momento di approfondimento e di presa in carica del proprio impegno nel quotidiano. Poca cosa, certamente, ma ricca di significato, come quel pane buono e profumato uscito dal piccolo forno dove ogni mattina mani esperte e capaci continuano ad alimentare la vita. Anche il Vangelo, parlando del regno di Dio, parla di cose piccole, ma cariche di vita. Sale, lievito, semi sparsi nella terra, farina impastata da mani cariche d'amore: la civiltà della nonviolenza cammina sicuramente su queste strade.
La lotta è ampia e dall'esito non scontato; ma è importante che ci sia sempre qualcuno che dall'interno di una situazione carica di conflittualità non si stanchi di impastare la farina necessaria a produrre un buon pane ricco di energie capaci di alimentare non il fuoco della distruzione e della morte, ma il "fuoco buono", quello che diventa luce, calore, punto d'incontro e di reciproco scambio lungo i sentieri dell' esistenza.
don Beppe
A tre anni dalla scomparsa di Michele, vi proponiamo ancora alcuni suoi scritti, semplici riflessioni di bambino.
Non ve li presentiamo come esempio di bello stile della nostra lingua italiana (la sua penna acerba è un boccio che non vedrà la fioritura della maturità), né come esempio morale da cui trarre insegnamenti per la vita (troppo poco l'ha conosciuta). Ci interessa invece far conoscere il percorso umano di Michele, comunicare a chi non l'ha conosciuto la gioia che ci ha dato vederlo crescere, assistere e contribuire al formarsi della sua personalità.
Muovendoci dietro le sue tracce, i temi scolastici, possiamo seguire i suoi primi passi nel mondo, sentire la sua gioia di fronte alle meraviglie della natura, l'ansia della scoperta di sé, della propria identità e poi, come avviene spesso, la paura di rimanere intrappolati dal proprio "io", il desiderio di superare i propri limiti nell'incontro con gli altri, di trovare altre dimensioni a cui poter attingere per vivere pienamente la propria vita.
Vi offriamo le sue parole, perché sono testimonianza della consapevolezza del vivere, della fatica di crescere e alimentate sempre dal desiderio di "volare" verso un mondo migliore, fatto di amicizia e di amore.
Questo Enza e Memo hanno scritto sulla prima pagina del foglietto che ci invitava ad incontrarci di nuovo nella Chiesa di S. Vito in occasione del terzo anniversario della morte per tumore, a sedici anni, del loro figlio più grande. Un incontro semplice e partecipato da giovani che hanno cantato e letto alcuni scritti di Michele. Tra questi, scegliamo questo tema scritto in III Media:
Che cosa ti aspetti dalla vita?
"Voglio una vita spericolata" dice Vasco Rossi... Io no. Non sono il tipo dell'avventura. Dalla vita io mi aspetto grandi amori, amori sinceri, amori giocati e sognati, sempre.
Oltre all'amore, mi aspetto una vita serena, ma allegra: vorrei restare sempre pieno di amici e non barricarmi in casa, allontanandomi irrimediabilmente da loro. Vorrei che gli amici mi sentissero davvero uno di loro, vorrei poter essere apprezzato per quello che sono e non per quello che sembro. Vorrei che tutti mi capissero e mi prendessero sul serio. Vorrei quindi avere con i miei amici un rapporto costruttivo e assolutamente non superficiale.
Per quanto riguarda la vita in sé e per sé, io, finita la scuola, sarei disposto a fare qualsiasi sacrificio, pur di affermarmi nella società e garantirmi un futuro. Il primo impatto è quello più importante, perché con esso potrei giocarmi anche gran parte della vita futura.
Mi piacerebbe essere un uomo di successo: scrittore, cantante, politico, corridore, imprenditore, tutto mi andrebbe bene. Vorrei "sfondare" e crearmi una nuova vita, viaggiare, conoscere sempre nuove persone ed avere sempre più amici sinceri, amici veri che sappiano anche aiutarmi nei momenti difficili.
E i soldi? Nella mia vita immaginaria non mi dovrebbero mancare. Ma non posso comprarmi una Porsche, senza un amico con cui divertirmi nei lunghi viaggi. Non posso farmi una villa principesca, senza qualcuno con cui dividerla. Vorrei poi essere apprezzato da tutti, senza giocarmi il mio ipotetico successo: non voglio che la gente per strada mi lanci uova marce o mi pianti gli occhi addosso. Meglio allora non essere nessuno, andare a fare il pescivendolo al mercato, ma avere il rispetto della società, o vivere al di sotto delle mie possibilità e non perdere il contatto con nessuno, per non offendere chi, magari un anno prima, mi avesse sentito parlar bene, mettiamo, del Comunismo e parlarne male dopo il suo crollo; a quel punto, sarei un falso, corrotto...
No, oltre all'amore, la vita non mi deve niente.
Così hanno concluso i genitori di Michele:
A rivederci
Scrive Michele nel suo tema "caro diario" (1993): "... Questa malattia immaginaria dura da quasi due anni, cioè da poco dopo che avevo iniziato a rinnegare il mondo, il modello e la vita che mi erano stati prospettati come l'unica e più ovvia possibilità. Da allora ho iniziato a vedere ogni cosa con i miei occhi... "
"Questa malattia immaginaria... " - L'adolescenza è un periodo critico fragile, indispensabile passaggio che Michele ha saputo cogliere con straordinaria lucidità.
Da ciò è nata l'idea di riunirci con coloro che fossero interessati ad un lavoro con i giovani, di tentare un'associazione che possa "riallacciare" i temi e le poesie di Michele con le incertezze, le gioie, le paure dei ragazzi che oggi affrontano la vita.
La scuola è certamente il luogo che ha permesso a noi genitori di raccogliere tante tracce lasciate da Michele e può essere il luogo da cui iniziare.
Una borsa di studio, la pubblicazione degli scritti lasciati, possono costituire il primo passo.
Coloro che fossero interessati a lavorare in questo senso con noi sono pregati di farcelo sapere.
Enza e Memo Sonnenfeld
Via C. Lorenzini , 40 - 55100 Lucca
tel. 0583/954614
Mi sembrava di vederlo lì, solido come una quercia.
Un sommesso tam tam ci aveva avvisati che avevano scelto Don Sirio come maestro di vita per un raduno versiliese di capi scout. La proposta era partita in primavera dalla sezione provinciale dell'AGESCI; l'anima dell'iniziativa era stato Giovanni Lucchesi che ne aveva reperito libri, letto articoli, fotocopiato le cose più interessanti ed inviato il tutto alle varie sedi per farlo conoscere. All'inizio dell'estate il progetto cominciò a prendere corpo, tanto che un pomeriggio di luglio Antonella e Giovanni arrivarono alla Chiesetta del Porto per portarci la buona notizia: entro pochi giorni circa cento giovani capi Guide e Scout sarebbero confluiti a Viareggio da varie parti d'Italia, pronti a confrontarsi con la figura di Don Sirio. L'incontro aveva come chiave di lettura il bello slogan "Solidi e solidali": ci spiegarono che per l'Associazione era importante riflettere sul tema della solidarietà, da sempre centrale nella loro vita. Ricordo che ascoltandoli pensai subito che quel titolo era proprio giusto anche per Don Sirio: mi sembrava quasi di vederlo, lì, solido come una quercia, capace di ospitare nella grande chioma dei suoi rami eventi e persone, secondo uno stile di vita solidale che traeva la sua forza dall' aver messo ampie radici nella terra.
Naturalmente ci facemmo catturare dalla proposta: sì, l'idea che in tanti si muovessero per venirlo a conoscere ci commosse, cosa rispondere se non che chi sarebbe stato in zona per quella data (4/6
agosto) avrebbe accettato con gioia di parlare? Suggerimmo loro di contattare i diversi amici e alla fine c trovammo in quattro, la Piccola Sorella Maura, Don Rolando, Don Luigi ed io.
I giorni trascorsi insieme si sono rivelati ricchi di vita, per quel gioco di rispecchiamento reciproco che accade sempre quando lo scambio avviene al livello del cuore. Mi ricordo che guardandoli ascoltare intenti, seduti in circolo, uno accanto all'altro, avevo la percezione che un soffio di energia li raggiungesse, quella, ancora sovrabbondante, di Don Sirio che continua ad abitare fra di noi.
Non abbiamo avuto la possibilità di decidere in anticipo chi di noi avrebbe svolto un tema, chi un altro, in quale ordine e da che punto di vista. Eppure ognuno ha deposto sul verde prato nel quale eravamo radunati il suo frammento di verità, formando delle tessere capaci di costruire un ritratto non certo completo, ma il più possibile a tutto tondo di Don Sirio. Per ragioni organizzative i giovani erano stati divisi in due gruppi: il sabato ci siamo trovate ad aprire i lavori la Piccola Sorella Maura ed io, parlando ognuna a un gruppo diverso. Anche se la circostanza è stata casuale (ma c'è qualcosa di casuale nella vita?) è stato bello che fossimo noi donne a porgere il primo contatto con Don Sirio, facendo da ponte, tracciando una via, donando un filo conduttore capace di portare a lui.
Per me il contatto con i giovani ha significato una sfida a interrogarmi con sincerità, senza schermi, per essere pronta a capire nuovamente, lì con loro, il significato di quanto avevamo vissuto. Per prepararmi mi sono lasciata andare a un movimento rabdomantico: china ad ascoltare la realtà ed insieme abbandonata ai segnali misteriosi che conducono alla sorgente originaria.
Tenere collegati il piano oggettivo e quello intuitivo mi ha portato ad intrecciare insieme due elementi: il filo biografico e una chiave di lettura unitaria capace di coglierne il senso della vita. Ne è nato un racconto biografico che era contemporaneamente storia e descrizione del suo compito speciale nella vita.
Scopre la dimensione dello Spirito...
"... Don Sirio nasce in un paesino pianeggiante della Versilia, da una famiglia molto modesta: il padre, illetterato, è un semplice manovale che emigra come molta povera gente in Argentina. Ultimo di cinque figli, nato a diversi anni di distanza dai primi quattro, Don Sirio è molto amato dai genitori. Entrato in seminario adolescente, viene ordinato prete nel '43 l'anno più tragico della guerra, ma anche l'anno in cui si intravede una speranza. Due anni più tardi viene destinato alla parrocchia di Bargecchia, un prete come tanti, anche se forse più vivo di altri... Agli inizi degli anni '50 in Don Sirio si opera una lenta metamorfosi, la prima tappa di quella avventura che lo spingerà a mescolare e successivamente ad integrare lo Spirito con la Materia. Fu come se Dio lo chiamasse per la seconda volta, attirandolo verso gli spazi aperti dello Spirito."
Incontra la materia: un contatto così forte, così virile, così povero, così in basso ma così caldo...
Raccontavo a quei giovani che la parola magica che ci fa entrare nel vivo della vita di Don Sirio è "integrazione", che ritrovo come leitmotiv anche nella mia esistenza.
" ... Poi venne l'esperienza operaia. Era qui che doveva approdare per portare a termine il disegno di Dio su di lui: incarnarsi, mescolare insieme Spirito e materia. Don Sirio non poteva immaginare cosa avrebbe significato tutto questo quando entrò, accolto con diffidenza, nel duro ambiente operaio dei cantieri navali anni '50. Più tardi il sospetto si stemperò e venne plasmato dal loro contatto, quel tempo fu per lui una sorta di iniziazione. Conobbe la materia: corpi, sudore, fatica, peso e ne uscì trasformato. Lui, magro allampanato, divenne solido e robusto, proprio come la vostra bella frase "solidi e solidali". Acquistò materia, non solo la incontrò, ma la assunse, la fece propria, la integrò al suo vasto mondo spirituale."
"In seguito il cammino compiuto in quegli anni gli consentì di creare uno spazio adatto a successive integrazioni: l'uomo e la donna, la solitudine e la vita in comune. E più tardi persona e natura, amore e lotta, normalità e disabilità, sacerdozio e laicità, salute e malattia".
Ora il femminile e il maschile potevano integrarsi e convivere in maniera radicalmente nuova annunciando la venuta di ''nuovi cieli e nuove terre"
" ...Io, per vie diverse e misteriose, mi ero preparata a quell'incontro che era anche per me sotto il segno dell'integrazione, di una integrazione mancata e della quale, allora inconsapevolmente, andavo alla ricerca. Venivo da una famiglia borghese, della tranquilla e solida borghesia che attraversata la guerra si era data regole sempre più definite per distinguersi dai nuovi ricchi nati dai disastri bellici. Mio padre rappresentava il mondo dello spirito: gusto intellettuale, onestà morale, tensione etica e una ricerca continua verso l'armonia che lo spingeva ad essere tollerante. Mia madre era la visceralità fatta persona, la forza indifferenziata della materia che non distingue il sé dai propri figli e nipoti, il maschio dalla femmina. L'integrazione fra loro non poté avvenire e in una famiglia se il principio femminile e quello maschile non si integrano la vita che nasce deve come ricominciare da capo e andare alla ricerca del tassello mancante che le è stato sottratto. Incontrato Dio alla fine dell'adolescenza, ed innamorata di Lui come era accaduto a Don Sirio, una spinta vitale mi spinse alla ricerca di materia da potere accostare e mescolare alla mia parte spirituale."
"E allora si ripeté un disegno: Dio cercato in basso, uno stile di vivere semplice, un muovermi da una famiglia a creare un'altra famiglia con un movimento simile al pendolo, da una materia a una differente materia, da un luogo ad un altro. Eravamo fatti per incontrarci. "
(Rimando il racconto degli anni '70 ed '80 al prossimo numero per potere lasciare spazio sufficiente a tratteggiare gli altri interventi.)
Il dilagare dello Spirito non lo lascia più lo stesso, lo attira verso spazi ancora inesplorati
La passione dell'assoluto scorre come una vena sotterranea nel racconto della Piccola Sorella Maura ed emerge dal tono vivace del suo parlare, ma soprattutto dall'attenzione nel porgere la storia di come Dio sia entrato prepotentemente nella vita di Don Sirio e nella sua. "Ero giovane ed abitavo e lavoravo nei campi vicino a Bargecchia quando Don Sirio fu nominato parroco di questo piccolo paese che ha campane stupende, incastonate come gioielli in un campanile di pietra bianca che sbuca fuori da una distesa di ulivi. Il giorno in cui arrivò per la prima volta, a piedi, le campane suonavano a festa inondando di vita nuova le colline e la pianura e la gente gli andò incontro, sentendosi riconosciuta una per una ... ". Vi rimarrà dal 1945 al 1956: Don Sirio era diventato prete da poco, dopo un periodo tormentato e burrascoso nel quale aveva vissuto una strenua, personalissima battaglia per resistere all'invasione che Dio operava nella sua vita. "... Aveva cercato perfino di non diventare prete, chiedendo, ancora seminarista, di andare come infermiere al fronte. Ma quando il tentativo fallì, si arrese, senza condizioni a Gesù Cristo, credendo perdutamente in Lui". Quello di Bargecchia è il periodo nel quale viene sopraffatto da Dio, una presenza che lentamente si impone nella sua vita, dilatandola, aiutandolo ad uscire dal solco della tradizione, non lasciandolo più lo stesso. Solo più tardi sceglierà gli ultimi e non sopporterà più di vivere mantenuto da una parrocchia ricca, con buone rendite: allora si compirà un disegno:
"Dio avrà tutto il campo libero e quella zolla di terra di Don Sirio diventa terreno di incontro dove Dio e l'umanità avrebbero vissuto insieme un mistero d'amore".
"Dio si assicurò di prendermi nero su bianco, nel dubbio che non capissi, dura di testa come sono."
Maura, allora sedicenne, era "vivacissima, ribelle", con tanta voglia di vivere, un desiderio, un'energia irruente che le lunghissime ore di lavoro non riuscivano a domare. Come tutti a quell'epoca frequentava la chiesa la domenica, ma l'incontro con Dio sarà un'altra cosa. Avvenne per caso: una domenica pomeriggio di piena estate, invece di andare al cinema entrò nella chiesa deserta a cercare riparo dal sole. La penombra quieta l'attrasse e rimase lì, sentendo qualcosa mai provato prima "un'impressione di pace, una presenza che mi meravigliava. Ma cos'è, mi domandavo?". La domenica seguente volle provare di nuovo, l'esperienza si rinnovò "ma di più, ed io ebbi paura". Alla terza domenica vide su un bancone un libro aperto alle pagine della Resurrezione di Gesù: la Maddalena va alla tomba, la trova vuota e piange desolata perché hanno portato via il suo Signore e non sa dove l'hanno deposto. Si rivolge al giardiniere pregandolo di rivelarle dove l'ha trasportato e lui le risponde: "Maria!.." e subito Lo riconosce. Le sembrò che ci fosse scritto Maura e che quella voce la interrogasse, le parlasse al cuore: da allora rispose "Eccomi".
"Ero una bimbetta" dice la Maura "Don Sirio, anche se giovane, già forte del suo cammino... era come se fossimo sempre insieme, da allora ci unì l'amore per Lui". E racconta come Don Sirio pregasse in Chiesa, fino a tardi la notte e le gente si era abituata a vedere la chiesa illuminata a lungo la sera, o all'alba, quando si alzava. L'abitudine della preghiera li univa, anche a qualche chilometro di distanza. Dopo pochi anni Maura e una sua giovane amica, Giulia, anche lei di Bargecchia, partirono per entrare fra le piccole Sorelle di Charles di Foucault, un ordine religioso che influenzerà profondamente la spiritualità di Don Sirio.
Come un padre di famiglia che tira fuori dalla sua sacca cose vecchie e cose nuove.
Don Rolando ha offerto un insieme di ricordi, un fiorire di aneddoti, come il buon un padre di famiglia che tira fuori dalla sua sacca cose vecchie e cose nuove. A cominciare dal 1965, quando lui e Don Sirio andarono ad abitare al Bicchio: racconta che per mantenersi fecero all'inizio il lavoro delle vigne e gli imbianchini: "vangavamo, pativamo il caldo e il freddo, facevamo tutto con serenità e una buona dose di umorismo. L'anno seguente iniziammo a fare gli imbianchini, mettendo su quella che battezzammo la "ditta Splendens"... alla fine ci venne in mente il lavoro del ferro battuto. Quanto alla parrocchia io facevo il catechismo ai bambini, seguivo gli ammalati, la messa tutte le mattine. Tutto ciò che si fa normalmente: la differenza era che non volevamo rumore di denaro intorno all'altare, che traducendo significava non prendere soldi per i sacramenti" .
Lavorare per noi era normale, avevamo scelto questa vita semplice, umile...
Fu nell'anno seguente che io mi unii alla piccola comunità e la grande casa di campagna (che ricordo Don Rolando chiamava la casa più bella del mondo) diventò un affollato porto dove la gente approdava. E Don Sirio e Don Rolando dovettero lavorare sempre di più per mantenere la famiglia che cresceva. "Lavorare per noi era normale, avevamo scelto questa vita semplice, umile, per restituire alla povera gente quanto avevamo avuto. Il nostro intento era quello di ritrovare la normalità dell'esistenza, perché proprio qui è il segreto del cristianesimo".
Nel mio ricordo tre erano i luoghi fisici e simbolici del nostro vivere: l'officina dove Sirio e Rolando lavoravano il ferro battuto, la cappella dove ci ritrovavamo la sera e la mattina per pregare, e la casa, una sorta di alveare affollato di incontri, luogo privilegiato di scambi. "La cappella era costruita nel fienile, il vetro dello sfondo era grandissimo e lasciava vedere la pioppeta dietro casa, lo avevamo fatto per dare risalto al primo sacramento di Dio che è la natura. L'eucarestia, il secondo sacramento, era custodito in un tabernacolo scavato in un ceppo di vite, sulla cui porticina era saldata una chiave:
Gesù apre il cuore di Dio e quello dell'uomo".
"La nostra era una casa aperta a tutti, condividevamo quello che avevamo. Annunciavamo il vangelo con la vita, offrivamo senza la pretesa di convertire nessuno". A proposito del loro rapporto con la Chiesa ufficiale don Rolando ricorda che: "ci fu il periodo controverso del dramma di Firenze, dell'Isolotto:
Don Sirio scrisse una lettera bellissima che ancora conserviamo, aperta alla fedeltà alla Chiesa ed insieme alla realtà dell'Iso lotto. In seguito, con una quindicina di preti ci recammo presso la CEI per far finire lo scandalo della lotta che si era fatta durissima contrapposizione fra la curia e Don Mazzi, con la polizia che entrava nella Chiesa per farne cessare l'occupazione... " . Pochi anni dopo la comunità, nel frattempo cresciuta fino a undici persone, si divide: Don Rolando rimarrà con altri ad abitare al Bicchio, mentre Don Sirio, Don Luigi, Don Beppe, ed io torniamo di casa in darsena, in quella Chiesetta del porto che aveva ospitato Don Sirio nei suoi primi anni di vita operaia. "Ma anche se separati continuavamo a vederci, perché Don Sirio la domenica veniva a dire la messa in parrocchia, tutti i giorni arrivava per lavorare nella nostra officina e il mercoledì ci riuniamo insieme. Direi che quello che ci univa era uno scambio di ricerca".
Nacque allora l'utopia di un laboratorio
"Nel '79, aiutati da alcuni amici abbiamo comprato un capannone, dove ci siamo riuniti, noi due insieme a Don Luigi e Don Beppe". Nacque allora l'utopia di un laboratorio nel quale mantenere vivo il sapere artigianale: vi troveranno posto diverse lavorazioni, la forgiatura del ferro , poi quella del rame, la falegnameria, l'impagliatura delle seggiole, e via via ceramica, rilegatoria di libri, tessitura. Il tutto trova posto in un luogo fisico, un grande capannone posto nella darsena che lavora.
Lì, per un insieme di coincidenze troveranno ospitalità dei ragazzi con handicap che avevano bisogno di sentirsi inseriti in un ambiente amico. Il posto esiste ancora, nel tempo ha abbandonato la caratteristica artigianale e si è trasformato in una Cooperativa di servizi sociali. Su questa realtà i giovani hanno interrogato sia Don Rolando che Don Luigi, per capire il senso dei frutti e l'angolo prospettico nel quale leggerli.
Dice Don Rolando: "ora il nostro sogno iniziale è continuato da Luigi e Beppe che lo hanno profondamente trasformato: la cooperativa che si occupa di fornire servizi sociali a persone con disagio (handicap, disagio psichiatrico, anziani, minori) dà attualmente lavoro a 75 soci e quel che mi fa più piacere è sapere che sta per essere costruita una casa per handicappati. Si è creata una sensibilità nella città di Viareggio verso il problema dell'handicap e penso che questa sia già una fruttificazione. E penso che le capacità di Luigi e Beppe di espandere la cooperativa con un'impostazione tanto diversa dalla nostra sia il segno di un progredire delle generazioni, come accadrà a voi nei confronti dei vostri genitori".
"Sì, la cosa che voglio sottolineare - conclude Luigi - è che Sirio non ci ha lasciato un'opera da continuare a gestire nel solco dello spirito del fondatore. Ci ha lasciato qualcosa di veramente diverso e insieme di assai più prezioso: l'energia e la passione di lasciarsi invadere dalla realtà della vita.
Di questa sua passione e della sua energia noi siamo debitori come uccelli che affidano le ali delle loro migrazioni ad una invisibile corrente d'aria ascensionale, come fiori di montagna che si vestono di colori dalle mille sfumature nel caldo incavo della grande roccia".
Maria Grazia Galimberti
"La morte nel novembre '95 di Mario Cuminetti, fondatore del nostro Gruppo, ha improntato questo periodo della nostra attività, spingendoci da un lato a promuovere iniziative che evidenziassero la straordinaria ricchezza della sua figura di teologo e operatore sociale, dall'altro a intensificare il nostro impegno nel carcere, un lavoro a cui Cuminetti si era dedicato con grande passione. "
Così inizia un rendiconto delle iniziative del Gruppo Carcere Mario Cuminetti (già Corsia dei Servi) dal settembre '95 al febbraio '97. Ed è Germana Gasbarri Tizzani a ripercorrere brevemente le tracce che vogliono "restituire memoria di un impegno forte e fedele di Mario Cuminetti e Lucia Pigni, della Nuova Corsia, che nell' 85 usufruirono per la prima volta dell' articolo 17 della riforma penitenziaria, per svolgere attività culturale in carcere organizzando vari seminari e incontri su diverse tematiche, spinti dalla speranza o dal sogno di cercare comunicazione e trasparenza tra carcere e città" (introduzione al Convegno svoltosi nel Carcere di S. Vittore il16 dicembre 1996 dal titolo "Attraverso i confini: fedeltà alle radici e apertura all'altro nella testimonianza e nei libri di Mario Cuminetti"). .
Michele Coiro, direttore generale degli Istituti di pena, nella relazione al medesimo Convegno, cita Franco Bonisoli: "Undici anni fa con noi detenuti, Mario, con altri amici, iniziò una semina difficile, dal percorso e dagli esiti non prevedibili: venirci a trovare in carcere... con quale obiettivo? Redimerci? Indottrinarci? Insegnarci il verbo? Niente di tutto ciò traspariva dal loro atteggiamento.
Per noi era un' occasione di dialogo con un mondo di cui le mura del carcere e le nostre rigidità di pensiero ci avevano fino ad allora privato. Per loro un' occasione per capire, entrando nel ventre della tigre, una realtà umana e culturale che negli anni dello scontro sociale si era resa impenetrabile a chi non la condivideva. Uomini tra uomini, vite e storie diverse che in quella cella adibita a sala incontri si mettevano a confronto, ma partendo da un piano di parità".
Il risultato - prosegue Michele Coiro - è incoraggiante. Detenuti politici scrivono, alla fine di un corso: "Per un piccolo tempo e molte limitazioni siamo stati un elemento attivo nella società, un elemento che ha ricominciato a comunicare con un universo più ampio e ha ripreso a misurarsi con un serie di problemi concreti. Prima di tutto separazione tra carcere e società".
Dalle riflessioni di un gruppo di lavoro, all'interno del carcere, e dopo dieci anni di esperienze: "Il carcere non è un luogo da escludere dalla società, un buco nero da cancellare". "Il carcere, purtroppo, è viste come qualcosa da ignorare". "E' la dimensione dell' estraneo che si vuole cancellare, segno della nostra incapacità c vivere, di confrontarci ed accogliere il diverso. Sono problemi nostri, che tuttavia abbiamo deciso di ignorare". "La stessa tendenza attuale di allontanare le carceri dalle città, così come gli ospedali, è un altro indice di questa tendenza a rifiutare il diverso, il deviante, la malattia. Chi pone i problemi legati alla sua diversità deve uscire dalla città" .
Sulla stessa onda Mario Gozzini: "L'alterità, un grande tema di questo tempo, l'alterità, l'altro. L'altro per sesso, per colore della pelle, per cultura, per religione. Un nemico? Uno da espellere? Uno da tenere il più lontano possibile? Come le carceri, appunto, e gli ospedali fuori dalle città. Quando a Firenze si pensò a Solliciano, Solliciano era un campo deserto. Oggi è dentro alla città che si è ingrandita, ma, allora, l'idea era questa. Le Vallette a Torino sono anch'esse fuori dalla città, fuori. L'alterità è respinta. Le carceri non ci appartengono, non vogliamo sapere; anche se il legislatore dice che un aspetto fondamentale della riforma penitenziaria è la collaborazione della comunità esterna (art. 17 e 78, lo sapete benissimo)".
"Saluto tutti e mi presento: - interviene Maria Teresa Parolini - insegno e mi occupo di filosofia. Sono una delle molte persone che hanno condiviso quell'amico "speciale" che è stato Mario Cuminetti. Come amica di Mario, vale per me particolarmente quanto è detto nel risvolto di copertina di Seminare nuovi occhi nella terra e cioè che questo libro è un testamento spirituale prima vissuto e poi scritto. Infatti, io credo che molti dei presenti abbiano ritrovato nel libro le costellazioni di valori che hanno orientato la vita di Mario, tanti discorsi avviati e percorsi intrapresi insieme e che qui sono ripresi in modo unitario... Come se Mario avesse voluto, con questo libro, esserci ancora una volta interlocutore, e forse rispondere alla domanda che molti di noi non hanno osato esprimere compiutamente neanche a se stessi, ma che certamente in qualche modo si sono posti alla sua morte: "Dove andremo?".
Perché entrare in relazione con Mario infatti significava, così è accaduto a me, entrare in relazione con l'architrave di una rete di rapporti tra persone".
"Nel mio percorso parallelo-incrociato con Mario, - interviene Gianni Tognoni - ho condiviso più naturalmente le due aree della nostra diversità di saperi "professionali": quella della "scienza", nel significato particolare che questo termine ha quando si applica alla biologia; e quella del "diritto dei popoli".
- L"'alterità" della scienza-biologia è divenuta sempre più evidente e protagonista negli ultimi decenni, definendo perciò spesso spazi controversi per un sapere-agire etico, soprattutto a quella frontiera (di dottrine, di norme, di immaginari, di regole sociali) che ha a che fare con la definizione della vita (la sua riproduzione biologica, la sua conclusione).
Il problema non è di avere un'idea di ciò che è buono o meno, permesso o meno. La sfida è quella di creare condizioni perché i nuovi saperi e le nuove possibilità di intervento siano occasioni di libertà, di scelte consapevoli. La scienza chiede deleghe, fiducia scritta in bianco: è simmetrica, alleata, concorrente con gli altri poteri che incontra o con cui si scontra, quelli delle morali più o meno teologiche o religiose, delle dottrine-tesi laiche, delle posizioni di partiti-stati. Rigorosamente "ignorante" di scienza, coerentemente "competente" come cittadino che vive ad occhi aperti in una storia che si fa e si scrive, Mario si è preoccupato (nel cuore degli anni '70, intorno allo scontro civile e politico sull'aborto; e ancor più espressamente, negli ultimi anni con iniziative anticipatrici di futuro sulle sfide etiche della nuova biologia) di togliere il "dibattito" dalle polarizzazioni di poteri, per ricondurlo a racconti-ricerche di cui condividere le direzioni, le incertezze, le ambiguità, le possibilità. In modo tale che non siano possibili, o almeno non facili, le alleanze tra poteri (non ultimo quello degli interessi economici-professionali, ad esempio nel settore che continua ad oggi ad essere quanto mai critico, della riproduzione assistita), e siano possibili (anche se non facili) forme di comprensione, presa di coscienza, scelta. Etica applicata alla vita (bioetica) non come branca a parte, o disciplina nuova, ma come una delle forme e delle occasioni nelle quali si verifica la possibilità di mantenere e sviluppare il sogno di una libertà più profonda ed umana (è quello che la scienza dice di perseguire...), in una realtà dove sempre più pressante è il ritornello che le scelte libere sono quelle del mercato, cioè dello scambio e del compromesso tra interessi e poteri.
- Nell'area del "diritto dei popoli" il problema dell'etica del rispetto e della libertà dell' "altro" è ancor più macroscopicamente centrale. E la sua violazione è tale da suggerirle di non fame neppure un problema etico, cioè di scelta. Fa parte della struttura delle cose. Ci si può rammaricare; essere solidali, agire politicamente. La coniugazione dei sogni con la realtà (che è il cuore dell'etica, cioè del vivere in una storia in cui la libertà, è stata seminata perché' possa divenire condivisione con l'altro) deve invece confrontarsi esplicitamente proprio con questa frontiera difficile-impraticabile. Mario era partito da lontano (conoscitore precoce, disincantato, critico, partecipe della teologia della liberazione), ed aveva seguito sempre più regolarmente (come persona, e come "organizzatore di conoscenza") i problemi internazionali. Nel contesto in cui si colloca questo ricordo c "è una coerenza stretta in fondo tra Mario cittadino-protagonista di questa città attraverso una presenza privilegiata nel carcere, e il suo interesse (non formale, ma strutturale) per il mondo.
L' "altro" (singoli e popoli: minoranze e maggioranze) è sempre più confinato ad essere oggetto e non soggetto di sviluppo (cioè di libertà, di scelte, di sogni). La diversità può essere accettata solo se è compatibile con il mercato (se è commerciabile come folklore, turismo, droga, consumo, moda), ma non se è espressione per quanto contraddittoria e conflittiva di una ricerca di sogni compatibili-alternativi con la realtà. il potere si afferma sempre più quanto più diventa anonimo, intoccabile, invisibile, impunito-impunibile. Non per nulla la economia soprattutto nella sua trasformazione in scambio finanziario, segue le stesse regole che un tempo lontano seguiva la teologia dogmatica. Discende da principi, e si impone con principi, che prevalgono sulla storia reale, che deve essere plasmata a loro immagine. L'etica di opporsi a questo violento e ripetitivo surrogato di Dio è ancor più urgente e complessiva di quella che si applica al piccolo settore della scienza-biologia. In fondo, è noto che c'è un reciproco gioco di mimo tra carcere-città, dannati della terra-mondo.
Chi semina di occhi le città, non può ormai più farlo senza seminarne il mondo. E'anche di questo che parla l'augurio di Mario. Sarà sempre più attuale per le generazioni che vengono.
Su questa onda le iniziative del Gruppo Carcere di quest' anno.
A seguito di numerosi incontri in carcere tra detenuti, magistrati, operatori sociali e volontari nel capannone di S. Vittore concesso dal direttore, si è svolto il 24 giugno un seminario dal titolo "Bambini senza sbarre - Genitori detenuti e loro figli".
Le difficoltà e i problemi nella preparazione del seminario sono sempre stati numerosi e complessi e, forse, è stata proprio la fase preparatoria a rappresentare la parte importante di questo intervento. Sono stati distribuiti questionari e, a seguito di questi, gli incontri con detenute e detenuti hanno avuto come filo conduttore il cercare di mettere in comunicazione le varie parti con l proprie competenze e specificità fino a discuterne pubblicamente intorno a un tavole E' stato inoltre realizzato - sempre nello stesso spazio all'interno del carcere - un recital interculturale di danze, canti, percussioni e interventi narrativi con attori d Burkina Faso e italiani. Uno spettacolo frutto anch'esso di una preparazione remota di una lunga serie di viaggi, scambi teatrali, tournées, studi di danze, lavoro d'attore, ricerche sull'arte del racconto.
Infine un concerto-incontro col pianista Giorgio Sacchetti dal titolo: "Suoni, sussurri grida: la musica come rappresentazione". Il pianista, del Conservatorio di Firenze, ha eseguito brani scelti da Beethoven alla musica d'oggi, ricercando nessi e analogie fra le immagini musicali e l'intonazione e il ritmo del linguaggio parlato, nonché il gesto e la mimica facciale e corporea: un' analisi della continua creazione di immagini di cui ci serviamo per comprendere noi stessi e il mondo.
Continua la cura e il rinnovamento delle biblioteche di raggio, anche con snellimento delle procedure di utilizzo dei volumi da par dei detenuti e il contributo fattivo alla redazione della rivista di S. Vittore "Magazine 2".
Gruppo Carcere Mario Cuminetti Libreria Tadino
via Tadino, 18 - 20124 Milano
tel. 02/29.51.32.68
Al SINDACO di Viareggio:
"La ringrazio per la solidarietà che ha voluto manifestare nei confronti degli ideali che mi hanno portato ad obiettare in coscienza a quanto stanziato nel bilancio dello Stato per le spese militari del nostro Paese. Mi sono assunto la conseguenza di questo mio gesto e attendo che lo Stato venga a prendere quanto ritiene di dover avere, cifra che a suo tempo versai ad una organizzazione nazionale di volontariato impegnata nella protezione civile e presente in città con una viva e benemerita associazione. Ritengo che le parole di stima nei miei confronti siano da estendere anche a coloro che insieme a me portano le conseguenze dello stesso gesto per obbedire al dettato insopprimibile della coscienza personale. E più precisamente a Marco Rocchi che ha già subito il pignoramento e a Roberto Sampietro che, come me, lo sta attendendo.
Mi permetto di chiederLe che l'Amministrazione Comunale, per dare concretezza alla solidarietà, partecipi all'asta dei libri che ci verranno pignorati. Sono libri cui siamo affezionati perché trattano i temi della dignità civile, della libertà, della azione nonviolenta e siamo contenti di perderli purché, attraverso di essi, l'Amministrazione Comunale voglia contribuire a diffondere nelle scuole e nelle biblioteche della città una cultura della difesa come prevenzione e confronto a tutto campo con il mistero della violenza che accompagna ovunque questa nostra esperienza umana.
Vorrei anche proporLe di farsi promotore nella città della creazione di un "laboratorio dei conflitti" inteso come "luogo" dove elaborare quella microconflittualità quotidiana che si manifesta nel disagio della convivenza di vicinato, nel difficile rapporto tra generazioni diverse, nella sofferta accoglienza della diversità.
Questo perché accanto alla monocultura delle armi si inizino a sperimentare modalità diverse di affrontare i conflitti a cominciare da quelli che ciascuno deve affrontare ogni giorno. In modo da essere educati a percepire il conflitto non come una china irrimediabilmente volta verso l'abisso della violenza armata, ma come strada attraverso la quale ciascuno può incontrare la propria identità ed essere disarmato dalla esperienza positiva che l'altro - qualunque "altro" - non è prima di tutto un nemico, ma al contrario una risorsa preziosa per la propria esistenza.
Le assicuro tutta la mia personale disponibilità e le competenze che ho acquisito in questo campo perché la città possa disporre di strumenti concreti, particolarmente rivolti ai giovani, perché la Pace sia un reale percorso di vita quotidiana.
Cordiali saluti.
Luigi Sonnenfeld
"Cari amici:"
LA PACE VERRA', SE ...
Se tu credi che un sorriso è più forte di un'arma.
Se tu credi alla potenza di una mano offerta.
Se tu sai guardare il prossimo con un filo di amore.
Se tu sai preferire la speranza all' evidenza.
Se tu puoi ascoltare lo sfortunato che ti fa perdere tempo e gli doni un sorriso.
Se sai accettare la critica e ne trai profitto senza ritorcerla.
Se sai accogliere e adottare un parere differente dal tuo.
Se tu stimi che tocca a te fare il primo passo piuttosto che al tuo prossimo.
Se lo sguardo di un fanciullo riesce ancora a disarmare il tuo cuore.
Se tu puoi godere della gioia del tuo vicino.
Se l'ingiustizia che colpisce gli altri ti fa reagire come quella che subisci tu.
Se tu sai donare gratuitamente un po' del tuo denaro per amore.
Se tu sai accettare che un altro ti renda un servizio.
Se sai dividere con gli altri il tuo pane e sai aggiungervi un po' del tuo cuore.
Se tu credi che un perdono arriva più lontano di una vendetta.
Se tu rifiuti di battere la tua colpa sul petto degli altri.
Se la collera è per te una debolezza e non una prova di forza.
Se per te l'altro è sempre un fratello.
Se tu parteggi per il povero e l'oppresso senza ritenerti un eroe.
Se tu credi che l'amore è la sola forza di discussione.
Se tu credi che la pace è possibile ...
allora la Pace verrà.
p. Guilbert
"con tanti auguri, da Daniele Del Bon"
CITTÀ DI VIAREGGIO
III PREMIO NAZIONALE "DON SIRIO POLITI"
BANDO E REGOLAMENTO ANNO 1997-'98
ART. 1 Per iniziativa del CRO - CIRCOLO RICREATIVO OPERAIO DARSENE di Viareggio e con il patrocinio del Comune di Viareggio è indetto il III PREMIO NAZIONALE "DON SIRIO POLITI' riservato ad opere inedite, saggistiche o letterarie sul tema:
"Valorizzazione della persona e cura dell'ambiente: nuove prospettive del lavoro"
ART. 2 Il premio si articola in due sezioni:
Saggistica (studi, ricerche, inchieste, tesi di laurea, ecc.):
Letteraria (racconti, poesie, ecc.)
ART. 3 I premi saranno assegnati a giudizio insindacabile della Giuria. Essi sono i seguenti:
Per la sezione saggistica, premio di L.4.000.000 all'opera prima classificata.
Per la sezione letteraria, premio di L.2.000.000 all'opera prima classificata.
ART. 4 Le opere dovranno pervenire alla Segreteria del Premio (Chiesetta del Porto, Lungo Canale Est, n.37 - 55049 VIAREGGIO), in almeno 7 copie, entro e non oltre le ore 12 del giorno 31 marzo 1998.
ART. 5 I lavori di cui all'art. 4 dovranno essere contrassegnati con uno pseudonimo ed accompagnati da una busta chiusa, con sovrascritto lo pseudonimo prescelto, contenente nome, cognome, indirizzo e recapito telefonico dell' autore.
ART. 6 I dattiloscritti non verranno restituiti e rimarranno di proprietà del Premio, che è autorizzato ad una loro eventuale pubblicazione ed a fame l'uso più opportuno per i fini che il Premio stesso si prefigge.
ART. 7 Un premio speciale, consistente in una TARGA ARTISTICA, sarà attribuito ad
un' opera edita o ad una personalità che abbiano dato un contributo particolarmente significativo in ordine alle finalità del Premio.
ART. 8 La consegna dei premi avverrà entro il 31 maggio 1998, nel corso di una cerimonia pubblica, secondo il programma stabilito dalla Segreteria, che sarà reso noto in tempo utile.
Viareggio, Giugno 1997 - Il Presidente Cro-Darsene di Viareggio Massimo Bandini
Per informazioni: Segreteria del Premio Letterario 'Don Sirio Politi"
Lungo Canale Est n.37 - 55049 Viareggio - tel. 0584/387122 (ore 10-12) - 0584/46455
Luigi Sonnenfeld
e-mail
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